IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Sperare in una permanenza di armonia tra molti Stati indipendenti e slegati sarebbe trascurare il corso uniforme degli avvenimenti umani e andar contro l'esperienza accumulata dal tempo.

Hamilton, The Federalist

Anno II, 1960, Numero 5, Pagina 298

 

 

L’OPINIONE DI JASPERS SULL’UNIFICAZIONE TEDESCA
 
 
Pubblichiamo alcuni passi di un’intervista concessa dal filosofo Karl Jaspers alla televisione tedesca alla fine del mese di marzo di quest’anno e trasmessa il 10 agosto. La traduzione è stata effettuata sul testo pubblicato dal Frankfurter Allgemeine del 17 agosto. Si tratta di un avvenimento significativo, anche a causa delle vivacissime reazioni che ha suscitato in Germania. La tesi di Jaspers, secondo la quale il problema fondamentale della Germania oggi non è quello della riunificazione ma quello della libertà, ha causato una grossa levata di scudi da parte degli ambienti ufficiali e della stampa tedesca. Le reazioni all’intervista coincidono con un avvenimento non meno significativo: la pubblicazione da parte dello stato maggiore della Bundeswehr di un pamphlet in cui si avanzano precise rivendicazioni dell’esercito con particolare riferimento alla necessità che esso venga dotato di armamenti atomici. E’ la prima volta in questo dopoguerra che l’esercito tedesco segue la pratica, legata a lugubri ricordi, di interferire nel campo della politica. Anche questo fatto è sintomo di una preoccupante involuzione, come nota il Times che nel numero del 22 agosto commenta: «La pubblicazione di un pamphlet da parte dei leaders della Bundeswehr, che richiede che le sue forze vengano dotate di armamenti nucleari per fronteggiare ogni possibile forma di conflitto militare è una questione seria. Tra le armi richieste figura anche il missile Polaris, la cui possibile introduzione in Europa ha già causato controversie. La obiezione contro di essa è che si tratta di un’arma inadatta per la difesa della NATO perché essa è un’arma di guerra totale. Nella misura in cui il pamphlet intende riferirsi all’equipaggiamento della Bundeswehr col Polaris, esso è in diretto contrasto colla posizione presa, almeno in pubblico, da Herr Strauss, ministro della difesa tedesco. In giugno egli disse a Washington che il problema di impiegare il Polaris riguardava esclusivamente la NATO, e ripeté l’assicurazione il mese scorso durante la visita a Bonn di Mr. Brucker, Segretario americano alla Difesa. Se l’impiego del Polaris è soltanto un affare della NATO, che cos’ha a che fare colla Bundeswehr? Ma ciò che conta di più non è il tipo di armi che hanno in mente i capi della Bundeswehr nel loro pamphlet.
Più inquietante è il fatto che i generali tedeschi sembrano voler dire alla leadership politica che cosa deve essere fatto. Non sono passati che quattro anni da quando la Soldatengesetz, la base legale della nuova Bundeswehr, fu approvata. Uno dei suoi scopi principali era quello di impedire all’esercito di divenire una altra volta uno Stato nello Stato. I capi della Bundeswehrpossono dire che essi non si ingeriscono nella politica, ma il dire pubblicamente alla leadership politica quali armi sono necessarie e quale strategia deve essere seguita appare pericoloso come una vera e propria intromissione. Molta gente in Germania e fuori spera che il governo federale tedesco ripudierà il pamphlet della Bundeswehr e disperderà gli spiacevoli ricordi che suscita».
 
PASSI DELL’INTERVISTA
Domanda: Posso pregarLa, signor Professore, se Le è possibile, di dirci qualcosa di estremamente preciso, magari con un esempio?
Jaspers: Se scelgo un esempio, e in ogni caso non si tratta che in un esempio — corro sempre un rischio perché ogni esempio costituisce già un concreto terreno di lotta. Prendiamo dunque come esempio la cosiddetta riunificazione (Wiedervereinigung). Io sono da anni dell’opinione che la istanza della riunificazione non solo è irreale, ma appare intrinsecamente tale anche alla riflessione politica e filosofica. Poiché la riunificazione, l’idea della riunificazione, si basa sul fatto che si prende lo Stato bismarckiano come unità di misura. Lo Stato bismarckiano deve essere restaurato. Lo Stato bismarckiano è, a causa degli avvenimenti, un passato impossibile da richiamare ed io penso che l’istanza della riunificazione proviene da ciò, che, come uno spettro del passato, qualcosa di irreale si fa strada in noi. La riunificazione è, per così dire, la conseguenza del fatto che non si vuole riconoscere ciò che è accaduto, ma che si vuole fondare qualcosa, come se fosse una pretesa giuridica, su un’entità che è sorta a seguito di azioni che hanno causato questo mostruoso destino del mondo e costituiscono la colpa dello Stato tedesco. Tali azioni non si vogliono riconoscere, anzi si fonda un diritto su ciò che non esiste più.
Domanda: Signor Professore! Non vorrei fraintenderLa. Lei intende con questo che noi dobbiamo rinunciare a domandare l’unità nazionale, perché dobbiamo riconoscere che la guerra ha distrutto la Germania nella forma allora esistente, e che essa non sarebbe più ripristinabile?
Jaspers: Io sono in effetti di questa opinione. Ed io non trovo affatto che oggi abbia un senso ciò che ne aveva uno nel XIX secolo e che allora rappresentava una grossa chance che è stata perduta dal Reich di Hitler. Poiché ciò è passato non ha più nessun senso propagandare l’unità tedesca, ma ciò che ha un senso è di desiderare per i nostri compatrioti che essi possano essere liberi!
Domanda: Io volevo appunto parlare di questo, perché ciò che Lei ha detto fino ad ora, senza quello che ora deve seguire, significherebbe abbandonare alla loro sorte 17 milioni di persone.
Jaspers: Impossibile! Noi dobbiamo considerare naturalmente i nostri compatrioti, più degli Ungheresi e di tutti gli altri, che pure sono per noi essenziali, in questo modo: quelli, siamo noi stessi! E’ una incolpevole sorte che ha voluto che essi siano all’est e siano oppressi e che noi, all’ovest, abbiamo la libertà grazie alla benevolenza del vincitore, non certo grazie a noi. Il fatto che essi vengano oppressi significa per noi che dobbiamo senza tregua domandare pubblicamente libere elezioni nell’ambito di uno Stato indipendente, sotto controllo neutrale, per mezzo delle quali venga fissato ciò che si vuole all’est; e con ciò sarebbe del tutto possibile creare uno Stato demilitarizzato sull’esempio dell’Austria. Come ciò si verifichi nei particolari è indifferente. Soltanto la libertà è ciò che conta. La riunificazione è, di fronte a questa, indifferente.
 
AGGIUNTA DI JASPERS*
 
Nel marzo di quest’anno Thilo Koch ebbe con me un’intervista televisiva che è stata trasmessa ora in agosto. Egli pose tra le altre la domanda circa la «vittoria sul passato» (Bewältigung der Vergangenheit). Io non accettai l’espressione. Si tratta di riconoscere qualcosa che non è da vincere, ma di cui occorre vedere le conseguenze per accordare a tempo le proprie idee e il proprio comportamento alla situazione. E’ la coscienza politica che non è pronta. Solo come esempio di questa coscienza ho scelto il problema «Riunificazione e libertà». E ho detto: la libertà ha la precedenza rispetto alla riunificazione che, rispetto al bene della libertà, è indifferente. Non l’intervista nel suo complesso, ma le affermazioni concernenti questo problema hanno attratto l’attenzione. A Bonn rappresentanti di entrambi i maggiori partiti, e anche della FDP, hanno in piena concordia biasimato le mie asserzioni. Da Bonn riferisce il corrispondente F. di un giornale svizzero: «Karl Jaspers, colla sua intervista televisiva, ha scatenato una vibrata reazione da parte dei partiti, delle organizzazioni politiche e dei quotidiani della Repubblica Federale. Non era mai riuscito nemmeno a Krutschev di suscitare una simile dimostrazione in favore dell’unità».
Colpito dall’inattesa tempesta scatenatasi su di me, mi domando: «Come è possibile che una cosa ovvia possa causare una tale indignazione? Eppure io avevo sempre creduto che il nostro Cancelliere Federale avesse la medesima opinione su questo importante punto, che la libertà abbia un posto preminente rispetto alla riunificazione. Ho cercato e trovato delle dichiarazioni del cancelliere e del ministro della difesa nell’anno 1958. Il Cancelliere Federale affermava riguardo alla riunificazione: «Mi sta a cuore che i 17 milioni di Tedeschi al di là della Cortina di Ferro possano vivere come vogliono. Rispetto a ciò io penso che non dovremmo considerare questo problema soltanto da un punto di vista nazionale o nazionalistico, o sulla base di considerazioni di potere, bensì coll’idea che là 17 milioni di Tedeschi vengono costretti a modi di vita e di pensiero che essi non vogliono».
Il Ministro della Difesa Federale Strauss dichiarava: «E’ poi realmente la riunificazione che sopra tutto ci stimola, ci tormenta, ci assilla, ci sospinge? E’ invece non tanto la riunificazione nel senso della restaurazione dell’unità statale tedesca; quanto il problema cruciale della restaurazione di condizioni di vita democratica e umane in quel territorio».
Un Coboldo dispettoso, mi pare, si è introdotto quella notte, dopo la mia intervista, in quei politici di Bonn che avevano ascoltato, e ha suscitato a mie spese un fracasso che si è poi diffuso rapidamente nella stampa. Un rumore di Coboldi sorge improvvisamente, ma pur molto velocemente si spegne. Ma il problema dal quale esso fu acceso esisteva da lungo tempo e rimane. Fra poco   mi piacerebbe fare un’esposizione più dettagliata dei motivi, possibilità e scopi che vengono in rilievo nelle risposte alla domanda, e vi sono dibattuti. Ad essi non si fa cenno nell’intervista.
 
***
 
Alle violente reazioni contrarie degli ambienti ufficiali e della stampa si è contrapposta una ben diversa risposta da parte dell’opinione pubblica. In numerose lettere al direttore pubblicate dal Frankfurter Allgemeine del 31 agosto molti lettori hanno espresso nettamente il loro consenso alle idee di Jaspers. Per esempio il Sig. Günter Rascheke, di Norimberga, scrive: «La libertà è per me il più alto principio di vita, superiore anche, alla religione, allo Stato e all’economia. Sono d’accordo col Prof. Jaspers: solo la libertà, solo essa, è ciò che conta». Interessantissima è la lettera del sig. Klauspeter Vogt di Stoccarda. Egli scrive: «Alla fine della guerra avevo 11 anni. Molti lettori del Suo giornale forse si spaventeranno, ma il concetto di Germania, con tutte le parole di cui lo si ornava, non poteva prendere per me alcun contorno: per noi ci furono, in un primo tempo, delle zone di occupazione, più tardi due Stati, che entrambi asserivano di rappresentare la Germania. E ci si dice che anche l’addizione di questi due Stati non è la Germania: le apparterrebbe infatti anche il territorio al di là della linea dell’Oder-Neisse. In simile confusione, molte persone della mia età, anche se non Le scrivono, sono giunte alla posizione che il Prof. Jaspers ha formulato. Lo so da molte conversazioni anche con numerosi profughi che pure essi non potevano trovare alcuna relazione colla loro antica patria perché erano troppo giovani. Colle ovvie eccezioni, il fatto è accettato. Concetti come nazione e patria, così male usati e divenuti palesemente senza valore, devono costituire dei dati meramente positivi, che vanno considerati freddamente, senza la minima tensione emotiva. Se si tentasse stabilmente di metterci davanti la Germania accompagnata dalle vecchie espressioni pseudo-religiose (p. es. professione di fede — Bekenntnis— alla Germania) ci si renderebbe in parte ridicoli, in parte si coltiverebbe un mito non privo di rischi, istillando l’idea di una realtà misteriosa, dell’esistenza nascosta di una nazione. Il prof. Jaspers sembra formulare in questo senso la reale opinione (non sempre espressa) di molti giovani tedeschi, quando egli non identifica la rinunzia alla riunificazione colla rinunzia alla libertà dei popoli oltre la cortina di ferro».
Altra interessantissima lettera è quella del sig. Adolf Dedekind di Hannover. Egli scrive, tra l’altro: «…Fin dall’inizio mi sono sentito grato per lo spassionato coraggio col quale il prof. Jaspers, dall’incontestabile base della sua autorità spirituale, ha gettato nell’ingranaggio un sasso che, speriamo, ha scosso il tabù di un certo tipo di vegetazione politica la quale, dal desiderio di una restaurazione dello Stato nazionale ha tratto il concetto della riunificazione tedesca. Perché tanta — e in parte così irrilevante — critica e indignazione quando Jaspers, di fronte a ciò, vuol mettere in chiaro che nel nostro tempo e nella nostra situazione una aspirazione eticamente profonda di tutto il popolo tedesco alla libertà deve avere incondizionatamente la supremazia sulla spinta alla ricostituzione della nostra unità nazionale? La reazione alle dichiarazioni di Jaspers mette in chiaro quanto il nostro quadro storico, nell’interesse della progrediente integrazione europea, abbisogni di un approfondimento etico. Potrebbe essere importante riconoscerlo per ogni cittadino che realmente rifletta, se non vogliamo cadere in nuovi sviluppi disastrosi della nostra storia».
Altre lettere seguono lo stesso modulo. L’opinione pubblica è dunque ben diversa dagli ambienti ufficiali. Ciò dimostra che il nazionalismo tedesco non è una malattia ereditaria che riappare fatalmente nei cittadini ad ogni generazione ma è qualcosa che viene deliberatamente imposto dall’alto, da coloro che devono giustificare il proprio potere e non hanno altro formula che quella nazionale per giustificarlo perché non sanno pensare in termini europei.


* Nello stesso numero del Frankfurter Allgemeine compare un’aggiunta di Jaspers all’intervista, nella quale il filosofo esamina le reazioni sfavorevoli dei circoli ufficiali e della stampa.

 

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