IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Sperare in una permanenza di armonia tra molti Stati indipendenti e slegati sarebbe trascurare il corso uniforme degli avvenimenti umani e andar contro l'esperienza accumulata dal tempo.

Hamilton, The Federalist

Anno XXII, 1980, Numero 3, Pagina 195

 

 

DICHIARAZIONE DEL PRESIDENTE DELL’UEF
SUI RISULTATI DEL CONSIGLIO EUROPEO DI LUSSEMBURGO
(27-28 APRILE 1980)
 
 
La causa del fallimento del Consiglio europeo del 27-28 aprile — che ha provocato un grave danno non solo alla Comunità ma anche all’immagine stessa dell’Europa in un momento nel quale l’unità europea è più che mai necessaria — è evidente. Questa causa sta nel fatto che i capi di governo hanno spostato il processo delle decisioni dai centri previsti dai Trattati al negoziato fra i governi, senza tuttavia riuscire a risolvere il problema che il governo del Regno Unito ha avuto il torto di porre in termini nazionali invece che europei.
Ciò che si è dimenticato è che con questo modo di affrontare le questioni non si può realizzare una vera solidarietà europea perché non si supera il livello di potere della politica interna di ciascun paese, cioè quello degli interessi elettorali nazionali dei partiti e dei governi. Per evitare la paralisi della Comunità bisogna dunque ricondurre immediatamente il processo delle decisioni nel quadro delle istituzioni e delle regole della Comunità, ivi compresa quella del voto a maggioranza qualificata che è stato previsto proprio per impedire che un singolo governo che smarrisca per un istante la prospettiva europea possa bloccare con il suo veto il funzionamento della Comunità. Spetta dunque al Consiglio di prendere, anche con voti a maggioranza qualificata, le decisioni di sua competenza, in primo luogo per quanto riguarda i prezzi agricoli. Ogni altro orientamento costituirebbe una violazione dei Trattati.
Ricordato ciò, bisogna tuttavia osservare che la Comunità non può superare la sua crisi ormai endemica se non si decide a riequilibrare il bilancio non mediante una diminuzione delle spese agricole, ma con un aumento delle spese per le politiche comuni, in particolare quelle energetica, industriale, regionale e sociale. Non c’è altro modo per sconfiggere definitivamente la tendenza del «giusto ritorno», che è inevitabile fino a che non si giungerà al suo equivalente europeo: un equo trasferimento di risorse nel contesto di un programma europeo.
A questo riguardo si deve ancora osservare: 1) che non si tratta di aumentare la spesa pubblica complessiva (Stati più Comunità) ma di spendere bene a livello europeo delle somme che si spendono male, con effetti inflazionistici, a livello nazionale; 2) che la dimensione del problema è molto modesta: secondo il rapporto Mac Dougall con una spesa pubblica europea del 2,5% (sul prodotto lordo europeo) si avrebbe il trasferimento di risorse sufficiente per sostenere l’inizio dell’unione monetaria e il grado indispensabile di convergenza delle politiche economiche nazionali; 3) che non si tratta di creare a livello europeo un altro Stato-provvidenza — che ha avuto il merito di promuovere la giustizia sociale ma presenta il difetto della degenerazione corporativa della lotta politica, del parlamento, del governo e dell’amministrazione — ma di correggere i limiti corporativi dello Stato nazionale con una politica europea determinata solo dai problemi dell’indirizzo economico globale e dai trasferimenti di risorse indispensabili solo a questo fine.

 

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