IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Sperare in una permanenza di armonia tra molti Stati indipendenti e slegati sarebbe trascurare il corso uniforme degli avvenimenti umani e andar contro l'esperienza accumulata dal tempo.

Hamilton, The Federalist

Anno XXVI, 1984, Numero 3, Pagina 183

 

 

Una battaglia decisiva
 
 
La prospettiva della distruzione del genere umano attraverso la guerra nucleare ha gettato il seme del federalismo nell’animo di molti in tutti i continenti. Non si può non rimanere stupiti e ammirati nel constatare quanti uomini e donne coraggiosi e tenaci, al di fuori dell’Europa occidentale, dedichino oggi le loro energie ad una battaglia – quella per la federazione mondiale – destinata a rimanere a lungo una pura testimonianza ideale, per quanto di altissimo valore.
Il federalismo si realizza soltanto a livello mondiale. Ma la sua realizzazione non può avvenire che attraverso un processo, che deve incominciare in un luogo determinato e in quel luogo deve creare un modello che abbia il potere di diffondersi nel resto del mondo come nel resto del mondo si è diffuso il modello dello Stato nazionale, nato in Europa; fino al momento in cui la lotta per la federazione mondiale diventi essa stessa progetto politico, e non soltanto ideale morale.
È soltanto in Europa occidentale che, dalla fine della guerra, il federalismo è diventato, da pura idea della ragione, progetto politico. È qui che la forma storica dello Stato nazionale ha consumato la sua crisi; è qui che l’ideale dell’Unione è penetrato – anche se in modo per ora soltanto passivo – nell’opinione pubblica; è qui che la necessità quotidiana della collaborazione al di sopra delle frontiere – per quanto ostacolata dal permanere di molte sovranità distinte – ha portato la divisione nella coscienza della classe politica, che l’interesse e l’inerzia spingono a conservare la sovranità dello Stato e l’evidenza della dimensione europea e mondiale dei problemi costringe a riconoscere la necessità di superarla.
È questo concorso di circostanze che ha reso possibile l’elezione a suffragio universale del Parlamento europeo. Grazie alla legittimità conferitagli dal voto popolare, il Parlamento ha acquisito il ruolo storico di motore del processo di integrazione europea. Con l’approvazione del progetto di Trattato istituente la Unione europea, esso ha avviato il coraggioso tentativo di costruire la prima democrazia internazionale della storia.
Non molti invero se ne accorgono. Jean Monnet lo aveva detto: là dove si prepara l’avvenire non arrivano le luci della ribalta. Ma ciò non toglie che il problema sia stato posto, e che i governi si trovino ormai di fronte alla responsabilità storica di decidere se fare un decisivo passo sulla strada dell’unità e dare un esempio al mondo, approvando il progetto del Parlamento europeo, o scegliere la strada della divisione, e quindi della decadenza e della servitù, respingendolo o insabbiandolo.
Richiamiamo gli elementi essenziali della situazione. Il 14 febbraio 1984 il Parlamento europeo ha approvato un testo che, se adottato dagli Stati membri o da una parte di essi sufficientemente grande, non darebbe certo all’Europa la struttura di una federazione, ma le garantirebbe gli strumenti istituzionali indispensabili per proseguire sulla strada della propria unità. Si tratta di quello che usiamo chiamare il « minimo politico-istituzionale »: trasformazione della Commissione in un esecutivo dotato di poteri limitati, ma reali, e sottoposto al controllo del Parlamento; partecipazione del Parlamento al processo di formazione delle leggi su di un piano di sostanziale parità con il Consiglio dei Ministri; regola della maggioranza in seno allo stesso Consiglio dei Ministri.
Il progetto del Parlamento europeo è stato fatto proprio dal Presidente francese Mitterrand che, nel suo discorso di Strasburgo del 24 maggio 1984, ha dichiarato che la Francia è disposta a difenderlo. In più di un’occasione il Cancelliere Kohl ha dimostrato di avere un orientamento favorevole alle proposte del Parlamento. Si è quindi profilata quella che altre volte abbiamo chiamato « la leadership occasionale » del processo: la disponibilità di uno o più grandi leaders a cogliere l’occasione che si presenta e a scommettere su di essa il proprio destino storico. Se ciò non accade, le forze politiche non vengono coinvolte nel dibattito, gli organi di informazione non reagiscono, l’opinione pubblica si trova priva di un interlocutore e non ha punti di riferimento rispetto ai quali schierarsi. La « leadership occasionale » del processo di unificazione europea si era manifestata per la prima volta con Adenauer, De Gasperi e Schuman al tempo della CED. Sembra che essa si possa manifestare ancora oggi con il Capo dello Stato francese e il Capo del governo tedesco.
Tutto ciò ha già prodotto comunque un risultato. Il Comitato dei rappresentanti personali dei Capi di Stato e di governo (Comitato Dooge), nominato dopo il Consiglio europeo di Fontainebleau, ha redatto un rapporto, che è stato presentato al Consiglio europeo di Bruxelles del 29-30 marzo e che sarà discusso al Consiglio europeo di Milano del 28-29 giugno. In questo rapporto il « minimo politico-istituzionale » identificato nel progetto del Parlamento europeo viene sostanzialmente preservato, malgrado le molteplici riserve dei rappresentanti inglese, danese e greco.
La procedura proposta dal Comitato Dooge prevede tra l’altro: I) che venga riunita prossimamente una conferenza dei rappresentanti dei governi degli Stati membri per negoziare un progetto di Trattato di Unione europea ispirandosi, tra l’altro, allo spirito e al metodo che improntano il progetto di Trattato votato dal Parlamento europeo; II) che la Commissione della Comunità partecipi ai negoziati; III) che il Parlamento europeo sia strettamente associato ai lavori della conferenza e IV) che i risultati di tali lavori gli siano sottoposti.
In questo modo la battaglia da intraprendere è definita nei suoi elementi essenziali. Esistono i presupposti per tentare di reclutare le forze potenzialmente disponibili e per schierarle sul terreno. L’obiettivo è ben visibile. La linea di divisione tra chi è per e chi è contro il progetto si va facendo sempre più netta di mano in mano che il succedersi delle scadenze fa cadere gli alibi dei finti amici dell’Europa. Ed è certo che, con il definirsi degli schieramenti, molti di coloro che sembravano alleati quando non c’erano impegni precisi da assumere si toglieranno la maschera e passeranno nel campo del nemico. Ma ciò è inevitabile e non fa che confermare che ci troviamo di fronte ad una battaglia decisiva.
Si tratta di una battaglia il cui esito dipende da tre fattori: I) la volontà da parte dei governi che oggi si dichiarano favorevoli al progetto di andare avanti, a prezzo, all’occorrenza, di dolorose lacerazioni, anche senza i governi contrari, la cui tattica sarà senz’altro quella di rimanere agganciati con ogni mezzo al carro delle trattative per insabbiarle o per pilotarle verso risultati inconsistenti. Ciò richiederà, da parte di uno almeno dei capi di Stato o di governo, una forte consapevolezza della propria responsabilità storica, che gli dia la forza di imporsi a quelli tra i suoi partners che, pur essendo, o dicendosi, favorevoli, saranno propensi a far prevalere lo spirito di compromesso sulla volontà di realizzare l’Unione;
II) il coraggio da parte del Parlamento europeo di difendere fino in fondo il proprio progetto, accantonando le polemiche tra i partiti e facendo emergere al proprio interno il largo schieramento unitario che il suo ruolo costituente comporta;
III) la mobilitazione, da parte dei federalisti e delle forze vive della società europea, dell’opinione pubblica, senza il cui sostegno attivo difficilmente un uomo di Stato potrebbe trovare la forza di giocare il proprio destino storico su di un progetto grandioso ma difficile da realizzare, come quello dell’Unione, e la stessa legittimità del Parlamento rimarrebbe soltanto formale.
Si tratta di tre condizioni non facili da creare. Ma nessuno ha mai pensato che sia facile dare inizio al processo di superamento della sovranità di Stati nazionali che hanno una storia unitaria secolare o plurisecolare e creare al loro posto l’embrione di un nuovo Stato dando così l’avvio alla fase federalistica della storia dell’umanità. La sola cosa di cui si può essere certi è che non esistono ormai più, sulla strada dell’Unione, ostacoli costituiti da forze storiche impersonali, che la volontà degli uomini sia impotente a controllare. Oggi ci troviamo in uno di quei momenti di libertà della storia, nei quali gli esiti della vicenda cruciale dipendono proprio ed esclusivamente dalla volontà degli attori del processo. Vi sono quindi le condizioni per battersi. Ad ognuno assumersi le proprie responsabilità.
 
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