IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno XLI, 1999, Numero 1, Pagina 3

 

 

La battaglia decisiva
 
 
La nascita dell’euro segna una data cruciale nel processo di unificazione europea. Essa costituisce uno straordinario passo avanti nel cammino della creazione del mercato unico e fa dell’Europa, anche se in parte ancora solo virtualmente, una grande potenza finanziaria mondiale. Ma insieme l’Unione monetaria europea fa emergere con grande evidenza alcune gravi contraddizioni del processo e ripropone in termini più concreti il problema dell’unificazione politica del continente.
Si tratta di un problema che è già stato più volte discusso nelle pagine di questa rivista, e sul quale non è il caso di tornare in questa sede, soprattutto perché l’evidenza della necessità dell’Unione politica (o di una Costituzione europea, o di un governo democratico europeo) è ormai tale che le argomentazioni dei federalisti vengono spesso fatte proprie da uomini politici e da commentatori dei più diversi orientamenti.
Non si tratta quindi più di dimostrare la necessità di dare all’Europa una Costituzione. Il problema è quello del passaggio dal dire al fare. E si tratta di un problema di non poco conto: tanto più difficile in quanto l’obiettivo da raggiungere non è la conquista di un potere che esiste, ma la creazione di un potere che non esiste ancora. Per tentare di chiarirne i termini bisogna riprendere la paziente riflessione che ha costituito uno degli oggetti principali dell’impegno politico e teorico di Mario Albertini: quella sul potere di fare l’Europa, e quindi sulla natura della posta in gioco, i soggetti del processo, le circostanze nelle quali questo potrà entrare nella sua fase cruciale e i modi in cui quest’ultima si manifesterà.
 
La sovranità. Il primo punto che si deve mettere in chiaro è che ciò che è in gioco in questa fase è il passaggio della sovranità dalle nazioni all’Europa. Abbiamo già avuto modo di sottolineare che questo passaggio è già cominciato, e che l’entrata in vigore dell’euro ne costituisce una fase importante. E’ un dato di fatto che l’euro restringerà nettamente la libertà d’azione dei governi nazionali per quanto riguarda la politica economica e che esso, soprattutto quando sarà reso visibile dalla circolazione di banconote e di monete, sarà, agli occhi dei cittadini, un importante simbolo della comune appartenenza ad una nuova entità europea. Ma è anche un dato di fatto che il potere di decidere in ultima istanza, del quale il principale emblema e strumento è il monopolio della forza fisica, cioè il controllo delle forze armate, resta nelle mani dei governi nazionali, ognuno dei quali possiede formalmente l’autorità (e la potrebbe esercitare di fatto in caso di emergenza grave) di staccarsi dall’Unione monetaria. Così come è un dato di fatto che la lotta politica, e quindi il processo attraverso il quale si definisce l’interesse generale, si svolge in Europa quasi esclusivamente nel quadro nazionale, e che l’argomento decisivo per mobilitare il consenso, e quindi per conquistare e mantenere il potere, rimane quello della promozione degli interessi nazionali. E’ quindi importante ribadire che l’ostacolo più difficile deve essere ancora superato.
 
Il metodo intergovernativo. D’altra parte non ci si può aspettare che l’unità politica dell’Europa venga realizzata dalle conferenze intergovernative, cioè con il metodo che è stato usato finora per la riforma dei Trattati: un metodo che affonda appunto le sue radici nell’idea dell’interesse nazionale come naturale obiettivo della politica dei governi e per effetto del quale la politica europea si riduce alla ricerca di compromessi tra interessi nazionali divergenti. E’ evidente che la costruzione europea ha potuto continuare fino ad oggi grazie al fatto che i governi nazionali hanno da sempre riconosciuto l’importanza essenziale di raggiungere questi compromessi nel quadro europeo. Ma ognuno di essi si è da sempre riservata la facoltà di bloccare, con l’esercizio del veto, la volontà della maggioranza quando ritenga minacciato un interesse nazionale vitale, con il risultato di rendere la politica europea dei governi inefficace e non democratica. In quest’ottica, la salvaguardia della sovranità nazionale è il più vitale degli interessi nazionali. E’ quindi impensabile che, in una situazione normale, i governi se ne privino con una decisione unanime, cioè che il metodo intergovernativo possa essere soppresso mediante il metodo intergovernativo.
 
L’opinione pubblica. L’oscura percezione della verità di questo assunto rende spendibile la parola d’ordine dell’Europa dei cittadini. Ma si tratta di una parola d’ordine ambigua. Essa fa generalmente da copertura all’idea — infondata e deviante — che l’opinione pubblica possa evolvere progressivamente, fino al punto di esercitare sui governi una pressione che li costringa all’abbandono della sovranità. Questa convinzione non tiene conto del fatto che l’opinione pubblica fa parte del gioco nazionale del potere. Il potere si fonda sul consenso dell’opinione pubblica, ma gli orientamenti di questa, condizionati dalla contrapposizione degli interessi a breve termine e filtrati da mezzi di comunicazione di massa che costituiscono parte integrante del quadro politico nazionale, non fanno a loro volta che rispecchiare la situazione di potere esistente. Il carattere nazionale del potere rafforza quindi il carattere nazionale dell’opinione pubblica, e viceversa. Tutto ciò non toglie che il processo di unificazione europea sia una realtà, e che questa si rifletta nel fatto che l’orientamento prevalente dell’opinione pubblica nella maggior parte degli Stati membri dell’Unione è favorevole all’Europa. Ma non esistono canali istituzionali o strumenti di mobilitazione del consenso attraverso i quali questo atteggiamento favorevole possa divenire un fatto rilevante per la formazione della volontà politica dei partiti e dei governi; esso rimane quindi puramente passivo e i cittadini continuano a percepire la scelta tra diverse opzioni nazionali come la sola via attraverso la quale essi possono influire, poco o tanto, sulle decisioni dalle quali dipende il loro benessere futuro.
 
Il popolo europeo. Perché questo circolo vizioso si spezzi è necessario che si manifesti una di quelle eccezionali occasioni storiche nelle quali il fenomeno superficiale, confuso e non autonomo dell’opinione pubblica lascia il posto a quello che è in ultima analisi il protagonista di tutte le grandi trasformazioni politiche della storia, cioè al popolo che, in particolari situazioni di emergenza, esce dalla sua passività, acquisisce una nuova fisionomia, mette da parte gli egoismi e le contrapposizioni che caratterizzano la vita normale della società civile e impone con una irresistibile manifestazione di volontà un nuovo assetto istituzionale e una nuova idea dell’interesse generale. In Europa occorrerà quindi che tante opinioni pubbliche nazionali si trasformino in un unico popolo europeo, in nome del quale possa essere intrapreso e portato a termine il processo di trasferimento della sovranità dagli Stati nazionali ad uno Stato federale europeo. E’ opportuno sottolineare che tutto questo non significa che i governi saranno estromessi dal processo. Essi dovranno pur sempre essere al potere per compiere l’atto conclusivo della cessione della sovranità e per delegare ad un’assemblea eletta il compito di redigere la Costituzione degli Stati Uniti d’Europa. Del resto, prima della creazione di un governo europeo, la scomparsa dei governi nazionali significherebbe soltanto l’anarchia. Ma, nel momento decisivo, essi non faranno che eseguire la volontà del popolo europeo.
 
La crisi. Perché tutto ciò avvenga non si può certo sperare in una tranquilla e progressiva maturazione della consapevolezza dei cittadini. E’ necessario che le coscienze ricevano una scossa da una crisi, cioè dall’emergenza di contraddizioni di tale gravità che la concreta possibilità della loro esplosione metta in forse l’assetto di potere esistente e faccia apparire la Federazione europea come la sola alternativa al caos. Sono queste le condizioni nelle quali la moltitudine diventa popolo, i cittadini si possono emancipare dalla tutela del potere politico ed esprimere una propria volontà autonoma. E soltanto in queste condizioni cesserà di agire, negli Stati dell’Unione europea, il condizionamento esercitato dal potere nazionale, perché allora le sorti del potere nazionale diverranno incerte e i governi e le classi politiche acquisiranno la libertà necessaria per compiere l’atto traumatico dell’abbandono completo della sovranità. Fino a che questa crisi non si produrrà, cioè fino a che il metodo intergovernativo sarà sufficiente a superare, anche se con crescente difficoltà, gli ostacoli che via via si presenteranno, i governi nazionali non abbandoneranno il potere di decidere in ultima istanza e il giudizio politico dei cittadini non si emanciperà dall’ottica nazionale.
 
L’avanguardia. Ma la crisi da sola non basta. Non esiste crisi di un ordine politico e istituzionale che quello stesso ordine non sia in grado di risolvere, anche se a prezzo di una progressiva emarginazione dalla storia della comunità politica che esso regge e di un progressivo imbarbarimento della convivenza civile. E’ necessario che governi, classe politica e opinione pubblica siano in qualche modo preparati alla sua venuta, e che in quel momento l’alternativa sia sul campo. Questo è il ruolo delle avanguardie rivoluzionarie e, nel caso dell’Europa, dei federalisti. Sta qui il senso del loro lavoro, oscuro e apparentemente sterile, nel periodo che precede la crisi. Del resto non a caso sono stati i federalisti — anche se pochi se ne ricordano — a lanciare i progetti dell’elezione diretta del Parlamento europeo e della moneta europea, che hanno segnato i due punti culminanti del processo di unificazione fino ad oggi. E’ essenziale quindi che essi continuino a rimanere sul campo, portando avanti con tenacia i loro due compiti fondamentali: quello di rilanciare continuamente l’iniziativa nei confronti di governi e di classi politiche che sono bensì disposti talvolta ad applaudirli, ma che sono decisi a non abbandonare il potere; e quello di tener viva la fiamma dell’idea dell’unità federale dell’Europa in un’opinione pubblica distratta e inerte, nell’attesa che l’occasione si manifesti, in modo che quello che è oggi un consenso debole e passivo diventi volontà politica e partecipazione consapevole alla battaglia costituente. Ma l’avanguardia non è il solo attore del processo. Ve ne sono altri, ed è essenziale per l’avanguardia individuare la loro identità e il loro ruolo.
 
La leadership occasionale. E’ importante sottolineare che gli altri protagonisti attivi del processo, nella fase della mobilitazione del consenso, non possono essere delle istituzioni (anche se l’avanguardia deve mantenere un contatto intenso con le istituzioni esistenti per richiamarle alle loro responsabilità e per denunciarne le inadempienze). Non possono essere i governi e i parlamenti nazionali in quanto tali, che hanno piuttosto una funzione di freno; non possono essere la Commissione, e nemmeno il Parlamento europeo, il cui ruolo, al di là della loro attuale debolezza e inconsistenza, è quello di gestire l’acquis communautaire, e non quello di portare avanti un’azione rivoluzionaria. Si tratta piuttosto di grandi leaders, giunti ai gradi più elevati della responsabilità politica, che fanno parte delle istituzioni, ma non si identificano con esse: che anzi, grazie all’elevatezza della posizione che occupano, riescono talvolta, con l’aiuto dell’eccezionalità delle circostanze, a sottrarsi alla logica nazionale della competizione per il potere e a entrare in contatto con la realtà ben più profonda del processo storico e dei suoi nodi cruciali, e così a raccogliere il messaggio delle avanguardie. Soltanto questi uomini, esercitando quella che Albertini ha chiamato la leadership occasionale del processo, possono mobilitare il consenso dei cittadini e indurli a sentirsi un popolo. Senza la presenza di uno o più di questi uomini, le energie potenziali liberate dalla crisi non potrebbero essere mobilitate e dirette verso l’obiettivo di una grande trasformazione istituzionale, ma sarebbero destinate a riassopirsi nella quotidianità.
 
Il tramite. Esiste infine nei paesi dell’Unione e nel Parlamento europeo un numero ristretto di uomini politici non di vertice che, pur non potendosi impegnare per l’unificazione politica dell’Europa a tempo pieno perché coinvolti nella competizione per il potere e nella sua gestione, intuiscono il carattere storicamente decisivo del problema e potrebbero essere disposti a svolgere un importante lavoro di preparazione, simile a quello dei membri del gruppo del «Coccodrillo» nell’ambito del Parlamento europeo quindici anni fa sotto l’impulso di Spinelli. Questi uomini, che devono essere pazientemente cercati dai federalisti, possono fare da tramite tra l’avanguardia e la leadership occasionale, giocare un ruolo importante nell’organizzazione del consenso quando la leadership occasionale si dovesse manifestare e fare da prima cassa di risonanza delle idee e delle proposte dell’avanguardia.
 
La fase costituente in senso stretto. Se la mobilitazione del consenso dei cittadini (cioè la formazione del popolo europeo) avrà successo, il processo entrerà nella sua fase costituente in senso stretto. In questa fase ritorneranno in gioco le istituzioni. E’ presumibile che il Consiglio europeo — o comunque un certo numero di Capi di Stato e di governo — conferisca al Parlamento europeo, o ad un organo composto di parlamentari europei e di parlamentari nazionali, o ancora, e forse più probabilmente, ad un’Assemblea costituente eletta ad hoc, il compito di formulare una Costituzione federale. Sarebbe comunque inutile tentare di definire fin d’ora la procedura precisa nella quale questi atti prenderanno forma e si succederanno perché nei momenti rivoluzionari le carte si mescolano, gli scenari si trasformano con grande rapidità e le previsioni vengono sistematicamente smentite. Del resto oggi non è definito nemmeno il quadro geografico nel quale si formerà il primo nucleo federale, che peraltro non sembra sia destinato a coincidere con quello degli Stati che nella fase costituente saranno membri dell’Unione e che conseguentemente determineranno la composizione dei suoi organi. Il compito dei federalisti rimane comunque quello di continuare a far circolare nelle classi politiche e tra i cittadini la parola d’ordine della Costituzione federale europea nell’attesa che l’evoluzione delle circostanze consenta quella giunzione tra avanguardia, cittadini e potere che è la condizione indispensabile di ogni trasformazione rivoluzionaria.
 
Il Federalista

 

 

 

il federalista logo trasparente

The Federalist / Le Fédéraliste / Il Federalista
Via Villa Glori, 8
I-27100 Pavia