IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno II, 1960, Numero 4, Pagina 237

 

 

LE PREGHIERE DEI SOLDATI
 
 
Qualunque cosa se ne pensi o dica, l’idea nazionale non è innata, né naturale, né corrispondente alla realtà dei fatti. Non è mai esistita ad esempio una nazione italiana senza lo Stato italiano o la volontà di costruirlo. Ma questo Stato, nato nel 1861, sarebbe ben poco rispettato se non, si camuffasse con l’immagine splendida ma falsa della nazione, che gli permette di impadronirsi di venti secoli di storia non sua, di far l’erede dei romani, l’ispiratore di Dante, di Giotto, di Cristoforo Colombo… A dir pane al pane e vino al vino si tratta di una frottola. L’idea nazionale non è che una ideologia: l’ideologia giustificatrice dello Stato moderno burocratico accentrato. La «nazione» italiana non ha dunque nulla a che fare con i romani o con Dante, ma è una rappresentazione mentale dipendente da una situazione di potere, e utile a sua volta per consolidarla.
Lo Stato in Italia può in realtà mantenersi solo ficcando nella testa dei sottoposti l’idea secondo la quale da Torino a Palermo nascerebbero uomini della stessa «stirpe» talmente eguali tra loro e diversi dagli altri da rendere impensabile una loro vita permanente di relazione per qualche scopo politico importante con «stranieri» di Lione, di Francoforte e così via; e ficcandone nella loro testa anche un’altra: quella per cui l’essere italiani — questa x misteriosa che farebbe eguale un torinese ad un palermitano — sarebbe cosa talmente preziosa, più di Dio e della vita, che per conservarla bisognerebbe sacrificare tutto, bisognerebbe uccidere e morire e bisognerebbe persino, ora che lo Stato italiano non può più assicurare l’avvenire degli italiani, marciare verso la fine della potenza materiale tenendo ben alta la fiaccola della italianità per assicurare vita eterna all’Italia nel mondo dello spirito.
Questa trottola indegna, che fa diventare «sacri» i confini, che fa del sig. Alberto Rossi, figlio di Giuseppe Rossi e di Maria Bianchi in Rossi, un figlio dell’Italia che se non gli ha dato il corpo gli avrebbe certamente dato la cosa più importante, l’anima, sta in piedi perché viene immessa nel cervello degli individui con un procedimento sistematico e totalitario. La si propina al bambino appena mette piede in un scuola quando il suo cervello è una tabula rasa, e si continua ad immetterla in tutti i circuiti della vita sociale con ogni mezzo di comunicazione: scuole elementari e superiori, libri, giornali, riti pubblici, discorsi politici, manifestazioni sportive, monumenti, ed ogni sorta di simboli sociali. Per eliminare qualsiasi dubbio i sapienti hanno addirittura falsificato la storia dell’umanità trasformandola in quella delle nazioni; e per non correre alcun rischio i politici hanno addirittura fatto dell’idea nazionale un tabù con la istituzione del reato di vilipendio della nazione.
Così, da quando c’è uno Stato italiano, le generazioni «nascono» italiane. Chi diventa politico, agisce politicamente solo nel quadro italiano; chi intellettuale, si immerge nella «cultura nazionale» e difende soltanto la libertà degli italiani; chi «sociale», soffre solamente per i disoccupati ed i sotto-occupati italiani. L’élite italiana, questo grosso mucchio di intelligenza, non è per nulla sfiorata dal dubbio, e non riflette nemmeno sul fatto che manca ormai persino il fondamento di una vita politica italiana autonoma: l’indipendenza dello Stato; sulla conseguenza che la libertà di individui che appartengono ad uno Stato non indipendente è puramente casuale, sulla circostanza che è molto stupido commuoversi per i sotto-occupati italiani quando un miliardo e mezzo di uomini sta molto peggio. Questo grosso mucchio di intelligenza politica, culturale, sociale ha imparato in prima elementare che tutti gli uomini sono eguali, ma che gli italiani sono più eguali degli altri…
La frottola italiana arriva dappertutto: non c’è gruppo sociale che sappia opporle il suo sistema di valori, sia esso politico, culturale o religioso. Mostreremo come. Questa volta pubblichiamo alcune preghiere per militari dove purtroppo si mostra, da parte dei religiosi che le hanno scritte, una notevole incertezza quanto alla questione se al primo posto nella scala dei valori si debba mettere Dio o l’Italia:
 
PREGHIERA DEL SOLDATO
Signore Iddio, che hai voluto distinta in molti popoli la umana famiglia, da Te creata e redenta, guarda benigno a noi, che abbiamo lasciato le nostre case per servire in armi l’Italia.
Aiutaci, o Signore, affinché, forti della tua fede, affrontiamo fatiche e pericoli in generosa fraternità d’intenti, offrendo alla Patria la nostra pronta obbedienza e il nostro sereno sacrificio.
Fa che sentiamo ogni giorno, nella voce del dovere che ci guida, l’eco della tua voce; fa che i soldati d’Italia siano d’esempio a tutti i cittadini nella fedeltà ai tuoi comandamenti e alla tua Chiesa, nella osservanza delle patrie leggi, nella consapevole disciplina verso l’autorità costituita.
E concedi all’Italia nostra che, rispettata ed amata nel mondo, meriti la protezione tua e la materna custodia di Maria, anche in virtù della concordia operosa dei suoi figli.
 
PREGHIERA DEL MARINAIO
A Te, o grande eterno Iddio, Signore del cielo e dell’abisso, cui obbediscono i venti e le onde, noi uomini di mare e di guerra, ufficiali e marinai d’Italia, da questa sacra nave armata della patria leviamo i cuori.
Salva ed esalta nella tua fede, o Dio, la nostra Nazione; dà giusta gloria e potenza alla nostra bandiera, comanda che la tempesta e i flutti servano a lei, poni sul nemico il terrore di lei, fa che sempre la cingano in difesa petti di ferro più forti del ferro che cinge questa nave, a lei per sempre dona vittoria.
Benedici, o Signore, le nostre case lontane, le care genti; benedici nella cadente notte il riposo del popolo, benedici noi che per esso vegliamo in armi sul mare. Benedici!
 
PREGHIERA DELL’AVIERE
Onnipotente Iddio, cui danno gloria i cieli, gli avieri d’Italia chiedono a Te, in quotidiana volontà di sacrificio, di benedire insieme all’impeto dei loro motori e al fremito delle loro ali, l’ardimento del loro periglio e l’entusiasmo dei loro cuori.
Tu che sei l’infinito Vero e la Carità eterna, fa che ogni aviere d’Italia si elevi nella fierezza lucente della propria generosa fedeltà alla Patria che gli si affida e nella serenità ardente della concordia che lo lega a tutti i cittadini della sua terra.
Fa, o Signore, che ogni ala italiana rechi ovunque testimonianza di giustizia e di pace, secondo la tua buona Novella; e la dolce Vergine di Loreto, nostra Patrona e Castellana d’Italia, la guidi amorosamente a virtù di fortezza e di eroismo. Così sia!
 
PREGHIERA DEL CARABINIERE
Dolcissima e gloriosissima Madre di Dio e nostra, noi Carabinieri d’Italia, a Te eleviamo reverente il pensiero, fiduciosa la preghiera e fervido il cuore!
Tu, che le nostre legioni invocano confortatrice e protettrice col titolo di «Virgo Fidelis», Tu accogli ogni nostro proposito di bene e fanne vigore e luce per la Patria nostra.
Tu accompagna la nostra vigilanza, Tu consiglia il nostro dire, Tu anima la nostra azione, Tu sostenta il nostro sacrificio, Tu infiamma la devozione nostra!
E da un capo all’altro d’Italia suscita in ognuno di noi l’entusiasmo di testimoniare, con la fedeltà fino alla morte, l’amore a Dio e ai fratelli italiani. E così sia!
 
PREGHIERA DELL’ALPINO
Su le nude rocce, sui perenni ghiacciai, su ogni balza delle Alpi ove la Provvidenza ci ha posto, a baluardo fedele delle nostre contrade, noi, purificati dal dovere pericolosamente compiuto, eleviamo l’animo a Te, o Signore, che proteggi le nostre mamme, le nostre spose, i nostri figli e fratelli lontani, e ci aiuti ad essere degni delle glorie dei nostri avi.
Dio onnipotente, che governi tutti gli elementi, salva noi, armati come siamo di fede e di amore.
Salvaci dal gelo implacabile, dai vortici della tormenta, dall’impeto della valanga; fa che il nostro piede posi sicuro su le creste vertiginose, su le diritte pareti, oltre i crepaci insidiosi; rendi forti le nostre armi contro chiunque minacci la nostra Patria, la nostra bandiera, la nostra millenaria civiltà cristiana.
E Tu, Madre di Dio, candida più della neve, Tu che hai conosciuto e raccolto ogni sofferenza e ogni sacrificio di tutti gli alpini caduti, Tu che conosci e raccogli ogni anelito e ogni speranza di tutti gli alpini vivi ed in armi, Tu benedici e sorridi ai nostri battaglioni. Così sia!
 
PREGHIERA DELLE GUARDIE DI P.S.
A Te, condottiero delle angeliche milizie, si eleva fiduciosa la preghiera di quanti, serrati nei ranghi della Polizia Italiana, Ti acclamano loro Patrono, mentre Ti invocano celestiale animatore dei loro propositi e illuminato consigliere della loro sollecitudine vigilante.
Tu, che avesti da Dio il compito altissimo di fugare gli spiriti tenebrosi, nemici della Verità e della Giustizia, rendi forti, nella reverenza e nell’adesione alla Legge del Signore, quelli che la Patria ha chiamato a custodirle, fra i suoi cittadini, concordia, onestà e pace. E fa che essi rechino dovunque un lievito ardente di umana fraternità, così che anche la legge degli uomini alimenti l’entusiasmo per le cose vere e per le cose giuste.
O San Michele Arcangelo, Tu che porti nel tuo nome stesso — «Chi come Dio?» — il grido insopprimibile della fedeltà e dell’obbedienza, ottieni rettitudine alle nostre menti, vigore ai nostri voleri, onestà agli affetti nostri: per la serenità delle nostre case, per la dignità della nostra terra! E così sia!
 
***
 
Le sottolineature sono nostre. Le abbiamo messe perché siamo convinti che molti, nel leggere queste preghiere, le avranno trovate abbastanza normali e poco scandalose. Ai lettori verrà fatto di ricordare: «Date a Dio quel che è di Dio ed a Cesare quel che è di Cesare», e di pensare che queste preghiere non vanno al di là di questa regola. Ma, a rifletterci un poco, si costata facilmente che è vero il contrario, perché queste preghiere mettono Dio al servizio delle pretese più inumane e menzognere di Cesare. Non è mettere Dio al servizio di Cesare far sostenere da Dio la favola di Cesare? Perché i soldati siano disposti a morire in guerra Cesare dice che la nazione è una cosa sacra ed il sacerdote di Dio conferma: «Signore Iddio, che hai voluto distinta in molti popoli la umana famiglia». Cesare dice inoltre che bisogna uccidere il nemico ed il sacerdote di Dio, spiegando come si deve intendere il concetto di umana famiglia, con un poco di reticenza, conferma: «Dà giusta gloria e potenza alla nostra bandiera, comanda che la tempesta ed i flutti servano a lei, poni sul nemico il terrore di lei, fa che sempre la cingano in difesa petti di ferro più forti del ferro che cinge questa nave, a lei per sempre dona vittoria». Cesare dice ancora che nel momento supremo l’unica cosa che conta è la propria arma ed il sacerdote di Dio conferma: «Da questa sacra nave armata della Patria leviamo i cuori».
Se le armi sono sacre, Dio è davvero al servizio di Cesare. La nostra interpretazione è praticamente confermata dalla interpretazione data nello stesso libretto dal quale abbiamo tratto queste preghiere (Ministero della Difesa, Ordinariato militare per l’Italia, Manuale religioso per le forze armate, Roma, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1958). Nella prima pagina l’Ordinario militare per l’Italia, Arcivescovo A. Pintonello, afferma: «Dio e Patria! Eccoti, o caro soldato, i due ideali per i quali solo merita di essere vissuta, e se occorra, anche immolata, la vita» e, nella pagina dopo, pubblica la seguente citazione da un testo di un certo Ten. G. Borsi: «Il soldato che prega è più sensibile alla voce del dovere, intende e penetra di più le ragioni del sacrificio». Questa singolare opinione, secondo la quale chi crede in Dio è disposto più facilmente a morire ed a uccidere per una delle tante cose materiali della vita, la potenza del proprio Stato, mostra che l’Ordinario militare ritiene che dei due ideali per i quali meriterebbe conto di morire — Dio e la Patria — il secondo valga di più. Infatti egli pensa che si debbano usare le preghiere per convincere gli uomini che bisogna morire per la patria, in moneta contante per lo Stato, e quindi usa Dio come uno strumento della potenza della «nazione».
Non nominare il nome di Dio invano. E’ indubbio che Dio sia qui nominato invano e peggio che invano, ma la cosa va spiegata perché al primo momento non ci si accorge che a parlar così si bestemmia. Molti cattolici pensano ora che l’esistenza di poveri e di ricchi sia uno scandalo per la religione; e coloro che, come La Pira, denunziano questo scandalo, conquistano per un attimo la fama terrena. Ma non si accorgono nemmeno che lo scandalo è ben maggiore quando si mette Dio al servizio della falsa dottrina della nazione, che prescrive agli uomini di uccidere quando sono in gioco gli interessi materiali dello Stato.[1] Lo scandalo in verità è grande quando si impianta nel cuore dell’uomo ma non scandalizza.
 
Mario Albertini


[1] La dottrina è falsa perché trasforma l’idea empirica della guerra tra gli Stati, che permette di vedere con chiarezza che cosa è in gioco, e di giudicare se in quella specifica occasione vale o no la pena di rischiare la propria vita per lo Stato nel quale si è nati, in quella ideologica della guerra tra le nazioni, che non permette invece di capire che cosa sia in gioco, ma fa però pensare che bisogna accettare senza discutere l’uccidere e il morire come doveri «sacri».
In genere questa ideologia, e queste prescrizioni, sono tipiche delle organizzazioni politiche che fanno coincidere gli aspetti violenti e quelli non violenti della vita sociale, in quanto fanno dello Stato, col suo apparato di forza, il rappresentante esclusivo dei fattori spontanei della vita sociale come il costume, la lingua e via dicendo. Lo Stato mononazionale appartiene a questa categoria. Vogliamo ricordare che cosa disse Pio XII di tale tipo di Stato: «…Troppo presto si è dimenticato l’enorme cumulo di sacrifici di vite e di beni estorto da questo tipo di Stato e gli schiaccianti pesi economici e spirituali da esso imposti. Ma la sostanza dell’errore consiste nel confondere la vita nazionale in senso proprio con la politica nazionalistica: la prima, diritto e pregio di un popolo, può e deve essere promossa; la seconda, quale germe d’infiniti mali, non sarà mai abbastanza respinta. La vita nazionale è, per sé, il complesso operante di tutti quei valori di civiltà, che sono propri e caratteristici di un determinato gruppo, della cui spirituale unità costituiscono come il vincolo. Nello stesso tempo essa arricchisce, quale contributo proprio, la cultura di tutta l’umanità. Nella sua essenza dunque la vita nazionale è qualche cosa di non politico; tanto è vero che, come dimostrano la storia e la prassi, essa può svilupparsi accanto ad altre, in seno al medesimo Stato, come anche può estendersi al di là dei confini politici di questo. La vita nazionale non divenne un principio di dissoluzione della comunità dei popoli, che quando cominciò ad essere sfruttata con mezzo per fini politici, quando, cioè, lo Stato dominatore e accentratore, fece della nazionalità la base della sua forza di espansione. Ecco allora lo Stato nazionalistico, germe di rivalità e fomite di discordie». (Dal Messaggio di Natale del 1954. Le sottolineature sono nostre).
E vogliamo ricordare anche che cosa pensava Padre Luigi Taparelli d’Azeglio di coloro che un secolo fa introdussero in Italia questo tipo di Stato. Egli reputava «esser grossi di ingegno certi millantatori di amor patrio, che si fabbricano un idolo di sassi e di terra; e perché l’Italia è circondata dal mare e dall’Alpe, reputando sconcio di natura il vederla divisa in molte società, sarebbero dispostissimi a scannare in lunghe guerre migliaia dei loro concittadini, purché al fine ottenessero di formare un solo regno. E questo è amor di Patria? Questa è la felicità d’Italia?». Ma molti cattolici, invece di andar fieri di queste opinioni, hanno cercato di farle dimenticare. Anche essi temono di «parlar male di Garibaldi».

 

 

 

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