IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno XXXIX, 1997, Numero 1, Pagina 33

 

 

NUCLEO SOLIDO E COOPERAZIONE RAFFORZATA
 
 
Fin dai primi anni ‘80 è apparso di immediata evidenza che la Comunità europea non avrebbe potuto avviarsi in tempi ragionevoli verso esiti di tipo federale fino a che, a prescindere da ogni altro ostacolo, le decisione fosse dipesa dal consenso di tutti gli Stati membri, e in particolare da quello della Gran Bretagna e della Danimarca. I governi di questi due Stati proclamavano apertamente il loro rifiuto dell’abbandono del metodo intergovernativo. Essi erano consapevoli che da questo dipendeva il mantenimento della sovranità nazionale, alla quale non intendevano in alcun modo rinunziare. Nelle opinioni pubbliche dei due paesi, del resto, l’atteggiamento favorevole all’Europa era assai meno diffuso che nel resto d’Europa, e il grado di interdipendenza tra le loro economie e quelle degli altri paesi della Comunità, pur essendo fortissimo, era di quel tanto inferiore al grado di interdipendenza delle economie di questi ultimi tra di loro, da rendere più credibili, anche se false, le dichiarazioni di coloro che ritenevano che la Gran Bretagna e la Danimarca avrebbero comunque potuto rimanere senza danni al di fuori della Comunità. In questa situazione non si trovava invece il governo francese, che pur affermava con vigore il proprio attaccamento alla sovranità nazionale, in quanto il lungo e profondo coinvolgimento della Francia nel processo di unificazione europea, oltre ad aver fatto raggiungere all’opinione pubblica francese un grado di consapevolezza assai più avanzato, costringeva il suo Presidente e il suo governo, al di là delle dichiarazioni ufficiali, ad essere tra i principali motori del processo e quindi ad operare, di fronte alle situazioni concrete, in modo da creare nei fatti le condizioni per il superamento della sovranità nazionale.
Fu appunto nel pieno del regime thatcheriano che i federalisti lanciarono la proposta, che all’inizio suonò come una provocazione, di creare un’Unione di natura federale all’interno della Comunità. Essa avrebbe consentito al nucleo più avanzato di Stati della Comunità di compiere il passo dell’abbandono della sovranità senza compromettere i diritti acquisiti di quelli che fossero stati contrari al progetto, e che avrebbero potuto continuare a rimanere legati tra di loro e con l’Unione federale sulla base dei Trattati di Roma e dell’Atto Unico. Va da sé che la realizzazione di questa proposta avrebbe comportato una trasformazione radicale della natura delle istituzioni (anche se, tra le ipotesi possibili, vi era anche quella che le istituzioni dell’Unione e quelle della Comunità potessero rimanere formalmente le stesse, pur agendo con composizioni e procedure diverse a seconda che fossero state chiamate ad operare come istituzioni dell’Unione o come istituzioni della Comunità). I federalisti non si nascondevano certo allora la difficoltà della proposta, che richiedeva, per essere adottata, un voto all’unanimità, ma confidavano che essa avrebbe potuto contribuire a far nascere, nei governi più avanzati, e nelle forze politiche dei rispettivi paesi, una più acuta consapevolezza della posta in gioco, rafforzare la loro posizione negoziale nei confronti dei paesi contrari ed eventualmente preparare le condizioni per una vera e propria rottura.
L’attualità della proposta divenne più evidente con il concretizzarsi della prospettiva dell’allargamento, dopo la caduta del muro di Berlino. Ed essa entrò prepotentemente nel dibattito politico quando, nel settembre 1992, essa divenne l’oggetto dell’ormai famoso documento Schauble-Lamers, che lanciò la formula del nucleo solido. Da quel momento l’esigenza che il ritmo del processo di unificazione europea non potesse continuare ad essere determinato dalla velocità del vagone più lento del convoglio divenne un tema ricorrente del dibattito politico europeo ed uno dei punti in discussione nell’ambito della Conferenza intergovernativa per la revisione del Trattato di Maastricht.
Ed è proprio in questa sede che i nodi stanno venendo al pettine. Dalla Conferenza intergovernativa non usciranno innovazioni decisive. La nascita di un nucleo solido non è in discussione. I paesi contrari non hanno alcuna intenzione di lasciarsi mettere ai margini di un’Europa che si articoli in un centro, per quanto aperto all’ingresso degli altri paesi membri, e in una periferia. Poiché essi non vorrebbero entrare in un nucleo solido di natura federale né ora né in futuro, essi vedono nella sua creazione un evento che li priverebbe di gran parte del loro attuale potere di condizionare l’evoluzione e le decisioni fondamentali dell’intera Unione mediante l’esercizio del loro diritto di veto. La sola alternativa che oggi sembrerebbe esistere ad una impossibile decisione all’unanimità sarebbe quindi proprio quella della rottura, cioè della creazione di un nucleo federale mediante la stipula di un nuovo Trattato tra i soli Stati che vi siano interessati. Ma questa soluzione richiederebbe una forte volontà politica. E bisogna prendere atto che oggi questa volontà politica non esiste.
D’altra parte l’esigenza rimane. E questa contraddizione ha stimolato la fantasia dei diplomatici, che hanno escogitato la formula della flessibilità o della cooperazione rafforzata. Si tratta, in breve, di prevedere la possibilità che in un certo numero di materie, e su richiesta degli Stati interessati, il Consiglio, con voto all’unanimità o a maggioranza, e previo parere della Commissione, consenta agli Stati che ne hanno fatto richiesta di stabilire tra di loro una cooperazione più stretta di quella prevista dai Trattati, purché essi si sottomettano a determinate condizioni, tra cui quella dell’unicità del quadro istituzionale dell’Unione (anche se si prevede che, nell’ambito del Parlamento europeo e del Consiglio soltanto i membri appartenenti agli Stati interessati partecipino al voto, lasciando impregiudicato il diritto di tutti di partecipare alla discussione).
In sostanza le proposte alle quali ci troviamo di fronte quando si parla di flessibilità o di cooperazione rafforzata non hanno nulla a che fare con l’idea del nucleo solido, ma sono varianti della vecchia idea di Europa a geometria variabile, o di Europa à la carte, secondo la quale diversi rapporti di collaborazione si possono stabilire tra diversi gruppi di Stati nei vari settori di competenza dell’Unione. Le caratteristiche che distinguono i due approcci sono le seguenti: a) nell’ipotesi del nucleo solido si creerebbe tra alcuni Stati un legame permanente di tipo federale, con relativa cessione di sovranità e nascita di un sistema istituzionale che, a prescindere da artifici formali tendenti a tenerlo agganciato a quello precedente, agirebbe in piena autonomia, anche se, evidentemente, nel rispetto dei Trattati preesistenti. Il nucleo federale sarebbe aperto all’adesione di chiunque sia disposto ad accettarne le regole, ma sarebbe esteso a tutte le competenze dell’Unione. Si avrebbe quindi la nascita di un vero e proprio governo europeo democratico, in grado di prendere autonomamente e rapidamente decisioni in tutte le materie che normalmente rientrano tra le competenze di un governo. Nel caso della flessibilità o cooperazione rafforzata invece ci troveremmo in presenza di raggruppamenti di Stati che potrebbero avere una composizione diversa nei diversi settori, che nascerebbero comunque al termine di una procedura lunga e laboriosa, e che prenderebbero decisioni esclusivamente nello specifico settore di loro competenza. È vero che si può pensare che, nel lungo periodo, questi raggruppamenti tenderebbero a riunire prevalentemente gli Stati più profondamente coinvolti nel processo, il che creerebbe le condizioni per la nascita di un vero e proprio nucleo federale in una fase successiva: ma la nascita effettiva di quest’ultimo sarebbe comunque rinviata alla fine di un percorso dalla durata indefinibile, il che significa che si eviterebbe ancora una volta di affrontare il problema della sovranità; b) mentre il nucleo solido creerebbe nell’ambito dell’Unione un’entità politica democratica, avente una propria legittimità, la flessibilità o cooperazione rafforzata dovrebbe essere autorizzata caso per caso dal Consiglio, con decisioni all’unanimità o a maggioranza, e quindi non comporterebbe affatto l’abbandono del metodo intergovernativo; c) mentre il nucleo solido avrebbe il potere di cambiare le proprie regole, pur nel rispetto dei Trattati esistenti, seguendo una normale procedura di riforma costituzionale, la cooperazione rafforzata non potrebbe essere estesa alla riforma dei Trattati, che continuerebbe ad essere soggetta alla procedura dell’art. 236 del Trattato CEE, e quindi a richiedere l’unanimità dei consensi dei governi nazionali e delle ratifiche dei rispettivi parlamenti.
La flessibilità o cooperazione rafforzata costituirebbe comunque un progresso nel cammino del processo di unificazione europea. Non per nulla essa è fortemente avversata da alcuni governi, e soprattutto da quello inglese, nell’ambito della Conferenza intergovernativa. Ma essa sarebbe, nella migliore delle ipotesi, un piccolo passo, e l’epoca dei piccoli passi è finita per sempre. Per governare l’economia europea dopo l’introduzione della moneta unica e per consentire all’Unione di reggere l’urto dell’allargamento non bastano più avanzamenti parziali, che abbiano la funzione di far emergere con maggior evidenza le contraddizioni del processo, perché ormai le scadenze decisive sono alle porte, e la sola risposta adeguata ai problemi che esse pongono è quella di un vero e proprio trasferimento di sovranità dalle nazioni all’Europa, cioè del salto federale. Questo salto non uscirà dal Consiglio europeo di Amsterdam. Ma esso rimane il vero nodo da sciogliere. Bisogna che i più consapevoli tra i governi dell’Unione se ne rendano conto, capiscano che il metodo intergovernativo ha fatto definitivamente il suo tempo e coinvolgano i cittadini nel processo. Soltanto in questo modo potrà nascere un grande dibattito politico che faccia emergere la vera natura del problema e costringa i governi e le forze politiche a schierarsi per o contro l’abbandono della sovranità nazionale. Se questo dibattito non sarà rapidamente avviato, la stessa nascita dell’Unione economica e monetaria sarà messa in forse e l’intero processo rischierà di bloccarsi. L’incapacità dei governi di liberarsi del mito della sovranità nazionale condannerà l’Europa al disordine, al sottosviluppo e all’uscita dalla storia.
 
Francesco Rossolillo

 

 

 

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