IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Sperare in una permanenza di armonia tra molti Stati indipendenti e slegati sarebbe trascurare il corso uniforme degli avvenimenti umani e andar contro l'esperienza accumulata dal tempo.

Hamilton, The Federalist

Anno III, 1961, Numero 3-4, Pagina 103

 

  

Il problema del Sud-Tirolo
 
 
Spesso nemmeno le bombe bastano per far capire le cose agli uomini politici, a meno di non tirarle per molti anni di seguito. Nel 1954, quando gli algerini avevano già cominciato a tirarle, Mendès-France dichiarò che l’Algeria era terra indiscutibilmente francese, e mandò Soustelle ad Algeri. Quanti sono ormai i tirolesi fermamente intenzionati a mettersi sulla stessa strada dei ciprioti, degli algerini e così via, e quali sono le loro possibilità? In che modo evolverà l’atteggiamento del governo italiano? Sarebbe bene non sottovalutare il problema, non accantonarlo prima di averlo studiato attentamente. I francesi, nel 1954, non immaginavano che avrebbero ritenuto una fortuna il ritorno al potere di de Gaulle. La sud-americanizzazione dell’esercito e il collasso del potere civile sembravano allora cose impensabili. E’ vero che il problema del Sud-Tirolo o Alto Adige è meno grave di quello dell’Algeria. Ma è anche vero che esso può accendere reazioni a catena perché sta sul pericoloso terreno del nazionalismo italiano e tedesco; ed è anche vero che la democrazia in Italia è più debole che in Francia. La Francia ha avuto il collasso del potere civile nel quadro del difficile processo di decolonizzazione del suo impero. L’Italia, l’anno scorso, ha corso un rischio analogo solo per l’intrinseca debolezza del suo schieramento politico, e l’ha superato solo con un governo di emergenza e con l’aiuto di Nenni.
 
I
Prima di tutto, che cosa è l’Alto Adige? E’, a parlar chiaro come si deve in questi casi, la parte meridionale del Tirolo, il Sud-Tirolo. Non si tratta di un bisticcio linguistico. L’Alto Adige è, in ogni senso della parola salvo quello giuridico, il Sud-Tirolo. Una terra da sempre tedesca dal punto di vista della nazionalità spontanea di lingua, da sempre tirolese dal punto di vista della nazionalità spontanea di costume, di ambiente, di tradizioni. Da sempre o, per meglio dire, da quando hanno senso questi riferimenti, cioè dalla dissoluzione dell’Impero romano. Il lento formarsi di particolarismi nazionali locali, ed il lento formarsi delle lingue moderne europee, hanno dato in quella terra un risultato linguisticamente tedesco, socialmente tirolese. Vedremo in seguito quale sia l’importanza di questo fatto. Per ora basti dire che i suoi abitanti sono tali anche nel modo di sentire: «tutti i 230.000 sudtirolesi tedeschi nell’anno 1918 si professarono compatti e appassionatamente per la nazionalità tedesca». Nello stesso anno la popolazione del Sud-Tirolo era così ripartita: 8.000 italiani, 230.000 tedeschi, 15.000 ladini.[1]
Come e perché il Sud-Tirolo è capitato in mani italiane? Per la vittoria italiana nella prima guerra mondiale e perché il governo italiano, contro l’opinione del dimissionario Bissolati che giudicava un errore e una colpa l’annessione di una terra straniera, volle un confine forte mentre quello etnico (Salorno) non gli pareva tale.[2] Che cosa hanno fatto gli italiani nel Sud-Tirolo? E’ presto detto. Abbiamo visto come era composta la popolazione nel 1918 (fonte italiana). Vediamo ora come era composta nel 1946: 101.929 italiani, 192.262 tedeschi, 12.267 ladini. Conviene ricordare in qual modo la politica italiana giunse a questi risultati. Il 10 ottobre 1919, col trattato di Saint-Germain, il Sud-Tirolo venne assegnato all’Italia. Il primo dicembre 1919, nel discorso del trono, Vittorio Emanuele III diede assicurazioni sul «libero sviluppo delle comunità di lingua tedesca». Nel 1922 i fascisti guidati da Tolomei, fecero una specie di anteprima della marcia su Roma con la marcia su Bolzano e l’occupazione delle scuole. La politica per il Sud-Tirolo era ormai definita: italianizzazione. «Il Trentino e l’Alto Adige furono, all’inizio, riuniti amministrativamente in una sola provincia (solo nel dicembre 1926 verrà costituita la provincia di Bolzano). La lingua italiana divenne la sola lingua ufficiale negli atti amministrativi e giudiziari (1923-25). l nomi geografici vennero italianizzati e in parte anche quelli familiari (1926). L’italiano divenne l’unica lingua di insegnamento a partire dall’anno scolastico 1923-24, anche nei comuni dove prima veniva usato il tedesco, mentre venne progressivamente stroncato l’insegnamento privato, cui i genitori tedeschi erano ricorsi per poter continuare a far studiare i loro figli nella lingua tradizionale. Parallelamente, i principali organi di stampa in lingua tedesca come Der Landsmann, Die Briexener Chronik, Die Meraner Zeitung vennero soppressi d’autorità e sostituiti con la Alpenzeitung, pure in lingua tedesca, ma di ispirazione governativa. Le maggiori organizzazioni giovanili e sportive, tra cui di particolare rilievo le associazioni alpinistiche (Alpenvereine) vennero disciolte per attività anti-italiana, mentre numerosi provvedimenti, includenti la perdita della cittadinanza e la confisca dei beni, vennero presi nei confronti di chi svolgesse propaganda contraria al governo di Roma. Le proteste dei rappresentanti altoatesini al parlamento italiano rimasero senza esito».[3] A ciò si aggiunse una industrializzazione strumentale, non economica (salvo che per lo sviluppo delle centrali idroelettriche) che aveva lo scopo di popolare di italiani (nel fatto spesso meridionali) la zona (decreto del 28 settembre 1934 sulla costituzione della zona industriale nella città di Bolzano). Si giunse persino a mettere in piedi uno stabilimento della Lancia.
Questi mezzi tuttavia non bastavano per italianizzare il Sud-Tirolo perché la popolazione locale non si lasciava assimilare. Ma le vicende internazionali vennero in aiuto del governo italiano. L’Austria, Stato nuovo e in disordine, non poteva nel primo dopoguerra occuparsi dei soprusi fatti ai sudtirolesi, e non poté farlo nemmeno quando si consolidò perché l’Italia proteggeva la sua indipendenza contro le minacce della Germania. Passata l’Austria nelle mani della Germania, nonostante la moderazione di Hitler che subordinava la questione del Sud-Tirolo a considerazioni di ragion di Stato, la situazione mutò. Non c’era più da una parte uno Stato forte, l’Italia, e dall’altra uno Stato debole, l’Austria. Al posto dell’Austria c’era la Germania, fatto che bastava per rendere instabile il dominio italiano su una popolazione tedesca nonostante l’amicizia e poi l’alleanza formale dei governi italiano e tedesco. Una soluzione era necessaria. Stante i termini del problema — mantenere l’alleanza, mantenere il confine, spegnere il focolaio di disordine — ce n’era una sola: cacciare i tirolesi dal Sud-Tirolo. La politica di italianizzazione aveva ormai trovato la sua strada. Il governo italiano richiese a quello tedesco l’esodo dei «tedeschi» come una condizione per firmare il Patto di Acciaio (22 maggio 1939). Il governo tedesco, dopo qualche comprensibile esitazione, cedette.[4]
L’operazione, rapidamente istradata col meccanismo delle opzioni, riuscì solo a metà per le difficoltà connesse allo svolgimento della guerra e poi al suo esito. Tuttavia essa diede un forte salasso alla popolazione di lingua tedesca. Ci furono 166.488 opzioni per la nazionalità tedesca e 66.980 partenti effettivi (in genere gli optanti cercavano di rimanere e le circostanze li favorirono). La maggior parte degli emigrati non tornò nel dopoguerra, quando la questione fu ridefinita, perché il tempo trascorso nelle nuove sedi, scelte senza pensare ad un ritorno che sembrava impossibile, li aveva ormai radicati altrove.[5]
Così il Sud-Tirolo, dopo essersi popolato di italiani, perse una parte dei tirolesi. E’ indubbio che la composizione etnica del Sud-Tirolo fu deliberatamente alterata dalla politica del governo di Roma, che trasformò una zona esclusivamente tedesca in una zona mista tedesco-italiana. A questo proposito è del tutto arbitrario l’argomento, usato dagli italiani in documenti ufficiali, secondo il quale i tirolesi avrebbero esercitato l’opzione, e sarebbero partiti, di loro libera volontà. E’ probabilmente vero che all’ultimo momento i fascisti non fecero pressioni sui sud-tirolesi perché optassero per la nazionalità tedesca. Non avevano bisogno di farlo visto che, a dar loro mano libera, le avrebbero fatte i nazisti come in effetti accadde (se ne occupò Himmler). Per quanto li riguarda direttamente, i fascisti avevano fatto ben di più, avevano duramente ricattato la popolazione del Sud-Tirolo imponendo a chi voleva restare di rifiutare la nazionalità tedesca. l sudtirolesi si trovarono di fronte a questa alternativa: scegliere la «nazionalità» italiana per rimanere, o pigliare quella tedesca e partire. Il che significava rimanere rinnegando le proprie tradizioni, o perderle per non tradirle: lasciare i propri morti, le proprie case, il proprio paese e ricominciare una nuova vita altrove.[6]
Questi i fatti salienti della prima fase della storia «italiana» del Sud-Tirolo. Naturalmente il passato non sta soltanto nei fatti. Sta anche nel modo con il quale gli uomini se li rappresentano. Gli italiani, come abbiamo visto, pensarono il problema in termini di italianizzazione. Ma essi se ne sono dimenticati. Chi fa il torto dimentica, chi lo subisce ricorda. I sudtirolesi non possono dimenticare che gli italiani provvidero efficacemente alla italianizzazione del Sud-Tirolo, e che la cosa stava per riuscire: 1918, 8.000 italiani, 230.000 tedeschi; 1946, 101.929 italiani, 192.262 tedeschi. Pochi anni di dominio italiano avevano a metà distrutto un gruppo che molti secoli di storia non avevano scalfito. Può stupire che i sudtirolesi abbiano visto e temano ancora l’occupazione italiana come la loro Todesmarch, una marcia verso la morte storica della loro comunità? Bisogna tener presente che i simboli della vecchia politica sono ancora là. Essi vengono ufficialmente ricostruiti quando i sudtirolesi li abbattono (casi del monumento al Genio Italico, della casa di Tolomei), o addirittura costruiti ex-novo come il bassorilievo che sta sul frontone del palazzo delle imposte inaugurato a Bolzano nel 1958. Il bassorilievo raffigura un milite a cavallo. Il milite ha la faccia di Mussolini. Sotto c’è la scritta fatidica: Credere, Obbedire, Combattere. Ai simboli corrisponde la realtà politica. A Bolzano, come nel resto d’Italia, c’è ancora un partito fascista legale. E c’è il fascismo di tutti i partiti italiani, che deriva dal voler restare in una terra altrui contro la volontà degli abitanti.
 
II
Il legame del passato col presente ci ha costretto ad alcune anticipazioni. Dobbiamo, perciò, tornare indietro, per vedere il carattere della politica seguita dal governo democratico. Alla fine della seconda guerra mondiale il dominio italiano sul Sud-Tirolo fu naturalmente messo in discussione. I sudtirolesi, sostenuti dagli austriaci, cercarono di scuotersi di dosso la dominazione straniera. Essi rivolsero subito un memorandum agli alleati chiedendo l’annessione all’Austria. Il principe-vescovo di Bressanone, Geissler, richiese il plebiscito. Gruber, con il discorso del 4 settembre 1945, sostenne la richiesta e successivamente il governo austriaco, col consenso di tutti i partiti, chiese ufficialmente che la clausola del plebiscito figurasse nel trattato di pace con l’Italia. Ma il governo italiano voleva mantenere il confine del Brennero e cedere il minimo possibile in materia di autonomia, e aveva buone carte: la tendenza verso lo statu-quo derivante dal fatto che Bolzano, come l’Italia, era stata occupata dagli angloamericani mentre l’Austria si trovava sotto il controllo misto degli occidentali e dei russi; la difficoltà per i vincitori di imporre un plebiscito a Bolzano mentre, per i loro contrasti, lo negavano a Trieste. Sfruttando questa situazione il governo italiano usò l’astuzia con i più forti, gli angloamericani, e la prepotenza con i più deboli, i sudtirolesi e gli austriaci. Per svuotare le loro richieste De Gasperi promise, con un memorandum del 22 agosto 1945 al segretario di Stato americano Byrnes, la concessione di una effettiva autonomia, simile a quella della Val d’Aosta, mentre in realtà si giunse al progetto della regione Trentino-Alto Adige nella quale i sudtirolesi sono in minoranza. Questo gioco diplomatico, consistente da una parte nell’assicurare i vincitori con generiche affermazioni autonomistiche onde tranquillizzarli e trattare direttamente con gli austriaci, e dall’altra nel concedere il minimo possibile valendosi della propria maggiore forza contrattuale e ricorrendo all’espediente di fare concessioni formali ambigue al solo scopo di conservare la mano libera, fu condotto sino alla stipulazione dell’accordo De Gasperi-Gruber del 5 settembre 1946, che fu inserito come allegato IV nel trattato di pace con l’Italia.[7]
Su questa base il governo italiano edificò la regione Trentino-Alto Adige. La nuova politica italiana rispetto al Sud-Tirolo era definita: «difesa intransigente della frontiera» e concessione del minimo possibile in materia di autonomia valendosi della propria posizione di forza. Non si pensò di liquidare una eredità del nazionalismo e del fascismo, non si cercò di comprendere la natura del problema, almeno per giudicare le possibilità di successo di tale politica, non ci fu nessun tentativo di inquadrare la questione in una visione del posto dell’Italia nel mondo e del corso da imprimere alle relazioni internazionali. Istituita la regione, e concesse alcune autonomie alle provincie (e quindi al Sud-Tirolo come provincia di Bolzano) per ottenere l’«assenso» dei rappresentanti la popolazione di lingua tedesca (previsto dall’accordo De Gasperi-Gruber), il governo italiano fece il possibile per non tradurle in atto, sia con interpretazioni capziose o restrittive[8] dello statuto della regione, sia respingendo reiteratamente le leggi di attuazione delle autonomie provinciali votate dal Consiglio provinciale di Bolzano. A tutto oggi, dopo tanti anni — lo stesso governo italiano lo ammette — tali autonomie non sono ancora state completamente istituite.
 
III
E’ un dato di fatto che questa politica non ha avuto successo. Gli austriaci hanno portato la questione all’O.N.U., il terrorismo indipendentista sembra aver messo solide radici. Bisogna dunque discutere più a fondo sia il problema che la politica per risolverlo. Tutte le discussioni che non giungono a questo punto non servono a nulla perché prendono in considerazione solo aspetti particolari o secondari, della questione. Così avviene, ad esempio, quando si considera soprattutto l’aspetto giuridico, che sulla stampa italiana sta in primo piano ma conta ben poco. Secondo il governo italiano l’accordo De Gasperi-Gruber avrebbe risolto il problema nel senso desiderato da De Gasperi. Questa interpretazione, in ogni modo, non regge. E’ indubbio che De Gasperi voleva la regione Trentino-Alto Adige e che Gruber voleva la regione del Sud-Tirolo, ed è vero che il testo dell’accordo a questo proposito non è esplicito (non poteva esserlo, vista la tattica italiana). Tuttavia il significato della frase che ne parla non sembra dubbio: «Alle popolazioni delle zone sopra dette [le zone nominate sono la provincia di Bolzano ed i comuni bilingui della provincia di Trento) sarà concesso l’esercizio di un potere legislativo ed esecutivo autonomo, nell’ambito delle zone stesse. Il quadro nel quale detta autonomia sarà applicata sarà determinato consultando anche elementi locali rappresentanti la popolazione di lingua tedesca» (art. 2). Su questa base il governo italiano afferma che era libero di determinare il «quadro» a suo piacimento, dopo aver ottenuto l’assenso dei rappresentanti locali. L’assenso formalmente fu dato, dopo molti dinieghi e trattative (un assenso senza alternative, forzato, vista la disparità di forza degli interlocutori); ma è chiaro che il «quadro», non definito, riguardava una cosa ben definita: la concessione di un potere legislativo ed esecutivo autonomo a certi individui, che invece non l’ebbero pienamente perché nel quadro istituito essi sono in minoranza.
Formalmente il governo italiano ha torto ma la cosa, come abbiamo detto, non ha grande importanza. Nel diritto internazionale capita spesso che si dia ragione a chi ha torto, ma capita ancora più spesso che ciascuno si faccia ragione da sé. In realtà in casi come quelli del Sud-Tirolo l’aspetto giuridico non conta nulla. Non sarà certo l’interpretazione formale di qualche frase da parte di qualche organismo internazionale che deciderà del caso. In qualunque modo qualunque tribunale internazionale lo regoli, la decisione verrà dal comportamento degli individui interessati e quindi, in ultima analisi, dalla loro idea del giusto e dell’ingiusto. Nella coscienza umana il giusto e l’ingiusto assumono spesso forma molto netta nonostante l’imperfezione delle leggi, e ciò avviene soprattutto quando sono in gioco i dati fondamentali della vita sociale, come nel caso del Sud-Tirolo. In tali casi il giusto è ciò che rende legittimo nell’opinione degli individui, e non secondo qualche testo tartufesco, l’uso del potere politico. Esaminando il caso del Sud-Tirolo da questo punto di vista si potrà stabilire non solo ciò che è giusto e ingiusto, ma anche la natura stessa del problema.
Nel nostro tempo — che non conosce più il potere di «diritto divino» ed ha esteso a quasi tutta la popolazione della terra l’idea dell’indipendenza — un esame di questo genere dovrebbe essere facile. La legittimità sta nel consenso dei governati. Orbene, questo consenso, da parte dei sudtirolesi, nella regione Trentino-Alto Adige, non ci sarà mai. Negando il plebiscito il governo italiano ha negato il principio democratico: ha conquistato con la guerra una terra straniera e la mantiene con la forza contro la volontà della popolazione, ed ha negato inoltre il principio «nazionale»: mantiene degli austriaci nel gruppo italiano sottraendoli a quello austriaco. Queste considerazioni bastano per stabilire che lo Stato italiano, che si basa sul principio «nazionale» e su quello democratico, non può ottenere il consenso dei sudtirolesi, ai quali nega sia il diritto «nazionale» che quello democratico. Queste considerazioni non vanno, tuttavia, al fondo del problema. Istituendo la regione Trentino-Alto Adige anziché quella del Sud-Tirolo il governo italiano ha negato qualche cosa di più profondo del valore «nazionale» e di quello democratico. Esso ha negato un fondamentale diritto di libertà che le vecchie monarchie assolute rispettavano e persino le dittature esitano a calpestare, quello di vivere secondo le tradizioni e i costumi del luogo natale. Questo diritto si fonda sulla nazionalità spontanea, che rende tirolese, prima ancora che austriaco o tedesco, un abitante di quelle terre. E’ un diritto da non confondere con quello «nazionale», istituzionale ed ideologico, che riguarda vasti territori nei quali gli individui non hanno nulla di autentico in comune. Bisogna distinguere bene, a questo proposito, il sentimento «nazionale» moderno come riferimento alle «nazioni» francese, italiana, tedesca ecc. dal sentimento nazionale nel senso etimologico del termine. Il primo implica, appunto, un gruppo troppo vasto perché coloro che nascono entro i suoi confini possano veramente sentire, in modo sincero e profondo, di essere della stessa nazione, nascita. Si tratta di un sentimento ideologico, fondato sullo status del potere. Se esso muta, la «nazione» muta anch’essa, con grande facilità (come prova il fatto che nell’area tedesca, in breve giro d’anni, l’Austria, la Germania e la loro somma furono a volta a volta sentite, e poi dimenticate, come la vera «nazione». E la «nazione tedesca» non è dissimile dalle altre, ad es. dall’italiana, inesistente per i più in Italia prima dell’unificazione statale e così via). Il secondo invece implica un gruppo nel quale l’espressione «essere della stessa nazione, nascita» riguarda effettivamente l’orizzonte territoriale del nascere e del vivere della gente comune. Si tratta di un sentimento spontaneo, fondato sulle esperienze della vita di tutti i giorni. Esso si manifesta attraverso tradizioni ed abitudini che si mantengono lungo le generazioni con una stabilità ben maggiore di quella dei regimi politici.
Questa distinzione è essenziale per comprendere il problema del Sud-Tirolo, in quanto mostra che si tratta di un problema di libertà degli individui. Essa permette anche di stabilire che, a lungo termine, il problema ha solo due soluzioni: quella violenta della cacciata dei sudtirolesi dalle loro terre e quella pacifica della autonomia. Una terza soluzione non c’è perché normalmente non si può governare con i mezzi di uno Stato istituzionalmente accentrato e ideologicamente «nazionale» una minoranza straniera compatta senza far violenza alle sue tradizioni ed abitudini, violenza che d’altra parte riesce inutile (salvo i casi estremi dell’eliminazione fisica o della cacciata) perché non è possibile mutare con la forza le convinzioni veramente radicate nell’animo umano, e quelle della nazionalità spontanea, della nazione in senso etimologico, lo sono. Gli uomini si possono uccidere, si possono trasferire in massa, ma non è possibile, con la legge e la coazione, ottenere che essi pensino in modo diverso dalla loro natura.
Non ci si può pertanto illudere di risolvere il problema del Sud-Tirolo senza scegliere una di queste soluzioni. Ma, prima di vedere quale politica sia necessaria nell’uno o nell’altro caso, è necessario soffermarsi ancora su quanto abbiamo detto. Molti italiani non comprendono infatti che il problema del Sud-Tirolo è un problema di libertà. Se il discorso giunge a questo punto, essi lo sviano. Vale perciò la pena di insistere e di proporre l’unico procedimento idoneo a comprendere situazioni umane delle quali non si ha esperienza diretta: quello di mettersi nei panni di coloro che le subiscono. Si tratta di immaginare che cosa possa significare chiamare la propria terra, il Sud-Tirolo, con un nome straniero, Alto Adige; festeggiare il quattro novembre, il giorno nel quale il proprio popolo fu sconfitto ed ebbe inizio la dominazione straniera e così via.[9] Se ciò non basta, se si ha ancora voglia di dire: che importanza ha, oggi, tutto questo? allora bisogna riferire direttamente a se stessi questa immaginazione, cioè pensare la propria città — il lettore dovrebbe pensare concretamente alla sua — governata da uno straniero che voglia imporci le sue leggi ed i suoi riti; supporre di doverla chiamare con un nome straniero; figurare se stessi costretti a far festa il giorno che ricorda la propria sconfitta e l’altrui dominazione.
La cosa è intollerabile. Intollerabile — questo è importante — non solo dal punto di vista nazionalistico ma anche da un punto di vista strettamente individualistico, non solo sul piano politico ma anche su un piano generalmente umano. In questo caso non risulta infatti offesa soltanto la «nazione» cui la città appartiene e, attraverso essa, quanto l’individuo ha di «nazionale» in senso ideologico; ma anche, a soprattutto, l’individuo stesso nella sua peculiarità, cioè nel suo vivere in quel certo modo determinato dalla sua nascita, modo offeso dalla intrusione violenta dello «straniero». Questo è quanto fanno gli italiani nel Sud-Tirolo.
 
IV
Chiarita la natura del problema, si può prendere in esame l’aspetto politico della questione. Abbiamo detto che, a lungo termine, ci sono soltanto due soluzioni: quella della cacciata dei sud-tirolesi dalla loro terra e quella dell’autonomia. A breve termine ci sono però anche accomodamenti provvisori, come quello della regione Trentino-Alto Adige. Si possono dunque fare tre politiche: quella della cacciata, quella dell’autonomia, quella del procrastinare. Vediamole:
1) La politica della cacciata. Bisogna dire che chi vuole il fine deve volere il mezzo, e che per cacciare a viva forza una comunità dalla sua terra ce n’è uno solo: lo Stato totalitario. Il fascismo poté fare questa politica, la repubblica italiana, anche se volesse farla, non potrebbe mandarla ad effetto. Ciò basta per giudicare la portata della minaccia di riaprire la questione delle opzioni. L’imposizione delle opzioni e la privazione della cittadinanza sono strumenti efficaci solo per cacciare i sudtirolesi dalla loro terra e solo se sono accompagnati dalla creazione di un clima di violenza per intimidire tutta la popolazione e dalla volontà di colpire a casaccio gli individui privandoli di un regolare processo. Se un governo non ha tali possibilità, e ricorre egualmente alla imposizione dell’opzione e/o alla privazione della cittadinanza, la sua politica si riduce a quella della puntura di spillo e consegue il solo risultato di tener calda la situazione senza risolverla.
2) La politica dell’autonomia. La questione ha diversi aspetti: a) l’autonomia dei sudtirolesi non è possibile come autonomia della provincia di Bolzano nella regione Trentino-Alto Adige. Questa regione fu concepita proprio per sottoporre i sudtirolesi al controllo della regione oltre che a quello dello Stato, e non potrebbe servire per il fine contrario: la loro autonomia. Se Trento controlla Bolzano non c’è autonomia. Se Trento non controlla Bolzano cade la regione Trentino-Adige. La riunione di Bolzano e Trento, inutile per Trento e dannosa per Bolzano, non solo rende praticamente impossibile, o perlomeno difficile come una danza sulla corda, l’autonomia di Bolzano, ma costituisce addirittura una causa permanente di disordine. Il governo italiano ha fatto lo stesso errore che fece l’austriaco: i trentini, quando erano in minoranza nella regione del Tirolo, si battevano per l’autonomia contro Bolzano e Innsbruck come i sudtirolesi, in minoranza nella regione trentina, si battono ora contro Trento, b) l’autonomia dei sudtirolesi è probabilmente possibile come autonomia della regione del Sud-Tirolo nel quadro dello Stato italiano. Normalmente, in un regime di Stati nazionali sovrani, l’autonomia di una regione è possibile — anche se difficile per la relazione tra nazionalismo e accentramento — se essa ha la stessa nazionalità ideologica dello Stato al quale appartiene, quasi impossibile se tale sua nazionalità ideologica è invece diversa da quella dello Stato. Ma, nella presente situazione, il sistema europeo degli Stati nazionali sovrani è attenuato dalla eclisse delle sovranità nazionali, dalla conseguente unità europea di fatto e dalle sue soprastrutture. Per questa ragione l’autonomia del Sud-Tirolo nel quadro italiano potrebbe funzionare. Naturalmente, per la stessa ragione, essa non sarà eterna. L’Europa tornerà al nazionalismo o si unirà col vincolo federale. Nel primo caso la regione del Sud-Tirolo subirebbe l’attrazione dell’Austria o dell’Austria-Germania, e dovrebbe perciò o essere restituita, o abolita e i suoi abitanti cacciati. Nel secondo caso la provincia austriaca del Tirolo si ricomporrebbe pacificamente, perché le rettifiche di confine tra Stati federati hanno un carattere puramente amministrativo.
3) La politica del procrastinare. E’ evidentemente tale ogni politica che non cacci i sudtirolesi o non conceda loro l’autonomia, cioè che tenga aperto il problema senza risolverlo. E’ perciò tale la presente politica italiana, che ha concesso ai sudtirolesi tutti i diritti di libertà meno quello fondamentale che, mancando, rende vani gli altri: il diritto di manifestare senza restrizioni il proprio carattere. In questo settore, quello dell’autonomia, sulla cattiva impalcatura della regione Trentino-Alto Adige il governo italiano ha fatto concessioni limitate, ambigue, malfunzionanti; ha ammesso e negato il diritto; ha, in sostanza, fatto la peggiore politica possibile: quella del dare a metà.
Si direbbe che, volendo mantenere il confine del Brennero, il governo italiano abbia paura di perderlo, o di indebolirlo, concedendo l’autonomia ai sudtirolesi. Quali vantaggi si attende da questo confine? Non è facile dirlo perché non ce ne sono. La ragione per la quale nel 1919 l’Italia pretese il Sud-Tirolo — un forte confine militare al Brennero — è caduta. L’Italia non deve più guardarsi dall’Austria, o dalla Germania, la difesa militare degli italiani non si fa più nel quadro italiano con l’esercito italiano, ma nel quadro atlantico con un esercito di coalizione.[10] Si dice anche che l’Italia, non avendo istituito a tempo la regione autonoma del Sud-Tirolo, non potrebbe facilmente istituirla ora senza «perdere la faccia». Ma l’Italia non è una grande potenza. Essa non è obbligata a tenere con fermezza il proprio fronte politico per evitare la disgregazione dell’equilibrio mondiale. Essa dunque ha tutto da perdere praticando in Europa una sorta di piccolo imperialismo su una popolazione di lingua straniera, e tutto da guadagnare con una franca ammissione del proprio errore e col rispetto dei principii democratici. Infine si accampano ragioni economiche, come se valesse ancora la concezione patrimoniale dello Stato o quella mercantilistica dell’economia. Ma il fatto che a Bolzano ci sono ricchezze non comporta che ciascun italiano ne abbia una parte. In ogni caso le centrali idroelettriche continueranno a vendere la loro energia ai vecchi clienti. E questo è tutto. In realtà gli italiani che vogliono il Sud-Tirolo non sanno perché lo vogliono. Non c’è nessuna seria ragione militare, politica o economica. C’è soltanto l’inerzia della routine nazionale.
Questa politica, che non rende, costa. Con la politica del procrastinare, cioè non concedendo l’autonomia senza però attuare la politica di forza efficace (la cacciata), il governo italiano ha trasformato una pacifica zona di montagna, politicamente isolata, in un pericoloso focolaio di nazionalismo italiano, austriaco e pantedesco. Il particolarismo dei sudtirolesi — di per sé, come abbiamo visto, inestinguibile — compresso dalla mancanza di forme autonome di espressione, blocca tutta la vita sociale del Sud-Tirolo sul solo problema dell’autonomia, rendendo praticamente inutile la distinzione tra i moderati che la reclamano legalmente, gli irredentisti che vogliono la riunificazione del Tirolo e il ritorno all’Austria e i terroristi che, persa la fiducia nel metodo legale, hanno scelto quello della violenza. Su questa base i nazionalisti in Italia, in Austria e in Germania hanno un buon problema da agitare. Tutta questa piramide politica, che si smantellerebbe come un castello di carte con l’autonomia, è tenuta in piedi dalla esistenza dei terroristi, e finirà con l’avere tanta importanza quanta sarà la consistenza della loro azione.
In sostanza il governo italiano, non istituendo la regione del Sud-Tirolo, ha messo nelle mani dei nazionalisti estremisti un ordigno esplosivo che nessuno, salvo loro stessi, può maneggiare. Fortuna vuole che sinora essi non siano stati molto forti. Tuttavia la loro forza cresce, ed essi sono ora in grado di costringere il governo italiano a mettere in moto il meccanismo della repressione. Questa è una loro vittoria. Il governo italiano, reprimendo, aumenta e non diminuisce la forza del terrorismo perché il problema non sta nella eliminazione di qualche persona ma nello spegnere, o nell’accendere, la fonte degli atteggiamenti autonomistici, indipendentistici e terroristici e della loro concatenazione.
 

Il Federalista

 


[1] Cfr. Alto Adige, a cura dell’Ufficio Studi dell’ISPI, Milano 1957. Circa l’espressione nazionalità spontanea cfr. Mario Albertini, Per un uso controllato della terminologia nazionale e supernazionale, «Il Federalista», III, 1. Questa terminologia si presta, come ogni terminologia convenzionale, a discussione. Tuttavia il fatto che l’espressione «il formarsi di particolarismi nazionali locali» sia storicamente corretta quando viene riferita ad entità come il Tirolo (si tenga presente che ancora nel secolo scorso gli «italiani» parlavano della «nazione» italiana quando pensavano alla lingua, della «nazione» piemontese, toscana, siciliana ecc. quando pensavano al territorio natale) mostra che noi dobbiamo distinguere almeno tre realtà, e quindi tre idee e possibilmente tre espressioni, nazionali: le «nazioni» del tipo della Francia, Italia ecc., all’interno di queste le «nazioni» del tipo della piemontese, tirolese ecc. (almeno per il tempo nel quale sono sentite come tali), e inoltre le «nazioni» linguistiche. Per queste ultime si dovrà tener presente che esse non coincidono necessariamente né con una «nazione» nei primi due sensi della parola, né con uno Stato, né con un territorio. Ad esempio i ticinesi non sono «italiani», gli anglosassoni sono divisi in parecchie nazioni e molti Stati, e la lingua italiana, nel secolo scorso, non coincideva con un territorio, quello italiano, perché veniva usata, su tale territorio, solo da una ristretta élite sociale (i dialetti italiani, usati dalla maggior parte della popolazione, erano «italiani» per modo di dire visto che i parlanti dialetti di regioni lontane non si capivano a vicenda). Grosso modo sembrano in gioco questi tre tipi di gruppo: a) il gruppo definito dalla soprastruttura ideologica dello Stato burocratico ed accentrato (Francia, Italia ecc.); b) il gruppo definito dall’idea contenuta nell’accezione etimologica del termine: il posto dove si è nati (posto che non può mai essere vasto come la «nazione» in (a) che comporta esperienze specifiche, di carattere politico, estranee all’infanzia dell’uomo e indipendenti dalla sua vita ordinaria). A questo proposito si può parlare di «nazione spontanea» (nel senso dell’orizzonte territoriale di gruppo della propria nascita) perché tale gruppo per formarsi e sopravvivere non ha bisogno di coincidere con lo spazio di un potere politico (anche se nel fatto può coincidere: Stati regionali, cittadini); c) il gruppo definito dall’uso della stessa lingua, che ha carattere spontaneo nel senso detto sopra, ed è anch’esso un fatto di nascita. L’attuale linguaggio nazionale confonde questi tre tipi di gruppo con la grave conseguenza di prestare spesso al primo tipo il senso del secondo e del terzo, anche quando in realtà esso non li possiede, o li ha acquisiti in modo artificiale.
[2] Cesare Battisti, che nel clima interventistico del 1915 si lasciò andare sino a sostenere che l’Alto Adige fosse «naturalmente» italiano anche se abitato da sempre da tedeschi, era tuttavia convinto che il confine di Salorno, da lui spesso indicato come quello nazionale, fosse militarmente buono. Per il primo punto cfr. Cesare Battisti, Scritti politici (ed. naz.) II, Firenze, 1923, p. 223 (si tratta di un discorso pronunziato a Milano il 13 gennaio 1915). Per il secondo punto cfr. Enzo Tagliacozzo, Patrioti e speculatori, e Brennero o Salorno, «Il Mondo», anno XIII, numeri 23 e 24. Con la pubblicazione di lettere inedite di Salvemini Tagliacozzo ha messo in evidenza la posizione dello stesso Salvemini — che era convinto che si dovesse restituire il Sud-Tirolo all’Austria — di Bissolati e di Battisti.
[3] Cfr. Alto Adige, a cura dell’Ufficio Studi dell’I.S.P.I., Milano, 1957, pp. 17-18.
[4] «L’occasione favorevole (per una soluzione definitiva) si presentò a seguito delle richieste avanzate da parte tedesca per la trasformazione del Patto anti-Komintem in una vera e propria alleanza militare. Ciano diede ad Attolico istruzioni di collegare la stipulazione dell’alleanza alla soluzione della questione dell’Alto Adige, nel senso di ottenere il trasferimento della minoranza tedesca in Germania» (Op. cit., p. 20).
[5] La revoca dell’opzione non fu concessa a tutti gli optanti, ma solo a coloro che (a) avevano optato per la nazionalità tedesca ma non l’avevano acquisita col decreto tedesco di naturalizzazione o (b) l’avevano acquisita ma non avevano trasferito la loro residenza all’estero. Tra costoro molti emigrarono dopo, e 44.684 tra essi, che riottennero la cittadinanza italiana, non sono tornati (al 1957). A proposito della revoca delle opzioni si deve notare che, con l’esclusione di coloro che si traferirono subito e con quella di coloro che, pur trovandosi nelle situazioni (a) e (b), erano stati ufficiali o sottufficiali delle S.S., membri della Gestapo, del S.D., di organizzazioni locali connesse con le opzioni ecc. o avevano «dimostrato fanatismo o odiosità antitaliana nella propaganda per le opzioni o in altre attività analoghe spiegate tra il 23 giugno 1939 e il 5 maggio 1945, o comunque attività faziosa nazista», il governo italiano forse si era illuso di aver risolto il problema e di aver eliminato i quadri di future agitazioni autonomistiche ed irredentistiche. Le cifre qui riportate sono tratte dallo studio dell’I.S.P.I. I giornali italiani spesso pubblicano cifre diverse.
[6] Il governo italiano fece valere il fatto delle opzioni per la nazionalità tedesca come una prova di nazismo. Par di sognare. Nel 1939 l’Italia era forse una democrazia? E’ evidente che non c’era scelta tra democrazia e nazismo (e nemmeno tra fascismo e nazismo, che nel 1939 erano la stessa cosa), ma semplicemente tra la nazionalità italiana o tedesca in un momento nel quale le questioni di nazionalità erano — a differenza del 1946 ecc. nel clima delle disfatte tedesca e italiana — molto sentite. A proposito del razzismo, che la polemica italiana imputa volontieri ai sudtirolesi, bisogna osservare che la gente comune non è razzista né può esserlo. Non è razzista, ad es., il proverbio «moglie e buoi, dei paesi tuoi». Il problema sta nell’evitare che questa mentalità diffusa fornisca la massa di manovra al vero razzismo o nazismo che, essendo un atteggiamento politico specializzato, esiste solo a livello della classe politica. Il modo migliore per fornire tale massa di manovra al nazismo sta proprio nel privare le minoranze etniche della giusta e naturale autonomia.
[7] Riportiamo, per comodità del lettore, il testo italiano dell’accordo De Gasperi-Gruber:
1) Gli abitanti di lingua tedesca della provincia di Bolzano e quelli dei vicini comuni bilingui della provincia di Trento, godranno di completa eguaglianza di diritti rispetto agli abitanti di lingua italiana, nel quadro delle disposizioni speciali destinate a salvaguardare il carattere etnico e lo sviluppo culturale ed economico del gruppo di lingua tedesca. In conformità ai provvedimenti legislativi già emanati o emanandi, ai cittadini di lingua tedesca sarà specialmente concesso:
a) l’insegnamento primario e secondario della loro lingua materna;
b) l’uso, su di una base di parità, della lingua tedesca e della lingua italiana nelle pubbliche amministrazioni, nei documenti ufficiali, come pure nella nomenclatura topografica bilingue;
c) il diritto di ristabilire i nomi di famiglia tedeschi che siano stati italianizzati nel corso degli ultimi anni;
d) l’eguaglianza di diritti per l’ammissione ai pubblici uffici, allo scopo di attuare una più soddisfacente distribuzione degli impieghi tra i due gruppi etnici.
2) Alle popolazioni delle zone sopra dette sarà concesso l’esercizio di un potere legislativo ed esecutivo autonomo, nell’ambito delle zone stesse. Il quadro nel quale detta autonomia sarà applicata sarà determinato consultando anche elementi locali rappresentanti la popolazione di lingua tedesca.
3) Il governo italiano, allo scopo di stabilire relazioni di buon vicinato tra l’Austria e l’Italia, si impegna, dopo essersi consultato con il governo austriaco, ed entro un anno dalla firma del presente trattato:
a) a rivedere, in uno spirito di equità e comprensione, il regime delle opzioni di cittadinanza, quale risulta dagli accordi Hitler-Mussolini del 1939;
b) a concludere un accordo per il reciproco riconoscimento della validità di alcuni titoli di studio e diplomi universitari;
c) ad approntare una convenzione per il libero transito dei passeggeri e delle merci tra il Tirolo settentrionale ed il Tirolo orientale, sia per ferrovia che, nella misura più larga possibile, per strada;
d) a concludere accordi speciali tendenti a facilitare un più esteso traffico di frontiera e scambi locali di determinati quantitativi di prodotti e di merci tipiche fra l’Austria e l’Italia.
[8] Sembra, ad esempio, che nell’ultimo incontro ufficiale tra Italia e Austria il governo italiano abbia offerto una interpretazione «estensiva» dell’art. 14 dello statuto della regione (La Regione esercita normalmente le funzioni amministrative delegandole alle Provincie, ai Comuni ed altri enti locali o valendosi dei loro uffici). E’ chiaro però che «normalmente» significa «normalmente», quindi che la precedente interpretazione, restrittiva, era letteralmente falsa e comunque tale da negare nel fatto le modeste autonomie concesse sulla carta.
[9] Recentemente un sindaco venne destituito perché non aveva voluto celebrare il quattro novembre. Lo Stato italiano non è presente solo con i riti. Naturalmente nella regione c’è, al posto dei prefetti, un commissario del governo ma, a prescindere dalla questione delle attribuzioni legali al governo, alla regione e alle provincie, c’è la situazione derivante dal modo tradizionale di funzionare dello Stato accentrato italiano. Qualche esempio: a) un caso di malcontento fu quello dello stanziamento governativo in materia di edilizia popolare, nel quadro di un programma nazionale, per la città di Bolzano insieme ad altre undici, proprio mentre il governo respingeva la legge di attuazione dell’autonomia legislativa provinciale in materia di case popolari del consiglio provinciale di Bolzano (art. 11 dello statuto); b) è di questi giorni la notizia che il governo italiano ha deciso di aprire a Bolzano una scuola di polizia.
[10] Non bisogna dimenticare che l’Italia pretese il confine del Brennero quando essa era una delle sei potenze del «Concerto europeo», il quale, a sua volta, era stato, e a molti sembrava ancora, il governo del mondo. E’ evidente che l’Italia non ridiventerà mai più una grande potenza mondiale con grandi responsabilità militari, ed è anche evidente che nel quadro NATO — pur tenendo presente la neutralità austriaca — il confine del Brennero è insignificante. In tale quadro molto più del confine del Brennero conta che le democrazie riescano a risolvere di comune accordo, pacificamente e democraticamente, i loro problemi.

 

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