IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Sperare in una permanenza di armonia tra molti Stati indipendenti e slegati sarebbe trascurare il corso uniforme degli avvenimenti umani e andar contro l'esperienza accumulata dal tempo.

Hamilton, The Federalist

Anno LII, 2010, Numero 3, Pagina 213

 

 

SAINT-SIMON
 
 
Nell’ottobre del 1814 veniva pubblicata a Parigi un’opera di un centinaio di pagine che, dopo un fugace successo, sarebbe caduta nell’oblio per un secolo. Il lungo titolo dell’opera era di per sé già un anticipo dei contenuti: “Della riorganizzazione della società europea ovvero della necessità e dei mezzi per unire i popoli europei in un sol corpo politico conservando le rispettive indipendenze nazionali, di M. le Comte de Saint-Simon e del suo allievo Augustin Thierry”.
L’avant-propos dell’opera non è firmato, ma nessuno dei contemporanei di Claude Henri de Rouvroy, Comte de Saint-Simon (1760-1825) conoscendo la sua vita, le sue proposte di riforma, audaci per l’epoca, in campo sociale ed economico, le sue ambizioni di voler riorganizzare il mondo ed essere una sorta di profeta della nuova società che si andava plasmando sotto la spinta della rivoluzione francese, delle nuove scoperte scientifiche e dell’avvento della produzione industriale, poteva dubitare che quanto vi era esposto fosse stato pensato, scritto (o dettato) da lui. Un breve cenno alla vita di questo eclettico personaggio settecentesco può essere utile per inquadrare la lettura dei brani che qui proponiamo. Certamente Saint-Simon resta più noto come precursore del movimento socialista, come fautore di un approccio scientifico ai problemi sociali e politici e punto di riferimento di una corrente di pensiero a cui poi si ispirarono migliaia di persone in Europa e nel mondo, piuttosto che come precursore dell’idea di unire l’Europa. In ogni caso il sansimonismo è stata una corrente di pensiero che ha influenzato almeno tre generazioni di europei nel corso dell’Ottocento anche sul terreno politico, come testimonia il fatto che erano di formazione sansimoniana anche alcuni sostenitori della corrente federalista all’interno del movimento per la pace come Charles Lemonnier.[1]
Allievo di D’Alembert, Saint-Simon manifestò fin da giovanissimo il suo interesse per lo spirito filosofico degli illuministi. Intellettualmente curioso e desideroso di conoscere il mondo, diciassettenne prese parte alla guerra di indipendenza americana dove con gli altri compagni della nobiltà francese (les Américains, come sarebbero poi stati indicati a Parigi i reduci di quell’esperienza), restò molto impressionato da una società fortemente impregnata dei valori liberali inglesi, come quella delle colonie nord americane, senza titoli e nobiltà (fatto questo che per il giovane Henri, che proveniva da una famiglia in cui era vivo il mito di discendere addirittura da Carlo Magno, costituì una rivelazione). Prese parte alla battaglia finale di Yorktown sotto il comando di Lafayette e ritornò in Francia con il grado di colonnello, ma si congedò dalla vita militare nel 1785. Successivamente fu protagonista di diverse imprese, che contribuirono ad accrescerne la fama, almeno agli occhi dei suoi contemporanei, di utopista oltre che di avventuriero di scarsa fortuna: per esempio collaborò all’organizzazione di una spedizione militare franco-olandese contro le colonie inglesi in India, che fallì; a Madrid lavorò per il governo spagnolo per la costruzione di un canale, mai realizzato, per collegare la capitale all’Atlantico attraverso il Guadalquivir. Nel 1789 la rivoluzione interruppe bruscamente questa vita di ricco nobile un po’ filosofo, un po’ scienziato, un po’ viaggiatore. Dopo essere stato imprigionato su ordine del Tribunale rivoluzionario e aver rischiato la ghigliottina, venne eletto nel novembre di quell’anno presidente dell’assemblea elettorale di Falvy (nel dipartimento della Somme), e rivolse queste parole ai suoi elettori: “Spero non mi abbiate eletto per rispetto al mio titolo, perché non ci sono più signori, miei signori; siamo tutti uguali; e per evitare che il titolo di conte vi faccia credere che io goda di maggiori diritti di voi, da questo momento rinuncio al mio titolo, che ormai considero inferiore a quello di citoyen”.[2] Successivamente a Parigi fondò una società di trasporti, l’Etablissement Saint-Simon, grazie alla quale fece fortuna, che gli consentì di condurre per qualche anno una vita degna di un re. Nel 1797, entrato in contrasto con i soci dell’impresa, il corso della sua vita cambiò ancora una volta e, a trentasette anni, decise di rivolgere i suoi interessi agli studi e alla scienza: “Studiare le forme in cui si esprime lo spirito umano, per lavorare al perfezionamento della civiltà… Questo diventò l’obiettivo della mia vita al quale da allora mi dedicai senza tregua, senza risparmiare le mie forze”. Da quel momento Saint-Simon ricominciò a studiare. Frequentò fino al 1802 i corsi dell’Ecole polytechnique, poi quelli di medicina. “Incominciai ad usare il denaro che avevo accumulato per comprare scienza. Gran vecchio buon vino il denaro, molto utile nei confronti dei professori ai quali aprii la mia borsa, che mi offrirono tutte le facilitazioni di cui avevo bisogno”.[3] Nella sua ricca abitazione intanto riceveva regolarmente i massimi esponenti della scienza matematica e medica di allora oltre che della cultura parigina. Istituì dei corsi gratuiti per i giovani e aiutò direttamente alcuni di loro a portare a termine gli studi. Nel 1802, finita la guerra e proclamato il consolato a vita di Napoleone, sembrava che la Francia e l’Europa finalmente fossero entrate in un periodo di stabilità e pace. In questa ottica nel 1803 a Ginevra Saint-Simon pubblicava le Lettres d’un habitant de Genève, in cui auspicava la nascita di un nuovo ordine mondiale fondato su una religione scientifica basata sulle verità svelate da Newton, e governato da illustri personalità da scegliere nel mondo della scienza e della cultura da eleggere a suffragio universale, con l’incarico di promuovere la pace, il progresso e la felicità. Per la prima volta in quelle lettere Saint-Simon evocava il ruolo dell’Europa e degli Europei, non senza quegli orgogliosi accenti di superiorità razziale nei confronti degli altri continenti che riflettevano i sentimenti dominanti tra gli Europei dell’epoca. Ma nel giro di pochi anni, il sogno del prossimo avvento di una società in cui pace, giustizia e benessere si sarebbero affermati si infranse con nefaste conseguenze sia per l’Europa sia per la vita privata di Saint-Simon. Le guerre infatti ripresero e Saint-Simon, spesa nel frattempo la sua fortuna e ridotto in miseria, fu costretto per sopravvivere a lavorare come copista per il Monte di Pietà. Non per questo rinunciò agli studi e a formulare nuovi progetti. Aiutato da un ex domestico, cercò di pubblicare una nuova enciclopedia. Nel 1813, ormai da tempo crollate le illusioni di essere alla vigilia di una rivoluzione sociale e politica, con Napoleone sconfitto e la Francia in procinto di essere invasa, Saint-Simon tornò sulle questioni europee, accollandosi questa volta il ruolo, non richiesto, di consigliere del Principe. Rivolse così uno scritto a Napoleone suggerendogli di rinunciare alle sue conquiste in modo da convincere l’Inghilterra a togliere il blocco navale che stava strangolando l’Europa. Cercò poi con altri scritti di suscitare una presa di coscienza del ruolo che avrebbero potuto giocare i membri di quella comunità scientifica a cui aveva un tempo guardato con tante speranze per migliorare il mondo, rivolgendole queste parole: “L’umanità vive una delle maggiori crisi mai viste… Cosa state facendo per risolverla? L’Europa affonda, che fate per porre fine a questo macello? Niente … Anzi contribuite a perfezionare i mezzi di distruzione e suggerite come impiegarli”.[4] Dopo essere entrato in contatto con il giovane insegnante di belle lettere, l’allora diciottenne Augustin Thierry, a cui propose di diventare suo segretario, nel 1814 scrisse il saggio sulla Riorganizzazione della società europea rivolto ai partecipanti al Congresso di Vienna.
Il testo, di cui pubblichiamo alcuni significativi passaggi sulla necessità di creare un parlamento europeo, è emblematico della personalità, delle intuizioni e delle contraddizioni di Saint-Simon. Un uomo del Settecento profondamente segnato dagli avvenimenti e dalle tragedie della sua epoca, convinto dai fatti della necessità di fare dell’Europa un continente di pace, a partire proprio dai due paesi che allora, più degli altri, si erano combattuti e che fino ad allora, prima degli altri, avevano introdotto la forma di governo parlamentare, la Francia e l’Inghilterra; un uomo che aveva come bagaglio culturale e politico il Progetto per rendere la pace perpetua in Europa dell’ Abbé de Saint-Pierre[5] ma che, nonostante gli studi, non aveva preso piena conoscenza degli scritti di Kant e dei federalisti americani. I tempi del resto non erano maturi per tenere sul campo a lungo una battaglia per unire l’Europa. Altre emergenze stavano per apparire all’orizzonte, a partire dalla questione nazionale tedesca, della quale, secondo Saint-Simon, avrebbe dovuto occuparsi il nuovo parlamento europeo, in quanto rappresentava un potenziale pericolo per la pace in Europa: “La Francia poteva essere salvata dall’Inghilterra; e l’Inghilterra le ha rifiutato il suo aiuto. Invece di spegnere il fuoco, essa ha cercato di aumentarlo ancora: la Francia è stata inondata di sangue. Quello che sono stati l’Inghilterra e la Francia, la Germania lo è oggi: gli stessi mali la minacciano, gli stessi soccorsi possono salvarla. V’è di più… [la Germania] non solo deve cambiare la sua costituzione, è anche necessario che si riunisca in un corpo solo e riunisca, sotto un medesimo governo, una moltitudine di governi sparsi. La Germania divisa è in balia di tutti; solo con l’unione può diventare potente. La prima opera del parlamento anglo-francese deve essere quella di affrettare la riorganizzazione della Germania… Quando sarà giunto il tempo in cui la società anglo-francese si sarà accresciuta con la riunione della Germania; in cui un parlamento, comune alle tre nazioni, sarà stato costituito, la riorganizzazione del resto dell’Europa diverrà più pronta e facile… Allora i principî del parlamento diverranno più liberali, le sue operazioni più disinteressate, la sua politica più favorevole al resto delle nazioni”.[6] Ma la storia stava per imboccare un’altra strada. E, ironia della storia europea, oggi il ruolo trainante per promuovere l’unione politica dell’Europa dovrebbe essere assunto proprio ancora dalla Francia e dalla Germania riunificata. Nel 1815, una volta chiusa la prospettiva di riorganizzare su basi nuove l’Europa, a Saint-Simon non restò che tornare a formulare nuovi utopistici progetti di riforma della nascente società industriale basati su di un uso razionale delle scienze naturali ed umane, volti promuovere la formazione di altri giovani. Le sue profetiche parole sarebbero tornate d’attualità solo un secolo più tardi, dopo le carneficine della prima guerra mondiale. Solo nel 1925 il suo scritto sull’Europa sarebbe stato ripubblicato in Francia da Henri de Jouvenel. Quello stesso anno, il presidente del governo francese Edouard Herriot dichiarava all’Assemblea nazionale: “ Il mio più grande desiderio è quello di veder nascere un giorno gli Stati Uniti d’Europa”. Egli rispondeva in questo modo alla lettera indirizzata a tutti i parlamentari francesi dal Conte Coudenhove-Kalergi per sollecitarli a sostenere l’unione continentale proposta dal Manifesto di Paneuropa. Poi, sul progetto parlamentare europeo di Saint-Simon, di nuovo l’oblio, fino a dopo la seconda guerra mondiale.
 
 
 
LA RIORGANIZZAZIONE DELLA SOCIETA’ EUROPEA*
 
LIBRO I
 
DELLA MIGLIOR FORMA DI GOVERNO:
SI DIMOSTRA CHE LA FORMA PARLAMENTARE E’ LA MIGLIORE
 
CAPITOLO I
 
Idea di quest’opera
 
Dopo una convulsione violenta, l’Europa teme nuove sciagure e sente il bisogno di un riposo duraturo; i sovrani di tutte le nazioni europee si riuniscono per darle la pace. Tutti sembrano desiderarla, tutti sono celebri per saggezza e tuttavia non giungeranno al punto ove vogliono arrivare. Mi sono chiesto perché tutti gli sforzi politici erano impotenti contro i mali dell’Europa e mi sono accorto che per essa non vi era salvezza se non in una riorganizzazione generale.
Ho meditato un piano di riorganizzazione e l’esposizione di esso costituisce l’argomento di quest’opera.
Per prima cosa fisserò i principî sui quali deve riposare l’organizzazione dell’Europa, poi farò l’applicazione dei principî e infine troverò nelle presenti circostanze dei mezzi per iniziarne l’esecuzione. Così la prima parte dovrà essere un po’ astratta, la seconda meno della prima, e la terza meno della seconda, giacché in questa si farà parola solo di avvenimenti che noi abbiamo sotto gli occhi, e nei quali siamo tutti o attori o spettatori.
 
 
CAPITOLO II
 
Sul congresso
 
Un congresso è ora riunito a Vienna: che farà? Che potrà fare? Questo cercherò di esaminare.
Il ristabilire la pace fra le potenze dell’Europa col regolare le pretese di ognuna e conciliare gli interessi di tutte è lo scopo di questo congresso. Si deve sperare che questo scopo sarà raggiunto? Non lo credo ed ecco su quali ragioni io fondo questa congettura.
Nessun membro del congresso sarà incaricato di considerare le cose dal punto di vista dell’interesse generale, né alcuno sarà autorizzato a farlo. Ognuno, deputato d’un re o d’un popolo, da lui dipendente e ricevendo tutto da lui, diritti, poteri, missione, presenterà il piano di politica particolare della potenza che egli è chiamato a rappresentare e dimostrerà che questo piano conviene agli interessi di tutti.
Da ogni parte, l’interesse particolare sarà dato come misura dell’interesse generale.
Volere che l’Europa sia in pace ad opera dei trattati e dei congressi è volere che un corpo sociale sussista con le convenzioni e gli accordi: dalle due parti necessita una forza coattiva che unisca la volontà, concerti i movimenti, renda gli interessi comuni e solidi gli impegni.
Noi diamo mostra di un superbo disprezzo per i secoli detti del medio evo; vi vediamo solo un tempo di barbarie stupida, d’ignoranza grossolana, di superstizioni disgustose e non badiamo al fatto che è l’unica epoca in cui il sistema politico dell’Europa è stato fondato sulla sua vera base, su una organizzazione generale.
Non dico che i papi non fossero avidi di potere, intriganti, despoti più occupati a servire la loro ambizione che a contenere quella dei re; che il clero non si ingerisse nelle querelles dei principi e non abbrutisse i popoli per tiranneggiarli più impunemente. Tutti questi mali, tristi frutti dei tempi d’ignoranza, non distruggevano quello che di salutare aveva quella istituzione: finché essa fu in piedi, si ebbero poche guerre in Europa e queste guerre furono di poca importanza.
Appena la rivoluzione di Lutero ebbe fatto cadere il potere politico del clero, Carlo V concepì quel progetto di dominio universale, che dopo di lui fu tentato da Filippo II, da Luigi XIV e dal popolo inglese e sorsero delle guerre di religione, che ebbero termine con la guerra dei trent’anni, la più lunga di tutte le guerre.
Malgrado tanti esempi così significativi, il pregiudizio è stato tale che i più grandi talenti non hanno potuto lottare contro di esso. Tutti fanno datare dal XVII secolo il sistema politico dell’Europa; tutti hanno considerato il trattato di Westfalia come il vero fondamento di quel sistema.
E tuttavia bastava esaminare ciò che è avvenuto dopo di allora per sentire che l’equilibrio delle potenze è la combinazione più falsa che possa esser fatta, poiché la pace aveva per scopo ed ha prodotto unicamente guerre, e quali guerre!
Due uomini soli hanno visto il male e si sono avvicinati al rimedio: Enrico IV e l’abate di Saint-Pierre; ma l’uno morì prima d’aver compiuto il suo disegno che dopo di lui fu dimenticato; l’altro, per aver promesso più di quanto potesse dare, fu trattato da visionario.
Certo, non è una chimera l’idea di legare tutti i popoli europei attraverso una istituzione politica, giacché per sei secoli un simile ordine di cose è esistito, e per sei secoli le guerre furono più rare e meno terribili.
 
[...]
LIBRO SECONDO
 
TUTTE LE NAZIONI DELL’EUROPA DEVONO ESSERE GOVERNATE DA UN PARLAMENTO NAZIONALE E PARTECIPARE ALLA FORMAZIONE D’UN PARLAMENTO GENERALE CHE DECIDA INTORNO AGLI INTERESSI COMUNI DELLA SOCIETA’ EUROPEA
 
CAPITOLO I
 
Della nuova organizzazione della società europea
 
Ho analizzato l’antica organizzazione dell’Europa, mostrandone i vantaggi e i difetti, e ho indicato i mezzi che permettevano di conservare gli uni sfuggendo agli altri. Ho poi dato la dimostrazione che se vi è una forma di governo buona in se stessa, questo governo altro non è che la costituzione parlamentare. Questi dati conducono naturalmente alla seguente conclusione.
Si sostituisca dovunque nell’antica organizzazione la forma di governo parlamentare alla forma gerarchica o feudale: con questa semplice sostituzione si otterrà una organizzazione nuova più perfetta della prima e non più passeggera come essa, risultando la sua bontà non da un certo stato dello spirito umano destinato a cambiare col tempo, ma dalla natura delle cose che non varia mai.
Così, riassumendo tutto quanto fin qui ho detto, l’Europa avrebbe la migliore costituzione possibile, se tutte le nazioni che essa racchiude, governate ciascuna da un parlamento, riconoscessero la supremazia di un parlamento generale posto al di sopra di tutti i governi nazionali e investito del potere di giudicare i loro contrasti.
Non parlerò qui dell’istituzione dei parlamenti nazionali: si sa per esperienza quale deve esserne l’organizzazione; indicherò solo come può essere composto il parlamento generale dell’Europa.
 
 
CAPITOLO II
 
Della Camera dei deputati del parlamento europeo
 
Ogni uomo, in qualsiasi paese sia nato e di qualunque Stato sia cittadino, contrae sempre attraverso l’educazione, le amicizie e attraverso gli esempi che gli si offrono innanzi, alcune abitudini più o meno profonde di spingere lo sguardo al di là dei limiti del proprio benessere personale e di confondere il proprio interesse nell’interesse della società di cui è membro.
Risultato di questa abitudine, rafforzata e trasformata in sentimento, è una tendenza a generalizzare i propri interessi, cioè il vederli sempre racchiusi e compresi nell’interesse comune: questa inclinazione, che talvolta si fa debole ma giammai si annulla, costituisce ciò che si chiama il patriottismo.
In ogni governo nazionale, se è buono, il patriottismo che ogni individuo reca in esso nell’istante in cui ne diviene membro, si cambia in spirito o volontà di corpo, essendo l’attributo necessario di un buon governo appunto questo, che l’interesse dei governi sia ad un tempo anche l’interesse della nazione.
Questa volontà di corpo costituisce l’anima del governo, fa sì che tutte le nazioni vi sono unite e concertati tutti i movimenti, che tutto cammini verso un medesimo scopo e tutto risponda al medesimo impulso.
Come per i governi nazionali, lo stesso avviene per il governo europeo: non può agire senza una volontà comune a tutti i suoi membri.
Ora, questa volontà di corpo che, in un governo nazionale, nasce dal patriottismo nazionale, nel governo europeo può provenire solo da una maggiore generalità di opinioni, da un sentimento più esteso che si può chiamare il patriottismo europeo.
E’ l’istituto che forma gli uomini, dice Montesquieu; così, questa inclinazione che fa uscire il patriottismo fuori dei confini della patria, questa abitudine a considerare gli interessi dell’Europa, in luogo di quelli nazionali, sarà per coloro che devono formare il parlamento europeo un frutto necessario del suo realizzarsi.
E’ vero; ma anche sono gli uomini che fanno gli istituti e questi non possono sorgere e stabilirsi se non li trovano del tutto formati in anticipo, o almeno preparati ad esserlo.
E’ dunque una necessità l’ammettere nella Camera dei deputati del parlamento europeo, cioè in uno dei due poteri attivi della costituzione europea, unicamente uomini che, per relazioni più estese, per abitudini meno circoscritte nel cerchio delle abitudini natìe, per opere la cui utilità non è limitata agli usi nazionali ma si diffonde su tutti i popoli, sono maggiormente capaci di giungere ben presto a quella generalità di opinioni che deve essere lo spirito di corpo, a quell’interesse generale che deve essere l’interesse di corpo del parlamento europeo.
Solo dei commercianti, dei dotti, dei magistrati e degli amministratori devono esser chiamati a comporre la Camera dei deputati del grande parlamento.
E in realtà tutto quanto concerne gli interessi comuni alla società europea può essere ricondotto alle scienze, alle arti, alla legislazione, al commercio, all’amministrazione e all’industria.
Per ogni milione di uomini in Europa che sappiano leggere e scrivere, dovranno essere mandati alla Camera dei comuni del grande parlamento un negoziante, un dotto, un amministratore e un magistrato. Così, supponendo che in Europa vi siano sessanta milioni di persone che sappiano leggere e scrivere, la camera sarà composta di 240 membri.
Le elezioni di ciascuno dei membri saranno fatte dalla corporazione della quale egli farà parte. Tutti saranno nominati per dieci anni.
Ogni membro della camera dovrà possedere almeno una rendita fondiaria di venticinquemila franchi.
E’ vero che è la proprietà a fare la stabilità del governo, ma sol quando la proprietà non è separata dalla cultura e dall’intelligenza: il governo chiami nel suo seno e renda partecipi della proprietà quei non proprietari che un brillante merito distingue, affinché l’ingegno e il possesso non siano divisi; giacché il talento, che è la più grande forza, anzi la forza più attiva, invaderebbe ben presto la proprietà, se non fosse unito con essa.
Così, ad ogni nuova elezione, venti membri scelti fra i saggi, i negozianti, magistrati, o amministratori non proprietari che più si distinguono, dovranno essere ammessi alla Camera dei comuni del parlamento europeo e ricevere la dotazione di venticinquemila franchi di rendita fondiaria.
 
 
CAPITOLO III
 
Della Camera dei pari
 
Allo stesso modo, che ogni pari d’un parlamento nazionale deve avere delle ricchezze che lo rendano notabile nel paese che egli abita, così tutti i pari del parlamento europeo dovranno avere ricchezze tali che li rendano nell’Europa intiera degni di nota.
Ogni pari d’Europa dovrà possedere cinquecentomila franchi almeno di rendita fondiaria.
I pari saranno nominati dal re. Il numero non sarà limitato.
La paria sarà ereditaria.
Vi saranno nella Camera dei pari venti membri che saranno presi fra gli uomini o i discendenti di uomini che con i loro lavori nelle scienze, nell’industria, nella magistratura o nell’amministrazione, avranno fatto le cose giudicate più utili alla società europea.
Questi membri riceveranno in dotazione dal parlamento europeo una rendita fondiaria di cinquecentomila franchi.
Oltre i venti che saranno nominati all’inizio, un nuovo pari sarà eletto e riceverà la dotazione ad ogni rinnovo del parlamento.
 
 
CAPITOLO IV
 
Del re
 
La scelta del capo supremo della società europea è d’una tale importanza ed esige una scelta così scrupolosa che ne ho riservato la discussione per una seconda opera che deve apparire più tardi e sarà il complemento di questa.
Il re del parlamento europeo deve essere il primo a insediarsi nelle sue funzioni e determinare poi la formazione delle due Camere: da lui deve aver inizio l’azione, perchè l’istituzione del grande parlamento si faccia senza rivoluzione e senza turbamenti.
La dignità regale deve essere ereditaria.
 
 
CAPITOLO V
 
Azione interna od esterna del grande parlamento
 
Ogni questione che sia d’interesse generale per la società europea sarà portata innanzi al grande parlamento e da esso esaminata e risolta. Sarà esso il solo giudice delle controversie che potranno sorgere fra i governi.
Se una qualsivoglia parte della popolazione europea, sottoposta a un governo qualunque, volesse formare una nazione distinta, o entrare nella giurisdizione d’un governo straniero, sarà il parlamento europeo a decidere. E deciderà non nell’interesse dei governi, ma in quello dei popoli proponendosi per scopo la migliore organizzazione possibile della confederazione europea.
Il parlamento europeo dovrà avere, esercitandone la sovranità esclusiva, la proprietà di una città e del suo territorio.
Il parlamento avrà il potere di riscuotere dalla confederazione tutte le imposte che giudicherà necessarie.
Tutte le imprese che abbiano un’utilità generale per la società europea le dirigerà il grande parlamento: così, per esempio egli congiungerà con due canali il Danubio al Reno, il Reno al Baltico, ecc.
Senza attività al di fuori, non vi è tranquillità all’interno. Il mezzo più sicuro di mantenere la pace nella confederazione sarà il portarla incessantemente al di fuori e il tenerla senza posa occupata con dei grandi lavori all’interno. Popolare il globo della razza europea, che è superiore a tutte le altre razze umane; renderlo praticabile e abitabile come l’Europa, ecco l’impresa con la quale il parlamento europeo dovrà continuamente esercitare l’attività dell’Europa e tenerla sempre in lena.
L’istruzione pubblica in tutta l’Europa sarà messa sotto la direzione e la sorveglianza del grande parlamento.
A cura del grande parlamento sarà redatto, per essere insegnato in tutta l’Europa, un codice di morale tanto generale che nazionale e individuale. In esso sarà dimostrato che i principi sui quali riposerà la confederazione europea sono i migliori, i più solidi, i soli capaci di dare alla società la massima felicità, che le sia consentito e dalla natura umana e dallo stato del suo sviluppo civile e intellettuale.
Il grande parlamento permetterà l’intiera libertà di coscienza e il libero esercizio di tutte le religioni; ma reprimerà quello i cui principi fossero contrari al grande codice di morale che è stato stabilito.
Così fra i popoli europei vi saranno gli elementi che costituiscono il legame e la base di ogni associazione politica: conformità d’istituti, unione d’interessi, rapporto di massime, comunità di morale e di istruzione pubblica.
 
[...]
LIBRO TERZO
 
LA FRANCIA E L’INGHILTERRA, AVENDO LA FORMA DI GOVERNO
 PARLAMENTARE, POSSONO E DEVONO FORMARE UN PARLAMENTO COMUNE,
INCARICATO DI REGOLARE GLI INTERESSI DELLE DUE NAZIONI.
AZIONE DEL PARLAMENTO ANGLO-FRANCESE SUL RESTO DEI POPOLI DELL’EUROPA
 
 
CAPITOLO I
 
Dell’istituzione del parlamento europeo; dei mezzi per affrettare questa istituzione
 
Gli uomini possono per lungo tempo non riconoscere ciò che è per essi utile, ma arriva sempre il tempo in cui la loro mente si illumina e ne fa uso.
I Francesi si sono dati la costituzione inglese, e successivamente tutti i popoli dell’Europa se la daranno, a misura che saranno abbastanza illuminati, per apprezzarne i vantaggi.
Ora il tempo in cui tutti i popoli europei saranno governati dai parlamenti nazionali è incontestabilmente il tempo in cui il parlamento generale potrà stabilirsi senza ostacoli.
Sono così evidenti le ragioni di questa asserzione, che mi sembra inutile esporle.
Ma questa epoca è lontana ancora da noi, e guerre spaventose, rivoluzioni molteplici devono affliggere l’Europa durante l’intervallo che ci separa da essa.
Che fare per allontanare dall’Europa queste nuove sciagure, tristi frutti della disorganizzazione nella quale essa persisterebbe? Ricorrere all’arte e trovare, in un tempo abbastanza prossimo, dei mezzi di distruggerne la causa.
Riprendo ciò che ho detto.
L’istituzione del parlamento europeo avverrà senza difficoltà non appena tutti popoli dell’Europa vivranno sotto il regime parlamentare.
Ne segue che si potrà cominciare a stabilire il parlamento europeo tosto che la parte della popolazione europea sottomessa al governo rappresentativo sarà superiore di forza a quella che rimarrà sottoposta a dei governi arbitrarî.
Ora, questo stato dell’Europa altro non è che lo stato presente delle cose: gli Inglesi e i Francesi sono indubbiamente superiori di forza al resto dell’Europa, e gli Inglesi e i Francesi hanno la forma di governo parlamentare.
E’ dunque possibile fin da ora iniziare la riorganizzazione dell’Europa.
Gli Inglesi e i Francesi entrando in società stabiliscano fra loro un parlamento comune; lo scopo principale di questa società sia quello di ingrandirsi attirando a sé gli altri popoli; per conseguenza il governo anglo-francese favorisca presso tutte le nazioni i fautori della costituzione rappresentativa; li sostenga con tutto il suo potere, affinché istituiscano dei parlamenti presso tutti i popoli sottoposti a delle monarchie assolute; ogni nazione, dal momento che avrà adottato la forma di governo rappresentativo, possa unirsi alla società e deputare al parlamento comune dei membri presi fra essa: se si avrà cura di far ciò, l’organizzazione dell’Europa si compirà insensibilmente senza guerre, senza catastrofi, senza rivoluzioni politiche.
 
 
CAPITOLO II
 
Del parlamento anglo-francese
 
La composizione del parlamento anglo-francese non dovrà essere diversa da quella da me proposta per il grande parlamento europeo.
I Francesi avranno il terzo della rappresentanza; ossia l’Inghilterra dovrà fornire due deputati e la Francia uno solo per ogni milione di uomini che sappiano leggere e scrivere.
Questa disposizione è importante per due ragioni, anzitutto perchè i Francesi sono ancora poco abili in politica parlamentare ed hanno bisogno di essere sotto la tutela degli Inglesi, già formati da una più lunga esperienza; poi, perché con l’acconsentire a questa istituzione, l’Inghilterra deve fare in qualche modo un sacrificio, laddove la Francia non può ricavarne che dei vantaggi.
 
CAPITOLO III
 
È nell’interesse della Francia e dell’Inghilterra l’unirsi con un legame politico
 
L’unione della Francia e dell’Inghilterra può riorganizzare l’Europa; questa unione, fino a oggi impossibile, è ora attuabile, poiché la Francia e l’Inghilterra hanno i medesimi principî politici e la stessa forma di governo. Ma perché il bene si attui, basta che sia possibile? No, indubbiamente, occorre anche che si voglia farlo.
L’Inghilterra e la Francia sono ambedue minacciate da una grande scossa politica, e né l’una né l’altra può trovare in sé i mezzi di allontanarla da essa. Ambedue inciamperanno infallibilmente, se non si prestano un mutuo appoggio; e, per caso felice quanto strano, il solo ricorso che esse abbiano contro una rivoluzione inevitabile è questa unione che deve accrescere la prosperità di ognuna di esse e mettere fine alle sciagure dell’Europa.
Nella forza politica degli Inglesi e dei Francesi, includo la loro superiorità in diplomazia, e i mezzi di corruzione che loro permettono le somme di denaro delle quali possono disporre per il successo delle loro imprese.
 
[...]
(a cura di Franco Spoltore)


[1] Si veda in proposito “Charles Lemonnier”, Il Federalista, 45, n. 2 (2003).
[2] Charles-Olivier Carbonell, L’Europe de Saint-Simon, Toulouse, Editions Privat, 2001, p. 22.
[3] Charles-Olivier Carbonell, L’Europe de Saint-Simon, op. cit.,p. 24.
[4] Charles-Olivier Carbonell, L’Europe de Saint-Simon, op. cit., p. 36.
[5] Si veda in proposito “Abbé de Saint Pierre”, Il Federalista, 36, n. 3 (1994).
[6] Charles-Olivier Carbonell, L’Europe de Saint-Simon, op. cit., pp. 95-96.
* I brani proposti fanno parte della traduzione italiana dell’opera di C.H. de Saint-Simon di Armando Saitta, pubblicata presso l’editrice Atlantica, Roma, 1945.

 

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