IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno XVII, 1975, Numero 3, Pagina 162

  

 

IL DESTINO EUROPEO DELLA GRECIA
 
 
Con la richiesta di adesione alla Comunità europea, la Grecia apre una nuova fase della sua politica estera e nel contempo solleva problemi nuovi, decisivi per il futuro dell’Europa e dei popoli del Mediterraneo.
La storia della Grecia nel dopoguerra testimonia tragicamente come il suo destino di libertà e di democrazia sia ineluttabilmente dipendente dalla capacità dell’Europa di unirsi e di sottrarsi all’egemonia delle superpotenze. La Grecia è un paese ai limiti fra sviluppo e sottosviluppo; pertanto con una base sociale sia sensibile ai messaggi della sinistra socialista e comunista, sia manipolabile facilmente da regimi dittatoriali di destra. Essa inoltre occupa una posizione particolarmente strategica ai limiti del Mediterraneo con il Mar Nero, fra l’Europa e l’Asia; posizione il cui controllo è indispensabile per la politica estera delle superpotenze.
È la combinazione di queste due grandi determinanti che spiega le vicissitudini della politica greca nell’ultimo trentennio. Nell’immediato dopoguerra, quando cominciò ad aumentare la tensione fra U.R.S.S. e Stati Uniti per la spartizione del mondo in zone di influenza, la Grecia fu scossa da una lotta intestina fra fazioni partigiane, una alimentata dal blocco comunista, l’altra, filomonarchica, alimentata da imponenti aiuti, prima economici poi militari, dell’America. L’America non poteva cedere la Grecia al blocco sovietico, perché ciò implicava la perdita del controllo di tutto il Mediterraneo. Le formazioni partigiane comuniste vennero battute e disperse in crudeli conflitti; nel 1949 fu restaurata la monarchia e la Grecia entrò a far parte della N.A.T.O. e dell’Alleanza atlantica insieme agli altri paesi europei.
La relativa stabilità politica interna e internazionale giovò comunque alla Grecia che nei due decenni successivi vide progressivamente migliorare la sua economia e ridurre le sacche di disoccupazione e di miseria. Negli anni sessanta era poi iniziata la nuova fase della distensione fra le grandi potenze, che aveva alimentato speranze di rinnovamento fra i paesi satelliti. È in questi anni che nel settore orientale la Bulgaria e la Cecoslovacchia cercano di trovare una propria via nazionale al socialismo e che de Gaulle contesta la presenza americana in Europa. Furono proprio queste illusioni di cambiamento ed il pur tenue benessere economico a provocare nuove difficoltà al regime monarchico greco. La popolazione era ormai matura per esperienze più avanzate di democrazia, senza la pesante tutela della corona sul governo. Anche per la Grecia i tempi sembravano maturi per relegare la monarchia ad una pura istituzione di parata («il re regna ma non governa» sostenevano allora i democratici guidati da Giorgio Papandreu), quando il colpo di Stato dei colonnelli, nel 1967, venne a troncare brutalmente quelle illusioni. Ancora una volta il tutore americano aveva condizionato il regime greco: lo schieramento democratico era più forte in Grecia dello schieramento conservatore, ma la dittatura militare poteva prevalere perché sostenuta dal governo di Washington (è noto che l’esercito greco aveva una autonomia di poche ore senza rifornimenti esterni) che preferiva non correre il rischio di un eventuale atteggiamento antiamericano di un governo democratico.
La nuova fase della distensione, nella politica internazionale, con il conseguente indebolimento della leadership americana sui paesi alleati, apre un periodo, ancora in corso, di sconvolgimenti politici nel Mediterraneo. Come nel basso impero romano, si aprono in questa fase possibilità per gli avventurieri politici. È infatti un avventuriero che ha scacciato Makarios da Cipro, rompendo un delicatissimo compromesso etnico e innescando la miccia di un possibile conflitto fra Grecia e Turchia, due Stati membri dell’Alleanza atlantica. È a questo punto che l’America decide di pagare il prezzo più basso al ritorno della normalità nell’Egeo, sacrificando il barricadiero regime dei colonnelli e consentendo l’instaurazione di un governo democratico in Grecia.
In queste circostanze, è però evidente che la democrazia in Grecia è una istituzione fragile, perché dipende troppo da fattori estranei alla volontà del popolo greco. Ben lo sa Caramanlis che si è affrettato ad uscire dalla N.A.T.O. e ad optare per l’Europa.
Ma la scelta europea della Grecia può avere esiti differenti ed opposti a seconda della decisione che prenderanno gli europei di rispettare o meno l’impegno del Vertice di Parigi di giungere entro il 1978 (data fissata anche per l’ingresso come membro effettivo della Grecia nella C.E.E.) ad elezioni europee, cioè alla unità politica dell’Europa. L’allargamento puro e semplice della Comunità europea, oggi alla Grecia ma domani a tutti i paesi rivieraschi del Mediterraneo, mentre non risolverebbe i problemi di questi paesi, potrebbe indebolire definitivamente la Comunità, diluendola in una vastissima zona di libero scambio, ma senza una coesione tale da rendere possibile la lotta per l’unità politica dei paesi membri. I vantaggi che trarrebbero questi nuovi paesi dall’adesione alla Comunità sarebbero limitati e contradditori, perché l’ingresso in un vasto mercato continentale, non regolato da un potere politico ed una programmazione democratica, provocherebbe ben presto fughe di capitali e lavoro verso le zone più ricche (cioè i paesi del Nord Europa) aggravando in questo modo ulteriormente il divario fra regioni ricche e povere (come l’esperienza del Mercato comune testimonia ampiamente). Inoltre, l’incapacità dell’Europa di garantirsi una difesa autonoma e di attuare una politica estera indipendente non metterebbe neppure al riparo questi paesi da possibili rigurgiti antidemocratici ed autoritari, oltre che dal ricatto delle superpotenze che si troverebbero rafforzate di fronte ad un’Europa vastissima ma inconsistente.
L’avvenire democratico della Grecia (e degli altri paesi mediterranei) come la Turchia, la Spagna e il Portogallo, è ormai legato, per il bene o per il male, all’avvenire dell’Europa. L’unità europea non è solo importante per l’indipendenza e la libertà degli europei, ma anche per l’indipendenza e la libertà di tutti quei paesi che oggi subiscono la politica delle superpotenze e i disastri di un assetto internazionale sempre più caotico (in cui ad esempio i paesi dotati di materie prime si arricchiscono alle spalle degli altri paesi del Quarto mondo). La lotta per la democrazia in Europa è anche la lotta per l’emancipazione politica e sociale dei paesi mediterranei.
 
Guido Montani
(giugno 1975)

 

 

il federalista logo trasparente

The Federalist / Le Fédéraliste / Il Federalista
Via Villa Glori, 8
I-27100 Pavia