IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Sperare in una permanenza di armonia tra molti Stati indipendenti e slegati sarebbe trascurare il corso uniforme degli avvenimenti umani e andar contro l'esperienza accumulata dal tempo.

Hamilton, The Federalist

Anno XXII, 1980, Numero 1-2, Pagina 140

 

 

François Gros, François Jacob, Pierre Royer, Sciences de la vie et société, La Documentation française, Paris, 1979, pp. 288.
 
Si tratta di un rapporto commissionato dal presidente Giscard d’Estaing a tre dei maggiori biologi francesi: François Gros, direttore dell’Istituto Pasteur di Parigi, François Jacob, premio Nobel per la medicina e Pierre Royer, consigliere per la ricerca biologica e medica del governo francese. Nell’elaborazione del rapporto, essi si sono avvalsi del contributo di numerosi specialisti, che hanno redatto relazioni preparatorie su argomenti specifici.
Il volume fa il punto sul rapidissimo — e per molti aspetti spettacolare — sviluppo avuto dalle discipline biologiche negli ultimi decenni e ne indica la possibile evoluzione e le applicazioni pratiche nei prossimi venti anni. Sono trattati sistematicamente, nell’ordine: la ricerca biologica di base, le applicazioni della biologia alla medicina, all’agricoltura e all’oceanografia, le tecnologie rivolte agli esseri viventi, «l’ingegneria biologica» (tecnologie che sfruttano le proprietà degli esseri viventi) e infine i reciproci influssi tra biologia e società. Ciascuna di queste cinque parti si chiude con un paragrafo dedicato alle conclusioni e alle proposte di intervento politico.
I pregi e i motivi di interesse di questo volume sono numerosi. Va anzitutto dato atto agli Autori del rigore metodologico con il quale hanno affrontato una operazione così rischiosa come quella che è stata loro commissionata. Essi sottolineano ripetutamente da un lato l’intrinseca imprevedibilità dei risultati della ricerca di base e dall’altro le strette reciproche influenze tra diverse branche della scienza anche in campi assai lontani e perciò tendono ad enucleare soprattutto delle linee di tendenza, limitando precise previsioni fattuali solo ai casi in cui l’effettiva applicabilità delle scoperte è già in corso di studio. Data la vastità del campo e la diversità dei problemi affrontati, molti dei risultati ottenuti dalla ricerca biologica sono inevitabilmente indicati solo in modo allusivo, richiedendo nel lettore un minimo di conoscenza dei temi in esame. Tuttavia, nonostante questo limite e la necessaria cautela sopraccennata, il quadro generale che si ricava dalla lettura di questo rapporto è estremamente stimolante: emerge chiaramente il fatto che esistono le basi affinché le nuove acquisizioni della biologia ed i suoi sviluppi possano non solo avere una profonda influenza in campi ovviamente ad essa legati, come la medicina, la farmacologia, l’agricoltura o lo sfruttamento degli oceani, ma anche ripercuotersi in terreni a prima vista assai distanti, che spaziano dalla chimica alla produzione di energia, dall’industria estrattiva allo smaltimento dei rifiuti.
Ma il maggior interesse del volume non sta tanto nel suo aspetto strettamente descrittivo e «futurologico», quanto piuttosto nelle implicazioni politiche che esso mette in luce o che scaturiscono dalla sua lettura. Gli Autori dimostrano infatti come l’applicazione delle potenzialità aperte dalle scoperte biologiche ed il mantenimento di un ritmo sufficiente di ricerche di base siano anzitutto un problema di pianificazione globale e a lungo termine, che per molti aspetti trascende i confini dello Stato francese e acquista caratteristiche mondiali (agricoltura, disinquinamento delle acque, utilizzazione di tecnologie che richiedono massicci investimenti, ecc.). La necessità di una pianificazione supernazionale nell’affrontare questi ultimi problemi è in alcuni punti evidenziata con insufficiente vigore. E sta qui, forse, il principale limite — peraltro prevedibile — del rapporto.
Nella parte conclusiva il discorso si allarga alle interazioni tra biologia (e scienza in generale) e società. Accanto alla critica della visione dell’uomo emersa nella civiltà industriale, è interessante ricordare la giustificazione «biologica» della necessità del pluralismo: «…Il successo della specie umana è dovuto in particolare la sua diversità biologica. E in ciò sta anche la sua potenzialità. Questa diversità bisogna perciò conservarla con ogni cura. Ciò equivale a sottolineare l’importanza del rispetto degli altri e delle differenze della vita sociale. Tanto più che la diversità culturale, che ha avuto nello sviluppo dell’umanità un ruolo ancor più importante della diversità genetica, è oggi gravemente minacciata dal modello ormai imposto dalla civiltà industriale». E in quest’ottica il rapporto conclude affermando la priorità delle scelte politiche nei confronti della scienza: «Contrariamente a quanto ci si vorrebbe talvolta far credere, non è a partire dalla biologia che può formarsi una certa idea dell’uomo. È invece a partire da una certa idea dell’uomo che si può utilizzare la biologia al suo servizio. Da sola, la biologia non può far nulla. Da sola, non risolverà alcuno dei problemi con i quali si confronta la nostra società. Se può avere un ruolo, se può portare un contributo alla ricerca di certe soluzioni, è in funzione di una volontà politica. Ed è anche in funzione di un consenso sociale.»
 
Massimo Malcovati
 

 

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