IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno III, 1961, Numero 1, Pagina 22

 

 

CINQUE CONGRESSI INUTILI
 
 
Il «referendum» cosiddetto «europeo» a Nizza. — Tra la fine di ottobre e il primo di novembre si è tenuto a Nizza il Congresso Parlamentare Internazionale organizzato da Coudenhove-Kalergi per far da soffietto alla proposta di De Gaulle sul «referendum» europeo. Esso ha avuto il merito incontestabile della chiarezza. Coudenhove-Kalergi ha gettato la maschera ed ha parlato esplicitamente. Come Garibaldi, l’eroe di questa città — egli ha detto — rinunziò al suo ideale repubblicano in nome dell’idea nazionale e cedette a Vittorio Emanuele II evitando la guerra civile, così noi dobbiamo abbandonare le chiacchiere federaliste e tenerci alla solida realtà confederale che De Gaulle, nuovo Briand, ci propone. Tutto ciò è molto grottesco — ma molto «papale». Alla buon’ora! Fra tanti europeisti ipocriti che si proclamano federalisti a lunga scadenza — per il 2000, forse — ma sono a breve termine feroci conservatori delle sovranità nazionali, ecco un uomo a cui non si può negare il merito della sincerità (purtroppo congiunto al difetto di un’ingenuità senza limiti).
Le mozioni approvate dal Congresso lasciano ancora meno dubbi: passiva ripetizione delle tesi di De Gaulle sul Segretariato Politico; nettissima affermazione che la federazione è oggi impossibile, e occorre dunque mettersi sulla via confederale; formulazione infine della questione da sottoporre al «referendum» non già in una chiara alternativa tra il superamento o il mantenimento delle sovranità nazionali ma in una formula che non lascerebbe alcuna scelta all’elettorato fra la soluzione egemonica gollista e lo statu quo (siete per un’Europa economicamente, culturalmente e politicamente unita?). In tutto ciò non vi sono equivoci, né sono possibili false interpretazioni. Grazie ne siano rese a Coudenhove-Kalergi.
Le elezioni cosiddette «europee» a Lussemburgo. — Ma altrettanto pochi equivoci, a dire il vero, vi sono stati a Lussemburgo, al Congresso organizzato dal Movimento europeo per far da soffietto al progetto di elezioni «europee» proposto dall’A.P.E. (Assemblea parlamentare europea) (il cosiddetto progetto Dehousse), ma trasformatosi anch’esso in un congresso d’incensamento al nuovo Padre della Patria europea De Gaulle.
La mozione finale inizialmente proposta dagli organizzatori del Congresso affermava che «l’elezione a suffragio universale diretto dell’A.P.E. costituisce un contributo particolarmente efficace alla costruzione europea» e chiedeva pertanto «ai governi di approvare quanto prima il progetto proposto da tale Assemblea». Non è stato difficile ai due deputati gollisti intervenuti al Congresso, De la Malène e Peyrefitte, dimostrare quanto dérisoire fosse un tale progetto — di elezioni per un’assemblea a «potere consultivo, e per di più con competenze solo tecniche» (come ha detto testualmente De la Malène) — rispetto all’urgenza dei problemi europei. Occorre, essi hanno affermato, un progresso sostanziale e immediato nell’integrazione del continente, che non costituisca una soluzione di dettaglio in sé insignificante, ma abbia portata generale e valore essenzialmente politico, al di là del carattere specializzato e tecnico delle Comunità a Sei. Tale progresso, essi hanno concluso, è costituito… dal Segretariato politico proposto da De Gaulle. Il Congresso, pur apportando, nella formulazione sopra indicata, la tesi delle elezioni, si è affrettato ad aggiungere, nella mozione finale, anche una piena approvazione della tesi gollista, che pone il riconoscimento definitivo delle sovranità nazionali come fondamento e premessa del nuovo tipo di unità europea che si vuoi costruire (e significa la condanna implicita delle stesse elezioni europee, rispetto alle quali De Gaulle, nel recente scambio di idee col Presidente dell’A.P.E. Furler, si è espresso in maniera recisamente negativa).
Quando era di moda l’Europa «sovrannazionale» il Movimento europeo sosteneva l’Europa sovrannazionale. Quando governi si sono orientati verso la C.E.D., il Movimento europeo si batteva per la C.E.D. Venuta l’U.E.O. ha difeso l’U.E.O. Al momento del Mercato Comune, è stato senza riserve per il Mercato Comune. Ora che il vento spira verso l’egemonia francese dell’Europa delle patrie, il Movimento, nonostante le implicazioni profondamente reazionarie di questa Europa, lavora in tal senso. Se, Dio ne liberi, ritornasse l’Europa-nazione dei fascisti e dei nazisti, c’è da scommettere che il Movimento europeo — allegando, al solito, le esigenze di realismo, di prudenza e di gradualismo che hanno sempre servito a giustificare ogni immobilismo ed ogni vigliaccheria — appoggerebbe anche quella. Chissà se Randolfo Pacciardi — promosso ufficialmente bonzo europeista e presidente del Congresso — lo seguirebbe anche su quella strada.
Il Congresso giuridico internazionale di Strasburgo sulla cosiddetta «Convenzione europea sulla tutela dei diritti dell’uomo». — Intanto il 14 novembre a Strasburgo ha emesso — dopo tanto  — la sua prima sentenza (del resto… puramente interlocutoria) la Corte istituita dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Una corte da operetta, come tutto ciò che avviene nell’ambito del Consiglio d’Europa: basti pensare che alla Convenzione aderisce la Turchia, senza che né la Commissione né la Corte — i due organi istituiti dalla Convenzione — abbiano mai avuto occasione di occuparsi, durante il regime Menderes, della situazione di quel paese — con tanti saluti alla salvaguardia dei diritti dell’uomo.
Ciò non ha impedito all’Università di Strasburgo di giudicare l’avvenimento così interessante da dedicare un Congresso giuridico internazionale all’esame della Convenzione. Questo esame, beninteso, non poteva dare, e non ha dato, che il risultato contenuto tutto in questa enunciazione: un tribunale (come un parlamento) europeo ha senso solo come elemento di un organico sistema statale, come uno dei tre poteri che «funziona», non diversamente dal carburatore o da un cilindro di un motore, solo in connessione con il motore intero (cioè, fuor di metafora, in connessione con l’ordinamento giuridico di uno stato federale). A che pro allora perdersi in un esame tanto minuzioso delle lacune, dei difetti, delle manchevolezze, delle reticenze, dell’enunciazione dei diritti dell’uomo o delle procedure della convenzione — se tanto si sa in anticipo che questa non può funzionare? A che serve perdersi a descrivere gli acciacchi, i guidaleschi, le azzoppature che pregiudicano gravemente le prestazioni di un cavallo — quando si sa in anticipo che il cavallo è impagliato? Misteri della scienza accademica, che ama se pencher sul sesso degli angeli.
La «Tavola Rotonda» di Parigi sull’aiuto ai Paesi sottosviluppati. — Intorno a un cavallo impagliato si è discusso anche a Parigi, al «Château de la Muette», alla Tavola Rotonda tenutasi a fine ottobre sotto la presidenza di Fernand Déhousse, alla quale hanno preso parte numerose personalità del mondo politico, economico e finanziario europeo. Anche lì tesori di saggezza sono stati profusi nel dimostrare la necessità, e le forme più pratiche ed efficaci, dell’aiuto ai paesi sottosviluppati. Ma si è rigorosamente taciuto sulla condizione politica indispensabile per far passare quei progetti dal piano delle belle intenzioni a quello della realtà, che è, ancora una volta, il préalable federale. La Federazione europea infatti permetterebbe non solo di trovare, per tale aiuto, quei capitali che i singoli Stati nazionali, non hanno, e non vogliono dare; ma consentirebbe — il che è almeno altrettanto importante — di opporsi efficacemente alla politica degli Stati Uniti, tutte le volte che questa minaccia di degenerare paurosamente, sostenendo regimi corrotti, sul tipo di quello di Sigman Rhee, nell’illusione che questi costituiscano un baluardo valido contro il comunismo. E infine — last but not least — solo la federazione permetterebbe all’Europa Occidentale, e in particolare alla Francia, di volgere definitivamente le spalle al colonialismo, e di fornire un aiuto disinteressato, per la promozione della libertà e della democrazia nei Paesi nuovi. Altrimenti (si pensi ad esempio all’Algeria) si corre il rischio di versare somme per il loro sviluppo — e di promuovere invece…. la loro oppressione.
I suggerimenti di Parigi meriterebbero certo, per la loro serietà e ricchezza di indicazioni, uno studio particolareggiato. Ma a che servono questi propositi lodevoli quando manca la volontà politica di creare lo strumento indispensabile per tradurli in realtà? Di buone intenzioni è lastricato l’inferno.
La Zona di Libero Scambio a Londra. — Quasi negli stessi giorni in cui si teneva il Congresso di Lussemburgo, lo stesso Movimento europeo organizzava a Londra un Congresso fra i «sette» sulla Zona di libero scambio. Così, mentre detto Movimento sosteneva a Lussemburgo la necessità di rafforzare, sotto la guida di «Carlo il Lungo», l’unità dell’Europa Continentale, come base per ulteriori accordi con il resto dell’Europa libera, a Londra questa tesi veniva esattamente rovesciata — tale è l’unità di visione politica degli «europeisti ufficiali» — per bocca del relatore al Congresso, il conservatore svedese Heckscher, le cui tesi sono poi state riprese nella risoluzione finale. Solo se la Z.L.S. saprà consolidarsi, egli ha detto, e andare oltre una semplice unione doganale, verso una più vasta integrazione economica — magari, ha aggiunto l’on. Lincoln Stee, relatore sui problemi dello sviluppo commerciale nella Z.L.S., estendendo ai Paesi membri i vantaggi della clausola della nazione più favorita di cui beneficia il Commonwealth — essa potrà sperare di esercitare con successo un’azione per raggiungere una soluzione europea globale (cioè il definitivo annacquamento del Mercato Comune in un’associazione commerciale di tipo tradizionale).
Abbiamo più volte sostenuto che non si debbono esagerare i pericoli della divisione in due dei blocchi, come i nemici dell’integrazione europea usano definirla, più volte evocata anche in questo Congresso, ma che, ad ogni modo, i suoi effetti possono a lungo termine essere negativi, e pertanto giustificabili solo se la contropartita sia la creazione di una vera unione fra i Sei, di schietto tipo federale. Ma su ciò ovviamente, tanto a Lussemburgo come a Londra, nessuno ha detto verbo.
 
Andrea Chiti Batelli

 

 

 

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