IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno XVII, 1975, Numero 1, Pagina 44

 

 

DEMOCRAZIA E DITTATURA IN PORTOGALLO
 
 
Il tentativo di colpo di Stato dell’11 marzo ha riproposto drammaticamente all’attenzione il Portogallo. Oggi non è ancora possibile prevedere con precisione gli esiti del fallimento del colpo di mano. Alcune considerazioni possono tuttavia essere fatte, già da ora, sui limiti dell’esperienza democratica in Portogallo, sulle alternative che si sono aperte all’indomani della «rivoluzione dei garofani», sull’insegnamento che l’Europa deve trarre dall’esperienza portoghese.
Innanzitutto va sottolineato che la caduta della dittatura di Caetano non dimostra di per sé l’esistenza di un forte movimento democratico in Portogallo. Il regime fascista è caduto logorato dai propri errori.
Il Portogallo è il paese più povero dell’Europa, con un reddito pro-capite di 717 dollari, pari a metà di quello spagnolo; il Portogallo è il Paese con il tasso di natalità più elevato in Europa, la mortalità infantile più grave, un tasso di analfabetismo assurdo (il 35% della popolazione è analfabeta). Questi dati indicano in modo drammatico la realtà socio-economica portoghese, deterioratasi sempre di più durante i cinquant’anni di dittatura fascista. Il fatto è che il regime fascista non ha saputo dare nessuna soluzione ai problemi gravissimi della società portoghese. La sola risposta data è stata l’emigrazione dei lavoratori: negli ultimi 10 anni 1,6 milioni di portoghesi sono emigrati all’estero, su una popolazione totale di 8,8 milioni.
In questa situazione, il regime fascista non poteva più contare su nessuna forma di consenso interno; esso poteva reggersi solo con la repressione più brutale di qualsiasi fermento.
Il secondo punto di crisi del regime portoghese è stato rappresentato dalla guerra coloniale. Da anni la guerra dissanguava l’economia portoghese, facendo pagare un alto contributo di vite umane ad una popolazione sempre più scettica circa l’utilità di questo conflitto. Lo scontento per la politica coloniale svolta dal regime si è diffuso fra civili e militari. Nel manifesto fatto circolare, nelle settimane che hanno preceduto il colpo di Stato del 1974, da alcuni giovani ufficiali, si legge: «Prima del 1961 il prestigio delle forze armate non era stato toccato. Con la caduta di Goa (occupata dall’India) e il protrarsi indefinito di tre guerre in Africa, il governo le ha rese direttamente responsabili del disastro (…). Man mano che la situazione militare andava deteriorandosi, lo sforzo che si esigeva dai militari è diventato insopportabile. Era strategicamente impossibile raggiungere gli obiettivi che un governo, privo degli strumenti necessari per realizzare la sua politica, cercava di imporre alle forze armate». Il fatto è che la coscienza della impossibilità di ottenere la vittoria con le armi si è diffusa in tutto l’esercito, specie fra i giovani ufficiali: fino a che l’esercito ha tolto il proprio appoggio al regime, rovesciandolo.
A questo si aggiunga la crisi economica internazionale, che non ha risparmiato nemmeno il Portogallo. La situazione economica di questo Paese, già grave per la sua arretratezza e per gli squilibri economici e sociali che lo caratterizzano, è stata portata al collasso dalla crisi internazionale. Nel 1973 l’inflazione ha raggiunto livelli elevatissimi (circa il 20%) e i conti con l’estero, già in equilibrio molto precario, si sono deteriorati gravemente, compromettendo le possibilità di mantenere i livelli di occupazione e di reddito, già drammaticamente bassi, raggiunti in passato.
Questi fatti stanno alla base della caduta del fascismo in Portogallo; essi indicano, al tempo stesso, quanto gravi siano state le condizioni in cui si sono trovate ad agire le forze democratiche ritornate al governo.
Il fatto è che in Portogallo non esistono le basi sociali ed economiche su cui costruire una esperienza democratica autonoma. Da un punto di vista strutturale, il sistema economico portoghese ha dimensioni estremamente limitate e manca delle infrastrutture e delle industrie di base necessarie per sorreggere uno sviluppo economico autonomo. La difficoltà di avviare un processo di sviluppo economico è fatalmente destinata a diminuire il consenso popolare nei confronti del governo. La situazione è inoltre aggravata dai problemi di «transizione» dal passato regime al nuovo assetto democratico, cioè dagli squilibri portati dal distacco delle colonie e dalla necessità di smantellare gli interessi corporativi alimentati dal regime fascista. Nella società portoghese il dualismo che contrappone le popolazioni urbane a quelle rurali è talmente profondo da alimentare tensioni difficilmente mediabili. L’esperienza vissuta nei primi 6 mesi di libertà ha infine dimostrato che le tensioni ideali e politiche represse dal regime fascista per un cinquantennio, in mancanza della possibilità di trovare una pronta realizzazione, spesso hanno assunto la forma di rivendicazioni disordinate e di esplosioni estremistiche, rendendo più difficile il compito del governo democratico.
Questa situazione ha delle importanti implicazioni, sia dal punto di vista interno che internazionale.
Dal punto di vista interno, per superare una situazione tanto difficile è apparsa subito evidente la necessità di realizzare l’unità di tutte le forze democratiche. Quando è in gioco la costituzione di uno Stato, le alternative di governo debbono essere accantonate, per concentrare tutte le forze sull’obiettivo di costruire un ordine nuovo. E qui sta il primo limite dell’esperienza portoghese. E’ ormai chiaro, infatti, che l’unità del fronte democratico è entrata in crisi, soprattutto in conseguenza delle tendenze egemoniche espresse dal partito comunista, forte dell’appoggio dell’«ala sinistra» delle forze armate, oggi in grado di controllare l’esercito. L’atteggiamento tenuto dal partito comunista ha spezzato la solidarietà del fronte democratico, ha spinto «a destra» i gruppi moderati, aprendo la prospettiva di un tentativo controrivoluzionario.
L’atteggiamento del partito comunista portoghese desta tante maggiori perplessità, in quanto risultano evidenti i limiti del tentativo di perseguire una «via portoghese al socialismo». Il fatto è che non esiste una via portoghese al progresso, qualsiasi sia il regime al potere, perché il Portogallo, così come qualsiasi Stato europeo, per la sua dimensione nazionale ottocentesca, non è il quadro in cui le forze del progresso possono vincere. L’atteggiamento del partito comunista portoghese sembra in realtà destinato a facilitare la presa di controllo dell’esercito sulla vita politica portoghese, quindi ad una degenerazione antidemocratica e nazionalistica della rivoluzione antifascista del 1974, sulla base di modelli di alleanza fra forze di sinistra e forze armate diffusi in alcuni paesi sottosviluppati. Lo stesso vale per la posizione assunta dal partito socialista, oggi orientato a seguire passivamente l’iniziativa comunista.
Ad aggravare le perplessità circa l’atteggiamento assunto dal partito comunista portoghese stanno inoltre le considerazioni di ordine internazionale. E’ estremamente improbabile, in effetti, che il Portogallo possa fare affidamento su un aiuto, politico ed economico, da parte dell’Unione Sovietica; l’esperienza cilena — ultimo esempio di una lunga serie — sta a dimostrare che le superpotenze sono ben attente a non disturbarsi all’interno delle rispettive aree di influenza. Il fatto è che i problemi di ordine internazionale sono determinanti per comprendere le alternative e i limiti dell’esperienza portoghese. Stante l’estrema debolezza della base su cui poggia, la democrazia portoghese può sopravvivere e svilupparsi solo a condizione di essere sorretta «dall’esterno». E questo aiuto può essere ricercato, stante l’equilibrio internazionale vigente, solamente o presso gli Stati Uniti o presso l’Europa.
La speranza che la democrazia portoghese sia sorretta l’aiuto statunitense è contraddittoria. Gli impegni internazionali che oggi gravano sugli Stati Uniti risultano ogni giorno sempre più chiaramente sproporzionati alle possibilità, pur gigantesche, di questo paese; gli Stati Uniti possono svolgere la funzione gendarme dell’ordine internazionale, ma non sono in grado soccorrere i tentativi di sviluppo e di rinnovamento democratico in atto nel mondo. In tal modo, d’altro lato, si comprende l’appoggio dato dagli Stati Uniti al regime di Caetano; per le stesse ragioni si può prevedere la disponibilità del governo di Washington a riconoscere qualsiasi governo «forte» che si stabilisse a Lisbona e che garantisse la fedeltà del Portogallo all’Alleanza atlantica.
L’unico alleato che può aiutare la democrazia portoghese è l’Europa. Solo l’Europa può aiutare il Portogallo a superare il proprio sottosviluppo storico, rendendo i problemi portoghesi problemi della Federazione europea. Questa alternativa tuttavia è difficile; oggi l’Europa è ancora divisa e può prestare solo un aiuto limitato al Portogallo. La scelta di questa alternativa implica una visione lungimirante da parte delle forze politiche portoghesi, oggi assillate da scadenze immediate che premiano la ricerca di soluzioni di emergenza.
La vera responsabilità di questa scelta grava sugli europei. Il popolo portoghese ha saputo liberarsi dal giogo fascista, ma questa vittoria sarà solo effimera se l’Europa, raggiunta la propria unità federale, non saprà venire in suo aiuto. I fatti tragici che si stanno verificando in questi giorni in Portogallo valgano a richiamare i cittadini europei alle proprie responsabilità.
 
Dario Velo
(marzo 1975)

 

 

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