IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Sperare in una permanenza di armonia tra molti Stati indipendenti e slegati sarebbe trascurare il corso uniforme degli avvenimenti umani e andar contro l'esperienza accumulata dal tempo.

Hamilton, The Federalist

Anno XXVII, 1985, Numero 3

 

 

Unione europea: gradualismo e costituzione
 
JOHN PINDER
 
 
È molto improbabile che l’Unione europea possa essere creata se non esiste un progetto e se esso non viene diffuso. La storia che precede il progetto di Trattato del Parlamento europeo illustra questo fatto in modo sorprendente.
Habent sua fata libelli, scrive Spinelli nella sua autobiografia.[1] I libelli cui egli si riferisce sono gli scritti di Einaudi e degli autori inglesi di Federal Union, quali Beveridge, Lothian e Robbins, che Einaudi aveva mandato a Spinelli e ai suoi amici al confino nell’isola di Ventotene nel periodo a cavallo dello scoppio della seconda guerra mondiale. Il «destino» degli scritti fu quello di ispirare Spinelli e di aiutarlo nella elaborazione delle sue idee federaliste, fino a permettergli di scrivere insieme a Rossi, nel 1941, il Manifesto di Ventotene, che costituì la base teorica per la fondazione del Movimento federalista europeo; quindi, quarant’anni dopo, le stesse idee lo portarono ad essere, dimostrando una notevole coerenza di pensiero unita alla necessaria duttilità, l’ideatore del progetto di Trattato.
Il progetto di Trattato ha influenzato il pensiero di molta gente. Esso ha, nelle parole misurate di un prudente giurista, «giocato un ruolo fondamentale nello spostare il centro del dibattito».[2] Inoltre, ha mostrato quali forze politiche e sociali, quali parlamenti e quali governi sono favorevoli all’Unione europea sulla base dei principi definiti dal Parlamento europeo, e quali sono contrari. Ha fornito uno scopo strategico che ha unito i federalisti contemporanei. Ma un progetto e la sua diffusione, da soli, non sono una strategia sufficiente per ottenere un cambiamento così radicale come la costituzione dell’Unione europea. Vale la pena di chiedersi che cosa si può imparare dalla storia europea del dopoguerra circa le caratteristiche che possono rendere vincente tale strategia.
 
1. Scopi e tappe intermedie: la differenza tra il Nord e il Sud.
 
Alcuni preferiscono sostenere e diffondere un grande obiettivo, altri lavorare per tappe in quella direzione. I federalisti europei hanno avuto la tendenza a dividersi in base a queste direttrici in un Sud ideologico e in un Nord pragmatico. Il Sud temeva che il pragmatismo del Nord non potesse conseguire altro che piccoli passi in una direzione non ben definita; il Nord temeva che l’ideologia potesse separare il Sud dalla realtà. Tuttavia, se l’ideologia coglie la realtà nascosta del nostro tempo e se i passi non sono troppo piccoli e sono fatti nella giusta direzione, allora i due approcci sono complementari. La differenza dovrebbe dar luogo a una sinergia creativa, non ad una divisione distruttiva.
Chiaramente, non devono esserci differenze di principio. Il progetto di Trattato del Parlamento europeo non si prefigge come scopo la federazione, ma un’Unione europea cui manca l’elemento del potere armato, che è proprio di tutti i sistemi federali. La Unione europea stessa, che in questo momento è l’obiettivo incontestato dei federalisti europei, è quindi una tappa verso la Federazione europea — che a sua volta è solo una tappa lungo la via del progresso del federalismo nel mondo. Inoltre Spinelli, che originariamente aveva considerato la Comunità economica europea come una beffa,[3] ha riconosciuto che «grazie alla Comunità europea la nostra generazione ha incominciato a intravvedere la realizzazione del sogno di un’Europa libera e unita».[4] La Comunità come si configura oggi, di cui la CEE costituisce la parte principale, è evidentemente un passo notevole in direzione della Unione europea. La questione non è se i federalisti devono essere interessati ai passi intermedi in direzione dello scopo, ma come distinguere i problemi meno rilevanti da quelli più importanti.
Robert Schuman aveva certamente ragione nel vedere la Comunità europea del carbone e dell’acciaio come «il primo concreto fondamento di una Federazione europea che è indispensabile per il mantenimento della pace».[5] Essa ha creato le istituzioni comunitarie che hanno permesso al Parlamento europeo di presentare il suo progetto di Trattato come una prudente riforma costituzionale e non come un salto nel buio. Il Trattato della CEE, che estendeva la competenza di quelle istituzioni a vaste aree della politica economica, fu un altro passo fondamentale. Le elezioni dirette del Parlamento europeo hanno introdotto una dinamica in senso federale nelle istituzioni. La codecisione del Parlamento insieme al Consiglio per la definizione delle spese non obbligatorie serve come modello per la procedura generale di codecisione prevista dal progetto di Trattato, che trasformerebbe il Parlamento e il Consiglio in una Camera dei popoli e in una Camera degli Stati, ricalcando l’esempio del Bundestag e del Bundesrat. Persino il modesto Sistema monetario europeo è un passo lungo la strada dell’unione monetaria, e solo alla fine di questa strada si realizzerà la completa sovranità economica.
L’UEF ha identificato cinque elementi fondamentali[6] che devono essere aggiunti alla Comunità europea, così come si configura oggi, al fine di costituire l’Unione europea: la codecisione, il voto a maggioranza, l’unione monetaria, l’unione della finanza pubblica[7] e il completamento del mercato interno. Quanto l’Atto unico europeo possa contribuire al completamento del mercato interno rimarrà argomento di discussione ancora per alcuni anni. Ma l’Atto unico è certamente solo un piccolo passo verso l’Unione europea. Capire perché il passo sia stato così piccolo può aiutarci a comprendere come farlo più grande in futuro. La scelta della strategia, di fatto, può essere aiutata da un’analisi più generale delle condizioni che hanno permesso la riuscita di passi importanti nel passato, o che hanno causato il loro fallimento.
 
2. Condizioni per realizzare progressi significativi.
 
L’esame delle tappe più significative prima menzionate, e quello di altri due o tre tentativi falliti, fanno pensare che le possibilità di successo sono molto maggiori in presenza di quattro condizioni: quando l’obiettivo configurato permette la soluzione di un problema politico urgente che i governi devono affrontare; quando i poteri vengono affidati a istituzioni che godono di sufficiente fiducia; quando è stato mobilitato un numero sufficiente di forze politiche e sociali; infine quando la partecipazione alla realizzazione dell’obiettivo è limitata agli Stati in cui è possibile un’adeguata mobilitazione.
Quando fu costituita la Comunità europea del carbone e dell’acciaio, un aumento della produzione tedesca dell’acciaio era indispensabile affinché la Germania potesse ricostruire la propria economia e i Tedeschi potessero tornare ad essere autosufficienti, e non essere più costretti a contrarre debiti all’estero. La Francia, tuttavia, temeva ancora una espansione del potenziale bellico tedesco. Monnet riuscì a persuadere Schuman, seguito da Adenauer, che la regolamentazione comune dell’industria del carbone e dell’acciaio era l’unico strumento in grado di permettere la necessaria ripresa della produzione tedesca senza pericoli per la sicurezza della Francia e senza insostenibili discriminazioni nei confronti della Germania. La dichiarazione di Schuman indicava solo l’Alta Autorità come istituzione federale, ma ben presto furono aggiunte alla proposta l’Assemblea europea e la Corte di Giustizia, le cui competenze riguardavano l’imposizione di tasse dirette sulle persone giuridiche all’interno della Comunità e l’applicazione della legge comunitaria direttamente nei loro confronti. Così, entro poche settimane a partire dalla proposta di Schuman, furono preparati gli articoli relativi a quei tratti delle istituzioni comunitarie che costituiscono a tutt’oggi le loro più importanti caratteristiche federali — compreso il principio delle elezioni dirette (Trattato della CECA, articolo 21.3) e della codecisione circa il bilancio (articolo 78). Il Consiglio dei Ministri, che fu aggiunto successivamente nel corso dei negoziati relativi al Trattato per istituire la CECA, può essere trasformato da organo intergovernativo in istituzione federale se, come propone il progetto di Trattato, il voto a maggioranza e la codecisione nei limiti di tempo stabiliti ne fanno una seconda Camera, sul modello del Bundesrat. L’acume politico di Monnet, che gli ha permesso di identificare il momento in cui il governo francese e quello tedesco, seguiti da quello italiano e del Benelux, avrebbero accettato un simile passo fondamentale in direzione della federazione, al fine di fronteggiare i pressanti problemi economici e politici della produzione tedesca del carbone e dell’acciaio, era anche alla base della sua opinione secondo la quale i Sei dovevano essere pronti a procedere senza la Gran Bretagna, dove l’equilibrio delle forze politiche era abbastanza sfavorevole ad ogni proposta di integrazione europea. Monnet, quindi, aveva identificato il problema, lo strumento, le istituzioni dotate di elementi federali e, in modo sufficientemente accurato, l’equilibrio delle forze federaliste e nazionaliste necessarie per realizzare questa prima tappa della federazione, già di per sé in grado di aprire una nuova epoca.
I Trattati di Roma beneficiarono del modello istituzionale realizzato dalla CECA, includendo tra gli scopi il mercato comune e la regolamentazione dell’industria dell’energia atomica, che corrispondevano rispettivamente all’esigenza tedesca di una vasta area industriale e alla preoccupazione francese circa l’approvvigionamento energetico.[8] Il collegamento tra i problemi, le competenze e le istituzioni fu articolato con grande chiarezza da Pierre Uri nella stesura del Rapporto Spaak,[9] su cui furono basati i Trattati. Ma, memore del fallimento della Comunità europea di difesa, Monnet si rese conto che la capacità propulsiva del progetto, da sola, avrebbe potuto non essere sufficiente senza un serio lavoro di mobilitazione dei membri dei Parlamenti che avrebbero dovuto ratificare i nuovi Trattati; ed egli utilizzò con successo, a questo fine, il suo Comitato d’azione per gli Stati Uniti d’Europa, che comprendeva i leaders dei principali partiti politici e dei sindacati.[10]
La necessità della codecisione in materia di bilancio CEE sorse quando le entrate della Comunità divennero finalmente «risorse proprie», negli anni ‘70. Già dal 1965 la Seconda Camera degli Stati Generali olandesi aveva deliberato che la Comunità europea non fosse dotata di proprie risorse fiscali senza che venisse affidato al Parlamento europeo un ruolo centrale nell’approvazione del bilancio.[11] Nessuna imposizione fiscale era accettabile senza rappresentanza; e dato che i Parlamenti degli Stati membri non potevano controllare le risorse proprie della Comunità, questo compito avrebbe dovuto essere svolto dal Parlamento europeo. Il problema politico pressante era quindi quello che la Comunità non poteva avere risorse proprie, come invece avevano stabilito i Trattati e come i Francesi volevano per garantire i finanziamenti alla politica agricola, senza soddisfare la richiesta del Parlamento olandese, in base alla quale i fondi che sfuggivano al controllo democratico a livello nazionale dovevano essere controllati democraticamente dal Parlamento europeo. I Trattati del 1970 e del 1975 sancirono, pertanto, la codecisione tra il Parlamento e il Consiglio in materia di bilancio, sebbene il ruolo del Parlamento fosse molto debole riguardo alle cosiddette spese obbligatorie.
Nel prendere la decisione, durante il Consiglio europeo del settembre del 1976, di rendere effettivo l’articolo dei Trattati relativo alle elezioni dirette, i Capi di Stato e di governo non sembra fossero motivati da nessun problema politico particolarmente urgente.[12] Contrariamente alla maggior parte degli altri progressi in senso federale, questo non prevedeva nessun trasferimento di strumenti e di competenze dagli Stati membri alle istituzioni comunitarie. Per questo, forse, ci fu meno bisogno di un problema pressante per indurre i governi ad un simile passo.
L’istituzione del Sistema monetario europeo (SME), nel 1979, dimostrò come il presidente della Commissione, che allora era Roy Jenkins, potesse assumere il ruolo, prima svolto da Monnet, di identificare il problema (la preoccupazione per gli effetti della instabilità del dollaro sul marco e sul franco) e di mobilitare i responsabili politici (Schmidt e Giscard d’Estaing), per raggiungere un’importante tappa dal punto di vista federale, che comprendeva non solo lo SME come si configura oggi, ma anche le condizioni per realizzare la seconda tappa, che include il Fondo monetario europeo (chiamato giustamente da Robert Triffin la Banca federale europea[13]).
Tra i tentativi falliti, quello della Comunità europea di difesa era il più spettacolare. La proposta di un esercito europeo corrispondeva certamente alla percezione dei governi di un problema acuto, quello della minaccia militare sovietica agli inizi degli anni ‘50, con la conseguente necessità di riorganizzare l’esercito tedesco senza suscitare i timori francesi circa la propria sicurezza o il risentimento dei Tedeschi per una politica discriminatoria nei loro confronti. Il Trattato della CED, firmato il 27 maggio 1952, definiva l’esercito europeo come lo strumento con cui i sei Stati della Comunità potevano affrontare il problema. Il Trattato tuttavia non prevedeva un’adeguata autorità politica cui affidare la responsabilità di questo esercito. Solo durante l’autunno, dopo che i federalisti italiani (di fatto Spinelli) avevano spinto De Gasperi a convincere gli altri governi che era necessaria una Comunità politica europea,[14] fu istituita l’Assemblea ad hoc per redigere il Trattato della CEP, che fu pronto solo un anno dopo la firma del Trattato della CED. Dopo un ulteriore anno di ritardo la CED fu bocciata dall’Assemblea nazionale francese.
Forse le forze politiche che in Francia si opposero alla CED erano troppo forti per essere sconfitte, anche se il governo avesse presentato sin dall’inizio un progetto ben concepito. Ma sembra abbastanza probabile che se un governo francese nel 1952 si fosse battuto per un solido progetto politico, che includesse le istituzioni federali necessarie per controllare le forze armate integrate europee, si sarebbe assicurato un appoggio da parte del centro sufficiente per sconfiggere l’opposizione comunista e gollista. La lezione da trarre è sicuramente che le proposte fatte per creare uno strumento fondamentale della sovranità dovrebbero al tempo stesso specificare le istituzioni federali democratiche che ne siano responsabili.
Un’analoga lezione si può trarre dalle proposte di Werner, nel 1970, per un’Unione economica e monetaria. I problemi che esse si proponevano di affrontare erano l’instabilità del Sistema monetario internazionale, e quella dei tassi di cambio all’interno della Comunità, considerati come una minaccia per il mercato comune e la politica agricola comune. Lo strumento doveva essere un’unità di conto comune o un blocco permanente delle parità. Ma benché il controllo della moneta sia la fortezza della sovranità economica, l’unico riferimento del Rapporto Werner al problema della sua attribuzione era l’affermazione che «un centro di decisione per la politica economica eserciterà in modo indipendente, in accordo con gli interessi della Comunità, un’influenza decisiva sulla politica economica generale della Comunità».[15] La creazione del Gruppo Werner fece seguito a una riunione del Consiglio dei Ministri delle Finanze nel febbraio 1970, in cui Karl Schiller affermò che il voto a maggioranza nel Consiglio e un trasferimento di poteri al Parlamento europeo sarebbero stati indispensabili per lo stadio finale di una completa unione economica e monetaria, che comportava una modificazione del Trattato della CEE.[16] Le implicazioni istituzionali della unione monetaria passarono sotto silenzio, indubbiamente per timore di preoccupare la Francia, che stava ancora emergendo lentamente dal periodo di de Gaulle. Forse allora non c’era alcun modo per guadagnare l’appoggio della Francia in favore della necessaria riforma istituzionale. Ma la tecnica dell’ambiguità piena di garbo sicuramente non funzionò. Una pressione esplicita per una riforma delle istituzioni comunitarie che le rendesse efficienti e democratiche avrebbe potuto ottenere un sostegno sufficiente in Francia, forse influenzare il governo del momento, ma più verosimilmente preparare il terreno per un cambiamento politico più rapido di quello che si realizzò negli anni seguenti. Il fatto che persino de Gaulle avesse ottenuto meno voti dei suoi due avversari, Mitterrand e Lecanuet, nel primo turno delle elezioni presidenziali del dicenlbre 1965, dopo aver minacciato la Comunità con la politica della sedia vuota nel Consiglio, avrebbe potuto suggerire che il popolo francese e la classe politica sarebbero stati più favorevoli che non i ministri francesi ad una proposta di Unione europea. Ovviamente l’immediata preoccupazione dei governi è normalmente la reazione degli altri governi. Ma gli sforzi per creare l’Unione europea difficilmente potranno avere successo se non si tiene conto della possibilità di evoluzione nella politica degli altri paesi oltre che delle politiche governative in atto.
Nella misura in cui vi è qualcosa di valido nell’Atto unico europeo, esso è legato al fatto che i governi membri erano consapevoli della necessità di completare il mercato interno per far fronte alla concorrenza americana e giapponese nella terza rivoluzione industriale. La complessa legislazione richiesta, come dimostra il Libro bianco della Commissione sul completamento del mercato interno, chiaramente non avrebbe potuto essere approvata senza estendere la pratica del voto a maggioranza all’interno del Consiglio. I dodici governi membri, di conseguenza, riuscirono a trovare l’accordo su importanti cambiamenti istituzionali in questo settore. Ma questo consenso non fu rinnovato a proposito della necessità di fornire risposte istituzionali alle sfide negli altri settori. Il rifiuto da parte della Thatcher dell’idea dell’Unione europea nel suo complesso era evidente; e anche solo questo avrebbe reso difficile ogni progresso in direzione dell’Unione emendando i Trattati CEE, cosa che richiede l’unanimità tra gli Stati membri. Una pressione in questo senso da parte della Francia e della Germania avrebbe potuto sortire qualche effetto positivo, se ci fossero stati dei segnali che esse erano pronte a procedere verso l’Unione europea anche senza la Gran Bretagna, se necessario. Viceversa, i Tedeschi sembravano contrari all’idea dell’Unione economica e monetaria, che è il cuore del progetto di Unione europea; e il governo francese non ha mai mostrato un impegno reale sui temi della codecisione e del voto a maggioranza.
La necessità di un nucleo centrale di paesi pronti ad andare avanti anche senza gli altri non è, quindi, la sola lezione che si deve trarre dall’Atto unico. La mobilitazione in Francia e in Germania è stata inadeguata nel 1984-1985; e una ragione di questo fatto è la mancanza, particolarmente significativa in Germania, di percezione della necessità urgente di procedere verso l’Unione economica e monetaria, che porrebbe contemporaneamente il problema della riforma istituzionale per poter governare in modo adeguato l’economia europea unificata.
 
3. Sono possibili dei passi verso l’Unione europea?
 
L’unione monetaria e la codecisione sono i nodi cruciali dell’Unione europea. L’unione monetaria implica, ovviamente, la Unione economica e monetaria; e l’unione della finanza pubblica, come dimostra il concetto di coesione introdotto dai paesi mediterranei nell’Atto unico europeo, è un corollario del libero scambio e, pertanto, dell’integrazione monetaria. Se c’è codecisione reale, che comporta anche il voto a maggioranza all’interno del Consiglio (dato che l’unanimità non porta alla codecisione ma alla mancanza di qualsiasi decisione), allora il mercato interno sarà completato; e la codecisione è un imperativo, una volta che sia stato raggiunto il punto di non ritorno in direzione dell’unione monetaria, poiché non c’è altro modo per controllare in modo efficace e democratico la moneta e l’economia integrate. L’unica altra via verso l’Unione sarebbe l’integrazione della difesa europea; ma benché i federalisti debbano certamente tenerla sempre presente, sembra ugualmente più probabile che essa sia destinata a seguire l’integrazione economica e monetaria, piuttosto che a precederla.
L’analisi dei passi fatti verso la federazione ha mostrato che spesso essi sono stati intrapresi per affrontare un problema politico urgente; e quando l’inadeguatezza dell’Atto unico europeo diverrà evidente, ciò potrà generare un rinnovato impulso verso l’Unione europea. Tuttavia questo impulso da solo sarà difficilmente sufficiente se non verrà combinato con l’emergere di problemi monetari acuti, che potrebbero derivare dai tassi di cambio del dollaro e dello yen, dai tassi d’interesse americani, dai debiti del Terzo mondo, o dall’incapacità degli Stati membri di debellare la disoccupazione e la stagflazione senza un vigoroso sforzo collettivo.
La difficoltà è dovuta al fatto che il sostegno della Germania, che è la maggiore potenza finanziaria europea, all’Unione economica e monetaria è indispensabile, mentre essa sembra temere un’integrazione monetaria più stretta con i partners europei, in quanto poco affidabili a causa dell’inflazione, più di quanto non tema tutti i pericoli che derivano dalla frammentazione monetaria europea. Si è sperato, in questi ultimi due anni, che una pressione politica della Francia in favore del progetto di Unione europea nel suo complesso potesse superare i dubbi tedeschi in campo monetario. Alla fine questa pressione non c’è stata. Ma sia che questa pressione possa essere esercitata in futuro oppure no, le prospettive di successo dell’Unione europea miglioreranno nella misura in cui i Tedeschi accolgono l’ipotesi dell’unione monetaria piuttosto che osteggiarla. Un processo per tappe verso l’unione monetaria potrebbe aiutarli ad accettare l’idea: la partecipazione britannica ai meccanismi dello SME sui tassi di cambio; la rimozione dei controlli francesi e italiani sui cambi; l’accettazione tedesca di conti bancari in ECU; il passaggio alla seconda tappa dello SME. Il Parlamento europeo potrebbe giocare un ruolo importante nella costruzione dell’unione monetaria,[17] sviluppando la breve indicazione contenuta nel progetto di Trattato in un programma più strutturato per l’istituzione di un’Unione economica e monetaria graduale. Dovrebbe cercare, a questo proposito, di lavorare in contatto con i circoli finanziari tedeschi e con quelli degli altri Stati membri.
C’è certamente un problema politico generale che deriva dalle istituzioni comunitarie. Spinelli ha dimostrato in modo convincente la sclerosi che le affligge.[18] Ma l’esperienza degli ultimi due anni indica che la massa critica dei governi membri non riesce a considerare la riforma istituzionale in modo sufficientemente serio, a meno che l’inadeguatezza delle istituzioni blocchi la soluzione di problemi specifici riguardo ai quali sono realmente preoccupati. La maggior parte di loro è preoccupata per il completamento del mercato interno, e da qui derivano i cambiamenti istituzionali dell’Atto unico europeo. Nel momento in cui i governi scopriranno che questi cambiamenti non sono sufficienti per lo scopo che si sono prefissi, comprenderanno la necessità di un sistema più efficace di voto a maggioranza all’interno del Consiglio e della codecisione per rimuovere il vuoto democratico. Ma un motivo più cogente per una simile riforma istituzionale sarebbe rappresentato dal progresso verso l’Unione economica e monetaria. Le questioni sollevate da Schiller nelle discussioni sull’Unione economica e monetaria nel 1970 dovrebbero essere risolte dando alle istituzioni caratteristiche federali; e ciò, insieme all’accordo per completare l’Unione economica e monetaria, dovrebbe costituire il nucleo centrale dell’Unione europea stessa. Se questo nucleo essenziale fosse appoggiato da un numero sufficiente di Stati membri, la loro accettazione dell’Unione europea nel suo complesso dovrebbe essere la conseguenza necessaria.
I casi della Comunità europea di difesa e del Piano Werner dimostrano come delle proposte funzionali così lungimiranti possono fallire se non sono accompagnate dal necessario quadro di riferimento istituzionale. Il progetto di Trattato del Parlamento europeo ha mostrato come deve essere tale quadro di riferimento. Ma taluni Stati membri, come la Francia e la Germania, possono essere più pronti a cedere le chiavi della sovranità economica alle istituzioni riformate della Comunità europea se la loro fiducia in queste istituzioni, ed in particolare nel Parlamento europeo, viene nel frattempo rafforzata. Il fatto che il Parlamento giochi un ruolo efficace e responsabile potrebbe aiutare in questo senso. Mentre la «procedura di cooperazione» prevista dall’Atto unico si applica solo ad un ventaglio molto limitato di argomenti e dà al Parlamento più un potere di veto che non un potere costruttivo, l’UEF e il Movimento europeo hanno indicato[19] come un piccolo gruppo di Stati membri potrebbe, votando solo i testi legislativi approvati dal Parlamento, dare ad esso un potere effettivo di codecisione, e come questo metodo potrebbe essere applicato in tutte le questioni per cui è previsto il voto a maggioranza dai Trattati della Comunità e dall’Atto unico — quindi per la politica agricola, per quella commerciale, per taluni aspetti della politica industriale e per tutte le spese del bilancio, così come per la maggior parte delle decisioni richieste per completare il mercato interno. Mentre è difficile che i governi degli Stati membri applichino da soli in modo consistente tale politica, i loro Parlamenti potrebbero obbligarli a farlo, così come il Parlamento olandese ha condizionato il suo governo a proposito delle risorse proprie della Comunità. Anche il Parlamento italiano, recentemente, ha mostrato come si può impegnare il proprio governo in sostegno al Parlamento europeo. Una simile azione intrapresa dai Parlamenti, ad esempio, dell’Italia, della Spagna, del Belgio o dei Paesi Bassi, sarebbe sufficiente per assicurare che nessuna legge comunitaria sia redatta senza l’approvazione del Parlamento europeo; e questo aumenterebbe sostanzialmente l’influenza e la responsabilità del Parlamento europeo così come offrirebbe un modello per una sorta di cooperazione tra questo e i Parlamenti degli Stati membri, che svolgeranno un ruolo essenziale quando la Costituzione dell’Unione europea dovrà essere ratificata.
 
4. Mobilitazione del consenso.
 
Questo porta il discorso sulla mobilitazione del consenso per l’Unione europea. La campagna dei federalisti in favore del progetto di Trattato del Parlamento europeo ha dimostrato l’ampiezza e la profondità dei consensi tra le forze politiche e sociali, così come tra i Parlamenti e i governi, in particolare in Italia, in Spagna e nel Benelux. Questo fornisce un’ottima base per il lancio della prossima azione.
Tuttavia, con l’eccezione del governo italiano, il sostegno dei governi al Parlamento europeo e al progetto di Unione europea, non è stato affatto fermo. Una delle ragioni può essere dovuta al fatto che il progetto di Trattato era talmente ampio che era possibile sostenerlo in termini generali senza impegnarsi fermamente su nessun punto particolare. La dichiarazione di Schuman può offrire un esempio da seguire in futuro. In essa erano contenuti i principi basilari della CECA che gli Stati che desideravano aderire avrebbero dovuto accettare. Questo assicurava che soltanto gli Stati che si trovassero d’accordo su questi principi si sarebbero impegnati ad appoggiare la ratifica del Trattato che li includeva. La proposta di Spinelli,[20] affinché il Parlamento europeo prepari un mandato con i principi base del progetto di Trattato, segue questo esempio.
I federalisti devono cercare di mobilitare un consenso sufficiente ad assicurare che il mandato sia adottato dai Parlamenti, dai governi o attraverso refrendum, o da una combinazione di questi,[21] in tutti i paesi membri della Comunità.I federalisti britannici hanno espresso chiaramente la loro convinzione che la Gran Bretagna accetterebbe questo mandato se fosse chiaro che la Francia, la Germania, l’Italia e qualche altro Stato membro sarebbero pronti ad andare avanti, con o senza l’accordo inglese; e che, se la Gran Bretagna non accettasse, sarebbe necessario, per il futuro degli Europei, britannici inclusi, che gli altri procedessero ugualmente. Per rendere questa prospettiva più credibile, sarebbe utile uno studio delle implicazioni legali. Se è vero che un’Unione economica e monetaria governata da istituzioni democratiche è il punto entrale, dovrebbe essere possibile mostrare come un nucleo di Stati disposti ad impegnarsi possano istituirla prima degli altri, come fecero, in modo molto più modesto, nel caso dello SME.
Niente di tutto ciò sarà possibile senza l’impegno francese e tedesco per un mandato adeguato. Questo dovrebbe essere l’obiettivo primario di una campagna di mobilitazione. Se l’analisi precedente è giusta, la possibilità di convincere Francia e Germania sarà rafforzata dai progressi graduali dell’influenza e della responsabilità del Parlamento europeo e dall’istituzione dell’Unione economica e monetaria. La cogenza di simili progressi, insieme ad altri cambiamenti politici, potrebbe persino convincere la Gran Bretagna ad assumere un atteggiamento costruttivo nei confronti del progetto di Union europea. Ma benché questi passi possano preparare il terreno per una soluzione costituzionale, essi non possono sostituirsi ad essa. Il mandato dovrebbe costituire l’obiettivo della campagna di mobilitazione dei federalisti, e dovrebbe portare il Parlamento europeo a svolgere pienamente il proprio ruolo nel processo costituente, dopo le elezioni europee del giungo 1989.


[1] Altiero Spinelli, Come ho tentato di diventare saggio. Io, Ulisse, Bologna 1984, p. 397.
[2] Roland Bieber, Jean-Paul Jacqué, Joseph H.H. Weiler (a cura di), An ever Closer Union: a Critical Analysis of the Draft Treaty Establishing the European Union, Commissione della Comunità europea, in collaborazione con l’Istituto Universitario Europeo, Lussemburgo, 1985, p. 9.
[3] Altiero Spinelli, «La beffa del Mercato comune», in L’Europa non cade dal cielo, Bologna 1960, p. 282.
[4] Altiero Spinelli, «Prefazione» a Bieber, Jacqué, Weiler (a cura di), op. cit., p. 3.
[5] Dichiarazione di Robert Schuman, Ministro degli Esteri francese, 9 maggio 1950.
[6] Risoluzione del Comitato federale dell’UEF, riunione di Strasburgo, 1-2 giugno 1985.
[7] Il termine è usato da Dieter Biehl per descrivere gli aspetti fiscali e relativi alla spesa pubblica dell’Unione europea (vedi «A Federalist Budgetary Policy Strategy for European Union», Policy Studies, Londra, ottobre 1985).
[8] Le intuizioni di Jean Monnet circa queste preoccupazioni politiche si trovano nelle sue Memoires, trad. it. Jean Monnet, Cittadino d’Europa, Rusconi, Milano 1978, pp. 216-225.
[9] Rapport des Chefs de Délégation aux Ministres des Affaires Etrangères (Rapporto Spaak), Comité Intergouvernemental créé par la Conférence de Messine, Bruxelles, 21 aprile 1956.
[10] Op. cit., p. 423.
[11] Vedi Miriam Camps, European Unification in the Sixties: from the Veto to the Crisis, New York, McGraw-Hill 1966, p. 59.
[12] La presidenza italiana fu comunque posta di fronte all’evidenza della richiesta popolare delle elezioni grazie ad una dimostrazione di 5.000 federalisti — che anticipava la manifestazione molto più imponente organizzata dal Movimento federalista europeo in occasione della riunione del Consiglio europeo a Milano, nel giugno del 1985. È chiaro altresì che il Presidente Giscard d’Estaing vide in ciò un’occasione per adempiere all’impegno di prendere delle iniziative europee (vedi J. Monnet, op. cit.).
[13] Il Federalista, marzo 1985, p. 42.
[14] Vedi Altiero Spinelli, «The Growth of the European Movement since World War II», in C. Grove Haines (a cura di), European Integration, Baltimora 1957, pp. 58-60; vedi anche il suo The Eurocrats, Baltimora 1966, p. 192.
[15] Rapporto al Consiglio e alla Commissione sulla realizzazione per fasi dell’Unione economica e monetaria nella Comunità (Rapporto Werner), Bollettino delle Comunità europee, Supplemento n. 11-1970, Lussemburgo, ottobre 1970, p. l0.
[16] Vedi Loukas Tsoukalis, The Politics and Economics of European Monetary Integration, Londra 1977, pp. 88-89.
[17] Vedi «Passi per rendere l’ECU un pilastro del nuovo ordine monetario internazionale», documento preparato da Alfonso Jozzo e presentato dalla Commissione economica dell’UEF al Comitato federale dell’UEF dell’1-2 giugno 1985; vedi anche la risoluzione sull’ECU e sullo SME approvata dal Comitato federale in quella stessa riunione.
[18] Altiero Spinelli, Toward European Union, Sixth Jean Monnet Lecture, Firenze, Istituto Universitario Europeo, 1983.
[19] Risoluzione del Bureau dell’UEF, 11 gennaio 1986, e della Commissione esecutiva del Movimento europeo, 19 gennaio 1986.
[20] Altiero Spinelli, Documenti di lavoro, Commissione istituzionale del Parlamento europeo, 24 gennaio 1986.
[21] Fernand Herman, Documenti di lavoro, Commissione istituzionale del Parlamento europeo, 18 febbraio 1986.

 

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