IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Sperare in una permanenza di armonia tra molti Stati indipendenti e slegati sarebbe trascurare il corso uniforme degli avvenimenti umani e andar contro l'esperienza accumulata dal tempo.

Hamilton, The Federalist

Anno XLV, 2003, Numero 3, Pagina 161

 

 

DISCORSO DI ALTIERO SPINELLI AL I CONGRESSO UEF*
 
 
Non possiamo e non vogliamo celarci il fatto che i paesi capaci di prendere iniziative europee si trovano oggi esclusivamente nella zona occidentale o, per così dire, americana dell’Europa. Non vi è nulla di più triste del fatto che l’Europa ideale, l’Europa culla del diritto e della libertà, non occupi più che una parte della superficie geografica dell’Europa. E certamente questa superficie è destinata a impicciolirsi ulteriormente, e la civiltà europea diventerà un semplice ricordo storico se non si riuscirà almeno a riunire quello che di essa è rimasto.
La possibilità di sviluppare iniziative europee dove l’influenza americana è preponderante è dovuta innanzitutto al fatto che in una buona parte dell’Europa occidentale le istituzioni democratiche, benché traballanti, esistono ancora, mentre nell’Europa orientale sono completamente scomparse. Ma le possibilità di sviluppare iniziative europee dove si stende l’influenza americana dipendono ancora ed in una gran misura dalla posizione dell’America stessa. Questo paese si trova in effetti davanti ad alternative di portata storica e non ha ancora effettuato la sua scelta. L’America non può più tornare all’isolazionismo di anteguerra; essa è irrevocabilmente impegnata nella politica europea. Ma questo impegno può esplicarsi in modi assai differenti in relazione ad un giuoco complicato di azione e di reazione tra la situazione americana e la situazione europea.
Gli Stati Uniti devono riuscire a mantenere il loro alto livello di vita ed il loro ritmo di produzione e non possono riuscirvi se il resto del mondo si sprofonda nella miseria. L’America è spinta per queste ragioni verso una politica che cerca di spezzare i mercati riservati, le economie chiuse e pianificate su basi nazionali, le autarchie. Essa può perciò avere interesse ad un’Europa prospera e può indirizzarsi ai paesi europei promettendo loro il suo aiuto alla sola condizione che siano capaci di sviluppare una economia ricca, aperta ed ordinata. E’ questo il senso fondamentale del Piano Marshall; è questa una occasione che le democrazie europee dovrebbero sapere afferrare e sfruttare. Tuttavia su questo cammino l’America non può offrirci che delle opportunità. Essa può accettare la formazione di una unione europea pacifica e prospera che ridurrebbe i suoi impegni militari nel vecchio continente, che diminuirebbe la superficie di contatto e di conflitto con l’Unione Sovietica, e che le sarebbe economicamente conveniente. Ma non può costruire essa stessa tale unione, e se gli europei non saranno capaci di utilizzare queste opportunità, l’America sarà spinta ogni giorno di più ad allontanarsi dal cammino liberale ed a muoversi verso l’alternativa imperialista. Questa seconda alternativa è forte in America. Si sviluppa parallelamente all’altra ed è essa a rendere così preoccupante ogni iniziativa ed ogni intervento americano.
Se l’Europa democratica non si salverà da sé stessa, profittando delle opportunità offerte dall’America, se non svilupperà istituzioni federali sul terreno politico ed economico, prevarrà la politica dell’imperialismo americano.
Se gli Stati Uniti dovranno mantenere le loro posizioni di forza in una Europa incapace di vita autonoma normale, dovranno trasformare ogni paese in protettorato economico, politico e militare, sfruttandolo a seconda dei casi in questo o quel modo, o concedendogli tale o tale altro privilegio. E’ questo il modo in cui gli imperi nascono. L’America liberale esiste ed opera ancora, ma è in procinto di cedere lentamente il posto ad un’America imperialista. Quando questo processo si sarà compiuto, le occasioni di salvezza saranno finite per l’Europa democratica.
Ad una tale prospettiva di azione federalista, si rimprovera normalmente di mirare ad un blocco dell’Europa occidentale al servizio dell’America ed in funzione antisovietica. Molti federalisti si lasciano intimidire da questa accusa ed abbandonano il terreno della realtà per rifugiarsi nelle nuvole delle vane speranze.
Questi rimproveri vanno nettamente respinti. Federare le democrazie europee è il solo mezzo per impedire che questi paesi divengano protettorati e strumenti di una politica imperialista americana; è il solo mezzo per impedire che una politica imperiale e colonizzatrice americana si sviluppi e si consolidi in Europa. E se ci sono molti americani favorevoli ad uno sviluppo federale europeo, non sono gli americani imperialisti, ma al contrario quelli che, temendo un avvenire imperialista per il loro paese, desiderano la creazione di una situazione europea che possa evitarlo.
Una Federazione europea anche parziale avrà di fronte all’America quell’indipendenza che gli Stati europei dell’occidente isolati non possono più avere. E perciò essa è in grado di respingere più lontano e di fare infine scomparire la nefasta politica delle zone d’influenza. Il nucleo iniziale di una Federazione europea deve infatti restare aperto per tutti gli altri popoli europei, perché dovrà riconquistare pacificamente ma progressivamente ai valori ed alle istituzioni della civiltà democratica i paesi che se ne sono allontanati, e che possono ritrovarli solo in una situazione europea disintossicata ed organizzata su leggi di giustizia e di pace. In altri termini la soluzione federalista è indubbiamente antitetica all’imperialismo sovietico, perché una Federazione europea avrebbe il compito di correggere e di fare infine scomparire tutte queste costruzioni imperialiste di zone d’influenza, di controlli, di sipari di ferro, ecc., ma lo è allo stesso titolo per cui è antitetica all’imperialismo americano.
Se oggi è possibile prospettarsi i primi sviluppi federali solo nei paesi in cui prevale l’influenza americana, ciò è dovuto solamente al fatto che tanto in questi paesi quanto in America ci sono possibilità di azione antiimperialista ed antitotalitaria che nell’Est non esistono più, ma che speriamo si riformeranno.
E’ probabile che queste occasioni di iniziare la costruzione federale dell’Europa democratica esisteranno per alcuni anni ancora. L’intervento dei grandi imperi mondiali costituisce senza dubbio un ostacolo, ma, nella misura in cui non è ancora completo, pone agli europei il tema della loro unificazione con una urgenza che può essere salutare.
Avendo così delimitato e precisato le possibilità concrete di realizzazione dell’unione europea, dobbiamo riconoscere che se nulla ancora è stato realizzato in Europa in questo senso la grave responsabilità pesa sulle classi politiche dirigenti dei paesi democratici. Uomini nuovi, forze nuove si sono presentate sulla scena politica. Si sarebbe potuto sperare che le recenti disgrazie avessero loro fatto comprendere l’assurdità di restaurare semplicemente le antiche sovranità nazionali. Avrebbero dovuto comprendere che il veleno totalitario non era un triste privilegio della Germania, dell’Italia e di qualche altro popolo, ma che opera, più o meno latente, nel seno di tutti i paesi d’Europa, forse senza eccezione, e che la guerra stessa, malgrado il suo programma antifascista, ha rinforzato gli elementi totalitari e antidemocratici esistenti nell’organizzazione di ogni paese.
Si è invece tentato di ignorare questi fatti e di effettuare restaurazioni democratiche su di una base esclusivamente nazionale. La conseguenza è stata che si è ben potuto effettuare un certo processo superficiale di democratizzazione, ma che in realtà non si è potuto dare a queste democrazie una base solida. Le assurdità si sono aggiunte alle assurdità, e nessuno dei problemi più gravi dell’ora attuale ha potuto essere affrontato seriamente.
Si sono mantenute e sviluppate le economie autarchiche e le pianificazioni nazionali, si sono ricostruiti gli eserciti nazionali, si sono alimentati i sospetti, i rancori, gli odi nazionali. Oggi ogni popolo europeo è piegato su sé stesso, povero, malato, incerto del proprio avvenire, incapace di risollevarsi, obbligato ad appoggiarsi sempre più su strutture politiche ed economiche profondamente antidemocratiche.
Su questa base non vi è avvenire per una civiltà democratica. Se le si vuole riconquistare un avvenire, tutto il piano di azione politica deve essere modificato. Le divisioni politiche tradizionali che incontriamo nella vita politica di ogni paese non hanno più un vero e profondo significato. Quale che sia l’etichetta esteriore dobbiamo considerare come appartenenti ad una stessa corrente intrinsecamente antidemocratica tutti i gruppi che considerano come loro compito principale la ricostruzione e la conservazione degli Stati nazionali sovrani. Anche se non se ne rendono conto essi sono i becchini delle libertà civili e del benessere, sono i servitori del Leviatan moderno, dello Stato sovrano onnipotente e totalitario.
E quale che sia l’etichetta esteriore che resta loro ancora attaccata, bisogna considerare come appartenenti alla stessa élite politica progressista tutti coloro che hanno deciso di spezzare questo idolo dello Stato nazionale, di limitare la sua sovranità assoluta e di creare organi federali capaci di amministrare gli interessi comuni degli europei.
La presenza in questo Congresso di uomini appartenenti ai più diversi partiti è la prova che la coscienza di una nuova linea di divisione politica comincia a formarsi. Si tratta di decidere chi è per l’Europa libera e chi è contro. Il dovere dell’UEF è precisamente quello di approfondire una tale coscienza e di farne una realtà della vita politica europea.
La grande posta in gioco non è un governo di sinistra o di destra in tale o tale paese. La posta è la rinascita della libera civiltà democratica europea che può avere luogo solo sulla base di una Europa unita.


* Dietro suggerimento di John Pinder, Presidente d’onore dell’Unione europea dei federalisti e Presidente di Federal Trust, pubblichiamo una parte del discorso tenuto da Altiero Spinelli al I Congresso UEF del 27 agosto 1947, pubblicato in Altiero Spinelli, Dagli Stati sovrani agli Stati Uniti d’Europa, Firenze, La Nuova Italia, 1950 e, tradotto dallo stesso Pinder, ripubblicato nel 3° volume di Documents on the History of European Integration, a cura di Walter Lipgens. Questo discorso, oltre a dimostrare la saggezza di Spinelli, è di particolare attualità in questa fase del processo di unificazione europea in cui emerge con particolare evidenza la necessità di creare una federazione in grado di condurre una efficace ed autonoma politica estera e di difesa.

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