IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno LVII, 2015, Numero 1-2, Pagina 116

 

 

VERSO UNA POLITICA ECONOMICA FEDERALE IN EUROPA*

 

 

L’Europa, e specialmente l’eurozona, si trova ad un crocevia fin dall’inizio di questa lunga crisi. Quando è iniziata la crisi dell’euro, l’Europa si è trovata di fronte ad almeno due alternative per fronteggiare la recessione: la prima opzione era di trasformare l’unione monetaria in un’autentica unione fiscale, monetaria ed economica. Per far questo, l’Europa doveva riformare l’intero quadro dell’eurozona, completando l’unione monetaria con l’unione bancaria, e soprattutto aggiungendo una politica fiscale che creasse un nuovo canale per convogliare denaro pubblico dai paesi creditori verso quelli debitori. Avevamo bisogno di un bilancio europeo più ampio per fronteggiare gli shock asimmetrici e, ovviamente, l’eurozona doveva unificare le tasse, specialmente quelle la cui base imponibile è più mobile: penso soprattutto alle tasse sui redditi di impresa.

Tuttavia, i leader europei non hanno voluto agire in questa direzione e la ricerca del consenso politico ha indirizzato verso un percorso che ricorda il modo di gestire la crisi in un mercato unico con cambi fissi. Se vi trovate in un regime di cambi fissi, e dovete fronteggiare una crisi del debito, potete fare una cosa sola: realizzare riforme strutturali per ridurre i costi e accrescere la vostre esportazioni, operando al tempo stesso tagli di bilancio con lo stesso obiettivo.

In questo modo i leader europei hanno dimenticato l’impegno politico dell’Europa, la sua missione, ed è iniziata una corsa per ridurre la spesa pubblica e per eliminare diritti sociali e sindacali. Eppure l’Europa avrebbe potuto scegliere un’altra strada: avrebbe potuto invece accelerare il processo di integrazione per disporre degli stessi strumenti per fronteggiare la crisi di cui dispongono l’America e la Gran Bretagna, ma non l’ha fatto.

Naturalmente, questa scelta non era soltanto tecnica, non era il risultato dell’opinione di burocrati o di funzionari europei. E’ stata il risultato di una decisione politica, presa dai politici nelle capitali degli Stati membri, nella Commissione e nel Parlamento europeo. Abbiamo subito una decisione politica presa da politici, ma scelti dagli elettori europei in questi anni. Potrei dire che queste politiche si basavano sul consenso politico prevalente almeno fino al 2012, quando i socialisti sono saliti al governo in Francia e in Italia. Dal 2012 in poi, i leader europei hanno capito che l’UE ha bisogno di riforme istituzionali, di un’eurozona diversa, con ulteriori strumenti per combattere la crisi, come l’unione bancaria.

La creazione dell’unione bancaria ha permesso alla BCE di sviluppare una politica monetaria più espansiva, perché poteva poggiare su un nuovo modello di unione monetaria. Grazie a questa decisione, gli Stati membri hanno potuto rallentare il consolidamento fiscale, i tassi di interesse hanno iniziato a scendere e la crisi è entrata in una nuova fase, più vicina alla stagnazione che alla recessione.

Questa fase si è conclusa nel 2013. E’ probabile che a quel punto stessimo entrando in una trappola di liquidità, come quella che Keynes ha analizzato 80 anni fa. La BCE ha rifornito di liquidità il mercato, ma il denaro non ha raggiunto l’economia reale. Le istituzioni finanziarie hanno depositato questa liquidità nei conti presso la stessa Banca centrale, mentre i privati non hanno fatto nuovi investimenti perché le previsioni economiche per l’eurozona erano negative. Così, l’eurozona si avvicinava ad una nuova crisi. C’era liquidità, i tassi di interesse erano molto bassi, ma nessuno voleva investire in Europa. Forse l’eurozona avrebbe generato nuove bolle.

I risultati delle elezioni europee del maggio 2014 hanno però aperto una nuova fase. I socialisti europei hanno acquistato un certo peso nel Parlamento; il nostro gruppo parlamentare è stato in grado di negoziare una diversa politica economica europea.

Avevamo bisogno, ed abbiamo bisogno, di un piano di investimenti pubblici europei per incanalare la liquidità nell’economia reale, dato che gli investitori privati non intendono farlo. Trovandoci in una trappola di liquidità, il solo modo di risolvere il problema, come aveva previsto Keynes, è quello di aumentare la domanda interna con denaro pubblico. Ma tale programma deve essere europeo, perché i paesi debitori non sono in grado di spendere.

Questo piano dovrebbe portare all’unione fiscale accanto all’unione bancaria. Questa soluzione permetterebbe all’eurozona di completare il suo quadro istituzionale.

In questo momento stiamo discutendo i dettagli del piano Juncker. E’ vero, non è un piano perfetto, ma è un passo importante per superare la crisi e per costruire un’autentica unione economica nell’eurozona. Grazie al piano Juncker, per la prima volta, l’UE avrebbe un debito europeo. Con il capitale iniziale fornito dal bilancio dell’UE e dalla Banca europea degli investimenti, il fondo catturerà capitali dai mercati finanziari e tale debito sarà garantito dal bilancio europeo stesso. Questa è una vittoria per noi federalisti.

Grazie ad un cambiamento del nostro quadro istituzionale, la BCE ha iniziato ad acquistare direttamente il debito dei governi con il nuovo programma di Quantitative Easing, come ha già fatto la Federal Reserve degli Stati Uniti. E non dimentichiamo qui il termine “federal”.

In più, l’UE ha aggiornato il Patto di stabilità e crescita. Il commissario socialista, Pierre Moscovici, ne ha lanciato una revisione per dare maggior spazio ai paesi debitori in modo da consentire loro di ridurre il debito pubblico ad un ritmo più lento e per incoraggiare i paesi creditori ad investire maggiormente. Grazie a queste modifiche, la Francia e l’Italia non sono state multate per non aver raggiunto gli obiettivi di bilancio.

E, per finire, stiamo aspettando le proposte della Commissione a proposito della tassa sulle transazioni finanziarie. Il presidente Juncker deve ora annunciare un passo importante in questo campo, dopo che lo scandalo Luxleaks ha minato la sua autorità. So che bisogna investigare sugli accordi segreti tra le imprese multinazionali, ma questo scandalo potrebbe anche far scattare una maggior collaborazione europea in campo fiscale. Sono sicuro che la Commissione farà qualcosa di importante in questo campo.

Così, negli ultimi sette mesi, l’Europa è entrata in una nuova fase della battaglia contro la crisi. Adesso stiamo percorrendo la strada che avremmo dovuto percorrere cinque anni fa. Stiamo modificando il nostro quadro istituzionale in direzione di un’Unione europea più federale.

E’ vero che questa strada non è facile, ma questa crisi è l’occasione per costruire una vera unione politica e fiscale, per lo meno nell’eurozona. Questi passi non sono perfetti, lo so, ma adesso stiamo seguendo la strada giusta per risolvere la crisi e per costruire un’Unione federale.

Jonás Fernández Álvarez

 


* Si tratta del rapporto tenuto al seminario organizzato congiuntamente a Madrid dall’Unione europea dei federalisti e dagli Young European Federalists il 14-15 marzo 2015.

 

 

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