IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno LIII, 2011, Numero 3, Pagina 252

 

 

IL GRADUALISMO COSTITUZIONALE*
 

 

Il tema del gradualismo costituzionale costituisce uno degli aspetti della strategia federalista, accanto a quello dell’esistenza di un Movimento autonomo dai governi e dai partiti, e della scelta del metodo costituente come alternativa alle conferenze intergovernative o diplomatiche.
Esso si colloca sul piano dello sfruttamento delle contraddizioni che il processo di integrazione europea genera, più precisamente sul crinale tra funzionalismo (che mette l’accento sulla necessità di dar vita ad “aree funzionali” europee laddove l’interesse europeo è percepito con maggiore chiarezza, eludendo però il problema del potere) e costituzionalismo (che comporta il sorgere di un potere europeo autonomo).
Fu inizialmente lo stesso Spinelli ad individuare nello sfruttamento delle contraddizioni generate dall’approccio funzionalistico una possibile direttiva d’azione per la strategia federalista. Egli vide nella scelta funzionalistica, che rinvia sine die la creazione di un sistema federale europeo, la via attraverso cui i governi nazionali riescono a conciliare la necessità oggettiva di attuare una politica di integrazione europea con la tendenza alla conservazione del proprio potere, denunciando come illusoria la convinzione di chi riteneva che il metodo funzionalistico avrebbe prodotto il passaggio pressoché automatico dall’integrazione economica a quella politica. Ma parimenti Spinelli ha sempre ritenuto che l’integrazione funzionalistica fosse destinata a produrre delle contraddizioni che debbono essere sfruttate per ottenere la federazione
Queste contraddizioni sono fondamentalmente due. La prima è rappresentata dalla precarietà e dalla inefficacia dell’unificazione funzionalistica. Le istituzioni funzionalistiche, fondate in ultima analisi sulle decisioni unanimi dei governi nazionali, si rivelano in effetti deboli ed incapaci di funzionare adeguatamente nei momenti difficili, quando i problemi da affrontare sono troppo gravi. La seconda contraddizione è rappresentata dal cosiddetto deficit democratico, dal fatto cioè che importanti competenze e decisioni sono trasferite a livello sopranazionale senza che a tale livello venga realizzato un effettivo controllo democratico. Questa situazione è destinata a produrre un disagio nell’opinione pubblica, disagio che può essere trasformato nella rivendicazione della democrazia sopranazionale.[1]
In sostanza l’impostazione strategica di Spinelli presenta questa costante: fare leva sulle contraddizioni dell’integrazione funzionalistica e gradualistica e sulle situazioni critiche che ne derivano per attivare una procedura costituente democratica, vista come via ineludibile per giungere alla federazione europea.
Pertanto questo metodo, definito poi da Albertini “gradualismo costituzionale”, può essere descritto come il “tentativo di creare istituzioni intermedie, per cui sia sufficiente all’inizio mobilitare un minimo di volontà politica, e che a loro volta agiscano da moltiplicatori di questa volontà, inserendo progressivamente l’alternativa rivoluzionaria nell’equilibrio politico, fino a farne il fronte sul quale si schierano tutte le forze sul campo”.[2]
Proprio nel corso degli primi anni ’80, dopo la conquista dell’elezione diretta del Parlamento europeo, Mario Albertini definisce meglio le caratteristiche del metodo del gradualismo costituzionale. La richiesta di un “governo europeo” — che nasce nel MFE come obiettivo specifico di una Campagna proprio in quegli anni — ne fa emergere pienamente natura e forza. “L’UEF si è battuta per l’elezione europea. Adesso è pronta a battersi per il governo europeo... Noi stessi abbiamo mostrato che il caso costituzionale europeo è un caso di costituzionalismo graduale, mostrando però nel contempo — è questo l’aspetto fondamentale della questione — che questo gradualismo ha bisogno di due pilastri — il voto europeo e il governo europeo — perché senza un governo democratico europeo non si può attribuire alla Comunità né il controllo della politica monetaria né tutte le altre competenze indispensabili per progredire sulla via di una politica europea nel senso pieno del termine”.[3] E se i governi nazionali cercheranno di risolvere questo problema facendo “una politica europea senza un governo europeo (cioè con il metodo funzionalista) noi dobbiamo accettare questa sfida. Dobbiamo accettare il discorso sui problemi europei, e mostrare ogni volta con pazienza l’aspetto della questione che tutti capiscono: per risolvere i problemi europei ci vuole un governo europeo... Accettando la sfida del dibattito sui problemi europei noi potremo non solo dimostrare la necessità di un governo europeo, ma riusciremo anche a porre sul terreno giusto il problema tecnico della forma definitiva di governo di cui l’Europa ha bisogno. Questo problema, che diventerà un problema pratico a mano a mano che si tratterà di migliorare il governo europeo sulla base dei progressi della Comunità e della estensione delle sue competenze, può essere discusso in modo serio e concreto solo mediante l’esame dei problemi che l’Europa deve affrontare”.[4]
E’ proprio, dunque, nella crisi dei primi anni ‘80, quando la Comunità stenta persino a mantenere una politica agricola comune (e tutte le altre sono evanescenti), che emerge, attorno alla questione del “governo europeo” come risposta alla crisi, la questione della “transizione” dal livello confederale a quello federale, della ricerca delle “istituzioni intermedie” che consentono di far crescere il livello federale di governo. “L’idea del governo europeo implica necessariamente l’idea di uno Stato europeo... Ma la costruzione di uno Stato europeo non si può affermare con un solo atto costituzionale e costituente. In ogni caso, anche la fase costituzionale dell’unificazione europea, come quella precostituzionale già in corso — e che si può considerare conclusa e oltrepassata con il riconoscimento del diritto di voto europeo — avrà un carattere graduale. La ragione sta nel fatto che, a differenza delle imprese costituzionali del passato, uno Stato europeo cui dare forma nuova non esiste. Questo Stato è da costruire; e la sua costruzione può essere solo graduale perché si tratta di aggiungere, alla struttura attuale della Comunità, una diplomazia europea, una difesa europea, e così via. Ne segue che la questione del governo europeo comporta due problemi nettamente distinti: quello, per ora soltanto teorico, dell’assetto finale della Comunità (Unione, cioè Stato federale compiutamente sviluppato), e quello pratico delle scelte da fare nel contesto politico attuale per assicurare sia il funzionamento efficace e democratico della Comunità, sia il progresso dell’unificazione europea (rafforzamento e allargamento)”.[5]
Il problema del governo europeo nel suo aspetto pratico è dunque quello che consente di dispiegare pienamente il metodo del gradualismo costituzionale in quanto si tratta di dar vita a delle politiche comuni nei diversi campi in cui esso si rende necessario. Ed è proprio questo che scatena, a sua volta, delle nuove contraddizioni che consentono di trasferire poteri e risorse dal livello nazionale a quello europeo, come “mattoni” dell’edificio federale da costruire. Ad esempio: “Non si può dar vita alle politiche comuni senza sciogliere il nodo del bilancio e della fiscalità”,[6] ma questa necessità comporta a sua volta, secondo Albertini, tre conseguenze. La prima è che occorre che il governo europeo sia “democratico”, cioè responsabile davanti al Parlamento, perché solo in tal modo si possono far accettare le politiche economiche e sociali indispensabili per lo sviluppo delle politiche comuni (e questo fatto comporta poi, a sua volta, l’assunzione di un pieno potere legislativo da parte del Parlamento). La seconda è che deve essere “capace di agire” nel quadro di un assetto istituzionale rinnovato che definisca i confini tra potere legislativo ed esecutivo (e questo fatto, a sua volta, apre la via ad una riforma costituzionale della Comunità). La terza è che il governo europeo costituisca un punto d’appoggio per il rafforzamento della Comunità e ciò pone il problema della ripartizione delle competenze tra le sfere nazionali e quella europea. Su questo punto — che è decisivo ai fini dell’avanzamento verso un vero governo federale — Albertini afferma che valgono “due esigenze fondamentali che richiedono soluzioni diverse. L’orientamento potrebbe essere il seguente: le competenze per l’uso autonomo delle leve della fiscalità, della moneta e del bilancio dovrebbero appartenere al sistema Parlamento-governo da instaurare subito. Il progresso da compiere in questo settore dovrebbe essere realizzato con il principio dei ‘poteri impliciti’ e prevedere un trasferimento di competenze senza veti nazionali (revisione costituzionale autonoma con la garanzia federale). Per quanto riguarda invece le questioni della politica estera e della difesa, queste non possono passare dagli Stati alla Comunità senza l’approvazione degli Stati, ‘senza progetti ben articolati e senza una transizione efficace’”.[7]
Il gradualismo costituzionale è, dunque, particolarmente efficace nella sfera economica perché qui si manifestano maggiormente le contraddizioni derivanti dalla messa in opera delle “politiche comuni” ed è sempre in questo ambito che può manifestarsi in modo più evidente il “piano inclinato” che trasferisce poteri e risorse dagli Stati all’Europa. Inteso in tal senso il gradualismo costituzionale consente — come nella stessa ottica di Spinelli — di “sfruttare le possibilità del funzionalismo per giungere al costituzionalismo”, come nel caso della CED che mise per la prima volta “in filigrana il disegno nel quale si manifesta la logica stessa dell’unificazione europea, la sua legge di sviluppo, e quindi la regola da applicare perché questo sviluppo continui a manifestarsi.[8]
Il gradualismo costituzionale consente pertanto di leggere l’unificazione europea come “un processo di integrazione (accertabile con il criterio funzionale) strettamente collegato con un processo di costruzione degli elementi istituzionali a volta a volta indispensabili (accertabile con il criterio costituzionale). Ciascuno di questi due elementi, senza l’altro è cieco o vuoto”.[9]
Dunque, se correttamente intesa la strategia del gradualismo costituzionale non può essere confusa con la politica dei piccoli passi, cioè quegli aggiustamenti nelle istituzioni e nelle politiche comunitarie volti a rendere più agevole il metodo intergovernativo. Il gradualismo costituzionale implica, invece, “l’identificazione e il perseguimento di quegli obiettivi che possono innescare un processo costituente, quegli obiettivi la cui realizzazione rende manifesta la contraddizione fra la necessità del potere europeo e la sua mancanza, e mette in gioco la sovranità”.[10]
Il gradualismo costituzionale utilizza la logica del “piano inclinato”[11] (spingere il processo su un punto scivoloso che fa pendere successivamente poteri dagli Stati all’Europa, come mostra la storia del Parlamento europeo nei suoi trenta anni di vita elettiva), ma deve anche utilizzare l’approccio dell’ “entrata e dell’uscita” dal gioco politico (entrare quando si tratta di proporre una soluzione istituzionale avanzata che ha in sé il contenuto di un potere federale ed uscire dal gioco, denunciando il compromesso, quando i governi nazionali finiscono per accogliere una soluzione di tipo funzionalistico o intergovernativo).
Il gradualismo costituzionale non concede nulla all’esistente, esso intende sfidare continuamente i poteri nazionali sulle politiche concrete che si rendono necessarie per gli europei proponendo obiettivi di intrinseco contenuto federale.
La linea del gradualismo costituzionale si è manifestata in molte delle battaglie federaliste che hanno lasciato un segno — di successo o che hanno prodotto comunque esiti successivi positivi — nell’azione per la CED e la Comunità politica europea negli anni Cinquanta, per l’elezione diretta del Parlamento europeo negli anni Settanta, per l’autoassunzione di un potere costituente da parte del PE e per la moneta europea negli anni Ottanta, per la Costituzione europea. E per giungere ai tempi più recenti anche l’azione per l’indicazione del candidato alla presidenza della Commissione va vista come forma di gradualismo costituzionale, in quanto la legittimazione che deriva dal voto popolare è uno degli elementi fondativi del “governo federale”.
Come, infine, la richiesta di un “governo economico europeo” — che va al di là del semplice coordinamento delle politiche nazionali previste dal Trattato di Lisbona — è espressione di un gradualismo costituzionale che presenta in forma assai chiara un obiettivo capace di innescare un processo costituente di fatto, di portata non inferiore a quello della moneta unica. Infatti, assegnare all’Unione nuove risorse (bilancio e fiscalità) comporta un effettivo trasferimento di sovranità su ciò che costituisce oramai il vero pilastro della sovranità nazionale e del consenso politico “interno” (la spesa pubblica): cosa che comporterà necessariamente, come inevitabile trascinamento (piano inclinato) una “costituzionalizzazione” della nuova realtà di potere attraverso conseguenti modifiche istituzionali.
 
Antonio Longo


[*] Nella rubrica “Interventi” vengono ospitati articoli che non necessariamente riflettono l’orientamento della rivista. In questo caso si tratta di un intervento scritto preparato in occasione del seminario organizzato a Verona il 17-18 aprile 2010 dall’Ufficio formazione del Movimento federalista europeo.
[1] Cfr. S. Pistone, “Altiero Spinelli e l’unificazione europea”, Piemonte Europa (2007).
[2] F. Rossolillo, “Il ruolo delle istituzioni nella lotta per l’Europa, Il Federalista, 17, n. 3 (1975).
[3] M. Albertini, “Rapporto al Comitato federale dell’UEF del 29-30 novembre 1980”, Il Federalista, 22, n. 4 (1980).
[4] Ibidem.
[5] M. Albertini, “La proposta del MFE per il dibattito sulla riforma istituzionale della Comunità”, Il Federalista, 23, n. 2 (1981).
[6] Ibidem.
[7] Ibidem.
[8] M. Albertini, “L’Europa sulla soglia dell’Unione”, Il Federalista, 28, n. 1, (1986).
[9] Ibidem.
[10] N. Mosconi, “Strategia costituente e gradualismo costituzionale”, Il Federalista, 45, n. 3, (2003).
 

 

 

 

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