IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Sperare in una permanenza di armonia tra molti Stati indipendenti e slegati sarebbe trascurare il corso uniforme degli avvenimenti umani e andar contro l'esperienza accumulata dal tempo.

Hamilton, The Federalist

Anno XXX, 1988, Numero 2, Pagina 107

 

 

IL COSTO DELLA NON-EUROPA
 
 
Il rapporto Cecchini sui vantaggi del mercato unico europeo è stato pubblicato recentemente dalla Commissione delle Comunità europee.
Il costo della non-Europa è stato stimato in 200 miliardi di Ecu. La costruzione del mercato unico europeo nel 1992 consentirà, di per sé, un aumento del prodotto lordo interno del 4,5%, una diminuzione dei prezzi del 6%, la creazione di due milioni di nuovi posti di lavoro. Questi vantaggi potranno essere ulteriormente incrementati se saranno adottate misure di politica economica in grado di sfruttare pienamente il nuovo potenziale di sviluppo offerto dal mercato unico europeo; in questo caso il prodotto lordo potrà aumentare fino al 7% e l’occupazione crescere fino a cinque milioni di nuovi posti di lavoro.
Questi dati confermano una verità che tutti già conoscevano. E’ importante peraltro disporre di dati precisi, che misurano il costo delle non-decisioni, togliendo ogni alibi a chi ancora frena la costruzione dell’Unione europea. La non realizzazione del mercato unico è costata e continua a costare centinaia di migliaia di miliardi ai cittadini europei sotto forma di spese superflue e di occasioni mancate.
Il rapporto non si limita a quantificare i costi elevati che paghiamo attualmente a causa dei controlli doganali che spezzano l’economia europea in dodici mercati nazionali; esso calcola anche il valore dei vantaggi immediati garantiti dalla realizzazione del mercato interno unico. Tali vantaggi sono un maggiore sviluppo economico, la creazione di nuovi posti di lavoro, la possibilità per le imprese di migliorare la produttività e la redditività, una maggiore mobilità dei fattori produttivi, la stabilità dei prezzi, una maggiore libertà di scelta per il consumatore.
Il costo diretto delle formalità doganali ed i costi amministrativi che da esse derivano, per il settore pubblico e per quello privato, è pari a circa l’1,8% del valore dei beni commercializzati nella Comunità. A questi costi debbono aggiungersi quelli che gravano sull’industria per effetto di altre barriere non tariffarie, quali, ad esempio, le regolamentazioni tecniche; questi costi aggiuntivi sono valutabili nell’ordine del 2% dei costi industriali complessivi. In totale, il costo delle barriere che segmentano il mercato europeo è pari a circa il 3,5 del valore aggiunto industriale comunitario.
Ancora più rilevanti risultano i vantaggi che sarebbero garantiti dall’unificazione del mercato europeo. In particolare, le imprese nel settore dei servizi che sono attualmente sottoposte a regolamentazioni che limitano il loro raggio d’azione alla dimensione nazionale, potrebbero beneficiare delle maggiori riduzioni percentuali dei costi e dei prezzi. E’ sufficiente pensare, a tal fine, alle imprese che operano per soddisfare la domanda pubblica — imprese produttrici di energia elettrica, aziende di trasporto, imprese specializzate nel settore della difesa, ecc. Altri esempi sono costituiti dalle imprese finanziarie, che fino ad oggi hanno avuto prevalentemente dimensione nazionale come diretta conseguenza della mancanza di un mercato europeo dei capitali. Altrettanto vale per le imprese di trasporto aereo, fino ad ora vissute nel quadro di una rigida regolamentazione e di una spartizione nazionale del mercato. Per tutte queste imprese la creazione del mercato unico consentirà riduzioni di costi pari almeno al 10-12%, in alcuni casi anche molto di più.
Il rapporto dimostra che le economie di scala potenziali non ancora sfruttate dalle imprese europee sono sostanziali. La creazione di un mercato unico consentirà concentrazioni, razionalizzazioni produttive, una maggiore specializzazione, una più avanzata divisione del lavoro. La stima fatta dal rapporto è che circa un terzo delle imprese europee potrà ottenere migliori economie di scala e quindi sostanziali riduzioni nei costi di produzione. Tali riduzioni varieranno, da settore a settore, fra l’1 e il 7%. Nell’insieme, la riduzione dei costi per il sistema economico europeo sarà pari al 2% del prodotto lordo interno.
Per valutare l’impatto della creazione del mercato unico europeo, è necessario peraltro tenere presente che le cifre sopra riportate si limitano a considerare i fenomeni più facilmente quantificabili, nel breve periodo. Queste cifre sono destinate a rivelarsi inferiori all’impatto effettivo, in quanto non prendono in considerazione alcuni vantaggi che l’unificazione è destinata a produrre nel tempo, quali la diffusione dell’innovazione, lo sviluppo della concorrenza, la diffusione fra le imprese di strategie di internazionalizzazione, la nascita di società europee, ecc.
Senza entrare nel dettaglio del rapporto, alcune indicazioni fondamentali emergono dunque con chiarezza.
1) Anche limitandosi all’impatto immediato che il 1992 avrà sull’economia, risulta la dimensione assurda del costo della non-Europa che oggi paghiamo. Questo costo è pari a circa uno-due milioni a testa per ogni cittadino europeo.
2) I benefici portati dalla costruzione del mercato unico sono in grado di contribuire in modo decisivo alla soluzione dei maggiori problemi dell’economia europea, primo fra tutti quello della disoccupazione.
3) Perché il 1992 produca questi effetti, è indispensabile garantire all’interno dell’Europa la stabilità monetaria, cioè è indispensabile la costruzione di una vera unione monetaria, con la creazione di una Banca centrale europea.
4) I vantaggi maggiori del 1992 sono costituiti dalla fiducia che questo obiettivo ha diffuso fra gli operatori europei. Gli imprenditori europei credono al 1992, stanno scommettendo su di esso e con ciò stanno dando un contributo decisivo a realizzare l’obiettivo.
Quando un obiettivo è realistico, è sufficiente molto spesso porsi quell’obiettivo per raggiungerlo; la decisione di perseguire un obiettivo è sufficiente per creare le energie necessarie per il suo effettivo raggiungimento. Ciò vale per il 1992. Ciò vale a maggior ragione per la creazione dell’Unione europea, da cui dipende l’inizio di un nuovo ciclo, di lungo periodo, di sviluppo dell’economia e della società.
Il vero costo della non-Europa è questo: la rinuncia ad un ciclo di sviluppo di lungo periodo, per l’Europa e per il mondo.
Il fatto è che l’obiettivo del 1992 segna una tappa del processo di integrazione in Europa. Nel secondo dopoguerra tale processo ha avuto uno sviluppo che possiamo suddividere in tre fasi, con caratteristiche profondamente diverse: il primo ciclo di sviluppo europeo, gli anni della stagnazione, la fase di unione pre-federale. Il completamento del mercato interno unico nel 1992 può segnare l’inizio della quarta fase, quella dell’Unione europea.
Il primo ciclo può essere collocato temporalmente negli anni ‘50 e ‘60; esso termina nel 1968, con il completamento dell’unione doganale.
La mancanza di iniziativa europea negli anni ‘70 segna una lunga battuta d’arresto, che condanna l’economia e la società ad una stagnazione di cui sopportiamo ancora le conseguenze.
La terza fase inizia con l’elezione diretta del Parlamento europeo e con il varo del Sistema monetario europeo, ed è tuttora in corso. Essa è caratterizzata dal tentativo di realizzare un trasferimento di poteri dal livello nazionale al livello europeo e di disegnare un quadro istituzionale pre-federale in grado di gestire in modo sempre più unitario l’economia e la società europea.
Il completamento del mercato unico interno è destinato a porre, in modo indilazionabile, il problema della moneta europea e del governo europeo. Esso cioè pone concretamente il problema di una nuova fase del processo di integrazione, di carattere costituente.
I confini fra terza e quarta fase sono in parte indeterminati. I loro contenuti saranno definiti dalle decisioni che gli Europei sapranno prendere nei prossimi anni. Anche il momento che segnerà questo passaggio è indeterminato, perché le decisioni definitive dipendono non solo dalla virtù degli uomini, ma anche dalla fortuna. Un salto qualitativo separa queste due fasi: è sulla base di questa certezza che possiamo giudicare le proposte e i problemi oggi sul tappeto.
Un trasferimento di poteri e importantissimi avanzamenti nel processo di integrazione stanno avvenendo. Il successo del Sistema monetario europeo è di fronte a tutti. Esso ha sorretto il processo di ristrutturazione industriale nei paesi europei, ha consentito di avvicinare le politiche economiche nazionali e di progredire a rapidi passi verso la creazione di un mercato europeo dei capitali. La fase pre-federale che stiamo vivendo è stata finora caratterizzata da una serie di decisioni, ciascuna delle quali ha realizzato un trasferimento di poteri al livello europeo; nuovi progressi intermedi sono possibili e auspicabili.
L’obiettivo del 1992 non può essere considerato come lo sbocco finale di tale processo. Le decisioni cruciali necessarie — la moneta, la Banca centrale europea, il governo europeo — non sono ancora state prese; per far ciò è necessario l’avvio di un processo costituente centrato sull’iniziativa del Parlamento europeo.
Se non sapremo fare questo, il 1992 segnerà l’inizio di una lunga crisi, così come è già avvenuto nel 1968. Il costo della non-Europa è di gran lunga superiore a quello calcolato dal rapporto Cecchini.
 
Dario Velo

 

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