IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Sperare in una permanenza di armonia tra molti Stati indipendenti e slegati sarebbe trascurare il corso uniforme degli avvenimenti umani e andar contro l'esperienza accumulata dal tempo.

Hamilton, The Federalist

Anno III, 1961, Numero 3-4, Pagina 169

 

 

ANCORA SULL’ACCENTRAMENTO
IN GERMANIA OCCIDENTALE
 
 
In una nota apparsa recentemente su «Il Federalista» (novembre 1960) si era fatto un quadro dell’involuzione del sistema federale in Germania in questo dopoguerra, e si erano portati alcuni esempi a dimostrazione dell’asserzione che la situazione mondiale spinge continuamente la Bundesrepublik verso l’accentramento, giunto ormai ad un punto tale da poter dire che la Germania occidentale è uno Stato federale soltanto di nome. L’esempio di maggior rilievo era quello dell’istituzione di un secondo programma televisivo statale. L’8 marzo scorso però la Corte Costituzionale, adita da quattro Länder socialdemocratici, ha dichiarato incostituzionale la creazione del secondo programma televisivo ravvisando in essa l’assunzione da parte dello Stato di una competenza che la Costituzione tedesca esplicitamente riserva ai Länder. Indubbiamente questo avvenimento può suonare come una smentita della nostra diagnosi, e sembra significare che il federalismo tedesco è ancora provvisto di una certa vitalità, che i Länder tengono ancora saldamente in pugno certe competenze e costituiscono un valido baluardo difensivo contro l’ingerenza del potere centrale.
Noi non crediamo che sia questo il significato della sentenza della Corte di Karlsruhe: ma indubbiamente essa pone la necessità di precisare la nostra diagnosi, rendendola meno unilaterale di quanto non potesse risultare dalla nota precedente. La condizione fondamentale perché si abbia uno Stato federale è l’esistenza di un potere centrale forte ma con competenze limitate; e questo era lo stato di cose che si realizzava in Germania nel periodo dell’occupazione alleata. l compiti fondamentali della politica estera, della difesa e della politica economica nelle sue grandi linee erano svolti dagli alleati; gli alleati stessi però lasciavano ai tedeschi che controllavano i governi e i parlamenti dei Länderle altre funzioni come l’istruzione e via dicendo. In Germania si ebbe un periodo che fu veramente caratterizzato da un decentramento marcato e da un elevato grado di libertà degli individui.
La situazione rimase pressoché costante fino a che la Germania fu sotto la tutela degli alleati. La Costituzione di Bonn del ‘49 è infatti, dal punto di vista formale, una costituzione federale. Tale carattere le è assicurato dalla composizione della seconda Camera (Bundesrat) formata da membri eletti in numero variabile da 3 a 5 dai singoli Länder; dalla distribuzione delle competenze tra lo Stato federale e i Länder, i quali ultimi dispongono sia di una «legislazione concorrente», comprendente diritto civile e penale, stato civile, diritto d’associazione e di riunione ecc. (di loro competenza fino a che lo Stato federale non abbia fatto uso del suo diritto di legiferare in materia), sia di una «legislazione esclusiva», comprendente tutti i settori che non siano stati delegati dalla costituzione allo Stato federale e non rientrino d’altra parte nell’ambito della «legislazione concorrente» (i due settori fondamentali in cui tale competenza esclusiva si esercita sono quelli della istruzione e del culto); e infine da alcune esplicite garanzie come la disposizione (art. 79 par. 3) secondo la quale il carattere federale della costituzione non può essere fatto oggetto di revisione costituzionale o come quella (art. 79 par. 2) per cui occorre la maggioranza dei 2/3 del Bundesrat per approvare qualsiasi emendamento alla costituzione, o come quella infine che richiede l’approvazione del Bundesrat (che in linea normale ha soltanto il potere di porre il veto ai progetti di legge approvati dal Bundestag) per poter varare le leggi che interessino i diritti dei Länder.
Nel primo periodo del suo funzionamento la Costituzione di Bonn si poteva considerare federale anche dal punto di vista sostanziale. Benché in seno ai due partiti politici maggiori la disciplina di partito si delineasse subito come prevalente rispetto al lealismo nei confronti dei Länder; e benché il Bundesrat, concepito come principale difesa costituzionale della struttura federale dello Stato, si dimostrasse una delle armi più efficaci nelle mani dei socialdemocratici nella loro lotta contro il federalismo, esisteva tuttavia una vita locale abbastanza intensa, testimoniata dal fiorire di numerose formazioni politiche regionali spesso, come la C.S.U. in Baviera, fortemente indipendenti. Si trattava tuttavia, evidentemente, di un federalismo apparente, proprio perché dipendeva da fattori casuali ed era destinato a scomparire rapidamente.
Dopo la caduta della C.E.D. e la creazione dell’esercito tedesco, quando cioè il governo della Bundesrepublik dovette effettivamente cominciare a provvedere a tutte le necessità del paese, il peso della partecipazione alla politica estera e difensiva dell’Occidente, reso duro dalla posizione geografica della Germania, impose l’adozione di misure via via più restrittive della libertà e dell’autonomia dei Länder, soprattutto riducendo le loro prerogative, abbastanza ampie sul piano giuridico, ad un livello puramente formale. Le varie tappe di questo processo riguardano prima di tutto la centralizzazione nazionale dei partiti, che ha concentrato nel governo centrale il controllo di tutte le leve di comando e di tutti i gangli vitali del paese, modellando i rapporti politici secondo lo schema tipico degli stati accentrati (basta pensare alla struttura decentrata dei partiti nell’America del Nord — nonostante il declino del federalismo americano — per comprendere come la struttura dei partiti tedeschi sia incompatibile con un decentramento statale effettivo). Oggi in Germania non si ha più la situazione caratteristica degli Stati con autonomie locali forti e vive, nei quali il potere centrale svolge soltanto le funzioni fondamentali di governo e i poteri locali provvedono con mezzi propri e proprie competenze a tutti i rimanenti compiti. Il potere centrale è divenuto l’agenzia alla quale fanno capo tutti indistintamente gli interessi e le istanze dei cittadini: i poteri periferici, e, in genere, tutti i gruppi minori, non provvedono più da soli alla tutela dei propri interessi, ma chiedono che essi vengano soddisfatti dal potere centrale. Divengono cioè dei semplici gruppi di pressione.
Il provincialismo culturale denunciato dal Kuby nel suo recente libro sulla Germania è un chiaro sintomo della decadenza delle autonomie locali, la cui forza non sta nel solo fatto di esercitare competenze che si esauriscono nell’ambito locale ma anche, e soprattutto, nel contributo all’espressione pluralistica di interessi ed idee generali. Ad esempio si pensa che affidare l’istruzione agli enti locali sia utile non per una inesistente superiorità della cultura a dimensioni provinciali su quella a dimensioni nazionali, ma per evitare la concentrazione nelle stesse mani (governo centrale) del potere militare e di quello culturale, dei compiti della sicurezza dello Stato all’interno e all’esterno e dei compiti scolastici, concentrazione che conduce fatalmente lo Stato a subordinare le esigenze della cultura a quelle della difesa. Già questo fatto, che isola la cultura di un paese da quella degli altri, genera il provincialismo culturale, e tale situazione peggiora se gli enti locali conservano formalmente alcune autonomie ma si sono degradati sino allo status di gruppi di pressione i quali, non potendo che vivere parassitariamente nell’ambito dello Stato, si limitano a mettere in vista gli aspetti di campanile o addirittura turistici della storia e delle tradizioni regionali, aggiungendo un provincialismo folkloristico a quello nazionale.
Tale è la situazione che esiste in Germania. L’istruzione è ancora affidata ai Länder: ma il letargo della vita profonda della cultura dimostra appunto che essi non hanno vera autonomia, non sono divenuti centri pluralistici di espressione di un sapere universale ma semplici ripetitori burocratici della «cultura nazionale» tedesca. Essi hanno del resto perso pressoché completamente l’indipendenza finanziaria, il che rende la loro autonomia del tutto illusoria.
La decisione della corte di Karlsruhe deve essere inquadrata in questa cornice. Quanto poco un episodio del genere debba interpretarsi come una manifestazione di libertà locale lo dimostra il fatto stesso che, quando Adenauer iniziò la sua azione, così gravemente lesiva della sovranità dei Länder, questi non reagirono affatto unanimemente al tentativo di sopraffazione. Reagirono soltanto i Länder socialdemocratici, e precisamente Hessen, Niedersachsen, Hamburg e Bremen che adirono la corte, mentre quelli democristiani si allinearono prontamente sulle posizioni del governo. Il fatto mostra con chiarezza che la lotta in questione, che sembra a prima vista una lotta per il federalismo non fu che un contrasto tra partiti centralizzati nel quale una delle due fazioni ha trovato utile avvalersi dei Ländersotto il suo controllo. Non bisogna dimenticare inoltre che tutta la campagna socialdemocratica contro il secondo programma televisivo non è mai stata presentata come una difesa del federalismo, non ha mai bollato il progetto come una tappa lungo la via che riconduce alla forma di Stato che ha giocato un ruolo tanto funesto nella storia tedesca. Si è trattato di una pura e semplice battaglia di partito contro un progetto che avrebbe rafforzato la propaganda democristiana e indebolito le posizioni socialdemocratiche. Ciò equivale a dire che i socialdemocratici non avrebbero avuto alcuna obbiezione da opporre nell’ipotesi che fosse stata loro assicurata la possibilità di avvalersi in condizioni di parità del canale televisivo statale.[1]
C’è tuttavia un altro aspetto della questione, in tale federalismo casuale e vuoto: quello che riguarda il mantenimento di strutture formali decentrate in uno Stato accentrato dal punto di vista del controllo del potere. Questa sproporzione tra forma e sostanza è dovuta alla debolezza del potere tedesco. In realtà non tutti i poteri accentrati sono forti. Se il potere tedesco avesse, come nel passato, la possibilità di stabilire l’indirizzo della vita civile in Germania, prenderebbe anche formalmente un aspetto unitario per poter assolvere la sua missione «educativa», per mettere la nazione, invece che gli affari, al primo posto nel cuore dei tedeschi. Ma lo Stato nazionale tedesco, nato in una epoca nella quale ogni Stato del continente lottava per la supremazia o l’indipendenza, non ha più queste possibilità. La Germania è di nuovo uno Stato nazionale, ed esprime necessariamente le vecchie ideologie. Ma la situazione è mutata. Non si tratta più di raggiungere la supremazia o di mantenere una indipendenza perduta, ma di salvare la civiltà democratica come un tutto di fronte all’esperienza comunista. Per questo scopo lo Stato nazionale non è uno strumento appropriato né il nazionalismo una ideologia funzionale. Da qui la sua debolezza, in senso profondo il suo apoliticismo. La sproporzione tra forma e sostanza dal punto di vista del decentramento e dell’accentramento non è che un aspetto di questa sproporzione tra bisogni internazionali e mezzi nazionali, non è che un segno della passività del potere centrale che oscilla tra la funzione di governo subordinato nell’area atlantica e quella di un grosso comitato d’affari, e del conseguente vuoto politico tanto nell’ambito dei Länder quanto in quello dello Stato. Naturalmente, tutto ciò che è poggiato sul vuoto è destinato a cadere, ma questo è un altro discorso.
 
Francesco Rossolillo


[1] Cfr. ad es. Jean Sigmans, Les applications du fédéralisme en Allemagne spécialement depuis 1945 (in Le Fédéralisme, a cura di G. Berger, Parigi, 1956). Sigmans mostra che i due maggiori partiti si sono ciascuno schierati tanto pro quanto contro il federalismo interno a seconda del mutevole interesse di partito, e afferma che «la vera garanzia del federalismo sembra essere la esistenza di partiti strettamente regionali».

 

 

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