IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Sperare in una permanenza di armonia tra molti Stati indipendenti e slegati sarebbe trascurare il corso uniforme degli avvenimenti umani e andar contro l'esperienza accumulata dal tempo.

Hamilton, The Federalist

Anno XLV, 2003, Numero 2, Pagina 114

 

 

SOLO LA VERITA’ E’ RIVOLUZIONARIA
 
 
Un concetto che abbiamo spesso usato per interpretare il processo unitario in atto in Europa è quello della convergenza delle ragion di Stato degli Stati europei. Sulla base di esso, se correttamente inteso, diventa spiegabile la peculiarità del comportamento di un gruppo di Stati che instaurano fra di loro legami sempre più stretti e nello stesso tempo esso definisce la base oggettiva della possibilità di battersi perché il processo unitario giunga a compimento. Tuttavia esso va contestualizzato e va impiegato nel terreno che gli è proprio, che è quello dell’avvicinamento all’obiettivo federale.
Definendo con l’espressione «convergenza delle ragion di Stato» la situazione degli Stati europei dopo la seconda guerra mondiale si sottolinea la differenza fra questa situazione e quella in cui si manifesta una più generale e generica convergenza di interessi, che dà luogo a trattati e accordi fra Stati funzionali alla gestione dell’interdipendenza e, all’interno di questa, alla difesa di interessi specifici. La differenza consiste nel fatto che la prima «convergenza» investe la stessa sopravvivenza degli Stati, che sono «costretti» a collaborare in modo sempre più stretto per garantire la sicurezza economica e militare dei propri cittadini e a pensare al proprio futuro in termini unitari. Solo questo tipo di convergenza rende pensabile la battaglia per l’unificazione federale, che, in presenza di Stati ancora in grado di svolgere adeguatamente i compiti fondamentali che sono loro propri, non sarebbe una prospettiva realistica.
Sarebbe tuttavia errato ritenere che questo tipo di convergenza inneschi un processo irreversibile che porta inevitabilmente all’unione federale, per giungere alla quale, oltre a costruire, bisogna anche «distruggere». La fase della collaborazione costruisce gradatamente legami e istituzioni funzionali ad essa. La fase della «distruzione» è quella in cui si decide di superare il vecchio quadro di potere, quello nazionale, per sostituirlo con quello sovranazionale.
E’ questa la fase di gran lunga più difficile perché presuppone la concomitanza di elementi oggettivi, ad esempio un’impasse non superabile con aggiustamenti di facciata, e di elementi soggettivi, quali la consapevolezza della gravità della situazione e la volontà di superarla rinunciando a difendere posizioni e interessi consolidati.
L’attuale situazione dell’Europa e il nuovo quadro mondiale caratterizzato dal pericoloso ruolo egemonico americano contengono in effetti gravi elementi di incertezza per il futuro. L’ormai acquisito allargamento condiziona pesantemente, fino al rischio della sua scomparsa dall’orizzonte politico, la possibilità di dar vita in Europa a una entità statuale, e addirittura di gestire ordinatamente la collaborazione. Nello stesso tempo l’egemonia americana, non più finalizzata al contenimento di un nemico comune, sta diventando opprimente e, avendo gli USA riesumato la politica del divide et impera, fomenta contrapposizioni e contrasti fra gli Stati europei.
Questi non hanno saputo cogliere l’occasione offerta loro dagli Stati Uniti nell’immediato dopoguerra, quando era proprio la grande potenza vincitrice a spingere gli europei ad unirsi, a partire dalla gestione degli aiuti del Piano Marshall. Perduta questa occasione, e quella successiva della Comunità europea di difesa (CED), l’Europa è scivolata in una situazione di vassallaggio.
Ma se in passato l’egemonia americana ha garantito per lungo tempo un quadro di relativa stabilità in Europa — in cui ha potuto manifestarsi attraverso tappe progressive quella che è stata definita «unità di fatto europea» —, oggi essa produce conseguenze talmente pericolose che non dovrebbero esserci più giustificazioni al persistere di una volontà conservatrice dello status quo da parte dei governi e delle forze politiche nazionali.
Viene da chiedersi, con Altiero Spinelli, come sia possibile che «gli orgogliosi Stati europei» siano stati e siano tuttora «pronti a far getto della loro indipendenza quando si tratta di entrare in un rapporto di vassallaggio, mentre ne sono così gelosi quando si tratta di unirsi con un vincolo federale fra uguali» (vedi «Pax americana e Federazione europea», 1949, in Europa Terza forza, Bologna, Il Mulino, 2000, p. 166). La situazione di vassallaggio è in fondo il corrispettivo della semplice collaborazione: se collaborando gli Stati riescono a mantenere un potere ormai inadeguato a risolvere i problemi che si trovano a dover affrontare, accettando la protezione a garanzia della sicurezza e del benessere dei propri cittadini, essi mantengono l’apparenza della sovranità pur avendola perduta.
In realtà ci si trova di fronte, oltre alla consapevole volontà di difendere interessi e poteri costituiti, a un elemento irrazionale, a un mito che per secoli è stato alla base della vita politica europea: il mito dello Stato nazionale sovrano. E solo chi ha fatto fino in fondo la scelta federalista (una scelta di opposizione di comunità), ossia chi si è assunto come compito prioritario il superamento dello Stato nazionale, è, o dovrebbe essere, in grado di non lasciarsi condizionare dall’irrazionale, e quindi di vedere e indicare la via per questo superamento.
E’ pur vero che, nel mezzo della lotta politica, quando si cercano alleati e punti di appoggio su cui far leva per scardinare il solido edificio degli Stati nazionali, si può essere tentati di abbassare la guardia e di lasciarsi trasportare dalla corrente dominante: l’ascetismo razionale è difficile da praticare, perché «lascia nel gelo e nella solitudine chi reputa sciocchezze le sciocchezze. Ed è questo timore della solitudine che rende così scarse le fila di quelli che in questo passionalissimo campo delle questioni politiche, sociali ed economiche, vogliono esercitare l’ascetismo della ragione» (A. Spinelli, «Lettera ad Alberto Mortara», 5 agosto 1944, in Machiavelli nel secolo XX, Bologna, Il Mulino, 1993, p. 408). Ma il vero rivoluzionario è sostenuto dalla coscienza che solo le posizioni razionali hanno la possibilità, prima o poi, di imporsi, con la loro evidenza unita alla forza delle cose, come le uniche risposte ai problemi con cui il potere deve confrontarsi.
Ebbene, è proprio nel momento in cui si arriva al dunque, e l’unica alternativa da indicare è quella radicale: la rinuncia alla sovranità nazionale, che la mancanza di lucidità di fronte al difficile compito di dire la verità è un tradimento imperdonabile. «Per vincere, dobbiamo prepararci a batterci partigianamente, come dice Machiavelli, e non ad essere cauti in quel che si fa, prudenti in quel che si pensa, malsicuri in quel che si dice» (A. Spinelli, Discorsi al Parlamento europeo, Introduzione, Bologna, Il Mulino, 1987, p. 10).
 
Nicoletta Mosconi

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