IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno XXV, 1983, Numero 4, Pagina 165

 

 

IL VERTICE DI ATENE E IL FUTURO DELL’EUROPA*
 
 
Il fallimento del vertice di Atene è dovuto alla stessa causa che da più di dieci anni impedisce alla Comunità di funzionare e all’integrazione europea di proseguire. E bisogna ormai precisare, per tentare di evitare il peggio, quali sono le responsabilità dei governi nazionali a questo riguardo. Ostacolando deliberatamente, o non riuscendo più a promuovere, l’unificazione dell’Europa, essi rendono precaria o impossibile la ripresa economica, rischiano di rendere irreversibile il distacco economico dell’Europa nei confronti del Giappone e degli USA, e persino di annientare, per un intero ciclo storico di durata imprevedibile, la possibilità per l’Europa di svolgere un ruolo positivo nel mondo. È sensato ritenere che l’abdicazione dell’Europa provocherebbe un grave squilibrio internazionale di carattere permanente, il rafforzamento della tensione e dei nazionalismi, sino a quello più pericoloso che si profila nel cosiddetto primato del Pacifico, e quindi, in ultima istanza, l’aggravamento dei problemi più drammatici dell’umanità.
La paralisi dell’Europa deriva dall’assurdità del tentativo in corso da più di dieci anni, di governare la Comunità con dieci governi nazionali invece che con un governo democratico europeo; cioè dalla pretesa insana e irragionevole dei governi nazionali di fare ciò che non solo non possono fare, ma che non hanno nemmeno il diritto democratico di fare perché sono stati eletti dai loro concittadini per fare la politica nazionale e non per governare l’Europa. Questa insana pretesa dei governi nazionali blocca la formazione della volontà politica europea — che ha la sua sede naturale nel Parlamento europeo ma non può esprimersi in mancanza di un governo europeo e di decisioni democratiche europee — e spinge i governi sulla china fatale della difesa degli interessi nazionali più retrogradi e meschini quando ciò che è in gioco è l’avvenire dell’Europa.
La storia ha sempre decretato il fallimento delle confederazioni. Ogni volta che in un gruppo di Stati con una comune base culturale si è manifestato il bisogno dell’unità per evitare la decadenza e la servitù, ma gli Stati hanno cercato di conseguire la unità con la sola collaborazione intergovernativa, cioè senza un governo comune, il fallimento è sempre stato totale e irrimediabile. Questa è stata la sorte della Grecia classica e delle sue città-Stato. Questa è stata la sorte dell’Italia del Quattrocento e dei suoi Stati cittadini e regionali. Questa rischia ormai di essere la sorte dell’Europa e dei suoi Stati nazionali se, rifiutando il dettato della ragione, l’Europa non riuscirà a «parlare con una sola voce», la voce di un governo comune.
In questa fase di transizione dell’unione doganale e agricola a quelle economica e monetaria, e dalla difesa americana alla difesa europea dell’Europa nel quadro dell’alleanza atlantica, bisogna sempre e comunque tener presente che non ci sarà mai una economia europea degna di questo nome senza una moneta comune e un governo comune; e che non ci sarà mai una difesa europea dell’Europa con le sovranità militari nazionali, e quindi, tra l’altro, con l’impossibilità per la Germania di assumere un ruolo eguale a quello degli altri paesi per quanto riguarda la dissuasione nucleare.
Con questo criterio, cioè con l’uso della ragione, i termini del problema diventano chiari. Proprio perché un governo europeo con tutte le competenze necessarie per l’unità e l’indipendenza dell’Europa non è per ora possibile, i governi nazionali hanno ancora un ruolo europeo da svolgere. Ma questo ruolo non è quello del governo della Comunità. I governi nazionali possono e devono esercitare il ruolo di presidenza collegiale dell’Europa, secondo la vocazione originaria del Consiglio europeo come sembrava opportuno anche allo stesso Jean Monnet. Ma, in questo quadro politico, indispensabile per assicurare la convergenza della politica degli Stati, il governo della Comunità deve essere affidato ad un esecutivo comune nominato e controllato dal Parlamento europeo. Solo un esecutivo di questo genere, che potrà valersi del sostegno del Parlamento, e perciò dei cittadini, dei partiti e delle forze sociali, sarà in grado di sviluppare davvero le politiche comuni, ivi compresa quella monetaria. D’altra parte, solo con il consolidamento di questa prima forma di governo europeo, e con il corrispondente consolidamento della organizzazione europea dei partiti, si potrà creare progressivamente la situazione di potere indispensabile per affidare al governo europeo — che assumerà così la sua forma definitiva — le competenze decisive, quelle della politica estera e militare.
La storia insegna che non c’è altra via per l’Europa. E i fatti mostrano che questa via è percorribile. Grazie all’iniziativa di Altiero Spinelli il Parlamento europeo — la sola istituzione europea che può parlare in nome dei cittadini europei — si è giustamente attribuito il compito dell’azione necessaria per mettere la Comunità in grado di funzionare, ed ha pertanto deciso di presentare agli Stati un progetto di Trattato per l’Unione europea come sviluppo naturale, sostanzialmente previsto dagli stessi trattati di Roma, delle Comunità europee. Il grande significato pratico di questa scelta costituzionale del Parlamento europeo sta nel fatto che ora tutti — e in primo luogo gli elettori europei del 1984 — possono fare la stessa scelta. E i termini della scelta, dopo Atene e un decennio di insuccessi europei dei governi nazionali, sono chiari: o la vita dell’Europa con l’approvazione del testo del Parlamento europeo da parte degli organi costituzionali degli Stati, o la sua morte con il silenzio della ragione, con la ripetizione sempre più stolta ed inutile del tentativo irragionevole di rilanciare la Comunità senza affrontare il problema dell’esecutivo europeo, nonostante lo scacco di tutte le iniziative che vanno dal Piano Werner al Piano Genscher-Colombo attraverso la missione Tindemans.
I cittadini europei, con una maggioranza schiacciante nell’ambito dei paesi fondatori della Comunità, sono decisamente favorevoli all’unità europea. Se sarà data loro la possibilità di sapere quali sono i termini della scelta, sceglieranno certamente l’Europa, cioè la vita. Il primo compito è dunque questo: far conoscere a tutti il progetto del Parlamento europeo e la situazione reale dell’Europa, mettere in azione, e moltiplicare, tutti i canali possibili di informazione, da quelli della rete infinita dei contatti personali a quelli della pressione sui mass media, sulle forze sociali, sui partiti, sui Parlamenti, sui governi.


* Dichiarazione del Presidente del Movimento federalista europeo Mario Albertini.

 

 

 

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