IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Sperare in una permanenza di armonia tra molti Stati indipendenti e slegati sarebbe trascurare il corso uniforme degli avvenimenti umani e andar contro l'esperienza accumulata dal tempo.

Hamilton, The Federalist

Anno XLVII, 2005, Numero 3, Pagina 202

 

 

LA CREAZIONE DI UNA AVANGUARDIA EUROPEA*
 
 
Oggi l’Europa si trova di fronte a un bivio: o si rilancia la costruzione dell’Europa politica attraverso una avanguardia, o l’Europa si avvierà verso l’emarginazione economica, politica e demografica. L’alternativa in gioco è, da una parte, un’Europa-mercato, una vasta zona di libero scambio fatalmente sottomessa a qualche protettorato, dall’altra una Europa politica capace di giocare un ruolo nel mondo che è ormai diventato multipolare. La logica dell’Europa-mercato va di pari passo con la logica di un allargamento senza fine, non preceduto da un approfondimento della cooperazione politica. La logica dell’Europa politica passa attraverso la formazione di un nucleo duro. Su questa questione strategica del nucleo duro c’è una linea di divisione nella maggior parte dei partiti politici: si trovano partigiani del nucleo duro tanto a destra (Jacques Chirac, nella tribuna del 26 ottobre 2005 pubblicata su 26 quotidiani europei, Dominique de Villepin, Jean-Louis Bourlanges, Alain Juppé, Guy Verhofstadt, Karl Lamers, Wolfgang Schäuble) quanto a sinistra (Dominique Strauss-Kahn, François Hollande, Johan Van De Lanotte, Presidente del Partito socialista fiammingo, Joschka Fischer e Günter Verheugen). Su tale prospettiva di bruciante attualità il Forum Carolus[1] ha partecipato a seminari,[2] ha un sito apposito (http://apres-le-non.forum-carolus.org), pubblicherà un libro nel 2006 e organizzerà dei dibattiti a Strasburgo, città che sembra destinata ad avere una posizione di privilegio, essendo al centro dei paesi che potrebbero partecipare al nucleo duro.
 
Europa-mercato o Europa-potenza?
 
Per quanto riguarda la scelta fra Europa-mercato ed Europa-potenza i tempi si fanno sempre più stretti, poiché è necessario dotarsi dei mezzi per uscire dalla crisi economica, politica e demografica dell’Europa. In Asia stanno emergendo potenze con le quali avremo spesso interesse a cooperare. La storia accelera e ad est dell’Europa si creano alleanze strategiche, come dimostrano gli incontri turco-russi al Cremlino sui problemi dell’Asia centrale nello scorso giugno, il progetto di un oleodotto indo-iraniano che attraversa il Pakistan, la formazione del triangolo Cina-India-Russia dopo l’incontro, sempre nel giugno scorso, dei Ministri degli Esteri dei tre paesi, il rafforzamento del gruppo di Shangai, ecc. Di fronte a tutto ciò i paesi europei rischiano di uscire dalla storia se non si organizzano anch’essi per farsi carico dei loro interessi strategici. E per fare ciò devono realisticamente tener conto dei dati concreti della situazione europea e mondiale, ossia dello scacco a cui è andato incontro il trattato costituzionale, dell’impossibilità di costruire una Europa politica a venticinque e della politica estera degli Stati Uniti. Inoltre, dopo la fine del bipolarismo seguita al crollo del blocco sovietico si sono poste per la prima volta in tutta la loro importanza questioni essenziali come la forma finale che dovrà assumere l’Unione, cioè la forma istituzionale e le sue frontiere, la difesa europea, la cooperazione con la Russia, la Cina e l’India, la ridefinizione dell’alleanza transatlantica.
Io penso che la creazione di una Europa politica, ossia di una Europa-potenza, da una parte richiede l’attivazione di una avanguardia, di un gruppo di paesi pionieri, secondo la terminologia in uso, e, dall’altra parte, l’avvio di un partenariato strategico con la Russia. Come spesso hanno ricordato i commissari Lamy e Verheugen in conferenze stampa comuni, non è pensabile, ragionevolmente, un nucleo duro credibile e attivo al di fuori di quello basato su Francia e Germania. Oltre a ciò che abitualmente si dice riguardo al valore simbolico, valido per tutta l’Europa, dell’accordo franco-tedesco, vale la pena di ricordare che la Francia e la Germania hanno insieme 142 milioni di abitanti e partecipano per il 41 % al budget dell’Unione. La tematica del nucleo duro e la cooperazione euro-russa sulla base del motore franco-tedesco-russo (Parigi, Berlino, Mosca) sono i due rovesci della stessa medaglia, esse sono la chiave del controllo degli interessi strategici dell’Europa e il motore di una politica realmente europea. Parigi e Berlino sono d’altronde in grado di ispirare in modo decisivo la politica dell’Unione nei confronti della Russia. Per esempio, la Russia potrebbe aderire alla PESC e partecipare alle decisioni sulle strategie e le azioni comuni in seno al COPS (Comitato politico e di sicurezza previsto già nel Trattato di Nizza) — cosa che non comporterebbe costi elevati e sarebbe simbolicamente e strategicamente decisiva — e potrebbe inoltre partecipare alla forza di intervento rapido dell’Unione. Questa importante questione relativa alle relazioni strategiche con la Russia, ma anche quella dei rapporti con gli Stati Uniti, e quella della natura dei rapporti con la Turchia dividono attualmente l’insieme della classe politica, così come avviene per il problema del nucleo duro. Troviamo sia partigiani che oppositori di una cooperazione strategica con la Russia tanto nel Partito socialista che nell’UDF o nell’UMP, e, come già ricordato, politici di sinistra (come Dominique Strauss-Kahn, Jack Lang, Pascal Lamy, Günter Verheugen, Joschka Fischer) e conservatori (come Dominique de Villepin, sia quando era Ministro degli Esteri, sia dopo essere diventato Primo Ministro, Alain Juppé, Edouard Balladur, Jean-Louis Bourlanges, Jacques Chirac) si sono pronunciati molto chiaramente a favore del nucleo. Da parte sua, il Presidente della Commissione José Manuel Barroso ha commentato ironicamente il testo già ricordato del Presidente francese, precisando che avrebbe potuto scrivere lo stesso articolo senza la parte riguardante i gruppi pionieri. Partigiani e oppositori del nucleo duro si trovano anche in seno al PS, all’UMP, all’UDF, ai Verdi, alla CDU-CSU, alla FDP, e in generale alla maggior parte dei partiti europei.
Ma c’è un’altra linea di divisione di cui tener conto: se l’Europa dei Sei, all’inizio della costruzione europea, corrispondeva in effetti a una forma di nucleo duro, in quanto il progetto dei Padri fondatori non era esclusivamente di carattere economico ma anche politico, lungo il cammino della costruzione europea questo progetto è stato sempre meno condiviso dai nuovi arrivati.
 
La progressiva erosione del progetto dei Padri fondatori.
 
All’indomani della seconda guerra mondiale, sei paesi, che corrispondevano all’Europa carolingia, tradizionalmente in posizione centrale e più sviluppati degli altri, decisero di dar vita a una unione doganale, con l’ambizione di tramutarla in un progetto politico. Con le tre ondate successive di adesione, il progetto di unione politica dei sei paesi fondatori è stato sempre meno condiviso dai nuovi arrivati.
Il progetto iniziale dell’Europa dei Sei non riguardava che una piccola parte al centro dell’Europa occidentale, un blocco omogeneo al quale non si aggregarono né i paesi più atlantisti del Nord né quelli più poveri del Sud. Le isole britanniche e la Danimarca si sono unite a questo blocco negli anni ‘70. I vecchi paesi dell’EFTA hanno aderito (quasi costretti) per ragioni economiche, e si sono sempre distinti per il loro ritardo nei passi avanti dell’integrazione rispetto ai Sei. Nel 1957 non erano pronti, trent’anni più tardi non hanno accettato la moneta unica e per il momento si oppongono a una Europa politica. I paesi mediterranei, negli anni ‘80, si sono aggregati soprattutto per interessi economici, mentre i paesi del Nord, negli anni ‘90, lo fecero per uscire dalla loro posizione geopolitica marginale, accentuata dalla costruzione europea. A questo proposito l’Austria costituisce un’eccezione in quanto condivide gran dell’ambizioso progetto politico europeo iniziale, e avrebbe la vocazione, come il Benelux, a far parte del nucleo duro franco-tedesco, che permetterebbe di rilanciare la costruzione politica europea. I paesi dell’Europa centrale, avendo appena ritrovato la loro indipendenza, non sono disposti, per ora, a rinunciare alla sovranità di cui si sono riappropriati; essi non sono perciò maturi per il progetto politico europeo. La crisi della costruzione europea è tanto più acuta e significativa in quanto sono i paesi che approfitteranno maggiormente degli aiuti europei che respingono il progetto politico.
Anche le diverse adesioni successive non sono state motivate dal progetto politico dei Padri fondatori. Piuttosto, i nuovi aderenti sono stati mossi dalla convinzione di non avere altra scelta, non essendosi presentati come vere alternative l’EFTA o il Consiglio nordico. Dopo il primo allargamento del 1973, dunque, le nuove adesioni si sono basate su interessi esclusivamente economici, e d’altra parte i paesi che non avrebbero avuto nulla da guadagnare da questo punto di come la Svizzera o la Norvegia, hanno deciso di non aderire all’Unione.
Oggi la maggior parte dei paesi della penisola europea fa parte dell’Unione, ad eccezione della Norvegia, della Svizzera e dell’Islanda, che ne sono strettamente associate attraverso lo Spazio economico europeo. All’inizio di questo processo, il ruolo motore della Francia e della Germania (il generale de Gaulle ha scelto di darvi priorità a partire dalla fine della seconda guerra mondiale), e poi dei sei fondatori, è stato decisivo. Dal 1993, con il Trattato di Maastricht e le tre innovazioni dell’Unione economica e monetaria, della politica estera e di sicurezza comune e del sistema di Schengen, l’Europa si presenta a geometria variabile. Nel 1994 Karl Lamers e Wolfgang Schäuble hanno lanciato l’idea del nucleo duro, ripresa da quegli europei che si preoccupavano di dare esistenza e peso politico all’Europa. Poco dopo la recente bocciatura del trattato costituzionale in Francia, lo stesso Karl Lamers ha ritenuto che fosse giunto il momento di rilanciare l’Europa della difesa attraverso un nucleo duro («L’Europe de la défence en priorité», in Le Figaro, 31 maggio 2005). Non avendo l’Unione proceduto a una riforma delle istituzioni prima dell’allargamento da 15 a 25, questa prospettiva è oggi la sola che possa salvare la dinamica della costruzione dell’Europa politica, e il solo nucleo duro credibile, anche se aperto al resto d’Europa, è quello basato su Francia e Germania.
 
Quali paesi nell’avanguardia?
 
Il cuore del nucleo duro, dunque, è costituito da Francia, Germania, Belgio e Lussemburgo. Il Belgio e il Lussemburgo, grazie alla loro posizione e alla loro duplice cultura, si integrano in modo naturale al tandem franco-tedesco. Questi quattro paesi hanno spesso posizioni molto simili sulle questioni economiche (modello renano), fiscali, sul problema della difesa (riunioni di Tervuren dell’aprile 2003) o della politica estera (posizione comune sulla guerra in Iraq). Per quanto riguarda i rimanenti due dei sei paesi che hanno avviato il processo di costruzione europea, l’Italia e i Paesi Bassi, bisogna chiedersi se essi, nell’attuale situazione, hanno la vocazione a unirsi al gruppo di partenza. I Paesi Bassi, tanto sulle questioni economiche quanto su quelle di politica estera, sono molto più vicini alla posizione inglese, che si limita a pensare all’Europa come ad un’area di libero scambio senza peso politico. Quanto alla propria difesa, essi non danno la preferenza alla produzione militare comunitaria e, per esempio, recentemente hanno scelto il futuro aereo da combattimento americano (JSF). La questione dell’Italia è più complessa: è certo che gran parte della sua classe politica e della sua opinione pubblica condivide il progetto politico europeo, ma la tendenza di fondo della politica estera italiana dopo la fine della seconda guerra mondiale non va nella direzione di un nucleo duro come base di un’Europa politicamente autonoma. Questa tendenza è ancora più netta nel governo Berlusconi, molto vicino alle posizioni inglesi, al punto che la stampa si riferisce spesso all’asse Londra-Roma.
E’ d’altronde essenziale trovare il modo di far partecipare l’Europa centrale al progetto di Europa politica. Dando seguito a un mio articolo pubblicato su Le Figaro del 15 giugno 2005 («Une alternative au non à Strasbourg»), il Forum Carolus ha avanzato la proposta della creazione di una avanguardia di sei paesi,[3] aperta a quelli che vogliano aggiungersi, composta da Francia, Germania, Belgio, Lussemburgo, Ungheria e Austria,[4] pur sottolineando che solo il motore franco-tedesco (con l’aggiunta di Belgio e Lussemburgo) darebbe credibilità al progetto di rilancio politico europeo attraverso un’avanguardia.
Dopo il Consiglio europeo del dicembre 2003 e il parziale fallimento della CIG sul progetto di trattato costituzionale, e dopo che Dominique de Villepin, quando era Ministro degli Esteri, ha reso pubblici i progetti di unione franco-tedesca allo studio,[5] l’Ungheria, nel corso di una conferenza stampa a margine del Vertice europeo, ha preso ufficialmente posizione (per voce del suo Primo Ministro, Peter Medgyessy e del Ministro degli Esteri Laszlo Kovacs, attuale commissario europeo) e ha manifestato la volontà di partecipare a una avanguardia con alla base Francia e Germania. Con la partecipazione, accanto a queste ultime, di quattro piccoli paesi dell’Unione, due dell’Ovest e due dell’Europa centrale, si creerebbe un equilibrio nel gruppo dei paesi pionieri (Vienna si trova a est di Praga, anche se, per la cronaca, i viennesi parlano di «Osterweiterung», ossia di allargamento a est). Dato che la cooperazione franco-tedesca è vista con inquietudine dai paesi più piccoli, e in particolare da quelli dell’Europa centrale, conviene fare un gesto credibile di apertura verso questi paesi. L’Ungheria e l’Austria affrontano ufficialmente e sistematicamente insieme le questioni legate all’Europa centrale. Dunque, Vienna e Budapest, assicurando la continuità territoriale, proietterebbero l’avanguardia verso l’Europa centrale e orientale. D’altronde Budapest è stata il vero centro di gravità del vecchio Impero austro-ungarico, mentre anche l’Austria faceva parte del nucleo storico carolingio, e non ha potuto partecipare al progetto politico europeo dei sei paesi fondatori a causa della sua situazione ambigua, a metà tra l’Est e l’Ovest, all’indomani della seconda guerra mondiale. Oltre a come si è già sottolineato, l’Austria è stato il solo paese che, nel corso dei successivi allargamenti, ha condiviso l’originario progetto politico europeo dei Padri fondatori.
 
Ruolo di Strasburgo per l’avanguardia.
 
Strasburgo, al centro di questo disegno, e in collaborazione con le altre città che ospitano organizzazioni europee, propone ambiziosamente di rinnovare il progetto ispirato agli ideali dei Padri fondatori, costituendo un ponte, dal punto di vista culturale ed economico, fra i mondi latino e germanico, proiettato verso l’Europa centrale. Come recentemente mi ha ricordato un deputato europeo, uno sloveno, un croato, un austriaco o un abitante di Lvov a Strasburgo si sentono a casa propria. I principali think tank europei a Bruxelles, o altrove, non riescono a pensare all’Europa, e alla necessaria uscita dalla crisi, al di fuori dell’attuale forma dell’Unione, a conferma che i luoghi e gli ambienti all’interno dei quali si pensa e si agisce sono decisivi. Al di là del ponte di Kehl, la Repubblica di Berlino ha sotterrato la Repubblica di Bonn. A Strasburgo, invece, l’Europa non si confonde con l’Unione: l’Europa di Strasburgo è nello stesso tempo al di qua e al di là dell’Unione. Questa città è al centro dei futuri rilanci basati su una avanguardia, a partire dall’asse franco-tedesco, ma essa è anche la porta d’entrata storica, culturale ed economica verso l’Europa centrale, attraverso il Reno, il Danubio e l’asse Saona-Rodano (e non bisogna dimenticare che vi ha sede il Consiglio d’Europa, che comprende tutti i paesi del continente, Russia compresa, con 46 membri, e l’Assemblea delle regioni europee, con 250 aderenti).
Il Forum Carolus ha l’ambizione di fare di Strasburgo un luogo di discussione di questioni europee strategiche. Nel corso dei secoli questa città è stata nello stesso tempo angiporto e baluardo militare; oggi, dato che il rilancio non può che passare attraverso un gruppo di paesi pionieri basati sul nucleo carolingio, essa può diventare, se lo sappiamo volere, crocevia economico e centro di decisioni politiche. Per la prima volta nella sua storia, come ricorda Tomi Ungerer, Strasburgo si trova al posto giusto nel momento giusto, avendo anche la vocazion ad accogliere i futuri centri di decisione del nucleo duro.
 
Henri de Grossouvre
 


* Nella rubrica “Interventi” vengono ospitati articoli che la redazione ritiene interessanti per il lettore, ma che non necessariamente riflettono l’orientamento della rivista.
Si tratta dell’intervento al seminario sul tema: «Dopo il fallimento del trattato costituzionale europeo, come rilanciare il progetto di una Federazione europea con un gruppo di Stati?», organizzato dal Comitato per lo Stato federale europeo in collaborazione con la sezione UEF-Alsazia e tenutosi a Strasburgo il 12-13 novembre 2005.
[1] Il Forum Carolus è un think tank europeo con sede a Strasburgo (www.forumcarolus.org).
[2] Il prossimo si terrà a Budapest il 18 e 19 novembre 2005 sul tema: «Europa dell’avvenire, avvenire dell’Europa», organizzato dal Centro internazionale di formazione europea (CIFE) di Budapest.
[3] http://apres-le-non.forum-carolus.org/
[4] Henri de Grossouvre, «Alternative au NON à Strasbourg», in Le Figaro, 15 giugno 2005, e Karl Lamers, «L’Europe de la défense en priorité», in Le Figaro, 31 maggio 2005.
[5] Henri de Grossouvre, «Strasbourg, l’Union franco-allemande, et la relance de l’Europe politique», in Revue Défence Nationale, 2005, n. 3.

 

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