IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Sperare in una permanenza di armonia tra molti Stati indipendenti e slegati sarebbe trascurare il corso uniforme degli avvenimenti umani e andar contro l'esperienza accumulata dal tempo.

Hamilton, The Federalist

Anno LIII, 2011, Numero 3, Pagina 199

 

 

IL GIUDIZIO DELLA CORTE COSTITUZIONALE TEDESCA
SUL MECCANISMO DI STABILIZZAZIONE DELL’EURO
 
 
Il 7 settembre 2011 la Corte Costituzionale tedesca è tornata[1] a pronunciarsi sul processo di integrazione europea questa volta a proposito della legittimità del Fondo europeo di stabilità finanziaria, meglio conosciuto come Fondo salva Stati, creato dai paesi dell’Euro-zona nel maggio 2010 per salvare la Grecia dal default economico e per impedire la conseguente dissoluzione dell’Unione monetaria.
Il Bundestag il 22 maggio 2010 aveva approvato la legge di ratifica del Fondo di stabilità finanziaria con cui oltre centoventi miliardi di euro venivano destinati a questo nuovo fondo europeo e veniva stabilito che ogni futuro incremento di tale fondo sarebbe stato possibile con la semplice autorizzazione della Commissione bilancio del parlamento. La legge di ratifica è stata quindi impugnata[2] davanti alla Corte di Karlsruhe da un gruppo di cittadini, i quali denunciavano l’incompatibilità della creazione del Fondo salva Stati con l’art. 38[3] della Costituzione tedesca, il quale riconosce la sovranità del Bundestag in quanto assemblea dei rappresentanti del popolo tedesco.
Come è già avvenuto in passato nelle sentenze sul processo di integrazione europea, la Corte costituzionale ha affrontato la questione della legittimità delle nuove riforme istituzionali dell’Unione europea sulla base del principio della sovranità democratica dello Stato tedesco. Secondo i giudici di Karlsruhe la Costituzione esige che sia il Bundestag a prendere le decisioni fondamentali in materia di spesa pubblica, essendo questa una delle attribuzioni sovrane di cui è titolare il popolo. Tali competenze non possono essere cedute, anche solo parzialmente ad istituzioni intergovernative e non democratiche quali appunto il Consiglio europeo, in cui il popolo tedesco non è direttamente rappresentato. La Corte ha poi ribadito che tutti gli atti volti a creare una stabilità economica e finanziaria tra i paesi dell’euro devono essere adottati con il consenso del Bundestag, il quale resta libero di revocarli ove lo ritenga necessario. Il parlamento non può secondo i giudici di Karlsruhe adottare una legge che consenta una cessione sostanziale di sovranità a favore di soggetti esterni che, privi di un vincolo di rappresentanza col popolo tedesco, dispongano delle risorse pubbliche dei cittadini senza l’autorizzazione del Bundestag, unico organo dove il popolo tramite i suoi rappresentanti esercita la sua sovranità.
In relazione alla legge di ratifica del Fondo di stabilità finanziaria (Euro-Stabilisierungmechanismus-Gesetzt) la Corte ha negato la sua incostituzionalità nella misura in cui questo, nella sua applicazione pratica, non pregiudica le competenze esclusive del Bundestag di prendere le decisioni in materia di bilancio. Nel caso concreto il parlamento tedesco, adottando la legge di ratifica, non ha alterato a priori e in modo incompatibile con la Costituzione il potere del Bundestag di adottare le leggi di bilancio e di controllarne l’implementazione da parte del governo. Il parlamento tedesco resta cioè sovrano in materia fiscale.
Secondo quanto disposto nella sentenza della Corte l’applicazione del Fondo salva Stati dovrà tuttavia rispettare una serie di limiti che i giudici di Karlsruhe riconoscono al fine di garantire il rispetto della Costituzione. Innanzitutto per ogni eventuale aggiornamento ed incremento del fondo non sarà sufficiente la sola autorizzazione della Commissione bilancio del parlamento, come previsto dalle legge di ratifica, ma sarà invece necessaria l’approvazione del Bundestag, che è l’unico organo competente in materia fiscale e di bilancio. In secondo luogo ogni eventuale sviluppo futuro del fondo non dovrà pregiudicare la competenza esclusiva del Bundestag relativa all’esercizio della sovranità in ambito fiscale.
Venendo ora all’analisi della sentenza è chiaro che la Corte costituzionale tedesca, pur risparmiando il Fondo di stabilità finanziaria da una disastrosa pronuncia di incostituzionalità, intende precisare ancora una volta i limiti che i principi dello Stato di diritto pongono allo sviluppo di una sovranità europea nel quadro attuale dei trattati. I giudici di Karlsruhe sono evidentemente consapevoli, in modo molto più lucido di molti altri colleghi europei, che il processo di integrazione è ormai arrivato ad un punto decisivo in cui ad essere in gioco è la sovranità democratica degli Stati membri. La Corte esercitando per dovere costituzionale una funzione di garanzia e di tutela dell’ordinamento democratico tedesco non può che essere critica sui modi in cui si sta sviluppando il processo di sovranizzazione delle istituzioni comunitarie, che non garantiscono evidentemente gli stessi standard di democraticità degli ordinamenti nazionali. Così anche se la Costituzione afferma il principio dell’Europafreundlichkeit, la naturale predisposizione dell’ordinamento giuridico tedesco per lo sviluppo e il rafforzamento dell’integrazione europea, non può permettere lo svuotamento dei principi su cui si fonda lo Stato tedesco.
Secondo i giudici di Karlsruhe le istituzioni europee non possono esercitare competenze fiscali in modo autonomo e svincolato dal parlamento tedesco per due motivi fondamentali. Innanzitutto il principio “no taxation without representation”, proprio di ogni Stato di diritto, sarebbe sostanzialmente violato se l’Unione europea, la cui natura è sicuramente intergovernativa, esercitasse un potere fiscale gestendo risorse proprie dei cittadini senza risponderne davanti ad essi. Già nella sentenza sul Trattato di Maastricht la Corte costituzionale tedesca aveva dichiarato la natura intergovernativa dell’Unione che non si fonda su un popolo europeo, bensì sugli Stati membri che restano signori dei trattati. Il deficit democratico era stato poi ribadito nella sentenza sul Trattato di Lisbona del giugno 2009 in cui venivano sottolineate la differenze tra i parlamenti nazionali e il Parlamento europeo. Questo non solo non rappresenta efficacemente i cittadini, in quanto non tutti i popoli degli Stati membri sono rappresentati in modo uguale, ma soprattutto rimane un organo subordinato al Consiglio europeo nel cui quadro le decisioni vengono prese dai rappresentanti dei governi, per di più all’unanimità.
In secondo luogo la Corte di Karlsruhe, quale garante della Costituzione tedesca, non può accettare processi giuridici che svuotino di fatto l’ordinamento giuridico tedesco della sua sovranità nelle forme e nei modi che sono propri al metodo funzionalista e cioè attraverso la cessione progressiva e parziale di competenze dal livello nazionale a quello comunitario. Nell’attuale fase del processo di integrazione europea la necessità di creare un’unione fiscale tra i paesi dell’euro e quindi, in prospettiva, una sovranità europea, non può essere realizzata con un semplice trattato intergovernativo come è stato fatto invece per tutti i precedenti passi della costruzione europea. Questo è palese se si considera che i primi venti articoli della Costituzione tedesca, che riconoscono i caratteri fondamentali dell’ordinamento democratico e federale della Repubblica, sono considerati dalla stessa Costituzione essenzialmente eterni: non possono cioè essere oggetto di riforme costituzionali neanche secondo la procedura prevista all’art. 146 della Legge fondamentale. I giudici di Karlsruhe sanno evidentemente che la creazione di una sovranità europea costituisce in qualche modo un atto rivoluzionario che rompe il quadro giuridico esistente e necessita qualcosa di più di un trattato o di una semplice modifica delle Costituzioni nazionali. Come affermato nel giudizio sul Trattato di Lisbona la cessione della sovranità sostanziale a favore di istituzioni sovranazionali e democratiche necessiterebbe l’esercizio di quel potere costituente che non detiene neanche il Bundestag, ma che spetta al popolo tedesco.[4] La Corte evidentemente non definisce una procedura chiara per permettere al popolo di esercitare le proprie competenze sovrane in vista della creazione di uno Stato federale europeo, né probabilmente auspica una rottura del quadro giuridico esistente, essendone essa il sommo guardiano. La Corte si limita giustamente a porre il problema fondamentale della sovranità del popolo e ad evidenziare i limiti del metodo funzionalista. Tra l’ordinamento costituzionale tedesco e quello intergovernativo europeo esiste evidentemente una differenza sostanziale che non può essere superata se non attraverso un atto costituente con cui il popolo tedesco venga consultato e nuove istituzioni democratiche e sovrane vengano fondate a livello europeo.
In una recente intervista al settimanale Der Spiegel[5] il giudice uscente della Corte costituzionale tedesca, Udo Di Fabio, co-autore della sentenza sul Trattato di Lisbona, è stato interrogato sui futuri sviluppi del processo di integrazione europea e sul ruolo che la Corte di Karlsruhe giocherà. Pur non nascondendo il suo scetticismo circa la fondazione degli Stati Uniti d’Europa, Di Fabio ha ribadito ancora una volta l’ostacolo fondamentale che si pone tra questa Unione intergovernativa e la fondazione di uno Stato federale europeo e cioè un atto costituente in cui il popolo tedesco insieme a tutti gli altri popoli eserciti la sua sovranità: “Il popolo [tedesco]è ovviamente libero di abbandonare la [sua]legge fondamentale. Tutti i popoli sono liberi di decidere di non essere più indipendenti e cioè di voler diventare uno Stato membro dei sovrani Stati Uniti d’Europa”.
Finché tutto questo non avverrà evidentemente, le future riforme adottare col metodo funzionalista, dal coordinamento dei bilanci alla creazione degli eurobonds, potranno sicuramente essere messe in discussione dalle Corti costituzionali degli Stati membri, che non possono accettare lo sviluppo di competenze europee senza la creazione di una democrazia europea che le amministri: una democrazia per cui è necessario un atto costituente.
 
Luca Lionello


[1] In particolare si ricordino le sentenze Solange I del 1974, Solange II del 1986, Maastricht Urteil del 1993, la sentenza sul mandato di arresto europeo (Europäische Haftbefehl) del 2005, e Lissabon Urteil del 2009.
[2] I singoli cittadini sono legittimati a presentare ricorso costituzionale qualora ritengano lesi i propri diritti fondamentali da parte dei pubblici poteri.
[3] “I deputati del Bundenstag sono eletti con elezioni generali, dirette, libere, uguali e segrete. Essi sono i rappresentanti di tutto il popolo, non sono vincolati da mandati o da istruzioni e sono soggetti soltanto alla loro coscienza”.
[4] Decisione sulla costituzionalità del Trattato di Lisbona, 30 giugno 2009, SS 113: “La trasformazione dell’Unione europea in uno Stato federale va al di là dei compiti e dei poteri degli organi costituzionali della Repubblica federale tedesca. Il fondamento di una tale trasformazione potrebbe essere dato solo da una atto costituzionale del popolo tedesco sulla base dell’art. 146 del Grundgesetz”.
[5] Der Spiegel, 28 dicembre 2011.

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