IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno XXIII, 1981, Numero 3-4, Pagina 197

 

 

IL RUOLO INTERNAZIONALE DELLA COMUNITÀ EUROPEA ED I PROBLEMI DELLA DIFESA DELL’EUROPA*
 
 
L’UEF ha costantemente sostenuto che la creazione di una politica estera e di difesa comune della Comunità europea è indispensabile: a) per condurre al suo completamento il processo di unificazione europea; b) per raggiungere l’autonomia internazionale necessaria alla libera scelta del suo modello politico ed economico-sociale interno; c) per fornire un contributo decisivo al superamento del sistema mondiale bipolare in direzione di un sistema pluripolare, il quale, oltre ad essere più favorevole al progresso della distensione e alla realizzazione di un rapporto più giusto fra Nord e Sud del mondo, potrà aprire la strada alla graduale creazione di un governo mondiale. Questa esigenza è diventata negli ultimi anni particolarmente pressante poiché siamo entrati in una situazione di grave crisi della distensione e più in generale dei rapporti internazionali, la quale richiede sempre più imperiosamente un ruolo internazionale attivo dell’Europa. In questa situazione è dunque indispensabile per l’UEF: 1) individuare con chiarezza le cause di questa crisi; 2) precisare il ruolo che la Comunità europea deve e può svolgere ai fini di un positivo superamento di questa crisi, a condizione che decida di procedere rapidamente verso la creazione di un governo europeo in grado di realizzare l’unione economica e monetaria e di avviare la creazione di una politica estera e di difesa comuni; 3) elaborare indicazioni concrete circa le modalità dell’organizzazione della politica estera e della difesa comuni e circa le tappe intermedie in tale direzione.
1a). La causa più diretta e immediata della crisi della distensione è costituita dalla politica dell’Unione Sovietica. Non solo essa tende a congelare il sistema bipolare, difendendo rigidamente l’impero riconosciutole a Yalta e ostacolando, a occidente, l’unificazione europea e, a oriente, l’emergere della Cina, ma tende anche, nel quadro della conservazione del sistema bipolare, a estendere il proprio impero nei punti nevralgici dello scacchiere asiatico e africano, anche al prezzo di aggressioni militari dirette o per interposta persona (Cuba, Vietnam). Inserita in questo quadro, la vicenda afghana non può non apparire assai preoccupante, poiché fa temere un controllo sovietico sul Golfo Persico e quindi sui rubinetti del petrolio.
Oltre a ciò l’Unione Sovietica conduce da alcuni anni una politica degli armamenti estremamente dinamica, che sta producendo, al di là della parità con il blocco occidentale, degli squilibri a suo vantaggio sia nel settore convenzionale che in quello nucleare, dai quali deriva una pericolosa accelerazione della corsa agli armamenti.
1b). La crisi della distensione e dei rapporti internazionali deriva però in modo decisivo anche dai limiti della politica americana. Da una parte gli Stati Uniti non hanno saputo correggere sostanzialmente la politica di sfruttamento neo-coloniale nei confronti del Terzo mondo in una fase in cui da questo ha incominciato ad emergere una protesta sempre più forte contro l’intollerabile divario fra paesi industrializzati e paesi sottosviluppati. E ciò ha contribuito in modo decisivo a produrre una crescente instabilità in questa zona del mondo, la quale, mentre alimenta la nascita di regimi fortemente nazionalistici, autoritari ed avventuristici, portati strutturalmente ad aumentare la tensione internazionale, crea anche situazioni favorevoli agli interventi sovietici, con i connessi pericoli per la pace.
D’altra parte di fronte alla politica anti-distensiva ed espansionistica dell’URSS gli Stati Uniti stanno dando, soprattutto con la nuova amministrazione, una risposta del tutto inadeguata di puro contenimento militare, che non nasconde di voler perseguire l’obiettivo destabilizzante e avventuristico del recupero della superiorità militare americana e che tende a subordinare i rapporti Nord-Sud alla logica del confronto Ovest-Est e quindi a sostenere i regimi più reazionari purché antisovietici e anticomunisti.
1c). Il quadro generale che collega fra di loro i fattori fondamentali che sono all’origine della crisi della distensione e dei rapporti internazionali e che permette di comprenderli in profondità è la sempre più palese inadeguatezza, di fronte ai problemi di fondo dell’attuale situazione storica, di un sistema internazionale che affida soltanto a due potenze le massime responsabilità relative al governo del mondo.
In effetti l’equilibrio bipolare non è in grado di produrre una distensione duratura a causa della sua strutturale rigidezza, dovuta al fatto che manca in esso la funzione di ago della bilancia esercitata da altri poli autonomi dell’equilibrio e quindi ogni rafforzamento o indebolimento di uno dei due poli comporta un automatico indebolimento o rafforzamento dell’altro polo. Per la stessa ragione questo sistema tende a ostacolare qualsiasi cambiamento sostanziale all’interno delle zone di influenza delle potenze egemoniche, poiché ne deriverebbero alterazioni di un equilibrio strutturalmente precario, ed è spinto a inserire in questa logica anche i problemi dei paesi non allineati o delle cosiddette zone grigie (che coincidono con gran parte del Terzo mondo), bloccandone i processi di sviluppo e di emancipazione. Pertanto appare sempre più improcrastinabile il passaggio a un sistema mondiale pluripolare, nel quale le responsabilità del governo del mondo vengono estese dagli USA e dall’URSS ai paesi non allineati, all’Europa, alla Cina, al Giappone (e quindi progressivamente a tutte le aree del mondo, nella misura in cui sappiano dare vita a comunità politiche di dimensioni adeguate all’attuale situazione storica). In un tale quadro non solo si attenuerebbero in modo decisivo i fattori della tensione Est-Ovest connessi con la rigidità strutturale dell’equilibrio bipolare, ma anche i paesi del Terzo mondo potrebbero acquisire il potere e l’influenza necessari per giungere a un migliore equilibrio Nord-Sud e al pieno sviluppo di un nuovo ordine economico internazionale. Per una aspettativa di questo genere c’è una solida base, proprio perché l’aspetto più rilevante del multipolarismo è lo spostamento di potere dagli USA e dall’URSS, relativamente ricchi di materie prime, all’Europa, molto povera di materie prime e quindi più disposta, per la forza stessa delle cose, a collaborare su un piede di parità.
2a). Di fronte all’attuale grave crisi dei rapporti internazionali la Comunità europea ha finora svolto un ruolo del tutto inadeguato alle sue potenzialità. Ciò vale anzitutto per quanto riguarda i rapporti Est-Ovest. Consapevole che la prosecuzione e lo sviluppo della distensione costituisce un proprio interesse vitale, poiché il ritorno alla guerra fredda deteriorerebbe lo sviluppo economico e sociale in Europa, comprometterebbe sia i rapporti di scambio che quelli umani (importantissimi soprattutto per la R.F. di G.) con l’Europa orientale e metterebbe in grave pericolo le fondamentali acquisizioni democratiche in Europa occidentale, la Comunità (agendo però assai spesso più attraverso la mediazione dell’asse franco-tedesco, che non con proprie iniziative) ha compiuto indubbiamente un notevole sforzo, soprattutto dopo l’invasione sovietica dell’Afghanistan per salvare un minimo di distensione in Europa e in generale nei rapporti Est-Ovest. E gli sviluppi in Polonia, che certo non sarebbero stati possibili in un contesto di ritorno alla guerra fredda, hanno dimostrato la validità di fondo di questa linea. Hanno cioè messo in luce che nel quadro della distensione diventa possibile una evoluzione positiva all’interno del blocco orientale (si tengano anche presenti gli sviluppi in Romania per quanto riguarda la politica estera e in Ungheria per le riforme economiche), la quale, partendo dagli Stati satelliti, non potrà alla lunga non coinvolgere la stessa Unione Sovietica.
Per quanto utile nel breve periodo, è però del tutto evidente che la linea della Comunità a favore della distensione non sarà in grado di influenzare in modo sostanziale e duraturo la situazione, se non troverà il suo sostegno nella creazione di un governo europeo capace di completare l’integrazione economica e di avviare la realizzazione di una difesa autonoma dell’Europa.
Solo con una difesa europea perderanno ogni fondamento le tentazioni sovietiche di finlandizzare l’Europa occidentale e si potrà nello stesso tempo esercitare una reale influenza sulla politica americana e sovietica in direzione di una riduzione sostanziale delle loro forze militari. E soprattutto solo con la difesa europea potrà nascere un vero sistema multipolare, il quale renderà possibile un graduale superamento dei blocchi e, quindi, il superamento della divisione della Germania e dell’Europa, ed eliminerà in modo definitivo gli ostacoli all’evoluzione dell’Est europeo derivanti dall’equilibrio bipolare.
2b). Anche in riferimento al rapporto Nord-Sud il ruolo svolto finora dalla Comunità europea appare inadeguato.
In questo contesto sono certo emerse alcune tendenze da valutare positivamente, fra le quali vanno ricordate in particolare: il rinnovo con alcuni miglioramenti della convenzione di Lomé; l’iniziativa a favore della pace in Medio Oriente, la quale ha giustamente indicato nella soluzione del problema dell’autodeterminazione palestinese e nell’associazione dell’OLP alla trattativa avviata dall’accordo di Camp David le premesse indispensabili per giungere a una duratura soluzione pacifica del conflitto arabo-israeliano; l’assunzione di fronte alla situazione dell’America centrale di una posizione critica nei confronti della tendenza americana a ricondurre l’instabilità del Terzo mondo essenzialmente alla politica dell’URSS o dei suoi alleati, invece che alle intollerabili condizioni di arretratezza di questi paesi, e a sostenere quindi i regimi più reazionari purché antisovietici e anticomunisti.
Non è però ancora emerso un piano organico (un nuovo «Piano Marshall») per lo sviluppo del Terzo mondo, che corrisponde all’interesse vitale dell’Europa (la cui crescita economica non potrà riprendere al di fuori di una nuova divisione del lavoro con i paesi sottosviluppati), ma che comporta un grandioso trasferimento di risorse verso le aree arretrate (di cui si deve favorire l’integrazione regionale) e quindi una politica di austerità nei paesi ricchi. Né si è dimostrata alcuna capacità di contrastare la tendenza delle superpotenze verso una crescente militarizzazione del Terzo mondo e di favorire l’affermarsi di un nuovo codice della distensione che abbia fra i suoi punti principali la non-ingerenza soprattutto militare nei paesi del Terzo mondo e la realizzazione del principio dell’autodeterminazione dei popoli.
Ed è evidente che anche qui la debolezza dell’azione comunitaria è direttamente proporzionale ai suoi ritardi sul piano della unione economica e monetaria e all’incapacità di affrontare in modo graduale, ma effettivo, il problema della difesa europea. Al riguardo occorre sottolineare in particolare che i risparmi resi possibili dall’organizzazione della difesa europea e dallo sviluppo della distensione, che l’autonomia europea favorirebbe, permetterebbero il trasferimento di enormi risorse dalla politica degli armamenti alla politica dello sviluppo.
3a). Fino a quando non si giungerà al superamento dei blocchi la difesa europea dovrà essere necessariamente organizzata sulla base del Patto atlantico, il quale potrà però svolgere in modo adeguato i suoi compiti solo se verrà profondamente riformato realizzando il principio dell’equal partnership fra Stati Uniti ed Europa. Ciò presuppone che la Comunità europea proceda all’integrazione completa delle forze convenzionali e atomiche degli Stati membri sotto un comando unico dipendente dall’esecutivo europeo e sottoposto al controllo democratico del Parlamento europeo.
La europeizzazione delle forze atomiche francese e britannica, oltre a corrispondere ad una esigenza di autonomia, è imposta in modo sempre più pressante da una situazione in cui il raggiungimento della completa parità militare fra USA e URSS e la possibilità da parte di quest’ultima di provocare enormi distruzioni sul territorio americano alimentano dubbi sempre più fondati sulla credibilità dell’ombrello atomico americano nei confronti dell’Europa e aprono la prospettiva di una catastrofica guerra convenzionale sul territorio europeo.
È chiaro d’altra parte che l’integrazione sotto un comando europeo delle forze atomiche francese e britannica, senza alcun incremento della spesa complessiva, ne rafforzerebbe in modo decisivo l’efficacia dissuasiva, poiché le enormi potenzialità politiche, economiche e tecnologiche di una comunità federale europea renderebbero incomparabilmente più forte la credibilità di un ricorso dell’Europa ai mezzi estremi in caso di minaccia alla sua sopravvivenza.
In tal modo l’Europa disporrebbe di un potere adeguato a far valere efficacemente nelle trattative internazionali il proprio interesse di fondo allo sviluppo della distensione e al disarmo.
Circa l’organizzazione della difesa convenzionale europea occorre esaminare con la massima attenzione le proposte e i suggerimenti di quegli esperti militari i quali ritengono che la difesa lineare debba essere sostituita da una difesa territoriale fondata su di una struttura militare modellata sull’esempio svizzero.
3b). Pur essendo la creazione della difesa europea un’esigenza sempre più pressante, sono tuttavia assai scarse le possibilità politiche che questo obiettivo possa essere realizzato a breve-medio termine. Mentre è invece concretamente possibile in questa fase battersi, sulla base dell’iniziativa del Club del Coccodrillo, per una rifondazione istituzionale della Comunità che renda possibile la realizzazione dell’unione economica e monetaria.
In questo quadro occorre individuare tappe intermedie in direzione della difesa europea, le quali siano fin da ora realizzabili e ci avvicinino realmente all’obiettivo finale. Esse sono a nostro avviso: l’attuazione delle proposte, contenute nel rapporto Klepsch al Parlamento europeo nel 1978, relative alla creazione di una agenzia europea degli armamenti, la quale deve essere intesa anche come uno strumento per sottoporre al controllo democratico del Parlamento europeo l’industria degli armamenti e bloccare quindi i pericoli connessi con la formazione di un apparato militare-industriale; l’attuazione delle proposte contenute nel rapporto Von Hassel all’Assemblea dell’UEO nel 1980, relative all’instaurazione di un legame organico fra questa Assemblea e il Parlamento europeo; un sostanziale miglioramento delle procedure della cooperazione politica europea, che rafforzi la capacità della Comunità di parlare con una voce unica nelle sedi e nelle trattative internazionali, ogni volta che ciò sia possibile, e di affrontare in modo più unitario le crisi internazionali.
Queste iniziative, rendendo manifesta la chiara volontà della Comunità di procedere verso la creazione della difesa europea, rafforzerebbero in modo immediato e decisivo la capacità europea di svolgere un efficace ruolo autonomo in direzione di una positiva evoluzione del quadro internazionale.


* Risoluzione approvata dal Convegno organizzato su questo tema dall’UEF a Torino il 5 aprile 1981.

 

 

 

 

 

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