IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Sperare in una permanenza di armonia tra molti Stati indipendenti e slegati sarebbe trascurare il corso uniforme degli avvenimenti umani e andar contro l'esperienza accumulata dal tempo.

Hamilton, The Federalist

Anno XVII, 1975, Numero 4, Pagina 235

 

 

Nella riunione di Strasburgo del 21-22 giugno 1975 il Comitato federale dell’U.E.F. ha deciso come regola di procedura di prendere posizione in tutte le sue riunioni sul rapporto scritto del Presidente, approvandolo, respingendolo o emendandolo. I rapporti del Presidente al Comitato federale — una volta approvati — diventano quindi prese di posizione ufficiali del Comitato stesso e costituiscono altrettante definizioni — nelle diverse congiunture politiche che fanno di volta in volta da orizzonte alla azione del Movimento — della linea strategica dell’U.E.F. Abbiamo pertanto deciso di pubblicare questi rapporti.
Nella riunione di Strasburgo e in quella successiva di Roma del 29-30 novembre 1975 il rapporto del Presidente è stato approvato senza emendamenti. Riproduciamo qui di seguito il testo dei due rapporti.
 
 
RAPPORTO AL COMITATO FEDERALE
DEL 21-22 GIUGNO 1975
 
 
I
Il nostro compito è quello di eseguire le decisioni del Congresso di Bruxelles. Abbiamo deciso di batterci per rendere effettiva la decisione di tenere l’elezione europea entro il 1978, e se possibile anche prima; abbiamo adottato il testo di Hirsch sull’Unione europea. Abbiamo precisato con quali forme d’azione tentiamo di dirigere delle forze — e non solo le nostre — verso questi obiettivi. Ed abbiamo deciso di rafforzare a tutti i livelli, locale, regionale, nazionale ed europeo la nostra organizzazione allo scopo di condurre nelle migliori condizioni possibili la nostra lotta in questi anni decisivi per la costruzione dell’Europa.
Questi obiettivi, queste forme d’azione, e il rafforzamento dell’U.E.F., costituiscono, nella situazione attuale, ciò che possiamo chiamare il nostro comune denominatore europeo. Vorrei spiegare, brevemente, che cosa intendo per comune denominatore europeo. In ciascuno dei nostri paesi, diverse sono le possibilità da sfruttare e diversi gli ostacoli da superare. Per ottenere dei risultati dobbiamo tenerne conto, cioè differenziare la nostra azione. Ma ciò comporta un grave pericolo: quello di perseguire dei risultati che, pur valendo in un paese, non valgono, o sono addirittura nocivi, negli altri paesi. È evidente che con azioni di questo genere noi non potremmo avanzare insieme verso gli stessi obiettivi europei. E non basta. In questo modo il successo ottenuto in un paese non sarebbe sommabile con i successi conseguiti negli altri paesi; e quindi non servirebbe per accrescere la forza dell’U.E.F., per fare dell’U.E.F. una forza europea. Noi dobbiamo dunque, ogni volta che cerchiamo di sfruttare una possibilità o di superare un ostacolo, che si presentano in un solo paese, tener presente non solo il quadro nazionale ma anche quello europeo; e tener presente in particolare che la nostra azione in un paese deve essere condotta in modo tale da far avanzare l’azione anche negli altri paesi. Ciò comporta proprio la costante ricerca del comune denominatore di tutte le nostre azioni, ricerca che costituisce pertanto, se non mi sbaglio, la prima regola per il rafforzamento dell’U.E.F.
 
II
La posta in gioco è immensa, i termini della situazione sono chiari, gli anni a disposizione pochi. La costruzione dell’Europa è giunta al bivio tra lo sviluppo federale e quello confederale. È una questione di fatto, che si rispecchia con chiarezza nelle decisioni prese dai governi al vertice di Parigi. Istituendo il Consiglio europeo — un organo di cooperazione politica intergovernativa senza limitazione di competenze — i governi hanno fatto il primo passo verso una Unione di Stati senza un governo nel senso proprio del termine, cioè verso la Confederazione. D’altra parte, avviando la procedura per giungere all’elezione diretta del Parlamento europeo entro il 1978 e tenendo aperta la scelta sulla forma dell’Unione con la missione affidata al Primo ministro belga Tindemans, i governi hanno fatto nel contempo anche il primo passo verso una Unione di Stati fondata sul voto dei cittadini, cioè verso la Federazione.
La partita è dunque aperta, e si sta giocando proprio in questi anni. Sulla via della Confederazione l’ostacolo è costituito dalla Comunità, che voleva essere e può ancora essere, a patto che le forze politiche e sociali se ne occupino seriamente, un centro di transizione verso gli Stati Uniti d’Europa. Sulla via della Federazione l’ostacolo è costituito invece dalle difficili decisioni che ancora restano da prendere per giungere effettivamente alla elezione europea entro il 1978.
Ma vale la pena di affrontare queste difficoltà col massimo impegno perché con la elezione europea si possono ottenere due risultati di somma importanza: a) l’acquisizione del punto di non-ritorno per quanto riguarda lo sviluppo federale della Comunità (sarebbe praticamente impossibile, a meno di catastrofi non ancora prevedibili, revocare il diritto di voto agli Europei dopo averlo concesso, e altrettanto impossibile convocare regolarmente il popolo europeo alle urne e non istituire un governo europeo), b) la acquisizione del punto di collegamento tra evoluzione della situazione politica degli Stati della Comunità e integrazione dell’Europa.
La questione merita di essere chiarita. È evidente che la politica di ciascuno dei nostri paesi può diventare, in senso compiuto, una parte della politica europea solo con la Federazione europea, con la trasformazione degli Stati nazionali in Stati-membri della Federazione, e con il trasferimento della lotta politica e sociale dai quadri nazionali a quello europeo. Ma è anche evidente che il collegamento tra vita politica nazionale e vita politica europea comincerebbe già con la prima elezione europea. Sin dalla prima elezione europea ogni partito nazionale dovrebbe associarsi o allearsi con il partito ad esso più affine negli altri paesi della Comunità per presentarsi agli elettori europei come un partito europeo, cioè come un partito capace di esprimere un orientamento europeo e di esercitare un’influenza reale sulla vita dell’Europa. E ciò permetterebbe non solo di appoggiare la fase finale della costruzione dell’Europa su un embrione di vita politica europea, ma consentirebbe anche di avviare il processo di trasformazione della volontà politica che è indispensabile per affrontare i difficili problemi cui si trovano di fronte gli Stati e la Comunità.
 
III
Tutta l’U.E.F. è ormai schierata sulle seguenti posizioni: lotta per rendere effettiva la decisione di tenere l’elezione europea entro il 1978, e, se possibile, anche prima; stretto collegamento tra la preparazione dell’elezione e i lavori per l’Unione europea (che darebbero certamente un esito confederale se non potessero riposare sulla certezza dell’elezione europea); attenzione per quanto riguarda l’Unione europea, e dopo aver messo naturalmente in evidenza la necessità di un governo europeo responsabile di fronte ad un Parlamento europeo, più sulla procedura per realizzare l’Unione europea, che su disegni fatti a tavolino circa questa o quella forma dell’Unione. E ciò perché è assurdo, anche se per ora pochi se ne rendono conto, pensare che si possa realizzare una Unione europea (nel contesto dell’elezione europea) senza affidare il compito di elaborare la forma definitiva della Unione al Parlamento europeo.
Dopo il Congresso di Bruxelles sono intervenuti dei fatti nuovi di grande importanza: le elezioni portoghesi, che hanno messo in evidenza che il Portogallo ha bisogno dell’Europa per avviarsi decisamente su una via democratica, e la richiesta di adesione alla Comunità da parte della Grecia. Ma è impossibile pensare che la Comunità possa allargarsi ulteriormente ed esercitare le sue responsabilità verso le democrazie del Mediterraneo, con i loro problemi di sottosviluppo e di incertezza politica, senza una coesione molto più forte di quella attuale, e senza un embrione di vera e propria vita politica europea. Sono dunque le cose ad esercitare una ulteriore spinta verso la necessità di una tempestiva trasformazione democratica della Comunità.
L’altro fatto nuovo, che per la sua urgenza deve essere preso nella più seria considerazione, sta in una omissione, e precisamente nel fatto che il Consiglio dei ministri della Comunità non ha ancora preso in esame il Progetto di convenzione per la elezione diretta a suffragio universale del Parlamento europeo, né ha annunciato quando lo prenderà in esame. A questo riguardo occorre osservare che un ritardo ulteriore ed egualmente grave renderebbe impossibile l’elezione europea entro il 1978, perché ci vorrà del tempo per giungere ad un accordo in seno al Consiglio dei ministri della Comunità, e poi altro tempo per prendere a livello nazionale le decisioni di competenza degli Stati in materia di elezione europea.
Di fronte ad un pericolo cosi grave, che non pregiudicherebbe soltanto il lavoro per l’Unione europea, ma accentuerebbe la stessa crisi della Comunità, l’U.E.F. non può accontentarsi dell’opinione prevalente in alcuni ambienti europeistici secondo la quale non ci sarebbero rischi né di gravi ritardi, né di un arresto della procedura per giungere all’elezione europea. Il ricordo delle tristi vicende degli anni Sessanta, e dell’incapacità del Consiglio dei ministri della Comunità di prendere in esame il primo progetto di elezione elaborato proprio nel 1960 dal Parlamento europeo sulla base di una eguale decisione formale dei governi (quella contenuta nei Trattati di Roma) è troppo ammonitore. L’U.E.F. deve agire. Valendoci di ogni relazione politica alla base e al vertice, e giovandoci dei rapporti che siamo riusciti a stabilire con le nostre azioni permanenti, dobbiamo far giungere da parte del maggior numero possibile di gruppi e di persone, ai nostri governi e al Consiglio europeo la formale richiesta del rispetto delle decisioni prese dal Vertice di Parigi in materia di elezione europea.
 
IV
Nel contesto delle nostre azioni abbiamo ottenuto successi in tutti i paesi che saranno illustrati dal rapporto del segretario generale, e che vanno esaminati nel modo più attento per le indicazioni operative che ci possono venire. Prima di procedere a questo esame l’U.E.F. deve naturalmente esprimere la più profonda gratitudine ai federalisti inglesi per il successo riportato nel referendum, successo che mostra d’altra parte come l’unificazione dell’Europa risolve efficacemente le sue difficoltà se si fa intervenire direttamente la popolazione.
Per quanto riguarda specificamente le azioni permanenti in corso — la petizione sottoscritta dai cittadini e l’appello sottoscritto dai gruppi organizzati relativo all’Unione europea — io credo che il successo ottenuto a Parigi, e per il quale dobbiamo rivolgere la nostra più viva riconoscenza ai federalisti francesi, mostra che noi dovremmo unificare queste due azioni, e concepirle come un’unica campagna permanente rivolta sia ai singoli cittadini, sia ai gruppi. Potrà essere necessario, a seguito degli sviluppi della situazione, modificare i testi da sottoporre all’attenzione dei cittadini e dei gruppi, ma mi pare che la rispondenza che si trova sia presso i cittadini sia presso i gruppi, mostri che noi dobbiamo mantenere questa forma di azione almeno sino a che non sia raggiunto, con l’elezione europea, il punto di non ritorno sulla via dello sviluppo federale della Comunità.
Ciò vale per quanto riguarda la necessità di mantenere attiva una forma permanente di azione a livello europeo. Tuttavia questa azione permanente non deve farci dimenticare né la necessità di intervenire su situazioni particolari (come dobbiamo fare per l’elezione europea presso il Consiglio dei ministri della Comunità), né di intervenire, quando sia il caso anche con forze federaliste di tutti i paesi, in un paese dove sia possibile ottenere o un deciso rafforzamento dell’U.E.F. o un importante risultato politico.
Con questo orientamento, tenuto conto sia del successo degli amici francesi con la petizione in luoghi pubblici, sia dell’importanza che avrebbe in Francia (il paese che ha proposto l’elezione europea e che più di ogni altro ha la possibilità di portarla a buon fine) una vigorosa mobilitazione dell’opinione pubblica, io ritengo che dovrebbe essere subito decisa e immediatamente studiata la possibilità di organizzare in autunno, con molti punti di raccolta di firme e col concorso dei federalisti di tutti i paesi, una nuova raccolta di firme per la petizione a Parigi.
L’ultima osservazione che credo di dover fare è che noi dobbiamo sin da ora sfruttare tutte le possibilità create dalle nostre azioni e dai nostri interventi per assicurare la presenza al Congresso di Bruxelles del maggior numero possibile di personalità politiche rappresentative.
 
V
Al Congresso di Bruxelles abbiamo anche deciso di rafforzare la nostra organizzazione. Ho già detto che la prima regola per ottenere questo risultato sta nell’identificazione e nella realizzazione del nostro comune denominatore europeo. Naturalmente dobbiamo tener presente che un’organizzazione non si rafforza senza una politica di formazione dei quadri, una politica dell’informazione e una politica della cultura. E va da sé che questi tre compiti sono complementari. È dunque necessario esaminare: a) quali siano le possibilità attuali di creare un’informazione europea dell’U.E.F. che permetta a tutti i movimenti membri di conoscere l’attività comune; b) quali le possibilità attuali di organizzare dei seminari per esaminare il nostro pensiero politico e la nostra linea politica allo scopo di intraprendere una politica di formazione dei quadri; c) quali le possibilità di pubblicare in tutti i paesi sia dei volumi sul pensiero politico federalista dalle orogini ai giorni nostri, sia dei brevi quaderni su problemi specifici del federalismo, dell’Europa e della lotta per l’Europa (l’esperienza italiana dimostra che dei modesti opuscoli di una ventina di pagine non pongono alcun problema finanziario perché vengono acquistati dai militanti e dai simpatizzanti).
Penso inoltre che per rafforzare l’U.E.F. ci voglia un buon metodo di lavoro negli organi direttivi. Non è nostro compito stabilire il metodo di lavoro dei gruppi locali, regionali e nazionali, perché noi siamo federalisti e crediamo nel valore della diversità. Ma è certamente nostro compito organizzare bene i lavori del Comitato federale. A questo proposito ci sono da fare due osservazioni. La prima è che noi non possiamo acquisire una conoscenza chiara dello sviluppo della costruzione dell’Europa, della situazione europea dei nostri paesi e dei successi o delle difficoltà di ciascuno dei movimenti membri se non scambiando fra di noi le nostre informazioni e le nostre opinioni, facendo il punto tanto sullo stato dell’azione quanto sullo stato dell’organizzazione. Ne segue la necessità di articolare i lavori del Comitato federale, salvo che per questioni di dettaglio, soltanto su due punti: a) analisi della situazione politica e dell’azione; b) analisi dello stato dell’organizzazione. Senza di ciò le opinioni e le informazioni si presenterebbero in modo frammentario e non permetterebbero la formazione di un’esperienza comune. La seconda osservazione è che i nostri Comitati federali analizzano e discutono la situazione e l’azione, ma in generale non traducono queste analisi in forma scritta. Ne segue che queste analisi sono perdute, che la nostra esperienza comune non si accresce, che la nostra discussione non può approfittare dei precedenti. Vi propongono di conseguenza di esprimere il vostro parere su questo rapporto, di respingerlo, di accettarlo o di emendarlo, allo scopo di documentare, e di conservare per l’avvenire, i risultati dei nostri lavori.
Resta una questione. Dopo il Congresso di Bruxelles i grandi fatti della costruzione europea o delle responsabilità dell’Europa non sono stati fatti oggetto di prese di posizione da parte dell’U.E.F. Ciò è molto grave sia per la vita esterna che per la vita interna del Movimento. All’esterno ciò può dare l’impressione che l’U.E.F. non abbia niente da dire su questi fatti, e all’interno dell’U.E.F. questa mancanza di prese di posizione tende a spoliticizzare i nostri gruppi. In realtà noi non pigliamo posizione solo perché non abbiamo la possibilità di riunire con la frequenza e la tempestività necessarie i nostri organi responsabili. Io penso tuttavia che dobbiamo studiare il problema e risolverlo perché l’U.E.F. non deve mancare di far sentire la sua voce in questi anni decisivi per l’Europa.

 

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