IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno III, 1961, Numero 1, Pagina 26

 

 

FEDERALISMO EUROPEO
E LEALISMO NAZIONALE
 
 
Il federalismo europeo o è una opposizione di regime o un pio voto, inutile e ridicolo. Per definizione il federalismo europeo vuole rovesciare gli Stati nazionali europei — o almeno un numero sufficiente di tali Stati — ed istituire un governo federale europeo. Orbene, come chi vuole abbattere un governo e insediarne un altro non può che usare il mezzo indispensabile dell’opposizione di governo, così chi vuole abbattere degli Stati e crearne uno nuovo deve ricorrere all’opposizione di regime. Si tratta di costatazioni ovvie. Dure sono semmai le conseguenze pratiche: in primo ordine quelle riguardanti il lealismo verso gli Stati nei quali vive ciascun militante federalista. Mentre l’opposizione di governo non comporta la rottura del lealismo nazionale perché ha in comune con il governo in carica il proposito di mantenere lo Stato, una opposizione di regime che non rompesse tale lealismo diverrebbe una burletta perché accetterebbe nel fatto ciò che rifiuta nel principio: lo Stato esistente. Per questa ragione la rottura del lealismo nazionale è la prova del fuoco del militantismo federalista; essa contraddistingue infatti il suo essere oppure no una opposizione di regime, quindi il suo essere oppure no una cosa seria.
La questione del rifiuto del lealismo nazionale è pertanto connessa con quella dell’opposizione di regime. A questo proposito bisogna fare una prima distinzione. Si dà il caso che i regimi politici siano rifiutati, con motivazioni perfezionistiche, anche da coloro che commisurano lo Stato nel quale vivono ad un regime ideale, impossibile, e non ad uno semplicemente migliore e possibile. Gli anarchici illustrano bene il caso. Essi respingono ogni società che presenti il fenomeno del potere in nome di una ideale società nella quale il potere sia sostituito dalla pura associazione, dalla fraternità. Concezioni di questo genere possono dar luogo ad atteggiamenti seri — ad es. religiosi come spesso tra gli obiettori di coscienza — ma non possono, evidentemente, produrre eventi politici. Propriamente parlando tali concezioni non implicano il rifiuto di questo o quel lealismo politico ma del lealismo politico, il rifiuto stesso della politica.
Per giudicare la portata e il significato della rottura del lealismo nazionale in senso specifico, bisogna dunque collocare la questione nel contesto politico, allo scopo di: a) scegliere i criteri di condotta che, dato il contesto politico, si baseranno sulla morale politica; b) valutare se, nel caso del federalismo europeo, la rottura del lealismo nazionale è seria o velleitaria (come ci viene rimproverato da molti politici di osservanza nazionale, i quali poi definiscono come rivoluzionarie le proprie posizioni politiche tradizionali come la radicale, la socialista, la comunista).
Il punto (a) è importante per la seguente ragione: il rifiuto del lealismo nazionale, iscritto ad esempio in un contesto puramente religioso, comporterebbe il dovere di non prestare il servizio militare, di non pagare le tasse ecc. in qualunque circostanza di fatto perché la morale religiosa — imperniata sulla convinzione — non tollera difformità tra la forma dei principi e quella dell’azione. Lo stesso rifiuto, iscritto in un contesto politico, comporta invece la condotta risultante dall’applicazione di questo criterio: fare sempre tutto ciò che aumenti il potere del federalismo organizzato e diminuisca — rispetto all’alternativa federalista — il potere degli Stati nazionali, indipendentemente da una perfetta corrispondenza tra la forma dei principi e la forma dell’azione, perché la morale politica è imperniata sul risultato. In sostanza la rottura del lealismo nazionale comporta, politicamente, l’impostazione di una linea politica federalista e la disciplina a tale linea.
Ci sono sempre stati dei farisei i quali, imprecando a Machiavelli e praticando un ossequio esteriore ai principi — senza servire interiormente alcuna morale — hanno tacciato di opportunismo la morale politica. La realtà è diversa. Non è affatto in gioco una scelta tra l’opportunismo e la fedeltà, ma la scelta tra diverse morali, tutte « virtuose» quando seriamente osservate. Le possibilità delle deviazioni, dell’opportunismo, del farisaismo, del donchisciottismo e così via si presentano in ogni morale. Nel fatto ogni morale, seriamente osservata, comporta dei sacrifici, e solo giudicando casi determinati si potrà vedere da che parte stiano i sacrifici maggiori. Restando nel contesto politico, e riferendosi al caso dell’antifascismo (vale a dire della più recente esperienza storica di opposizione di regime), si constata facilmente che si trattò sempre di fare dei sacrifici, ma di sacrifici diversi secondo il momento politico. Ad esempio negli anni tra il 1935 ed il 1940 era doveroso, dal punto di vista antifascista, sopportare i sacrifici derivanti dall’isolamento politico, necessario per non partecipare al coro delle lodi che poco o tanto rafforzavano il regime. Ma, salvo casi speciali, non era doverosa l’insubordinazione, che si sarebbe risolta in un gesto donchisciottesco da anima bella, inutile e forse persino dannoso, per le stesse fortune dell’antifascismo. Questa insubordinazione divenne però doverosa, sino al rischio della morte, nel 1943 perché, essendo ormai il potere fascista in stato di contestazione presso l’opinione pubblica, ogni atto pro o contro lo rafforzava o lo indeboliva.
Visti, esaminando (a), i criteri generali di condotta, si tratta di analizzare (b), cioè di valutare se, nel caso specifico del federalismo europeo, la rottura del lealismo nazionale può diventare un impegno serio o se non può che risolversi fatalmente in una intenzione velleitaria. La rottura equivale alla opposizione di regime, e l’opposizione di regime è seria o velleitaria a seconda che sia possibile, o impossibile, una lotta politica rivolta ad abbattere gli Stati nazionali e ad istituire un governo federale. Di questo si deve ora ragionare. Ci si deve in sostanza chiedere se c’è, oppure no, crisi degli Stati nazionali (indipendentemente dall’esistenza di una immediata crisi del potere, che non è la stessa cosa) e se l’alternativa federalista è possibile.
A mio parere questa crisi c’è, e il dato corrisponde addirittura ad una osservazione di senso comune. Anche se non sa tirarne normalmente le conseguenze, non c’è persona che non sappia che la situazione degli Stati nazionali del continente europeo è simile a quella delle città-Stato greche di fronte a Roma, degli Stati regionali italiani di fronte alle monarchie francese e spagnola. E’ vero che la bomba atomica, congelando in parte la lotta politica mondiale, ha ritardato un po’ alcune conseguenze della crisi degli Stati nazionali europei, o, per dir lo stesso, della fine del sistema europeo, degli Stati e dell’inizio del sistema mondiale degli Stati. Ma è anche vero che queste conseguenze sono soltanto ritardate. Esse non potranno mancare perché i rapporti di potenza tra i nuovi Stati continentali ed i vecchi Stati sono quelli che sono. Dipende pertanto dagli uomini l’alternativa: gli Stati nazionali del continente europeo — nonostante la loro salute apparente — stanno per scomparire dalla scena della storia attiva. Il loro posto sarà preso da qualcos’altro, forse dalle soluzioni di coloro che saranno riusciti ad impostare e a sviluppare una alternativa, ad aspettare, e a colpire nel momento giusto. Il federalismo è una di queste soluzioni, è virtualmente una alternativa perché un governo federale è possibile in Europa o, a dir meglio, perché un potere federale, se istituito, si manterrebbe.
Il federalismo non è però una alternativa facile. Il suo obiettivo, l’istituzione di uno Stato nuovo su un’area nuova, è l’obiettivo più difficile a perseguire in politica. Il mezzo per raggiungere tale obiettivo è, dopo la restituzione della sovranità alla Germania occidentale, la creazione di una nuova forza politica, e non c’è mezzo politico più difficile da costituire di questo. In conclusione, il rifiuto del lealismo nazionale può essere una cosa seria solo se si accompagna al tentativo di risolvere questi problemi, non se mira più in basso. Naturalmente non è possibile in questo articolo esaminare il carattere di questi problemi. In ogni modo, nel momento presente, essi presentano questo carattere: si tratta, ora, di valutare esattamente la quantità di potere disponibile e di impostare la politica che aumenti tale quantità di potere. Questa tappa nella lotta per il potere costituente comporta: a) la lotta politica per l’egemonia dell’europeismo organizzato, b) un approfondimento della lotta sul terreno culturale dove è possibile sin da oggi rifiutare formalmente il lealismo nazionale. Il potere dei federalisti è infinitesimo ma è sufficiente per impostare una linea politica rivolta all’egemonia dell’europeismo organizzato. Il loro approfondimento culturale è limitato ma sufficiente, credo, per smascherare l’idolo nazionale. Oggi il rifiuto del lealismo nazionale comporta la disciplina rispetto ad una azione di questo genere. Se essa avrà fortuna, preparerà il momento della lotta finale per il potere costituente, durante la quale il rifiuto del lealismo nazionale giungerà sino alle estreme conseguenze.
 
Mario Albertini

 

 

 

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