IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno XXI, 1979, Numero 2, Pagina 124

 

 

I POTERI DEL PARLAMENTO EUROPEO
 
 
Quando si dice che il Parlamento europeo non ha poteri si dice in realtà che non ha i poteri che avevano i Parlamenti nel secolo scorso. Ma ciò che si tratta di vedere è se il Parlamento europeo ha, o non ha, i poteri dei Parlamenti moderni. Va dunque ricordato, a questo proposito, che non è più possibile separare, come una volta, i poteri dei Parlamenti da quelli dei governi, applicando meccanicamente lo schema della distinzione tra il potere di fare le leggi e quello di governare. Nelle democrazie moderne l'esecutivo ha acquisito funzioni di carattere legislativo e fiscale (specialmente per quanto riguarda l'iniziativa, che nel Regno Unito è ormai un monopolio del governo); e il Parlamento, a sua volta, ha acquisito anche in un modo di cui spesso non ci si rende conto, funzioni di carattere esecutivo.
Al limite non c'è più atto esecutivo che non sia anche legislativo e viceversa. È a questo livello che si colloca, nel nostro tempo, la capacità effettiva di governo. Ne segue che per stabilire quali sono i poteri di un Parlamento non conta tanto constatare quali siano le sue competenze (in senso tradizionale), quanto accertare se queste competenze, quali che esse siano (secondo la forma dello Stato), sono comunque tali da permettergli di impedire l'esistenza di un governo non fondato sulla scelta del popolo. E ciò succede se non si istituiscono punti di interruzione nel canale che va dagli elettori, attraverso il Parlamento, sino al governo.
È con questo orientamento che va esaminato il problema dei poteri. Se il canale in questione è diretto, le maggioranze si formano nel paese, e il Parlamento ha il potere supremo, quello di far valere la volontà del popolo. Va tenuto presente che se le maggioranze si formano nel paese, non può non manifestarsi un blocco Parlamento-governo. D'altra parte, se questo blocco si incrina, il governo cade e la parola torna agli elettori, cioè al popolo. In ogni altro caso, e in particolare se con l'attribuzione di funzioni esclusive al Parlamento, al governo o ad ogni deputato come singolo, si creano sbarramenti in questo canale, sia nel tratto elettori-Parlamento, sia nel tratto Parlamento-governo, le maggioranze si fanno — e si disfano — in seno al Parlamento. Ma ciò non equivale al primato del Parlamento. Ciò equivale al prevalere dell’oligarchia sulla democrazia, e alla degenerazione corporativa della società.
Se si tiene conto di questi dati di fatto, si può stabilire un criterio chiaro e semplice. Un Parlamento non conta per ciò che può fare indipendentemente dal governo e dal popolo, ma per l’effetto che ha sul governo. Solo il Parlamento può rendere democratico il governo. E tanto più lo rende democratico (senza isolare la funzione legislativa rispetto a quella esecutiva), tanto più ha potere. A questo punto, dopo aver ricordato questi dati di fatto e stabilito questo criterio, si può constatare facilmente che i poteri del Parlamento europeo sono molto maggiori di quanto si crede. Vediamo i due aspetti essenziali. Il Parlamento europeo ha poteri sufficienti per far valere il canale diretto sul tratto elettori-Parlamento? Si, e in misura maggiore degli stessi Parlamenti nazionali. Il Parlamento europeo può discutere qualunque cosa come e quando vuole, e prende posizione come e quando vuole dopo aver discusso e votato. Sotto questo aspetto è perfettamente vero quanto ha osservato un esperto inglese, Robert Jackson: «Il Parlamento europeo è padrone in casa sua molto più di quanto non lo sia il Parlamento nel modello inglese di governo, nel quale il predominio teorico del legislativo sull’esecutivo si è trasformato nel predominio del secondo sul primo».
Questo potere di pronunciarsi — e perciò di far valere l'opinione degli elettori — sarebbe davvero soltanto «consultivo», come si usa dire, se ci fosse sull'altro tratto del canale, quello Parlamento-esecutivo, una interruzione; e se, a causa di ciò, l’esecutivo avesse la possibilità di non tener conto delle prese di posizione del Parlamento europeo. Ma anche a questo riguardo — ed è questo il secondo aspetto essenziale della questione — il Parlamento europeo ha poteri sufficienti, sia in materia di bilancio sia, e soprattutto, perché può far cadere, con una mozione di censura, la Commissione. E se è vero che l’esecutivo della Commissione è bicefalo (Commissione e Consiglio), è anche vero che, avendo la Commissione il monopolio dell'iniziativa, la sua caduta corrisponde alla paralisi dell'esecutivo. Ne segue che non si può governare la Comunità senza il consenso del Parlamento. È proprio questo, in effetti, il legame che gli avversari dell'Europa vorrebbe recidere, perché si rendono conto del fatto che col voto europeo il consenso del Parlamento può diventare il motore della Comunità. Vale la pena di ricordare che il più lucido avversario del federalismo europeo, Debré, si è battuto e si battuto e si batte contro il potere del Parlamento europeo di stabilire le sue sessioni, il suo ordine del giorno, e di far cadere la Commissione.
Va ancora detto, a conclusione di queste osservazioni, che con ciò non si escludono affatto i limiti attuali del Parlamento europeo. Ma si dice: a) che questi limiti riguardano l’insieme della Comunità, e il Parlamento solo come un elemento dell'insieme; b) che i poteri del Parlamento e dell'esecutivo, con la legittimazione popolare del voto, sono in ogni caso sufficienti per governare la Comunità nella fase presente del suo sviluppo (unione doganale, unione agricola, avvio dell'unione economico-monetaria); c) che essi sono sufficienti anche per battersi per la loro estensione (va osservato che, a meno di revocare lo stesso diritto di voto europeo, è ormai possibile estenderli ma non diminuirli) a patto, ben inteso, di tener presente che si tratta di accrescere la capacità globale di azione della Comunità e non solo i poteri del Parlamento indipendentemente da quelli dell'esecutivo. In concreto ciò equivale alla possibilità di portare a compimento con la moneta europea l'unione economico-monetaria (S.M.E.), e di affermare il ruolo della Comunità nei rapporti internazionali con responsabilità sempre maggiori nel campo della politica estera e della difesa.
Vorrei ribadire questa conclusione con un esempio. Oggi abbiamo i prezzi agricoli europei ma non una vera politica delle strutture nel settore agricolo. Abbiamo lo S.M.E., ma non un adeguato trasferimento di risorse nel quadro di una vera politica economica europea ecc. Ciò dipende dal fatto che i governi nazionali traggono vantaggio in termini di potere dai prezzi agricoli e dalla stabilità monetaria ma non dal trasferimento di risorse ecc. Ma con il voto europeo, cioè con gli elettori europei e la trasformazione europea dei partiti e dei sindacati, questa situazione di potere sta per cambiare. Il Parlamento europeo potrà finalmente usare tutti i suoi poteri. Siccome può paralizzare l'esecutivo, potrà imporre degli aut-aut (no allo S.M.E. senza il trasferimento di risorse ecc.), e se saprà sfruttare i momenti nei quali la necessità di soluzioni europee si manifesta con grande evidenza, potrà schierare dalla sua parte l'opinione pubblica europea, ormai composta da elettori europei. Proprio per questo l’idea della insufficienza dei poteri è pericolosa: essa può infatti servire da alibi per l'inazione. Ed è proprio per questo che l'opinione pubblica ha un grande compito da svolgere. Se essa (e con essa l'informazione) farà cadere l'alibi che si cela dietro l'idea falsa dell'impossibilità di agire per l'insufficienza dei poteri, obbligherà i partiti e i parlamentari a fare quanto devono, e quanto avranno promesso agli elettori. In questo modo, d’altra parte, l'Europa potrà diventare davvero l'occasione per risanare la vita politica. I partiti sono infatti peggiorati anche perché i cittadini non si sono quasi mai preoccupati di controllarne la condotta, ma si sono limitati a rilasciare una cambiale in bianco quando votano, salvo poi a lamentarsi se le cose vanno male senza tener presente che nessuna opera umana riesce bene se non viene sottoposta al vaglio incessante della critica e al rischio della punizione.
 
Mario Albertini
(maggio 1979)

 

 

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