IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno XXVI, 1984, Numero 1, Pagina 73

 

 

I RAPPORTI FRA POLITICA E CULTURA NELL’ESPERIENZA DEL MFE ITALIANO*
 
 
I
 
I movimenti che compongono l’UEF hanno concezioni non coincidenti per quanto riguarda i rapporti tra politica e cultura rispetto all’impegno federalista, e da queste diverse concezioni essi hanno tratto conseguenze diverse per quanto riguarda la loro organizzazione e il loro modo di essere in generale. Non possiamo quindi negare che ci troviamo di fronte, all’interno dell’UEF, a differenze marcate, che sono ormai radicate nella storia delle sue diverse componenti. Sarebbe perciò del tutto irrealistico pretendere di imporre dappertutto un modello unico. Un proposito del genere non produrrebbe altre conseguenze che quella — catastrofica — di disgregare la nostra organizzazione. In realtà bisogna che ognuno di noi rispetti l’esperienza degli altri, soprattutto perché in ciascuno dei nostri movimenti si sono prodotti miracoli di abnegazione e di devozione alla causa dell’unificazione europea che sarebbe sciocco e colpevole ignorare. E perché ciascuno dei nostri movimenti, al di là delle differenze che ci distinguono, rappresenta pur sempre, nel proprio paese, la pattuglia più avanzata nella lotta per l’unificazione europea. Ciò non toglie che sia utile confrontare i nostri punti di vista e chiarire le divergenze che esistono tra di noi perché ciascuna delle nostre organizzazioni, pur avendo una identità definita che le viene da una storia ormai pluridecennale, è una realtà viva e aperta, e può trarre importanti stimoli dall’esperienza delle altre per evolvere e per migliorare la sua capacità di azione e di mobilitazione. Per questo bisogna discutere e migliorare la reciproca conoscenza. E vorrei a questo proposito esprimere il mio apprezzamento agli amici Krause, Wessels e Schwartzer per aver preso l’iniziativa di questo incontro. Per quanto mi riguarda, il compito che mi propongo è quello di chiarire, nei limiti consentitimi dalla brevità del tempo di cui posso disporre, la concezione dei rapporti tra politica e cultura che fonda l’identità storica del MFE italiano.
 
II
 
L’idea che ha fondato l’identità storica del MFE in Italia è che quello dell’unificazione federale dell’Europa non è un problema di carattere esclusivamente politico-istituzionale e di rilievo soltanto regionale, ma è il problema politico-culturale decisivo della storia mondiale della seconda metà del XX secolo. In questo modo il progetto federalista assume lo stesso carattere globale dei progetti che hanno dato il loro senso alle grandi trasformazioni storiche dell’Europa del XIX secolo. I movimenti liberale, democratico e socialista sono stati, nel secolo scorso, i promotori nello stesso tempo di grandi trasformazioni istituzionali e di grandi rivoluzioni culturali. Essi hanno affermato nuovi valori, hanno cambiato il linguaggio del dibattito politico, introdotto nuovi canoni di interpretazione della storia, fornito agli uomini gli strumenti culturali per pensare il futuro in un modo nuovo. Le grandi rivoluzioni della storia moderna sono avvenute allorché la cultura elaborata dall’ordine esistente non era più in grado di offrire agli uomini una visione dell’avvenire come marcia verso l’emancipazione dell’umanità, la liberazione dall’oppressione, l’affermazione della ragione. E l’effervescenza delle fasi storiche rivoluzionarie è spiegata dal fatto che la nuova cultura di cui gli agenti del cambiamento sono i portatori restituisce agli uomini, e ai giovani in particolare, la pensabilità dell’avvenire, cioè quella prospettiva senza la quale la politica degenera in un puro gioco di potere e allontana da sé le forze migliori della società.
 
III
 
Noi siamo convinti che la svolta federalista della storia mondiale abbia la stessa portata culturale. Il federalismo è diventato un movimento politico nel corso della 2a guerra mondiale. Alcuni uomini, traendo la loro ispirazione dall’opera politica di Kant e da quella dei federalisti inglesi e di Einaudi, compresero che la potenza distruttiva della guerra era ormai divenuta tale da dare al progetto filosofico di Kant l’attualità di un progetto politico concreto. Il federalismo nacque quindi in Italia – e da allora è sempre rimasto fedele alla sua ispirazione iniziale – come riflessione sulla pace e lotta per la realizzazione della pace. Esso si pone quindi, rispetto alla pace, nello stesso rapporto in cui il liberalismo, la democrazia e il socialismo si erano posti rispetto alla libertà, all’uguaglianza e alla giustizia sociale. In questa prospettiva la lotta per l’unificazione europea assume il significato di un episodio di un progetto storico ben più vasto: quello della realizzazione della pace perpetua attraverso la fondazione della federazione mondiale. La fondazione della federazione europea appare così come il primo passo del corso federalistico della storia mondiale. E questo suo significato è già espresso, anche se in modo embrionale, dal fatto che il segmento già trascorso del processo di integrazione europea, pur non avendo ancora realizzato l’unità federale dell’Europa, ha già avviato, grazie alla sola presenza di questo obiettivo, un’opera di pacificazione senza precedenti, facendo cessare definitivamente l’inimicizia storica tra la Francia e la Germania, che aveva insanguinato l’Europa per tutto il corso della storia moderna dopo l’unificazione tedesca.
 
IV
 
È questa la consapevolezza che ha costituito l’identità storica del MFE in Italia. Si trattava e si tratta di condurre una battaglia di trasformazione istituzionale che era ed è, nello stesso tempo, una battaglia per elaborare e affermare una cultura nuova: la cultura della pace, che deve far propria la parte non caduca del contenuto delle culture della libertà, dell’uguaglianza e della giustizia sociale e superarle in una prospettiva più vasta. È così che si precisa il carattere di progetto culturale globale del federalismo che comporta, da un lato, la presa di coscienza del fatto che la pace non si può realizzare che attraverso il superamento della sovranità dello Stato e che, dall’altro, ci propone una sfida intellettuale ardua e affascinante: la revisione della concezione marxista della storia come storia della lotta di classe e il suo superamento nel quadro di una nuova concezione della storia come storia dell’avvento della pace (si tenga presente a titolo di esempio l’evidente impasse della storiografia tradizionale di fronte al problema dell’interpretazione del fascismo europeo); e l’elaborazione di nuovi modelli di società, la cui realizzazione verrebbe resa possibile dal superamento della sovranità dello Stato: il che significa restituire agli uomini, e ai giovani in particolare, la capacità di pensare l’avvenire, di concepire la storia futura come storia della realizzazione di ciò che vi è nell’uomo di specificamente umano. È proprio questo che le ideologie liberale, democratica e socialista non sanno fare. Perciò, dopo essere state i grandi fattori spirituali di propulsione della storia europea del XIX secolo, esse sono oggi dei gusci vuoti, senza più potere di attrazione, né capacità di mobilitazione.
 
V
 
Che il problema della pace sia il problema cruciale del nostro tempo è dimostrato con grande evidenza dall’enorme risonanza che hanno in Europa le iniziative del movimento per la pace. Non si tratta qui di prendere posizione per o contro il movimento per la pace: fino a che una soluzione istituzionale al problema della pace non viene posta sul tappeto, tutti, nel dibattito che si sta svolgendo in Europa, hanno ragione e tutti hanno torto. Si tratta soltanto di constatare che, dalla fine della guerra, nessun problema ha avuto la capacità di provocare una mobilitazione popolare così vasta e impegnata. E non è un caso, perché è su di esso che si gioca il destino dell’Europa. Ma, se le cose stanno in questi termini, la scommessa decisiva è quella di riuscire a far prendere coscienza al movimento per la pace (e a tutti coloro che, pur non partecipando alle manifestazioni di piazza, sono consapevoli del pericolo mortale al quale l’Europa è esposta) che non vi è soluzione al problema della pace se non nel federalismo. Si tratta ancora una volta di un compito certamente politico, ma insieme anche culturale: portare il movimento per la pace e tutti coloro che vogliono la pace a far propria la cultura della pace.
 
VI
 
Ma la cultura della pace siamo noi che abbiamo la responsabilità di elaborarla. Non la si trova già fatta nei libri. La cultura ufficiale non mette in discussione la sovranità dello Stato. Essa è, obiettivamente, la cultura della guerra. Certo, la cultura della pace ha dei precursori: a cominciare da Kant fino ai federalisti inglesi e a Einaudi. Ma l’opera federalista di questi grandi pensatori è stata dimenticata, quasi rimossa dalla cultura della guerra. È nostro compito rimettere in valore il loro pensiero, continuarlo e approfondirlo.
 
 
VII
 
Tutte le grandi trasformazioni istituzionali e culturali si possono verificare in quanto obiettive modificazioni dei comportamenti degli uomini — di tutti gli uomini — le rendono possibili. E così, nelle fasi che precedono i grandi rivolgimenti storici, le contraddizioni si accumulano e il potere incontra difficoltà sempre maggiori nel suo tentativo di controllare una realtà che cambia e che gli sfugge. Ma quando la natura del mutamento che si prepara è così radicale da mettere in questione l’assetto di potere esistente, essa non è capita dal potere, il cui sforzo costante è quello di dominare una realtà nuova con gli strumenti, materiali e culturali, del passato. In realtà le grandi trasformazioni storiche non vengono mai dal potere. Perché esse abbiano luogo, bisogna che nasca una forza capace di assumersi in prima persona la responsabilità del mutamento e ne faccia la ragione della sua esistenza politica. È il nostro caso, e qui sta la grande difficoltà del nostro compito. C’è un passo del Principe di Machiavelli che ha un posto cruciale nel patrimonio culturale del MFE italiano. Vi si dice che «e non è cosa più difficile a trattare, né più dubbia a riuscire né più periculosa a maneggiare, che farsi capo a introdurre nuovi ordini. Perché lo introduttore ha per nimici tutti quelli che delli ordini vecchi fanno bene e ha tepidi difensori tutti quelli che delli ordini nuovi farebbono bene. La quale tepidezza nasce, parte per paura dell’avversarii che hanno le leggi dal canto loro, parte dalla incredulità delli uomini: li quali non credono in verità le cose nuove se non ne veggano nata una ferma esperienzia».
 
VIII
 
È il nostro caso. Noi dobbiamo sapere che non ci possiamo attendere nulla dall’ordine esistente, cioè dall’ordine nazionale: né dal potere politico, né dal potere economico, né dai mezzi di informazione, né dalla cultura ufficiale. Il che significa che la condizione essenziale della nostra sopravvivenza in quanto federalisti (poiché potremmo sempre sopravvivere come agenzia di pubblicità della politica europea dei governi) sta nella nostra capacità di costituire noi stessi le basi della nostra influenza, di creare i nostri canali di informazione, di finanziare da soli la nostra organizzazione e soprattutto di elaborare noi stessi la nostra cultura. È, in una parola, l’esigenza primaria dell’autonomia politica, organizzativa, finanziaria e culturale. Qui sta il criterio fondamentale che ha guidato le scelte di base alle quali si deve far risalire la specificità della natura e della struttura del MFE.
È opportuno accennare brevemente, dapprima, al modo in cui la scelta dell’autonomia si è concretata per quanto riguarda i rapporti con i partiti, i criteri per la selezione e la formazione dei militanti e il finanziamento.
a) L’autonomia politica si manifesta attraverso il rifiuto da parte del nucleo di militanti che assicurano la direzione e la gestione del MFE di identificarsi con un qualsiasi partito nazionale. Noi non siamo che noi stessi: né di destra né di sinistra, né democristiani né socialisti, perché queste distinzioni appartengono all’ordine che vogliamo superare. Si deve comunque notare che è proprio questa posizione di indipendenza (compatibile del resto con eventuali alleanze tattiche) che ci ha permesso di instaurare e mantenere eccellenti rapporti di collaborazione con tutti i partiti democratici.
b) La selezione e la formazione dei militanti sono guidate dall’esigenza di evitare i condizionamenti che sarebbero imposti al Movimento da un apparato amministrativo pesante e costoso, che dipenderebbe inevitabilmente, per la sua sopravvivenza, da finanziamenti esterni. Per questo i nostri sono tutti militanti a mezzo tempo, con un lavoro che garantisce loro l’indipendenza economica, pur consentendo loro di disporre di abbastanza tempo libero per dedicarsi all’attività federalista. In questo modo la nostra organizzazione costa assai poco e noi siamo totalmente al riparo da qualunque tentativo di pressione o di ricatto da parte di qualunque forza politica o economica.
c) L’autonomia finanziaria ha comunque la sua istituzione specifica nell’autofinanziamento. Ogni giovane reclutato nel movimento sa che il lavoro federalista non gli procurerà mai danaro, ma che gliene costerà. Qui sta la base finanziaria della nostra indipendenza. Tutto ciò non ci impedisce, beninteso, di ricevere talvolta finanziamenti esterni, ma essi vengono utilizzati soprattutto per finanziare azioni specifiche, mentre la struttura permanente dell’organizzazione funziona grazie alle nostre «risorse proprie», il che ci consente, una volta di più, di essere al riparo da qualunque influenza.
 
IX
 
Ma, al di là di tutto questo, è l’autonomia culturale che fonda l’autonomia politica, organizzativa e finanziaria del Movimento. La sola motivazione, in assenza di quelle del potere e del denaro, che può spingere un militante a perseverare, talvolta per decenni, in un impegno spesso faticoso e difficile, è la consapevolezza del nostro insostituibile ruolo storico, di essere coloro che stanno tracciando una via nuova, che hanno un punto di vista che consente loro di cogliere per primi nel loro vero significato le aspirazioni e i fermenti inarticolati della società civile del nostro tempo che gli altri non vedono, o vedono con un’ottica distorta. Si tratta di una consapevolezza eminentemente culturale. Per questo pensiamo che, anche per quanto riguarda il modo di vivere l’impegno federalista di ogni singolo militante, la politica e la cultura siano due aspetti inseparabili del nostro lavoro. Ciò significa – è bene ribadirlo ancora una volta – che sono i federalisti che devono fare loro stessi la loro cultura. Ed è per questo che ogni sezione del MFE in Italia si sforza di essere insieme un centro di agitazione politica e un centro di elaborazione culturale, nel quale conferenze, corsi di formazione, ecc. sono tenuti dagli stessi militanti. Né potrebbe essere altrimenti, poiché la cultura federalista è in formazione, e chi potrebbe farla se non i federalisti? Certo non gli accademici e gli altri esponenti della cultura ufficiale, che rappresentano la cultura del vecchio ordine e che, in quanto tali, non possono avere altra funzione che quella di fare da puntello al potere che esiste.
 
X
 
Questa figura di militante, insieme uomo d’azione e uomo di cultura, è l’ideale al quale si è ispirato il Movimento federalista in Italia per tutta la sua storia. Beninteso, come sempre accade, la realtà è rimasta, per molti aspetti, al di qua dell’ideale. Ma i modelli sono importanti nella vita di un movimento che si vuole rivoluzionario (anche se questa parola, nel caso del MFE, deve essere accuratamente depurata di ogni connotazione violenta). Io resto convinto che l’influenza che il MFE esercita in Italia si fonda sull’importanza che esso ha sempre attribuito alla selezione e alla formazione degli uomini. Mi si consenta di concludere con un’altra citazione di Machiavelli. Nei Discorsi egli si chiede se sia vero che il danaro è il «nervo della guerra». E risponde che «non l’oro, come grida la comune opinione, (è) il nervo della guerra, ma i buoni soldati, perché l’oro non è sufficiente a trovare i buoni soldati, ma i buoni soldati sono sufficienti a trovare l’oro». E i buoni soldati, nella lotta di oggi per la pace, si trovano soltanto se si è capaci di fare una cultura che apra una prospettiva nuova sull’avvenire dell’umanità.


*Si tratta del rapporto tenuto al Convegno di Landshut dell’11-12 novembre 1983.

 

 

 

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