IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno XLIII, 2001, Numero 1, Pagina 57

 

 

SULL’ATTUALITA’ DEL FEDERALISMO MONDIALE 
 
 
Nicoletta Mosconi è rimasta sola nella discussione sulle relazioni tra federalismo europeo e federalismo mondiale. Eppure si tratta di un dibattito di vitale importanza per chi è interessato ai destini del federalismo come progetto politico e come movimento organizzato. Non è facile spiegare perché ciò sia accaduto. Io credo che ciò dipenda in parte dalla difficoltà di avventurarsi tra le vette impervie della teoria e in parte dalla priorità che in questo momento va data all’impegno per la Costituzione europea da parte di chi partecipa attivamente alla vita politica del Movimento federalista europeo.
L’intervento, pubblicato sul n. 1, 2000 di Il Federalista,[1] mi chiama in causa, pur nominandomi soltanto in una nota, come rappresentante di una delle due posizioni emerse in seno al MFE relative al posto da attribuire all’obiettivo della Federazione mondiale nella politica federalista. Non essendo citate altre persone o altri scritti, se non il mio articolo pubblicato sul n. 3, 1999 del Federalista,[2] ne traggo la conclusione che le obiezioni mosse ai federalisti mondiali siano rivolte a quanto ho scritto nell’articolo sopra ricordato.
Tre sono gli argomenti utilizzati contro i federalisti mondiali. Essi a) stabiliscono un’equazione tra interdipendenza globale e unificazione mondiale; b) rinunciano al federalismo per ripiegare su posizioni internazionalistiche e funzionalistiche; c) pretendono di avere una strategia, mentre non esistono le condizioni per un impegno su questo terreno.
 
Interdipendenza e unificazione.
 
L’intento è quello di fornire una more geometrico demonstratio. Il ragionamento pone con forza problemi centrali, anche se le soluzioni proposte non sono sempre convincenti. Semplifica e a volte distorce le posizioni che respinge. Tipica sotto questo profilo è la discussione sulla relazione tra interdipendenza e unificazione. L’uso della parola «unificazione» nel senso di unificazione politica è una scelta terminologica che Albertini ha proposto in uno dei suoi ultimi scritti.[3] La mia scelta è diversa, ma non contraddice il pensiero di Albertini. Semplicemente uso la parola «unificazione» in un contesto più ampio di quello politico. Invece di impiegare la distinzione tra integrazione e unificazione, distinguo due gradi di un unico processo di unificazione: quello sociale e quello politico. Lo stesso Albertini ha usato infinite volte le espressioni «unificazione del mondo» e «unificazione del genere umano» per designare un processo di carattere sociale, che non ha ancora assunto un rilievo politico.[4] Anch’io ho usato l’espressione in questa accezione.
In ogni caso non si può ipotizzare che nell’articolo sopra citato io abbia stabilito un’equazione meccanica tra interdipendenza e unificazione politica. Infatti ho scritto con una formulazione che non può suscitare equivoci: «La fine della guerra fredda non ha coinciso con l’avvio di un processo di unificazione politica mondiale» (e ho sottolineato questa frase).[5] In altri termini, a mio avviso, attualmente non è in corso un processo di unificazione politica del mondo. Anche a me non è sfuggito il fatto che, per il momento, nessun governo ha formulato il disegno di unificare il mondo sotto l’autorità di un governo federale. L’ipotesi che ho formulato nel citato articolo è che l’avvio di questo processo presuppone la formazione della Federazione europea, che ho definito «il veicolo del federalismo nel mondo», e la conseguente modifica dei rapporti di potere nel mondo, tale da rendere possibile una equal partnership euro-americana, intesa come presupposto per l’avvio di relazioni cooperative tra tutte le grandi regioni del mondo.
Naturalmente, non ho preteso di formulare nulla di più di una semplice ipotesi, che la storia dovrà confermare o smentire. Tuttavia, se vogliamo cercare di fare una discussione seria sull’unificazione del mondo, il punto sul quale è necessario un approfondimento è quello che riguarda «l’autonomia relativa della politica» rispetto all’evoluzione del modo di produrre.
Albertini, nel saggio nel quale distingueva l’integrazione dall’unificazione, metteva in guardia contro le interpretazioni meccanicistiche della relazione tra un determinato grado di integrazione e il corrispondente grado di unificazione, secondo cui a ogni grado di sviluppo dei processi storico-sociali dovrebbe corrispondere un uguale grado di evoluzione dei processi politico-istituzionali. In realtà, la relazione è più complessa. L’autonomia della politica svolge un ruolo rilevante. Ha osservato Albertini a questo proposito: «Si sono dati casi di unità costituzionale con bassi gradi di integrazione, e casi di divisione costituzionale con gradi relativamente alti di integrazione».[6] Ciò significa che certi processi di unificazione politica possono realizzarsi in anticipo rispetto all’evoluzione dei processi di integrazione, altri in ritardo. Un esempio del primo caso è la formazione degli Stati Uniti d’America. Si consideri solo che, per raggiungere Filadelfia, la prima capitale, si impiegavano quasi due settimane dal New Hampshire e quasi tre dalla Georgia, mentre oggi poche ore sono sufficienti per raggiungere da ogni parte del mondo New York, la sede delle Nazioni Unite. Un esempio del secondo caso sono le unificazioni italiana e tedesca, che si sono realizzate nella seconda metà dell’Ottocento, quando la seconda fase della rivoluzione industriale avrebbe creato le premesse del superamento dello Stato nazionale.
A mio avviso, la riflessione di Albertini sull’autonomia della politica va sviluppata in relazione al fatto che l’unificazione europea mostra che nella nostra epoca i processi di unificazione politica sono processi di lungo periodo, che comportano la formazione di istituzioni comuni agli Stati coinvolti nel processo e il loro rafforzamento fino a che non è raggiunto il traguardo della statualità. Se anche in questi processi l’autonomia della politica gioca un ruolo significativo, allora perché non considerare il Tribunale penale internazionale come un’anticipazione del progetto federalista mondiale?[7] Esso è stato il risultato di una convergenza di forze (i cosiddetti like-minded states e la coalizione delle ONG) che non concepiscono il TPI come un passo sulla via della Federazione mondiale. Solo i federalisti mondiali gli attribuiscono questo significato. Il che conferma che non siamo ancora giunti alla fase politica dell’unificazione mondiale.
 
La compatibilità dei due obiettivi.
 
Dall’affermazione che non è in corso un processo di unificazione politica del mondo deriva la conseguenza che sul piano strategico per il momento si possono soltanto formulare delle congetture circa le condizioni che rendono possibile l’avvio di un’azione politica per la realizzazione della Federazione mondiale e sperimentare delle forme di azione per il perseguimento di obiettivi che, in ipotesi, avvicinano la Federazione mondiale, essendo scontato che, almeno per i federalisti europei, l’impegno prioritario è quello per l’unità dell’Europa.
Tuttavia, la strategia non rappresenta l’unico alimento che assicura la sopravvivenza del Movimento federalista, al di là della quale non c’è che la posizione astratta e velleitaria delle «anime belle». Ma è proprio vero che un movimento che non sia impegnato nel perseguire un preciso obiettivo strategico non abbia alcun rilievo politico? Certo, la strategia è espressione di quella dimensione della vita politica che pretende di «cambiare» il mondo e non si limita quindi a «interpretarlo», per usare il linguaggio di Marx. Bisogna riconoscere però che ciò che innanzi tutto assicura l’adesione al Movimento è la sua capacità di conoscere la storia e di prevedere le grandi svolte della politica europea e mondiale. La motivazione profonda e l’alimento quotidiano dell’impegno politico di coloro che partecipano alla vita del Movimento federalista, siano questi semplici iscritti o militanti attivi, risiede nella capacità di dare una risposta ai grandi problemi della società contemporanea. L’adesione al federalismo dipende innanzi tutto dalla forza di attrazione esercitata dai suoi valori e dalla prospettiva di emancipazione dell’umanità legata a questi valori e inoltre dalla capacità di conoscere la società contemporanea, di prevedere la linea di fondo della storia contemporanea e di formulare giudizi politici autonomi sui principali problemi sul tappeto.
E’ proprio vero che oggi non si può fare niente per la Federazione mondiale? In realtà non basta affermare che oggi non è all’ordine del giorno un’azione strategica per la Federazione mondiale per trarne la conclusione che in questo momento non c’è nulla da fare per perseguire quell’obiettivo. Questa conclusione non è affatto scontata. Su questa china si perdono di vista alcuni obiettivi che possono essere perseguiti fin d’ora. Alcuni li aveva indicati lo stesso Albertini. Per esempio l’unificazione tra federalisti europei e federalisti mondiali (un progetto che ha compiuto notevoli progressi negli ultimi anni) e l’utilizzazione di questa rivista come veicolo del dialogo tra le due famiglie dei federalisti (un progetto che, invece, non si è sviluppato secondo le aspettative).[8]
Dobbiamo accusare Albertini di «strabismo strategico»[9] perché indicò questi obiettivi nel momento in cui il Movimento federalista era impegnato nella battaglia per la moneta europea? Il fatto è che non c’è incompatibilità tra i due obiettivi, come non c’è incompatibilità tra obiettivi di breve e di lungo termine. Qualsiasi gruppo umano, sia questo un’associazione, un’impresa o una famiglia, conosce questa gerarchia di obiettivi e la relativa distribuzione delle risorse tra i diversi obiettivi.
Agli obiettivi individuati da Albertini se ne possono aggiungere altri sul piano della politica culturale, per diffondere e dibattere i principi e le prospettive politiche del federalismo, della ricerca e della progettazione, delle prese di posizione per illustrare e difendere l’obiettivo della Federazione mondiale nei confronti dei suoi detrattori, della formazione e del reclutamento, che incontrano difficoltà crescenti, perché la Federazione europea è un obiettivo che, da solo, non è più in grado di motivare una scelta di vita da parte dei giovani.
E’ da ricordare che Albertini, quando ha definito la distinzione tra obiettivo politico e obiettivo strategico, ha osservato che, mentre l’occasione strategica non si sceglie ma si accerta, perché non dipende dalla volontà umana, ma dalle vicende del processo storico, l’obiettivo politico rappresenta la proposta di una nuova forma di organizzazione del potere ed è oggetto di una scelta politica. «Ciò non significa», ha scritto Albertini, «che non ci sia nulla da fare finché l’occasione strategica non si manifesta».[10] Si tratta in realtà di mobilitare in via permanente tutte le energie attuali o potenziali del Movimento, contrapponendo sempre il suo disegno politico ai modelli nazionali.
 
La collocazione della Federazione mondiale nel corso della storia.
 
E’ importante a questo punto domandarsi perché proprio in seno al Movimento federalista abbia preso corpo una posizione così negativa nei confronti del federalismo mondiale. L’ipotesi che emerge dalle analisi apparse recentemente su questa rivista,[11] è che gli obiettivi della Federazione europea e della Federazione mondiale sono separati tra di loro da un ciclo storico così lungo che non è concepibile progettare un’azione politica per la Federazione mondiale, non solo oggi, ma nemmeno quando fosse raggiunto il traguardo della Federazione europea. L’analogia che è suggerita in queste analisi è che la Federazione europea rappresenta l’avvio della formazione di un sistema mondiale multipolare di Stati, come il Trattato di Westfalia segnò l’inizio del sistema europeo delle potenze. Se l’analogia fosse fondata, la conseguenza che se ne dovrebbe trarre è che, poiché la Federazione europea è diventata un obiettivo politico solo dopo la seconda guerra mondiale, il problema dell’unificazione mondiale giungerà a maturazione tra alcuni secoli, quando saranno giunte a conclusione le unificazioni delle altre grandi regioni del mondo.
Il fatto è che l’analogia è infondata, perché non tiene conto di due fattori che rendono incommensurabili i due termini di confronto. Il primo fattore riguarda il grado di integrazione tra gli Stati membri del sistema. Il materialismo storico consente di mettere in luce un fatto senza precedenti, che si è manifestato nel mondo contemporaneo: il grado di integrazione economica e sociale a livello mondiale è tale da rendere tutti i popoli e gli Stati del pianeta sempre più strettamente interdipendenti. Ne consegue che, mentre sono in corso con un grado diseguale di sviluppo i processi di integrazione regionale, tutte le regioni del mondo sono coinvolte in un unico processo di integrazione sul piano mondiale. Esistono problemi, sempre più numerosi e sempre più rilevanti, che nessuno Stato, nemmeno i più potenti, è in grado di risolvere da solo. Di qui la crisi dello Stato sovrano e la relativa esigenza della cooperazione internazionale e dello sviluppo del fenomeno dell’organizzazione internazionale.
Il secondo fattore riguarda l’esistenza di una fitta rete di organizzazioni internazionali, dall’ONU al FMI alla WTO, che prefigurano, anche se non realizzano, il governo mondiale, come la Comunità europea e l’Unione europea sono istituzioni precorritrici della Federazione europea. Certo l’Unione europea e le sue progenitrici, dalla CECA alla CEE, possiedono una ben maggiore consistenza politica delle organizzazioni mondiali sopra menzionate. E’ tuttavia innegabile che, all’epoca del Trattato di Westfalia, non esisteva un grado di integrazione economica e sociale tra gli Stati che possa essere paragonata a quella attuale sul piano mondiale. Inoltre non esisteva nessuna forma di organizzazione internazionale, perché gli Stati erano comunità politiche autosufficienti.
Per orientarci circa il periodo della storia nel quale viviamo, è utile prendere in considerazione un altro fatto, che illustra l’inconsistenza dell’analogia tra il mondo contemporaneo e l’Europa di Westfalia. Mi riferisco all’irruzione sulla scena della politica dei movimenti della società civile internazionale, le cosiddette Organizzazioni non governative internazionali, la cui novità e rilevanza per l’azione federalista fu individuata da Albertini fin dal 1980.[12] Il significato di questo fenomeno, ampiamente studiato dalla letteratura scientifica e largamente riconosciuto sul piano politico (come mostra l’ammissione delle ONG, compreso il WFM, con ruolo consultivo nelle principali organizzazioni internazionali e nelle grandi conferenze mondiali), è che gli Stati non sono più i protagonisti esclusivi della politica mondiale. La formazione di una società civile globale è espressione del declino della sovranità degli Stati, anche dei più potenti, e dell’emergere dell’esigenza di istituzioni politiche che regolino la società civile globale, in ultima istanza di un governo mondiale.
Questi fattori sono, a mio avviso, sufficienti a trarre la conclusione che l’obiettivo della Federazione mondiale non è così lontano da impedire di considerarlo come un obiettivo politico, anche se non esistono per ora le condizioni per impostare una chiara azione strategica.
Sullo sfondo della visione della storia contemporanea proposto da questa rivista dopo la morte di Albertini c’è l’idea che la politica mondiale dopo la caduta dei blocchi continuerà secondo gli schemi tradizionali della politica di potenza. In realtà, dopo la fine della guerra fredda, il mondo è entrato in una nuova era, nella quale non c’è nessuno Stato che possa aspirare all’egemonia mondiale. Se è vero che la politica di potenza sopravvive in alcune parti del pianeta, come nel sub-continente indiano, non si può negare che nel complesso sia in declino. Alla tendenza verso una riorganizzazione in senso multipolare del potere mondiale non può che corrispondere l’esigenza di una direzione collegiale del mondo e quindi del rafforzamento e della democratizzazione dell’ONU. E’ quindi legittimo formulare l’ipotesi che stiano maturando le condizioni per un impegno politico per creare nuove istituzioni a livello internazionale e riformare quelle dell’ONU, intese come tappe intermedie sulla via della Federazione mondiale.
Un’altra analogia storica mi sembra più adeguata a orientare il pensiero verso la comprensione dei cambiamenti in corso nel mondo contemporaneo: quella con l’epoca della seconda guerra mondiale. Sono anni nei quali giunge a maturazione la transizione da un ordine mondiale a un altro. Le idee che hanno fatto nascere il Movimento federalista sono maturate quando Hitler aveva conquistato l’Europa (1941). Il Movimento federalista si è dato un’organizzazione quando l’imperativo strategico era la guerra al nazismo (1943), in un momento nel quale non c’era spazio per un impegno politico perla Federazione europea, ma solo per abbattere il nazi-fascismo, una premessa indispensabile dell’impegno per la Federazione europea.
 
La strategia federalista dopo la ratifica della Costituzione europea.
 
Inoltre se si afferma che non si profila neanche all’orizzonte l’obiettivo della Federazione mondiale, l’unica scelta che si apre per il Movimento federalista dopo la ratifica della Costituzione europea sarà l’impegno politico nel quadro della Federazione europea.[13] Ciò costituirebbe una svolta nel modo di concepire la politica federalista, intesa come «opposizione di comunità», secondo la formula usata da Albertini.[14] Il che rimetterebbe in discussione la scelta dell’autonomia del Movimento federalista da tutti i poteri costituiti.
A questo proposito bisogna sottolineare che la Federazione europea non costituisce la conclusione della rivoluzione federalista, ma il suo inizio. Da una parte, la Federazione europea sarà il modello cui si ispireranno i movimenti di unificazione in corso nelle altre regioni del mondo e quelli che sono impegnati nella riforma democratica dell’ONU e la politica estera europea sarà il veicolo del federalismo nel mondo. Non è un caso che, in concomitanza con il dibattito sulla Costituzione europea, in Africa e nell’America del Sud, in occasione di due riunioni al vertice svoltesi nell’estate del 2000, sia emersa l’esigenza dell’unificazione federale, né che il Forum del Millennio delle Organizzazioni non governative abbia indicato tra i suoi obiettivi la creazione di un’Assemblea parlamentare dell’ONU.[15]
D’altra parte, però non è difficile formulare la previsione che la Federazione europea sarà lacerata da due spinte contraddittorie. Non si manifesterà infatti soltanto la tendenza della Federazione europea a rimanere una formazione politica aperta, la cui vocazione sarà quella di promuovere lo sviluppo del federalismo nel mondo. Sarà attiva anche la tendenza opposta, quella che promuoverà la chiusura e l’accentramento del potere e in ultima istanza il nazionalismo europeo, anche se gl’incentivi a promuovere questa politica saranno molto più deboli che all’epoca delle guerre mondiali. E’ ovvio che il ruolo dei federalisti sarà quello di sostenere la prima tendenza e di combattere la seconda.
Le circostanze storiche che aprono la via a un’azione a carattere strategico si presentano in modo intermittente. La presenza politica e la coesione del Movimento nei momenti di vuoto nell’impegno strategico sono assicurate da altro: la linea teorica (l’analisi delle linee di fondo della storia contemporanea) e la linea politica (le prese di posizione, che mettono in luce l’inadeguatezza delle istituzioni degli Stati a dare una risposta ai maggiori problemi e propongono l’alternativa federalista). E’ su questo terreno che si può sviluppare il reclutamento di nuove forze e si alimentano le motivazioni a rimanere nel Movimento. Invece sul fronte strategico non si presentano occasioni per reclutare nuove forze, ma si impegnano forze che hanno già compiuto la scelta federalista.
 
La cooperazione internazionale e la strategia federalista.
 
Ma veniamo ora al giudizio decisamente tranchant con il quale vengo collocato nella categoria dei funzionalisti e degli internazionalisti. Il che equivale a una scomunica.
Innanzi tutto sono molto contento che sia condivisa una mia asserzione, cui attribuisco molta importanza: quella secondo la quale la cooperazione internazionale costituisce una premessa per perseguire obiettivi più avanzati relativi alla trasformazione della struttura del sistema degli Stati in senso federale.
Non condivido però la conseguenza che se ne trae: «Finché [la collaborazione internazionale] funziona, il nostro obiettivo non può essere strategico».[16] Non abbiamo forse definito obiettivi strategici intermedi l’elezione diretta del Parlamento europeo o l’istituzione dell’euro e della Banca centrale europea e l’acquisizione di questi obiettivi come un nostro successo? Ebbene, il funzionamento della Comunità europea e dell’Unione europea, malgrado la realizzazione di questi obiettivi, che ne hanno modificato la struttura, continua a basarsi sulla collaborazione tra i governi in seno al Consiglio. In altre parole, l’Unione europea continua ad avere una struttura che è ancora nella sostanza confederale. Il fatto è che, fino all’ultima battaglia (quella per la Federazione europea), gli obiettivi che i federalisti perseguono sono acquisiti in un contesto confederale, nel quale la cooperazione intergovernativa rappresenta un fattore indispensabile del funzionamento delle istituzioni europee.
Non è vero che la cooperazione internazionale non può essere un obiettivo dei federalisti. Non è l’obiettivo ultimo, ma può essere un obiettivo intermedio, quando non sono in vista azioni strategiche per conseguire obiettivi federalisti.
L’intesa Briand-Stresemann rappresentava un’alternativa progressiva rispetto al nazionalismo aggressivo di Hitler nel periodo tra le due guerre; le ricette funzionalistiche di Hallstein costituirono un’alternativa progressiva alla politica della sedia vuota promossa da de Gaulle. Quando nel marzo del 1967, in occasione del Vertice convocato per il decimo anniversario dei Trattati di Roma, organizzammo sulla piazza del Campidoglio la contestazione dell’Europa intergovernativa, Hallstein ci rivolse dall’alto del palazzo un cenno di saluto: un gesto molto più eloquente di mille dichiarazioni politiche, che lo distinse dai Capi di Stato e di governo che partecipavano al Vertice. Questo gesto era espressione di un’intesa tra i federalisti e il Presidente della Commissione e di un’opposizione nei confronti della concezione confederale dell’Europa incarnata da de Gaulle. Naturalmente questa intesa non offuscava le differenze che ci separavano dalla concezione di Hallstein. Questo episodio è significativo perché illustra il fatto che la politica crea continuamente situazioni e linee di divisione non scelte dai federalisti, ma che esigono da parte nostra una presa di posizione. Ho citato a caso due esempi che mi consentono di mettere in evidenza che, anche quando la storia non offre occasioni strategiche, i federalisti hanno un compito da svolgere: innanzi tutto prendere posizione.
Le prese di posizione costituiscono un’esigenza vitale per qualsiasi organizzazione politica, ma soprattutto per i movimenti politici che perseguono un cambiamento profondo della società. Essi hanno il compito di contrapporre il proprio modello di Stato a quello esistente. Da quando Kant scrisse la Pace perpetua e definì i primi lineamenti del modello di una società pacifica, è possibile individuare una linea evolutiva della storia e un corrispettivo impegno politico volti a realizzare quell’obiettivo. Naturalmente, all’epoca di Kant, la Federazione mondiale era un lontano fine ultimo, di cui però l’autore della Pace perpetua individuò le principali pre-condizioni, che solo nella nostra epoca sono in corso di realizzazione. La prima si sarebbe realizzata quando l’esperienza delle devastazioni della guerra avrebbe spinto l’umanità a rinunciare alla sua «libertà selvaggia» e alla intollerabile situazione di anarchia internazionale,[17] la seconda quando lo sviluppo degli scambi, «la terra essendo sferica», avrebbe costretto gli uomini a rassegnarsi a «incontrarsi e a coesistere»,[18] la terza quando l’evoluzione del genere umano fosse giunta allo stadio della formazione di Stati repubblicani, fondati cioè sui principi della libertà e dell’uguaglianza.[19] In effetti le guerre mondiali, il processo di globalizzazione e la caduta dei regimi fascisti e comunisti sono eventi del XX° secolo che hanno spianato la via all’affermazione dell’alternativa federalista.
Sulla base di queste indicazioni, è possibile individuare una catena di eventi storici e una possibile linea di azione volte a realizzare quelle precondizioni e quindi indirettamente a perseguire l’obiettivo della Federazione mondiale. Ne consegue che, da quando questo obiettivo è stato definito, è possibile in ogni momento discriminare i comportamenti favorevoli o contrari a quell’obiettivo, che rispettivamente rafforzano o indeboliscono quella prospettiva. Ciò significa che da quel momento, nessun comportamento politico può essere considerato neutrale rispetto al fine ultimo della Federazione mondiale. E ciò vale a maggior ragione oggi che quel traguardo è più vicino.
Se si distingue tra due diverse categorie di obiettivi: le pre-condizioni degli obiettivi federalisti e gli obiettivi federalisti in senso stretto, è possibile chiarire la ragione per cui ciò che promuove la pace in una determinata fase della storia, in un’altra la contrasta. Le organizzazioni internazionali, come la Società delle Nazioni o la Comunità europea, sono da considerare delle pre-condizioni dell’azione federalista. Infatti una situazione nella quale gli Stati sono propensi a risolvere i loro conflitti in seno a organismi intergovernativi costituisce la premessa necessaria, ma non sufficiente, per un’azione di ispirazione federalista volta a superare i limiti confederali di tali organismi. La Società delle Nazioni costituiva l’alternativa alla soluzione in termini militari e imperialistici dei problemi del mondo nel periodo tra le due guerre mondiali. La sua sopravvivenza rappresentava la condizione necessaria, ma non sufficiente, di un’azione diretta a superarne i limiti. La Comunità europea è stata istituita in una fase della crisi degli Stati nazionali che esigeva la cooperazione economica tra gli Stati per governare il processo di integrazione europea. Mentre nel periodo nel quale si costruiva il Mercato comune non c’era spazio per un’azione federalista di carattere strategico, questa divenne possibile quando si manifestò la insufficienza delle istituzioni europee rispetto alle sfide interne (democratizzazione delle istituzioni europee e moneta europea) e internazionali (unificazione della politica estera e di sicurezza), cui dovevano fare fronte.
Non è sufficiente in questo momento affermare astrattamente che la Federazione europea contribuirà alla formazione di un nuovo ordine mondiale e a diffondere il modello federalistico nel mondo, se poi ci si rifiuta di entrare nel merito delle trasformazioni che saranno determinate dalla nascita della Federazione europea. Tipica è la negazione di qualsiasi significato politico alle proposte relative alla nuova Bretton Woods, alla regionalizzazione del Consiglio di sicurezza, alla creazione del Tribunale penale internazionale e dell’Assemblea parlamentare dell’ONU[20] o alla creazione di risorse proprie e di forze di pronto intervento dell’ONU. Ho cercato in un altro articolo di mettere in luce come questi obiettivi, che oggi sono sostenuti debolmente dall’Unione europea (e con ben maggiore autorità potrebbero essere domani sostenuti dalla Federazione europea), debbano essere considerati come tappe intermedie sulla via della Federazione mondiale.[21] Ma non voglio ritornare su questo tema.
Il fatto è che chi si rifiuta di partecipare al dibattito mondiale sulla riforma dell’ONU e delle altre organizzazioni internazionali, lo fa perché considera queste riforme slegate dall’obiettivo della Federazione mondiale e ignora che sono state elaborate posizioni federaliste autonome su tutti questi problemi. In realtà, se parteciperemo a questo dibattito, potremo dimostrare quali sono gli aspetti oggettivi del processo di unificazione del mondo e indicare quali obiettivi intermedi la Federazione europea, modificando l’ordine mondiale, permetterà di perseguire. In questo modo sarà possibile esercitare un’influenza sull’opinione pubblica e in particolare sulla comunità delle ONG e in questo modo modificare la situazione di potere almeno per quanto riguarda le aspettative. Questo è avvenuto per esempio nel Forum del Millennio, che nel maggio 2000 ha approvato la proposta del WFM di istituire un’Assemblea parlamentare dell’ONU.
 
Approfondire il dibattito.
 
Con il proposito di rendere tutto chiaro, Nicoletta Mosconi conclude il suo intervento compiendo un ultimo e temerario passo, quello che la fa penetrare nelle cantine dell’anima dei suoi interlocutori, dove spalanca porte e finestre, per mettere a nudo le «radici psicologiche» dei due errori teorici da lei denunciati. Queste radici risiederebbero nell’impazienza, che, come tutti sanno, Lenin considerava un peccato mortale per un rivoluzionario. E’ da ricordare a questo proposito che la ricetta di Lenin era: «pazienza e ironia».
Non mi interessa questo scavo nelle basi psicologiche delle posizioni politiche, che mi sembra non porti da nessuna parte. lo mi sono limitato a prendere in esame una posizione politica di cui non condivido alcuni aspetti, ho denunciato quelli che mi sembrano errori di prospettiva, che si traducono in errori di linea politica e di strategia: considerare la Federazione mondiale un obiettivo così remoto nel tempo che sarebbe inutile occuparsene, se non nei termini di un lontano fine ultimo; il rifiuto di attribuire qualsiasi interesse per i federalisti al dibattito sulla riforma dell’ONU e delle altre organizzazioni internazionali e la conseguente asserzione dell’inutilità di partecipare a questo dibattito; la proposta di limitare l’impegno politico dei federalisti nell’ambito della Federazione europea, che finirebbe inevitabilmente con il legare le sorti del Movimento federalista a quelle del governo europeo e col tradursi nella scelta del nazionalismo europeo. Sono scelte politiche che a me sembra siano minoritarie, anzi relativamente isolate, e che ormai cominciano ad assumere qualche carattere settario. Comunque sono scelte che, se prevalessero, avrebbero effetti negativi, se non devastanti, per il futuro del Movimento federalista.
Grandi movimenti politici cominciano a morire quando il loro disegno si avvia al compimento. La loro fine è prossima quando non hanno più il futuro dalla loro parte. Per fare sopravvivere il Movimento federalista bisogna evitare di chiudersi in un mondo troppo ristretto (l’Europa isolata dal resto del mondo) e spaziare su orizzonti più vasti (l’Europa come veicolo del federalismo nel mondo). Solo in questa prospettiva il federalismo può continuare a presentarsi come una stimolante avventura politica e intellettuale.
Facciamo senza reticenze questa discussione sulle alternative strategiche che si profilano al nostro orizzonte. L’apertura della fase costituente della Federazione europea lo impone come un imperativo indilazionabile. Dobbiamo considerare l’eredità di Spinelli e di Albertini come un progetto incompiuto, aperto sull’avvenire, che è nostro compito sviluppare per fare fronte alle sfide sempre nuove che la storia ci propone. Il nostro compito è quello di metterci in cammino lungo una strada che altri hanno cominciato a tracciare e di cercare la direzione giusta, correndo il rischio di sbagliare direzione e assumendoci la responsabilità degli eventuali errori. Dobbiamo cercare di tenere il passo con i cambiamenti della società, considerando che la ragione umana ha dei limiti e che il futuro è incerto anche per chi presume di «marciare nel senso della storia».
Per essere all’altezza di questa sfida, bisogna intraprendere un programma di lavoro di lungo periodo, che dovrebbe condurre al chiarimento delle questioni controverse. Un lavoro del genere, se si escludono alcuni contributi isolati, non è stato ancora intrapreso in modo sistematico. Occorre invece impegnarsi in uno sforzo di elaborazione teorica con un atteggiamento cooperativo e con la disponibilità a sottoporsi con l’umiltà di chi ricerca la verità a un’analisi critica da parte di chiunque altro.
Prima di giungere alla conclusione che non siamo più accomunati dallo stesso progetto, isoliamo le questioni controverse e confrontiamoci su ognuna con l’atteggiamento di chi ricerca la verità e opera per una causa che deve rimanere superiore all’ambizione e al prestigio personale, consapevoli che la verità si impone dolcemente senza forzature, perché vale, perché la si trova rispondente alla logica e all’esperienza.
 
Lucio Levi


[1] N. Mosconi, «Interdipendenza uguale unificazione?», in Il Federalista, XLII (2000), n. 1, pp. 70-77.
[2] L. Levi, «L’unificazione del mondo come progetto e come processo. Il ruolo dell’Europa», in Il Federalista, XLI (1999), n. 3, pp. 150-95.
[3] M. Albertini, «L’unificazione europea e il potere costituente», in Nazionalismo e federalismo, Bologna, Il Mulino, 1999, pp. 290-92.
[4] M. Albertini, «Un progetto di manifesto del federalismo europeo», in Nazionalismo e federalismo, cit., p. 61.
[5] L. Levi, op. cit., p. 163.
[6] M. Albertini, «L’unificazione europea e il potere costituente», cit., p. 292.
[7] L. Levi, «Tribunale penale dell’ONU e giustizia internazionale», in Dibattito federalista, XIV (1998), n. 3.
[8] M. Albertini, «Verso un governo mondiale», in Nazionalismo e federalismo, cit., pp. 201-207.
[9] F. Rossolillo usa questa espressione per contestare la legittimità della posizione di chi persegue contemporaneamente due obiettivi. Cfr. «Federazione europea e Federazione mondiale», in Il Federalista, XLI (1999), n. 2, p. 83.
[10] M. Albertini, «L’aspetto strategico della nostra lotta», in Una rivoluzione pacifica, Bologna, Il Mulino, 1999, p. 327.
[11] Cfr. ad esempio «Il lungo cammino verso la Federazione mondiale», in Il Federalista, XXXVIII (1996), n. 3 e «Verso un sistema mondiale di Stati», in Il Federalista, XL (1998), n. 3.
[12] M. Albertini, «Politica e cultura nella prospettiva del federalismo», in Una rivoluzione pacifica, cit., p. 426.
[13] F. Rossolillo, op. cit., pp. 100-101.
[14] M. Albertini, Una rivoluzione pacifica, cit., p. 71 e Nazionalismo e federalismo, cit., pp. 132-33.
[15] L. Levi, «Globalisation and the Democratic Reform of the UN. A Comment on the Millennium Forum», in The Federalist Debate, XII (2000), n. 3.
[16] N. Mosconi, op. cit., p. 74.
[17] I. Kant, Idea di una storia universale dal punto di vista cosmopolitico, in Scritti politici e di filosofia della storia e del diritto, Torino, UTET, 1965, pp. 131-34.
[18] I. Kant, Per la pace perpetua, in op. cit., p. 302.
[19] Ibid., p. 292.
[20] F. Rossolillo, op. cit., pp. 101-106.
[21] L. Levi, «L’unificazione del mondo come progetto e come processo», cit., pp. 159-76 e 179-90.

 

 

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