IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Sperare in una permanenza di armonia tra molti Stati indipendenti e slegati sarebbe trascurare il corso uniforme degli avvenimenti umani e andar contro l'esperienza accumulata dal tempo.

Hamilton, The Federalist

Anno XXIII, 1981, Numero 3-4, Pagina 194

 

 

UN PROBLEMA APERTO: LA DIFESA EUROPEA*
 
 
Il solo fatto che ci troviamo qui a discutere della difesa europea significa che questo problema è ancora aperto e che non si intravedono soluzioni soddisfacenti. A mio parere, il problema della difesa non può essere separato da altri due problemi: quelli del disarmo e dell’indipendenza economica.
Lo smantellamento delle armi atomiche da parte delle superpotenze è una necessità, e l’Europa dovrebbe fare ogni sforzo per favorire il raggiungimento di questo obiettivo. Oggi si parla di proliferazione nucleare, dei suoi pericoli, di incontri per prevenirla, ma non si tiene mai conto del fatto che la proliferazione nucleare è un processo storico che non si può arrestare. È come se, dopo l’invenzione della polvere da sparo, qualcuno si fosse messo in testa di impedire agli altri paesi di procurarsela. Quindi tutti i discorsi che si fanno intorno alla proliferazione non possono arrestarsi agli aspetti tecnologici: dire sì all’impiego pacifico dell’atomo non significa dire sì alla guerra nucleare. Al contrario, bisogna ripetere drasticamente il nostro no, tanto più che, secondo studi recenti, la corsa agli armamenti rischia di assorbire una quantità di risorse tale da toccare presto i limiti della insopportabilità anche nei paesi industriali (vedi ad esempio l’articolo di A.S. Alexander nel fascicolo 17, 1970, della rivista Le Scienze).
Accanto al problema del disarmo c’è quello dell’indipendenza economica. Si tratta, per gli europei, di un problema di importanza vitale perché mentre le superpotenze sono ricche di materie e di fonti d’energia, l’Europa importa il 60% dell’energia consumata e oltre il 70% delle materie prime lavorate.
Di fronte a questi problemi, e nell’ambito della politica estera, i paesi europei hanno posizioni differenti, ma hanno anche posizioni diverse rispetto agli USA, soprattutto in materia di disarmo e di rapporti Est-Ovest. D’altra parte, gli Stati Uniti hanno mostrato, durante l’amministrazione Carter, un’incertezza tale nella loro politica estera, monetaria, industriale, ecc. da lasciare nello sconcerto i paesi europei. E non conosciamo ancora come sarà la politica del nuovo presidente perché si è insediato alla Casa Bianca solo qualche mese fa. Da questi brevi considerazioni deriva, a mio parere, che una politica autonoma dell’Europa è ormai una necessità storica.
Ma c’è anche un altro fatto da considerare: il diverso rapporto dell’Europa con i paesi del Terzo mondo, e l’interesse ad impostare su solide basi il dialogo Nord-Sud. Ho partecipato poche settimane fa ad un incontro fra due delegazioni del Parlamento europeo e del Parlamento latino-americano, e mi sono reso conto di come possano essere diversi i rapporti tra sud americani ed europei rispetto agli attuali rapporti tra paesi latino-americani e Stati Uniti. Noi europei abbiamo quindi la possibilità di stabilire con questi paesi relazioni economiche di tipo non coloniale favorendo la trasformazione in loco delle materie prime che può quasi sempre giovarsi di energia a basso costo. Il modello attuale è assurdo: importiamo in Europa materie prime ed energia a prezzi crescenti, invece di favorire lo sviluppo dei paesi dove queste risorse sono abbondanti e poco costose. L’Europa deve convincersi che nel giro di quindici anni dovrà convertire la propria economia da una produzione ad alto contenuto energetico e a basso contenuto di manodopera, in una produzione che presenta le caratteristiche opposte: alto contenuto di manodopera e basso contenuto energetico. Solo con queste prospettive si possono stabilire tra Europa e Terzo mondo rapporti nuovi. Ma questo processo, per essere credibile e per essere accettabile dai paesi in via di sviluppo, deve essere compiuto dalla Comunità europea che non ha tradizioni colonialistiche alle spalle. Ma va da sé che la Comunità attuale non è in grado di prendere iniziative al riguardo, ed è perciò necessario imprimere una netta svolta nella politica europea a cominciare dalle riforme istituzionali.
Per raggiungere questo obiettivo — che io preferisco chiamare «federalista» piuttosto che «europeista», perché si tratta di una espressione più forte — è necessario che ciascun paese sacrifichi un po’ del proprio orgoglio e del proprio interesse. Occorre però riconoscere che i governi sono contrari. Noi ci troviamo di fronte ad una situazione molto strana: la Commissione CEE, che dovrebbe essere un embrione di questa Europa unita, non esiste praticamente più; essa è in realtà il segretariato del Consiglio dei ministri.
Bisogna però anche riconoscere che i governi sono molto meno favorevoli ad una politica europea unitaria di quanto non lo siano i parlamenti di cui essi dovrebbero essere l’espressione, e che a loro volta i Parlamenti nazionali sono meno europeisti dei loro elettori. D’altro canto è ben noto che le iniziative del Parlamento europeo portate davanti al Consiglio dei ministri vengono immediatamente insabbiate dalla diplomazia e dalla burocrazia ministeriale.
È quindi pienamente giustificata l’iniziativa di Spinelli che va sotto il nome di «Club del Coccodrillo». Essa si propone di far scaturire dalla volontà del Parlamento europeo delle riforme istituzionali da sottoporre alla ratifica dei Parlamenti nazionali senza passare attraverso la Commissione e il Consiglio dei ministri. È questa la filosofia che sta alla base della nostra iniziativa che ha già raccolto molte adesioni e che ancora di più ne raccoglierà, a mio avviso, quando verrà discussa in Parlamento perché allora saranno caduti molti patriottismi di gruppo.
Si deve quindi fare un salto di qualità, e questo salto di qualità deve essere fatto dal Parlamento europeo perché è in gioco la sua immagine, la sua stessa esistenza. Se ciò non accadrà, non solo il Parlamento europeo verrà meno alla sua funzione, ma tutti gli altri organismi comunitari, che con il tempo si sono anchilosati, non avranno più ragione di essere.
Quindi, perché l’Europa abbia una difesa comune, abbia una politica della difesa, una politica estera comune e una politica industriale comune, è indispensabile un salto di qualità, è indispensabile il passaggio dalla logica confederale a quella federale.
 
F. Ippolito


* Nei «Documenti» di questo numero compaiono alcuni testi e interventi e la risoluzione finale del Convegno «Il ruolo internazionale della Comunità europea e i problemi della difesa dell’Europa», organizzato dall’UEF il 5 aprile 1981 a Torino. Il pensiero della rivista sul problema della difesa è contenuto nell’editoriale. Ci è parso comunque opportuno offrire ai lettori l’espressione di autorevoli punti di vista che possono anche non coincidere col nostro.

 

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