IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno XXII, 1980, Numero 4, Pagina 223

 

 

L’economia italiana
di fronte ad un crocevia*
 
 
1. — L’Italia si trova di fronte ad una svolta decisiva. Dopo aver fronteggiato l’attacco alle istituzioni democratiche, che ha presentato anche il volto diabolico del terrorismo, deve confrontarsi con una crisi economica grave che, come si usa dire, tende a provocare il suo distacco dall’Europa. Con un’inflazione galoppante, che devasta il tessuto economico-sociale del paese, e con una politica economica che realizza il consenso soltanto intorno al momento assistenziale, l’Italia è destinata a divenire per il prossimo ciclo storico, che può durare alcuni decenni, un’area arretrata nell’ambito dei paesi industrializzati. Ciò non comporta l’uscita dell’Italia dall’Europa, beninteso a meno di una caduta in un regime illiberale e a patto che l’Europa consolidi la sua unità sul terreno politico-costituzionale; ma significa che vi potrà restare come la Grecia, la Spagna ed il Portogallo, cioè con una economia strutturalmente più debole. Il prezzo da pagare sarebbe assai elevato: l’Italia rimarrebbe esclusa dall’esperienza industriale più avanzata, quella connessa con la rivoluzione scientifica. Inoltre, con un’economia statica si approfondirebbe il divario fra il Nord ed il Mezzogiorno e diventerebbe più difficile l’inserzione delle nuove leve di giovani diplomati e laureati nel processo produttivo.
2 — Di fronte a questo crocevia ciò che bisogna soprattutto tener presente è che la ripresa è possibile solo a patto di riprendere in mano il controllo del processo economico prima che il deterioramento economico-sociale diventi irreversibile. È questo il punto cruciale. Ogni considerazione economica che non riconosca questo fatto e questa necessità non è che un alibi per nascondere l’incapacità di governare, la resa agli interessi corporativi e la rinuncia a servire gli interessi generali. È su questo punto che si vedrà se esiste ancora, o se non esiste più, la volontà di risanare la situazione anche nel campo economico, oltre che in quelli del terrorismo e dell’efficienza dell’amministrazione. In questo quadro la stessa «moralizzazione» potrebbe diventare, secondo le peggiori tradizioni italiane, l’ultimo alibi per nascondere il fatto che l’Italia va alla deriva e nessuno provvede. Vale dunque una premessa: si può avanzare qualunque proposta istituzionale, di governo o economica, ma se non si dice nel contempo che cosa si crede di dover fare per rimettere sotto controllo la situazione economica, si bara al gioco non solo nei confronti dell’Italia, ma anche nei confronti dell’Europa. La sconfitta dell’Europa a due velocità dipende in gran parte dall’Italia. Solo se l’Italia riuscirà ad impostare una politica di ripresa economica, potrà far pesare maggiormente nelle scelte della programmazione europea anche le esigenze di Grecia, Spagna e Portogallo, favorendo uno sviluppo armonico e equilibrato della Comunità.
3. — La ripresa economica non è possibile senza l’eliminazione dei privilegi corporativi e senza ragionevoli sacrifici, equamente distribuiti, di tutte le parti sociali. È dunque necessaria l’unità nazionale nel senso vero del termine, cioè come impegno di non sfruttare, per scopi politici di parte, interessi economici di parte incompatibili con l’interesse generale. Qualunque sia la formula politica utilizzata, ciò che conta è che, nella presente situazione dell’economia e della società, si possono ottenere risultati effettivi solo con la convergenza dei partiti democratici sui provvedimenti concreti indispensabili. Un punto di partenza c’è: il consenso circa l’obiettivo di restare nello SME e di non svalutare. Anche il presidente del Consiglio Forlani, nel suo discorso programmatico, ha ribadito questa posizione. Si tratta in effetti di una scelta decisiva: l’Italia o resta nello SME o promuove l’Europa a due velocità ponendosi da sola allivello più basso. Ma sul terreno dei fatti questa scelta non è stata ancora operata né dal governo né dai partiti. Dopo l’avvio dello SME la lira si è svalutata rispetto allo scudo e le riserve valutarie effettivamente disponibili si stanno rapidamente esaurendo. La scelta di stare in Europa, condivisa dal governo e dall’opposizione, rischia quindi di rimanere una petizione di principio se non viene affrontato con decisione il problema del risanamento dell’economia italiana e se, nello stesso tempo, non viene perseguito con determinazione l’obiettivo di far avanzare in Europa la costruzione dell’Unione economica e monetaria, allo scopo di assicurare il controllo dei fattori inflazionistici che non dipendono dal quadro italiano.
A questo riguardo va osservato che l’obiettivo italiano e quello europeo non sono perseguibili separatamente. Per un verso, solo la decisione di avanzare verso la moneta europea può rendere veramente credibile la volontà di procedere verso il risanamento. Per l’altro verso, è evidente che non si può passare da un accordo di cambio, con parità fisse ma aggiustabili, ad una vera e propria Unione monetaria senza aver ristabilito condizioni di equilibrio nell’economia italiana, perché gli altri Stati della Comunità sono disposti ad assistere con prestiti l’Italia durante la fase del riaggiustamento, ma non a finanziare i nostri sperperi.
4. — C’è un punto da tener presente: la prospettiva di un rientro graduale dall’inflazione si è nei fatti dimostrata irrealistica. Dopo un lungo periodo di instabilità monetaria le aspettative inflazionistiche si sono consolidate. In queste condizioni una politica anche moderatamente restrittiva ha forti effetti deflazionistici sulla produzione e sull’occupazione, ma incide in misura molto ridotta sulla dinamica dei prezzi. Per queste ragioni un piano a medio termine, fondato unicamente su misure di controllo della massa monetaria, è destinato al fallimento. Vi possono essere indicazioni diverse sulle politiche da adottare, ma in ogni caso occorre preliminarmente mutare l’orientamento delle aspettative, perché con le aspettative ora prevalenti qualunque tentativo di ottenere effetti a medio e lungo termine risulterebbe vano. Gli argomenti contro la politica dei due tempi sono giusti, ma solo se non vengono invocati, in modo meccanico, al solo scopo di nascondere la necessità di invertire davvero la tendenza con provvedimenti puntuali e adeguati. Se non si realizzano misure antinflazionistiche radicali, capaci di incidere in modo efficace sui comportamenti di tutti gli operatori per dare il senso all’opinione pubblica che si è invertita la tendenza, non si possono avviare con risultati positivi le politiche necessarie per riportare il sistema economico a livello europeo.
5. — L’inversione di tendenza è possibile soltanto se:
a) viene congelato in termini monetari il livello della spesa pubblica corrente, riducendo così il livello del disavanzo grazie all’aumento delle imposte legato all’inflazione che ancora permane nel sistema. L’imposizione di questo vincolo, che ha nei confronti dell’opinione pubblica un effetto importante di annuncio che si vuole effettivamente cambiare strada, provoca questi effetti positivi: 1) si avvia una razionalizzazione della spesa, che è la premessa per aumentarne la produttività; 2) si riduce il deficit, rompendo la spirale perversa per cui il costo del debito pubblico allarga le dimensioni del disavanzo richiedendo ulteriori emissioni di titoli pubblici; 3) si rende possibile in prospettiva un consolidamento del debito pubblico, al fine di restituire autonomia alla gestione della politica monetaria.
b) Si realizza, con gli strumenti disponibili e nel quadro dei dispositivi comunitari, il blocco di prezzi, salari e stipendi. Ciò implica, in particolare, il blocco della scala mobile per un periodo di tempo definito (non superiore ad un anno). Questa misura, che vale di per sé come segnale che si intende effettivamente porre sotto controllo l’inflazione, è anche indispensabile per evitare che la crescita automatica di salari, stipendi e pensioni impedisca il successo del blocco della spesa pubblica corrente. Per quanto riguarda i prezzi, per una serie di prodotti essi vengono determinati sul mercato europeo, dove non è possibile realizzare misure di controllo diretto. In questo caso, l’obiettivo di una stabilità dei prezzi pari almeno alla media europea si può conseguire indirettamente attraverso la fissità del cambio. Un blocco diretto (o un controllo più rigido) è invece necessario per i settori non esposti direttamente alla concorrenza internazionale (a partire dai prezzi dei servizi pubblici). Il sacrificio imposto per un periodo stabilito a priori a chi dispone di redditi da lavoro dipendente, nei confronti dei percettori di altri redditi, può essere compensato con misure di natura fiscale a carattere perequativo. Ma, in ultima istanza, la accettazione dei sacrifici non può fondarsi che sulla percezione di una seria volontà politica volta a realizzare l’obiettivo di un effettivo rientro dall’inflazione. Va ancora detto che per le imprese la competitività è parzialmente garantita dalla stabilizzazione del costo del lavoro, mentre eventuali aumenti di altre componenti di costo — importazioni rincarate all’origine sul mercato mondiale e beni prodotti da settori non esposti alla concorrenza internazionale e non controllabili direttamente — possono essere compensati attraverso misure fiscali (ad esempio, con la fiscalizzazione degli oneri sociali).
c) Viene creata l’Agenzia del lavoro e si può quindi bloccare la politica di trasferimenti assistenziali alle imprese che non riescono ad equilibrare i loro bilanci. Questa misura, che è oggi sostenuta da opinioni autorevoli, consente di intervenire sulla mobilità interaziendale, con corsi di riqualificazione e garanzia del salario. Diventa così possibile rovesciare la tendenza attuale per cui, con motivazioni di carattere apparentemente sociale, vengono premiati i cattivi imprenditori, che dovrebbero invece sopportare le conseguenze della loro condotta sino alla sanzione del fallimento. La creazione dell’agenzia deve essere accompagnata da una riforma della Cassa integrazione guadagni. I lavoratori coinvolti in processi di ristrutturazione aziendale, in attesa di rientrare nel processo produttivo, non devono restare inattivi o, come generalmente avviene, andare ad alimentare il mercato del lavoro nero. Si tratta invece di utilizzare questa forza lavoro in attività socialmente utili, avviando concrete esperienze di servizio civile.
6. — Se si realizza l’inversione di tendenza si può avviare una politica di riconversione produttiva necessaria per ritornare a livello europeo, che deve essere nel contempo una politica di sviluppo del Mezzogiorno e di garanzia del livello di occupazione.
La politica industriale si è finora fondata essenzialmente su incentivi di natura finanziaria o creditizia. Questi, d’altro lato, rappresentavano la contropartita per gli oneri impropri assunti a proprio carico dai produttori attraverso il sostegno di un’occupazione non necessaria nel quadro dell’attività aziendale. In particolare, il fenomeno ha avuto dimensioni più consistenti nel settore delle partecipazioni statali; ma anche le grandi imprese private hanno sopportato un costo legato al perseguimento di obiettivi sociali di carattere generale. Con la fine della politica assistenziale si tratta di garantire, attraverso l’attivazione di una domanda pubblica adeguata e stabile nel tempo, un clima di certezza per le grandi imprese, sia pubbliche che private, liberate dal peso soffocante degli oneri impropri. In questo modo si possono rapidamente attivare nuovi investimenti, consolidando l’occupazione produttiva.
Il mercato europeo deve diventare il quadro di riferimento per le scelte aziendali; e, per quanto riguarda il finanziamento, le grandi imprese devono essere in grado di attingere risorse sul mercato europeo dei capitali. Questa è l’unica garanzia reale che verranno perseguiti obiettivi di efficienza. Nello stesso tempo occorre aver presente che senza un potere europeo, e quindi senza una politica industriale di livello pari a quella delle superpotenze, non si potrà recuperare il terreno perduto nei confronti del Giappone e mantenere il passo con lo sviluppo dell’industria americana, non solo in Italia, ma in tutta Europa.
L’operatore pubblico deve anche associare il settore produttivo in programmi di ricerca applicata, che mirino altresì a favorire la crescita della piccola e media industria ad alto valore aggiunto. Questo settore deve giocare infatti un ruolo importante nello sviluppo economico del Mezzogiorno.
7. — Il processo di ristrutturazione industriale si diffonde oggi su scala mondiale. L’Italia ne è rimasta finora esclusa a causa delle rigidità imposte al sistema. Occorre tuttavia essere consapevoli del fatto che, se si vuole un’industria moderna, l’occupazione in questo settore non cresce. La difesa del livello di occupazione, e il riassorbimento delle energie, soprattutto giovanili, attualmente disoccupate, devono quindi essere affidati al settore terziario e ai programmi di creazione di infrastrutture. Lo sviluppo di un terziario avanzato può fornire l’indispensabile supporto all’industria e attivare una rilevante occupazione compatibile con le caratteristiche dell’offerta di lavoro (giovani diplomati e laureati). Si ovvierebbe tra l’altro all’assurdità della situazione attuale caratterizzata da una forte disoccupazione intellettuale e, nello stesso tempo, da gravissime carenze in settori, soprattutto della pubblica amministrazione (territorio, beni culturali, solidarietà sociale etc.), che richiedono in larga misura lavoro qualificato.
I programmi di infrastrutture possono rispondere a precise esigenze delle collettività locali e dello stesso apparato produttivo, e in particolare possono essere indirizzati sia a migliorare i trasporti, le telecomunicazioni e le condutture di energia (metanodotti), sia a realizzare progetti di risanamento urbano nelle aree metropolitane degradate.
Queste linee di intervento sono compatibili con lo sviluppo del Mezzogiorno. Un segno di svolta potrebbe essere costituito, anche in questo campo, da una decisione pubblica di grande rilievo — in ipotesi la costruzione del ponte sullo Stretto di Messina —, come simbolo di una diversa volontà generale, volta a legare strettamente il Mezzogiorno all’Europa. Nello stesso tempo, si deve cogliere l’occasione offerta dalla coincidenza tra seconda revisione del regolamento del Fondo europeo di sviluppo regionale e rinnovo della legislazione sull’intervento straordinario nel Mezzogiorno per porre a fondamento della nuova politica meridionalista una stretta connessione tra misure comunitarie e misure nazionali e regionali, da realizzarsi anche con l’istituzione di una snella Agenzia tecnica al servizio della Comunità, del governo nazionale e delle regioni, al posto della vecchia Cassa per il Mezzogiorno, divenuta ormai il simbolo per eccellenza della politica assistenziale.
8. — Sull’economia italiana si è abbattuta anche la catastrofe del terremoto, che ha colpito tra l’altro le zone più fragili del paese dal punto di vista economico-sociale. Occorre quindi far fronte alle esigenze finanziarie urgenti della ricostruzione; ma non è pensabile di reperire le risorse necessarie fra le pieghe del bilancio, e neppure con il ricorso a nuove imposte che, come è avvenuto con l’aumento della benzina, andrebbero a colpire le categorie di reddito già più falcidiate dall’inflazione. L’unico strumento finanziario capace di far fronte a queste esigenze straordinarie è quindi il prestito; e le condizioni sono favorevoli per l’emissione di un prestito denominato in scudi sul mercato europeo dei capitali.
Il prestito ha una funzione interna, in quanto incide sulle disponibilità liquide del pubblico, al fine di evitare che la nuova domanda generata dalla ricostruzione alimenti ulteriori effetti inflazionistici; e una funzione esterna in quanto, per la quota collocata sul mercato internazionale, fornisce la valuta necessaria per pagare le importazioni addizionali legate alla crescita della domanda. Il sottoscrittore italiano è posto al riparo dal rischio di svalutazione della lira, in quanto alla scadenza viene rimborsato sulla base dell’equivalente in lire dell’ammontare espresso in scudi. Nello stesso tempo, l’emissione può avvenire a costi più contenuti, in quanto chi acquista i titoli è disposto ad accettare tassi di interesse più bassi, grazie alla garanzia di conservazione del valore capitale.
L’emissione del prestito in scudi per la ricostruzione può rappresentare l’occasione per avviare una liberalizzazione dei movimenti di capitale e per integrare il mercato italiano nel mercato europeo dei capitali. Nella stessa prospettiva si deve collocare anche la proposta del Tesoro di procedere ad un progressivo consolidamento del debito pubblico fluttuante attraverso l’emissione di titoli di Stato denominati in scudi. La sottoscrizione è certo facilitata se ai prestatori viene garantita la possibilità di investire alla scadenza il proprio denaro sul mercato europeo dei capitali.
Se la ricostruzione viene finanziata in larga misura ricorrendo alla solidarietà europea, è necessario prevedere adeguate misure di controllo sull’impiego dei fondi a livello comunitario. L’idea, autorevolmente sostenuta, di creare un’Agenzia modellata sull’esempio della Tennessee Valley Authority, che abbia il compito di cogliere l’occasione della ricostruzione per avviare un processo reale di sviluppo delle aree interne del Mezzogiorno, può essere favorevolmente accolta dagli Stati della Comunità se collegata ad un controllo da parte di una apposita commissione che operi all’interno del Parlamento europeo.
9. — Questo insieme di misure, che mira a debellare il flagello dell’inflazione e ad avviare su basi solide una nuova fase di sviluppo economico, presuppone, come requisito necessario per avere probabilità di successo, un rafforzamento della prospettiva europea. Se questa condizione non si realizza, il progetto manca di credibilità politica. Il risanamento dell’economia italiana è quindi strettamente legato all’avanzamento in Europa della costruzione dell’Unione economica e monetaria. Nel breve periodo questo implica: a) una decisione che elimini il vincolo dell’1% per l’IVA in modo da consentire, attraverso l’aumento delle risorse proprie, un rafforzamento delle politiche comuni e un aumento del bilancio comunitario almeno fino ad un livello pari al 2,5% del PIL europeo, come indicato dal Rapporto MacDougall e come proposto, alla conclusione della sua presidenza della Commissione, da Jenkins; b) la creazione del Fondo monetario europeo, per garantire il passaggio alla seconda fase dello SME. In questo modo lo scudo potrà effettivamente essere impiegato nei regolamenti internazionali, al di là delle sue attuali funzioni di unità di conto.
La creazione della moneta europea, e il rafforzamento parallelo del bilancio comunitario, rappresentano in effetti le condizioni essenziali per la realizzazione di un progetto che miri al risanamento dell’economia italiana. Ma queste decisioni europee, che implicano un trasferimento di competenze, non vengono prese anche e soprattutto perché nella struttura istituzionale attuale della Comunità l’esecutivo è troppo debole e quindi non offre le garanzie indispensabili. Per questo il governo e i partiti in Italia devono sostenere con vigore l’iniziativa assunta all’interno del Parlamento europeo da un gruppo di deputati, volta ad avviare, sulla base del voto europeo e delle sue potenzialità, una profonda riforma istituzionale della Comunità. Il futuro dell’Italia e dell’Europa dipende dall’esito di questo tentativo, perché senza una effettiva capacità di governo a livello europeo non si può formare la volontà politica europea indispensabile per affrontare la sfida della storia.


*Questo testo, elaborato dall’ufficio economico del MFE, è stato adottato dalla Direzione nazionale il 13 dicembre 1980. Per quanto ci riguarda siamo convinti che il governo e i partiti non riusciranno a riprendere in mano il controllo dell’economia, e quindi che ci sarà lo sviluppo negativo preso in considerazione da questo testo. Ma crediamo che sia utile egualmente farlo conoscere per le stesse ragioni per le quali era utile far conoscere la necessità dell’unità federale dell’Europa sin dalla seconda guerra mondiale.

 

 

 

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