IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Sperare in una permanenza di armonia tra molti Stati indipendenti e slegati sarebbe trascurare il corso uniforme degli avvenimenti umani e andar contro l'esperienza accumulata dal tempo.

Hamilton, The Federalist

Anno XVIII, 1976, Numero 4, Pagina 213

 

 

La crisi del Mercato comune agricolo
e il futuro dell’agricoltura italiana*
 
DARIO VELO
 
 
Che il Mercato comune agricolo sia in crisi da tempo, è noto. Le trattative che si svolgono annualmente per fissare i nuovi prezzi agricoli comunitari costituiscono l’occasione in cui più evidenti appaiono le divergenze che separano i partners europei; esse risultano ormai tanto profonde da giustificare il timore che il Mercato comune agricolo sia giunto sulla soglia della dissoluzione completa. Ciò impone di riconsiderare il problema dell’agricoltura europea nella sua globalità, e in particolare di ricercare le cause di questa crisi, quale funzione l’agricoltura abbia nella economia europea, quali condizioni debbono essere realizzate affinché divenga progettabile il rinnovamento dell’agricoltura europea.
 
La crisi del Mercato comune agricolo.
Il Mercato comune agricolo è organizzato sulla base di tre principi fondamentali: a) la fissazione di un prezzo comune in tutti i paesi membri della C.E.E. per ogni prodotto, in modo da garantire l’unitarietà del mercato; b ) una gestione finanziaria centralizzata, in modo da ottenere la partecipazione solidale di tutti i paesi europei ai costi e ai ricavi del Mercato comune agricolo; c) la fissazione di dazi doganali comuni validi per tutti i paesi non appartenenti alla C.E.E., per stabilire il principio della preferenza comunitaria.
L’operare congiunto di questi tre meccanismi ha posto in essere una programmazione agricola europea. Ciò corrisponde al fatto che nel settore agricolo, a differenza di quello industriale, era impossibile fare affidamento sul libero operare del mercato come motore del processo di integrazione europea e dello sviluppo economico; d’altro lato, è noto che in quasi tutti i paesi l’intervento dei pubblici poteri è molto più accentuato nel settore agricolo rispetto a quello industriale; questa tendenza si accentua quanto più evoluta è la struttura economica di un paese.
La programmazione agricola così ottenuta si è tuttavia subito dimostrata inefficiente, eccessivamente onerosa, e incapace di perseguire un piano organico di lungo periodo nel rispetto della esigenza dello sviluppo equilibrato a livello comunitario. Ciò si comprende facilmente. Il primo perno su cui si fonda il funzionamento del Mercato comune agricolo è la fissazione di un prezzo comunitario per ogni prodotto agricolo. Su questa base è impensabile che si potesse realizzare una redistribuzione economica della produzione e non si verificasse l’insorgere di gravissime tensioni e l’accumulo di eccedenze. I prezzi comunitari agricoli erano destinati a porsi ad un livello intermedio fra i prezzi massimi e minimi richiesti dai vari paesi, sulla base di un compromesso; appare evidente che il prezzo europeo così fissato solo in via eccezionale poteva coincidere con il prezzo di equilibrio a cui corrisponde la produzione desiderata a livello comunitario e la distribuzione più economica della produzione fra i vari paesi. Su questa base risulta inoltre inevitabile che si approfondissero le sperequazioni esistenti fra regioni agricole più sviluppate e regioni agricole relativamente sottosviluppate, e il divario fra le aziende agricole a conduzione capitalistica e le piccole e medie proprietà.
I limiti di questa politica agricola fondata sulla fissazione di prezzi europei sono stati ulteriormente aggravati negli anni più recenti dall’ingresso nella C.E.E. di tre nuovi Stati membri, le cui agricolture presentavano caratteristiche affatto differenti rispetto alle agricolture dei sei paesi fondatori, e dalle crisi monetarie, che hanno messo direttamente in discussione il significato stesso dei prezzi comunitari. In questa situazione il meccanismo dei montanti compensativi, ideato per risolvere questi problemi, è riuscito a far sopravvivere il Mercato comune agricolo anche nei momenti di crisi monetaria più grave; da questo «salvataggio» la costruzione comunitaria tuttavia è uscita in condizioni drammatiche, gravata da procedure di una complessità assurda e perennemente sotto la minaccia del collasso. Quando i regolamenti raggiungono livelli così elevati di macchinosità, è inevitabile che si aggravino le distorsioni, la speculazione abbia buon gioco e il principio del prezzo comunitario subisca continue eccezioni e infrazioni.
In questo quadro, il principio della gestione finanziaria centralizzata non ha potuto operare nel senso di realizzare una sempre più stretta solidarietà europea. La partecipazione solidale di tutti i paesi ai costi e ai ricavi del Mercato comune agricolo risulta infatti contraddittoria con il mantenimento di un meccanismo di programmazione che genera tensioni fra gli Stati membri senza poi risolverle.
Il fatto è che la fissazione di un prezzo comune valido per tutta l’area comunitaria costituiva l’unico strumento per far nascere un Mercato comune agricolo, stante la struttura confederale dell’Europa, perché questa primitiva forma di programmazione è l’unica compatibile con il mantenimento della sovranità da parte degli Stati membri. L’alternativa a tutto ciò è la realizzazione di una coerente programmazione europea, decisa democraticamente da un potere europeo responsabile di fronte agli elettori europei; questo obiettivo è pensabile solo nel quadro della Unione europea, ove esista un governo europeo e un Parlamento eletto a suffragio diretto. In questo senso i limiti della politica agricola europea sono il frutto del mancato sviluppo istituzionale e democratico della Comunità.
 
L’agricoltura europea nell’economia mondiale.
Alla crisi del Mercato comune agricolo si oppone l’importanza crescente che l’agricoltura è chiamata ad assumere nell’economia europea.
In passato chi sosteneva la necessità di svolgere una innovativa politica agricola in Europa ha dovuto confrontarsi con quanti sostenevano la convenienza di specializzare l’economia europea nella produzione industriale e di ricorrere al mercato mondiale per l’approvvigionamento delle derrate agricole. Quest’ultima posizione si giustificava per il fatto che in questo dopoguerra il mercato mondiale di tutti i prodotti agricoli, così come quello delle materie prime, è stato caratterizzato quasi ininterrottamente da una forte eccedenza dell’offerta rispetto alla domanda; essa inoltre era sorretta dal fatto che una divisione mondiale del lavoro di tal fatta era progettabile nella misura in cui in questo periodo l’ordine internazionale è stato caratterizzato da una notevole stabilità.
Entrambi questi presupposti sono venuti meno all’inizio degli anni settanta. L’eccedenza mondiale di prodotti agricoli si è bruscamente trasformata in carenza degli stessi. Ciò che ha rilevanza sottolineare, è che questo sommovimento non è imputabile ad una particolare congiuntura internazionale; esso si è realizzato congiuntamente al generale rialzo dei prezzi delle materie prime. Questa coincidenza non è casuale, ma è imputabile in ultima analisi al tentativo in corso di fondare un nuovo ordine economico internazionale che realizzi una distribuzione della ricchezza più favorevole ai paesi del Terzo mondo. In questo senso il fenomeno non potrà esaurirsi fino a che le relazioni internazionali non avranno trovato un nuovo assetto stabile.
Di fronte a questi cambiamenti, l’esistenza di un settore agricolo sviluppato e modernamente organizzato si è rivelata una condizione necessaria per evitare che le perturbazioni dei mercati internazionali abbiano gravi ripercussioni sull’economia europea e per evitare il ricatto dei produttori che monopolizzano il commercio internazionale di alcuni prodotti agricoli.
In secondo luogo, di fronte a questi cambiamenti è emersa indilazionabile l’esigenza che l’Europa contribuisca alla ricerca e alla fondazione di un nuovo ordine internazionale, che renda compatibile l’esigenza dei paesi industrializzati di assicurare lo sviluppo equilibrato dei propri sistemi economici e le giuste ambizioni di sviluppo e progresso dei paesi del Terzo mondo. In questo quadro, l’agricoltura si presenta come un settore cruciale in cui la collaborazione fra paesi europei e paesi emergenti dovrà approfondirsi, in quanto è prevedibile che in molti paesi arretrati la capacità di esportazione sarà ancora a lungo concentrata nel settore agricolo. Ciò risulta ancor più evidente se si prendono in considerazione in particolare i rapporti che l’Europa è chiamata a stabilire, e le responsabilità che è chiamata ad assumere per garantire l’ordinato sviluppo nel Mediterraneo e nell’area africana.
 
Il Mercato comune agricolo ad una svolta decisiva.
La nascita del Mercato comune agricolo ha rappresentato una tappa cruciale del processo di integrazione europea, in quanto ha costituito il primo esempio di costruzione sovrannazionale europea. La fondazione di un mercato agricolo europeo ha implicato il varo di una politica agricola europea che, per quanto limitata a pochi modesti obiettivi, ha condotto ad un importante trasferimento di poteri dal quadro nazionale al processo di integrazione europea. Il Mercato comune agricolo in tal senso ha segnato la frontiera più avanzata che poteva essere raggiunta dal processo di integrazione, nel quadro del mantenimento della sovranità politico-economica da parte degli Stati nazionali europei.
Da ciò debbono essere tratte due conclusioni.
In primo luogo risulta evidente la necessità di difendere il Mercato comune agricolo così come è andato strutturandosi, pur con le contraddizioni e i limiti che lo caratterizzano, fino a che il processo di integrazione non supererà l’attuale stadio confederale.
In secondo luogo risulta che, per eliminare gli aspetti contraddittorii e superare i limiti del Mercato comune agricolo è necessario progettare una modificazione del quadro in cui esso si colloca, cioè è necessario progettare il passaggio del processo di integrazione dallo stadio confederale allo stadio federale, con la democratizzazione delle comunità.
Portare a compimento la costruzione del Mercato comune agricolo oggi significa giungere ad una moneta europea che unifichi il mercato europeo e trasferire ad un potere democratico europeo il compito di prendere le decisioni fondamentali in campo agricolo, stabilendo una coerente politica volta a garantire il progresso equilibrato dell’agricoltura europea nel quadro dell’apertura dell’Europa alla collaborazione con i paesi in via di sviluppo. Ma battere moneta e compiere le scelte fondamentali in campo agricolo sono compiti che solo un governo europeo potrebbe svolgere.
Il fatto è che il Mercato comune agricolo è arrivato oggi ad una svolta decisiva perché esso può passare dalla fase della cooperazione intergovernativa alla fase della programmazione democratica europea. Dopo la decisione del Vertice di Roma del dicembre 1975 di procedere all’elezione diretta del Parlamento europeo nel 1978, il processo di integrazione europea si trova di fronte alla possibilità di realizzare a breve termine il salto di qualità dal sistema degli Stati europei alla Federazione europea. L’elezione europea implica lo sviluppo democratico della Comunità e con esso la nascita di un potere in grado di controllare democraticamente lo sviluppo dell’economia europea.
Ciò implica che anche il problema dell’agricoltura italiana deve essere visto oggi in una prospettiva nuova.
 
I problemi a medio termine dell’agricoltura italiana.
I limiti e gli aspetti contraddittorii del Mercato comune agricolo hanno pesato in misura maggiore sulle regioni agricole relativamente sottosviluppate sfavorendole rispetto a quelle più ricche, e sulle piccole e medie proprietà sfavorendole rispetto alle aziende a moderna conduzione capitalistica. Ciò significa che i meccanismi del Mercato comune agricolo hanno approfondito le sperequazioni fra l’agricoltura italiana e le agricolture più sviluppate di altri Stati europei, e all’interno dell’Italia hanno approfondito il divario fra le regioni agricole più sviluppate e quelle arretrate.
Queste distorsioni sono divenute intollerabili. La attuale crisi economica italiana, impedendo che le tensioni generate nel settore agricolo siano compensate dal progresso e dalla conseguente capacità di assorbimento del settore industriale, sta facendo precipitare la situazione. In secondo luogo la crisi economica e il connesso problema del deficit dei conti con l’estero dimostrano come sia divenuto impossibile Per l’economia italiana trovare un equilibrio senza risolvere il problema agricolo.
L’urgenza della necessità di affrontare il problema dell’agricoltura in Italia al fine di garantirle un futuro di stabile sviluppo contrasta tuttavia con le limitate possibilità di intervento delle autorità italiane. L’Italia ha una vocazione agricola e il quadro in cui questa vocazione naturale potrà realizzarsi in tutte le sue potenzialità è costituito da una coerente politica agricola europea, che consenta alle varie regioni di sviluppare i settori in cui più sono favorite. Da quanto detto, risulta inoltre evidente che il futuro dell’agricoltura italiana può essere stabilito solo nel quadro delle scelte di fondo che l’Europa si appresta a compiere concordando una divisione del lavoro in collaborazione con i paesi mediterranei e dell’Africa.
Ciò significa che a livello nazionale oggi possono essere affrontati solamente i problemi più urgenti dell’agricoltura italiana, in quanto i problemi di fondo hanno natura e dimensione sovrannazionale e possono essere affrontati solo da un governo europeo. Da ciò consegue che il problema dell’agricoltura in Italia deve essere visto oggi nella prospettiva di un periodo transitorio fino alla nascita della Unione europea e con essa di una coerente politica agricola europea.
Il problema non è avviare senza indugio una riforma radicale dell’agricoltura italiana ed europea, ma di gestire l’agricoltura avviando a soluzione gli squilibri più gravi e soprattutto evitando crisi dirompenti fino al 1978, cioè fino al momento in cui l’elezione europea renderà possibile la formazione di un quadro politico europeo in grado di assumere i compiti che gli Stati nazionali oggi non sono più in grado di assolvere e quindi di affrontare con i poteri adeguati il compito di rinnovare l’agricoltura europea.
In questo periodo di transizione fino al 1978 in particolare va sostenuta l’opportunità di stabilire forme di aiuto straordinarie a favore dei settori e dei paesi che più risentono delle carenze della politica agricola comunitaria.
La scadenza cruciale per l’avvenire dell’agricoltura italiana ed europea è l’elezione europea. Spetta alle forze vive dell’agricoltura europea non perdere l’occasione storica di rinnovamento offerta dalla decisione del Consiglio europeo di eleggere il Parlamento europeo a suffragio universale e battersi per l’elezione europea e per il suo sbocco in un processo costituente europeo.


* Si tratta del documento di lavoro redatto in occasione del convegno organizzato dal CESFER e svoltosi a Pavia il 3 luglio 1976. Il resoconto di questo convegno comparirà sul prossimo numero di questa rivista, sotto la rubrica Attività del CESFER.

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