IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno LXI, 2019, Numero 1-2, Pagina 72

 

 

DEMOCRAZIA E POLITICA NELL’ERA TECNOLOGICA E DELLA GUERRA CIBERNETICA. L’EUROPA SOTTO ATTACCO

 

 

Premessa.

Tanti fattori si combinano nella lotta politica in atto che sta portando l’elettorato di molti paesi ad abbracciare forme di populismo e di nazionalismo, che offrono risposte facili ed emotive ai problemi complessi della società odierna; e questo nonostante le ricette nazionaliste non possano offrire reali soluzioni, come dimostra l’esempio significativo del problema migratorio.

Uno degli aspetti che emerge è l’incidenza della tecnologia informatica nel successo di certe campagne, che sono spesso orchestrate da potenze esterne e basate sull’uso dei dati e dei profili dell’elettorato, l’impiego dei trolls e dei bot twitters, che contribuiscono a influenzare la parte della popolazione più fragile culturalmente o più esposta ai divari socio-economici. Si tratta di un’ingerenza che mette in serio pericolo l’esercizio dei diritti democratici, al punto che è molto acceso il dibattito se esista ancora una democrazia liberale e se i suoi valori siano ancora fondanti nella vita del mondo democratico occidentale o se quest’ultimo si stia avviando a un veloce declino.

Ciò che è inequivocabile è comunque il fatto che è in atto da tempo una vera propria guerra per la destabilizzazione politica di molti paesi dell’Unione Europea, che è vista come avversaria delle superpotenze, anche grazie allo spazio di manovra lasciato libero dalla debolezza politica delle sue istituzioni.

Sono numerosi gli autori che hanno trattato questi temi. I riferimenti presenti in questa nota sono legati ad alcuni testi o articoli particolarmente rilevanti che riguardano storici e sociologi quali Timothy Snyder (La paura e la ragione), universitari informatici quali Giovanni Ziccardi (Tecnologie per il potere), economisti sociologi quali William Davies (Stati nervosi), filosofi come Remo Bodei (Vivere on line), e politici come Carlo Calenda (Orizzonti selvaggi).

Tecnologia e potere: il peso delle BIG TECH.

L’era della tecnologia in cui siamo immersi ha prodotto una serie di vantaggi e ha fatto fare incredibili passi avanti per l’umanità in campo industriale, commerciale, medico-scientifico, nei trasporti, nella vita quotidiana, ecc.. Al tempo stesso, nel nostro mondo sempre più complesso le regine della tecnologia, le cosiddette BIG TECH, hanno assunto un peso preponderante in termini di:

– Condizionamento degli individui,

– Disintermediazione,

– Destabilizzazione della società e delle istituzioni,

– Collusione con la politica.

Il peso economico delle BIG TECH è rilevantissimo. “Amazon cattura più di un terzo della spesa americana per il commercio on-line. Google rappresenta l’88% del mercato USA dei motori di ricerca e il 95% di tutte le ricerche su mobile. Due americani su tre sono su Facebook che, avendo comprato Instagram e WhatsApp, possiede ora quattro delle otto maggiori app social”, come scrive Rana Foroohar sul Financial Times.[1]

Secondo William Davies, “Google, Apple, Facebook, Amazon (…) in particolare stanno acquisendo una padronanza senza precedenti dei nostri pensieri, sensazioni, movimenti relazioni e gusti, a un livello che non è mai stato accessibile agli scienziati sociali o ai ricercatori di mercato tradizionali (…).”[2]

Nel giugno del 2015 Mark Zucherberg, l’inventore e proprietario di Facebook, che oggi conta oltre due miliardi di utenti, ha annunciato nuovi arditi programmi di sviluppo: “Ritengo che un giorno potremo inviarci pensieri complessi direttamente tramite la tecnologia. Basterà che pensiate qualcosa e se vorrete potranno sentirla anche i vostri amici. Sarà il massimo della tecnologia della comunicazione.”[3]

Analizzando e approfondendo questa prospettiva Davies indica come “la possibilità di una comunicazione da cervello a cervello stia diventando realtà senza bisogno di scomodare il paranormale (…) e dipenderà da una forma di linguaggio che la maggior parte delle persone non sarà in grado di comprendere. I mezzi di comunicazione saranno privatizzati”.[4] “I processi mentali sono compiti separabili in una serie di elementi distinti: è questo il senso di una elaborazione digitale. Questi compiti si possono poi ricomporre in forma di codice e una macchina può eseguirli uno alla volta. La fede di Mark Zuckerberg nella telepatia si basa in ultima istanza sull’idea che ‘i pensieri’ non siano altro che una serie di movimenti fisici il cui andamento si può potenzialmente leggere come un sorriso di un volto o un messaggio criptato da decifrare.”[5]

Il timore filosofico più ampio è quello di una società in cui le persone diventino “pezzi leggibili di dati ai quali non è riconosciuto nessun tipo di interiorità”[6].

A ulteriore accentuazione dell’importanza di Facebook, il 18 giugno scorso, Mark Zuckerberg ha presentato la sua criptovaluta, la Libra, da usarsi inizialmente tra una ventina di grandissime imprese del commercio o finanziarie quali UBER, Spotify, Visa, Mastercard, Paypal o Free. Un potere, quello di emettere e controllare una valuta, finora riservato agli Stati, con una prevedibile perdita di sovranità monetaria da parte delle banche centrali, di potere delle istituzioni statali e che può mettere in crisi il funzionamento della democrazia.

Queste profonde modificazioni tecnologiche hanno avuto un impatto destabilizzante soprattutto in quella parte della popolazione meno giovane, non preparata all’evoluzione così veloce in atto e, spesso, emarginata economicamente, socialmente e politicamente provocando un grande disorientamento.

La rottura dell’equilibrio bipolare e gli effetti della globalizzazione.

Attribuire solo all’uso distorto della tecnologia questi risultati è però errato, perché le paure della gente sono nate anche in seguito agli effetti della rottura dell’equilibrio bipolare e del processo di globalizzazione, che hanno prodotto diversi fenomeni negativi e aiutato lo scivolamento verso certe reazioni irrazionali dell’elettorato di oggi quali:

– la crisi economica e finanziaria scatenata dagli Usa dal 2008 in poi,

– le guerre incontrollabili,

– i gravi effetti in certe aree del mondo del riscaldamento globale,

– il fenomeno migratorio,

– i divari di ricchezza che si sono accentuati soprattutto all’interno dei paesi.

Uno dei temi affrontati nel libro di Timothy Snyder La paura e la ragione, che è concentrato soprattutto sul ruolo destabilizzante della Russia di Putin sulle democrazie liberali dell’Occidente, è proprio il grande divario di condizioni socio economiche e politiche all’interno di diversi paesi e come questo, tra gli altri fattori, abbia prodotto un forte distacco dalla politica tradizionale. Un esempio, tra tutti, il caso inglese: “Come ha osservato Davies, in Gran Bretagna nel 2016 la polarizzazione geografica tra regioni ricche e povere è più pronunciata di qualsiasi altra nazione dell’Europa occidentale e ciò ha contribuito direttamente al risultato del referendum sulla Brexit. Il prodotto pro capite di West London è otto volte più alto di quello delle valli gallesi, una delle regioni più favorevoli alla Brexit (…). A Londra il valore mediano della ricchezza delle famiglie è cresciuto del 14 per cento, mentre è sceso dell’8 per cento nello Yorkshire e nell’Humber, aree che hanno ugualmente presentato un’elevata percentuale di voti pro-Brexit. L’economia della Gran Bretagna è la quinta nel mondo, ma la maggior parte delle regioni detiene un PIL pro capite al di sotto della media europea, dato che viene mascherato dalla ricchezza e dalla produttività sproporzionate di Londra.”[7]
 

La nuova politica.

Da tutto ciò consegue un mondo sempre più conflittuale e si è venuta a formare una reazione agli eventi basata più sull’emotività che sulla razionalità. Sono così state messe in discussione verità fino a oggi indiscutibili: veridicità delle statistiche e dei dati ufficiali, dei metodi scientifici, del parere degli esperti, ritenuti faziosi, e, da tempo, si è manifestata una crescente sfiducia nei partiti e nelle ideologie.

Bodei rileva che “Quello che oggi colpisce è (…) da un lato, lo spreco dell’intelligenza, la sproporzione tra le possibilità offerte dalla tecnica e dalla scolarizzazione moderne e, dall’altro, il deperimento del senso comune diffuso, che tende ad appiattirsi, raggiungendo talvolta incredibili livelli di credulità”[8].

La reazione di molte persone di fronte alla complessità della situazione è la ricerca di soluzioni semplicistiche oppure il disinteresse nella politica e il disimpegno politico.

Alcuni politici hanno intercettato prima di altri questi disagi e queste paure e, su questa base di malcontento hanno attuato un nuovo modo di fare politica attraverso i social media e messaggi violenti, offrendo sfogo alla rabbia della gente.

Grazie alle nuove tecnologie comunicative essi hanno creato campagne politiche tendenti al recupero elettorale di della parte della popolazione impaurita e insoddisfatta, cercando di renderla protagonista, attraverso rapporti diretti con i decisori politici, del rivendicare tutto e subito, della lotta alle élite e del rifiuto di qualsiasi intermediazione.

Come constata Davies “…i populisti sono pessimi decisori politici ma hanno dalla loro ottimi slogan, bellissimi raduni e pochi scrupoli rispetto al mentire”; “…la promessa che si cela dietro al nazionalismo (…) è quella di dare significato alla vita delle persone comuni”.[9]
 

BIG TECH e la guerra cibernetica.

Nel suo libro, Tecnologia per il potere, Giovanni Ziccardi rileva che poiché “…oggi, in quasi tutti gli Stati, gran parte delle persone trascorrono sino a otto ore al giorno sui social networks”,[10] questi ultimi sono diventati strumento di una ferocissima guerra non guerreggiata con le armi ma con la tecnologia. Siamo di fronte ad una guerra cibernetica in politica, dove, secondo il filosofo Remo Bodei, “…sono attualmente i mezzi interattivi, specie Internet e i social networks, a rappresentare l’incubatrice o la nuova serra della politica, i ‘siti’ dove il consenso non viene assegnato e distribuito con i mezzi tradizionali (di governo, partiti, giornali, manifestazioni di piazza) ma viene appunto forzato, drogato”.[11]

Parte di questa guerra cibernetica ha come regista la Russia. E’ lo stesso Putin a dichiarare “che a dominare il XXI secolo sarà il paese più avanzato in termini di intelligenza artificiale.”[12]

Secondo Dmitrij Kiselev, coordinatore dell’agenzia di Stato russa per l’informazione internazionale, “la guerra dell’informazione è oggi il principale tipo di guerra”.[13]

“Il concetto di ‘utilizzare in senso offensivo‘ strumenti quotidiani è diventato parte del lessico politico comune. Il Cremlino è stato accusato di farlo con i social media, per interferire in elezioni democratiche e confondere i mezzi di informazione. Avendo la capacità di destabilizzare e di diffondere la paura, Facebook e Twitter si possono utilizzare come strumenti di disturbo e persino di violenza”.[14]

La politica di disinformazione, portata avanti soprattutto da agenzie russe, risale almeno al periodo della guerra in Ucraina del 2014, con i suoi riscontri più significativi nella Brexit e nell’elezione di Trump. E’ il caso segnalato anche dall’interessante articolo della giornalista scandinava Karin Pettersson, che mette in rilievo come “già dal 2016 il referendum della Brexit e l’elezione di Donald Trump come presidente degli Stati Uniti, l’anno seguente, la discussione circa il negativo impatto dei social networks sulla democrazia si sia intensificato. ‘Fake news’, disinformazione, interferenza e propaganda russa sono diventati la nuova prassi. In un recente TED-talk, la giornalista del Guardian Carole Cadwalladr ha descritto come Facebook sia diventata una piattaforma di legami e condotta illegali nella campagna della Brexit.”[15] La Pettersson commentando le annuali dichiarazioni di Mark Zuckerberg nello stage del 1° maggio di San Josè in California, rileva come Facebook sia ora più potente di molti Stati nazionali e si chiede se ci siano soluzioni democratiche per far fronte a questa situazione o se, come puntualizza l’economista Dani Rodrik, ci sia a monte il trilemma di come la iperglobalizzazione, le politiche democratiche e le sovranità nazionali non possano coesistere nello stesso tempo.

Su cosa si basa la guerra cibernetica? Come si agisce in tale contesto? Tutto ciò è ben spiegato nel libro di Giovanni Ziccardi, dove si legge: “La capacità che ha un uso scorretto delle tecnologie di alterare equilibri elettorali e democratici è provata ed è da tempo sotto la lente di Stati, candidati, studiosi di comunicazione e di politica”[16] e dove si constata che “la tecnica della falsificazione dei dati e della violenza del linguaggio sono tipici di questa strategia. Se si osserva a grandi linee il quadro attuale della politica connessa, il panorama che si delinea non è affatto positivo. Sembra di essere nel pieno dell’era della falsificazione delle informazioni e della diffusione on-line di reciproche accuse, con un uso del messaggio pre- e post-elettorale che si divide tra creazione e divulgazione di assunti falsi e attacchi personali.”[17]

Ziccardi mette in particolare rilievo come il controllo dei dati degli utenti è una delle battaglie in corso che, per esempio, ha prodotto lo scandalo della Cambridge Analytica per cui questa agenzia, con il “facebookgate ha ottenuto l’accesso ai profili Facebook e ha potuto catturare i dati di 87 milioni di utenti”,[18] utilizzati poi per indirizzare le scelte dell’elettorato in occasione della Brexit e dell’elezione di Trump. E ancora, “si pensi (…) ai sospetti di interferenze russe nello svolgimento delle elezioni in altri paesi (soprattutto in Nord America, nel Regno Unito e in Francia), alle frequenti accuse di volontaria e organizzata diffusione di informazioni false o di odio via Facebook, Twitter e in gruppi Whatsapp, come in occasione delle recenti elezioni brasiliane che hanno visto vittorioso Jair Bolsonaro – o di attivazione, anche in Italia, di vere e proprie macchine del fango digitali allestite in pochi secondi per diffamare, senza pietà, oppositori o critici di una determinata forza politica”.[19]

“Per la prima volta nella storia della politica, un team, una struttura, una strategia e un enorme data base creati appositamente per la gestione delle tecnologie, per la profilazione dei potenziali elettori, per la raccolta dei loro contributi e per sfruttare i big data, la creazione di grandi archivi e i social networks, mostrarono al mondo intero come l’informatica e le piattaforme tecnologiche potessero costituire un fattore essenziale e determinante alla base di una non scontata vittoria elettorale. In sintesi si potevano vincere le elezioni più importanti al mondo ponendo al centro della strategia elettorale, come motore, la tecnologia.”[20]

Anche Snyder denuncia “La campagna russa per riempire la sfera pubblica internazionale di finzioni è iniziata in Ucraina nel 2014, quindi si è allargata agli Stati Uniti nel 2015, dove ha aiutato a eleggere un presidente nel 2016.”[21] e aggiunge che il fatto che le elezioni americane siano state pilotate da Mosca è più di un sospetto: “la Russia ha fatto salire ‘una sua creatura’ alla presidenza degli Stati Uniti”,[22] tenendo conto che Trump era stato salvato dalla bancarotta anni prima proprio dai russi.

Lyudmilla Savchuk, una giornalista che ha lavorato sotto copertura per due mesi e mezzo nella suddetta fabbrica di troll, ha spiegato, in un sua intervista a Public Radio International, come funziona l’Internet Research Agengy (IRA) “…dove lavoravano a rotazione 24 ore su 24 centinaia di giovani, alcuni dedicati alla produzione di meme visivi noti come ‘demotivators’, altri nella ‘divisione notizie demotivators’, e un altro reparto come ‘seminatori di social media’. (…) Nonostante la divisione del lavoro, il contenuto era uniforme e i nemici da colpire erano gli Stati Uniti, l’UE, il governo filo europeo dell’Ucraina e l’opposizione della Russia erano obiettivi regolari di disprezzo. E poi c’era il presidente russo Vladimir Putin – apparentemente nessun trionfo russo sotto il suo governo era troppo piccolo da giustificare un tweet celebrativo, un meme o un post.”

L’operazione era gestita da Evgeny Prigozhin, un ristoratore di San Pietroburgo, “spesso chiamato ‘lo chef di Putin’ per i suoi stretti legami con presidente russo. Costui è stato posto sotto le sanzioni statunitensi nel 2018 per quello che i funzionari americani dicono essere un tentativo coordinato di interferire con le elezioni americane ed è stato incriminato dallo staff investigativo del Consigliere speciale Robert Mueller l’anno scorso.”[23]
 

Attacco all’Europa.

Anche Carlo Calenda rileva che “esiste una chiara strategia di destabilizzazione dell’Occidente e delle democrazie liberali portata avanti dalla leadership russa.”

“La Russia (…) ha perso ogni aggancio con l’Europa e con l’Occidente ed è tornata a fare un’aggressiva e spregiudicata politica di potenza. (…) A Putin si ispirano Orbàn, Salvini e Le Pen. Da Putin hanno ottenuto sostegno probabilmente non solo ideologico.”[24]

Secondo Davies, “la rabbia, l’intimidazione e le bugie che si sono insinuate nei mezzi di informazione e nella società civile, destabilizzando le istituzioni senza costruirne di alternative, possono degenerare in una spirale di paura e di sospetto reciproco. I politici di estrema destra, spesso vagamente allineati tramite il sopruso con gruppi in rete e fuori, stanno mobilitando con successo persone che sono e si sentono destituite. L’Europa, l’Unione europea rappresenta un bersaglio per i nazionalisti che cercano di spiegare perché le loro società non sono più sicure e più ricche.”[25]

Snyder scrive, con riferimento alla Gran Bretagna che “nelle settimane prima del referendum, tenutosi il 23 giugno 2016, tutti i maggiori canali televisivi russi, tra cui RT, sostennero la scelta di lasciare l’UE: (…) i troll russi (persone in carne e ossa che partecipavano a discussioni su internet con gli elettori britannici) e i bot usati dalla Russia su Twitter (programmi informatici che mandano milioni di messaggi mirati) si prodigarono in un ingente sforzo per appoggiare la campagna del Leave. Quattrocentodiciannove accounts Twitter che postarono sulla Brexit erano basati presso l’Agenzia russa per la ricerca su internet; in seguito, ognuno di essi avrebbe anche postato messaggi in sostegno della campagna presidenziale di Donald Trump. Circa un terzo del dibattito sulla Brexit su Twitter fu generato da bot, e più del 90% dei bot che twittavano materiale politico lo facevano dall’esterno del Regno Unito.”[26]

“Nella campagna per le elezioni presidenziali francesi del 2017, Marine Le Pen elogiò il suo patrono Putin. Arrivò seconda al primo turno, battendo tutti i candidati dei partiti tradizionali francesi. Al ballottaggio, la Le Pen ricevette il 34% dei suffragi. Pur perdendo la sfida con Macron, ottenne il miglior risultato mai raggiunto da un candidato dell’estrema destra nella storia della Francia post-bellica. Appoggiare il Front National significava attaccare l’Unione Europea.”[27]

Questo tipo di azioni di disturbo ci sono sempre state in politica ma in nessun tempo hanno avuto la forza prorompente data dall’uso della nuova tecnologia e dalle piattaforme social.
 

Tentativi di difesa dalle ingerenze.

Secondo Ziccardi “se i big data e l’uso del digitale sono al centro dell’attività politica, il tema della sicurezza è diventato il fulcro del problema, dato anche l’utilizzo sempre più ampio dell’informatica nelle campagne elettorali.”[28]

Il 14 giugno 2019 le autorità europee nel rapporto sulla lotta alla disinformazione della Commissione europea hanno accertato attività di disinformazione prolungata nel tempo e portata avanti da non meglio identificate fonti russe in occasione delle elezioni europee, finalizzata a contenere l’affluenza alle urne e influenzare le preferenze dei votanti.

Macron nella sua Lettera agli europei del 4 marzo 2019,[29] ha messo in luce la necessità che l’Unione si doti di un’Agenzia europea di protezione delle democrazie, sottolineando che “la nostra prima libertà è la libertà democratica, quella di scegliere i nostri governanti laddove, ad ogni scrutinio, alcune potenze straniere cercano di influenzare i nostri voti. Propongo che venga creata un’Agenzia europea di protezione delle democrazie che fornirà esperti europei in ogni Stato membro per proteggere il proprio iter elettorale contro i cyber-attacchi e le manipolazioni. In questo spirito di indipendenza, dobbiamo anche vietare il finanziamento dei partiti politici europei da parte delle potenze straniere. Dovremmo bandire da Internet, con regole europee, tutti i discorsi di odio e di violenza, in quanto il rispetto dell’individuo è il fondamento della nostra civiltà di dignità”.

L’Assemblea nazionale francese il 2 luglio ha cominciato a discutere di come arginare l’invadenza crescente di Google, Facebook e Amazon nell’influenzare il dibattito politico e come tassarle.
 

Democrazia e crisi politica dell’Occidente.

Questa guerra sta cambiando le regole democratiche della formazione del consenso basate sul confronto delle idee, così come le abbiamo conosciute finora nel mondo occidentale. E’ una guerra globale che però entra nella casa di ciascuno di noi attraverso i social media Facebook, Google, YouTube, che influenzano pesantemente il modo di pensare soprattutto di chi non ha gli strumenti culturali per difendersi.

Bodei rileva che “molti hanno la sensazione che in democrazia la politica si sia svuotata dall’interno tanto nelle sue motivazioni razionali, quanto nelle sue passioni civili. Non resterebbe altro che il guscio della spettacolarità riempito di un’emotività povera di contenuti”; e prosegue affermando che “la verità è oggi insidiata da quelli che nell’entourage di Trump si chiamano ‘fatti alternativi’, perché viviamo – è un’espressione che si sta affermando – nell’epoca della post-verità.”[30] Bodei si chiede anche “se la democrazia esista ancora o non si viva già nell’età della post-democrazia, che assume il volto del populismo, della smobilitazione e infantilizzazione delle masse, dell’autocrazia elettiva, del conformismo, della degradazione della verità a semplice opinione, e dell’inaridimento della facoltà di giudicare, spesso paralizzata da paure diffuse ad arte. Con il loro tasso di insicurezza e di complementare bisogno di rassicurazione e di protezione, tutti questi fattori rendono gli individui meno razionali e creano uno stato d’animo di allerta mista a rassegnazione. Nei meccanismi di protezione e garanzia dei cittadini qualcosa si è rotto: è come se una caduta delle difese immunitarie avesse lasciato maggior spazio di manovra alle potenze della seduzione, per cui le analisi, i ragionamenti e i progetti si trasformano in storytelling.”[31]

Come spiega Nunziante Mastrolia, “la democrazia è a rischio quando abbandona ‘il popolo’ e coccola ‘la folla’”. E’ la categoria dell’oclocrazia elaborata da Platone, la forma degenerata della folla senza legge. “La folla è una massa che ha paura del futuro. Una paura che può essere accentuata dalla mancanza di mezzi propri di sostentamento (o dalla percezione di un impoverimento relativo) o dall’assenza degli strumenti intellettuali in grado di razionalizzare i problemi che l’affliggono. (…) La massa che ha paura del futuro si sente povera e vittima di forze oscure che ne rovinano l’esistenza (qualsiasi capro espiatorio va bene); (…) lasciare che la folla faccia ingresso nella cittadella liberale significa spalancare le porte alla tirannide. Non a caso i grandi despoti del XX secolo da Mussolini a Hitler, non hanno certo occupato il potere nottetempo con un colpo di mano. Ma anzi tra gli applausi delle folle osannanti! La folla è reazionaria e irrazionale (…) c’è bisogno del popolo perché ci sia democrazia.” Il popolo è una costruzione politica derivante dalle grandi conquiste che si sono ottenute anche attraverso lo Stato sociale e la costituzionalizzazione delle istituzioni che lo hanno liberato dalla paura, dalla miseria, dall’ignoranza: “…la crisi politica dell’Occidente deriva dall’aver prodotto un cambiamento scientifico, tecnologico ed economico così straordinario che le strutture politiche e sociali, pensate per l’era fordista, non sono in grado di curare e prevenire gli effetti collaterali dannosi che tale progresso ha provocato su ampi strati dei cittadini delle società aperte occidentali. Cittadini che ora hanno paura. Il che vuol dire che la crisi politica dell’Occidente è tutta qui! Nell’aver consentito senza intervenire che il popolo si trasformasse in folla. E’ la folla che ha votato la Brexit, è la folla che ha votato Trump, è la folla che ha votato i populisti italiani.”[32]

Anche Davies rileva che “la sensazione di trovarci in una nuova epoca delle folle è rafforzata dalla diffusione e dalla crescente influenza dei social media (…). Le folle sono un aspetto fondamentale della politica sin dall’antichità, ma prima del XXI secolo non avevano mai disposto di strumenti di coordinamento in tempo reale.”[33]

Calenda rileva invece come un’importante ragione della crisi della politica e della democrazia liberale in occidente risieda “…nella separazione tra politica e potere conseguente all’indebolimento dello Stato-nazione. Con il prevalere dei mercati internazionali rispetto ai mercati nazionali, lo Stato ha piano piano perso i propri poteri. A questa perdita non si è associata la nascita di un potere politico democratico internazionale. L’unico esperimento tentato, in questo senso è stato quello europeo, ma (…) l’integrazione economica è andata molto più avanti di quella politica (…). L’internazionalizzazione dell’economia ha così finito per indebolire la democrazia liberale (...) quando i cambiamenti investono la società a una velocità superiore alla sua capacità di adattamento, i cittadini continuano a pretendere, giustamente, che sia lo Stato a proteggerli e a garantirli.”[34]

Recentemente Vladimir Putin in un’intervista al Financial Times ha, tra l’altro, dichiarato che: “l’idea liberale è diventata obsoleta ed è entrata in conflitto con gli interessi della stragrande maggioranza della popolazione” e che “i nostri partner occidentali hanno ammesso che alcuni elementi dell’idea liberale come il multiculturalismo non sono più realizzabili”.[35]

I risultati elettorali più recenti, che hanno in molti paesi bocciato le tradizionali forze liberal-democratiche a favore di populisti e nazionalisti, danno ragione a Putin In effetti un liberalismo troppo spinto e senza regole ha favorito la crisi finanziaria, e i profondi divari di ricchezza, già ben messi in evidenza ne Il capitale nel XXI secolo di Thomas Piketty,[36] creano forti fratture nella società.

La liberal-democrazia va coniugata con la giustizia sociale e il liberalismo spinto va controllato e, come ha scritto Martin Wolf, commentando le dichiarazioni di Putin “Le società liberali hanno bisogno di valori condivisi e identità, questo è perfino compatibile con l’immigrazione e con le differenze culturali, ma entrambe devono essere governate, altrimenti lo scontento popolare porterà al potere leader che disprezzano le norme della democrazia liberale e i fragili equilibri collasseranno.”[37]

Al tempo stesso, è chiaro che l’alternativa non può essere l’oligarchia illiberale esistente in Russia, paese in cui i divari di reddito sono tra i più alti al mondo. Resta il fatto che nei nostri paesi la democrazia è ormai entrata in profonda crisi. Come nota Calenda, “solo il 47 per cento degli europei e il 31 per cento degli americani considerano essenziale vivere in democrazia”[38] mentre in Italia “oltre il 73 per cento dei giovani sotto i vent’anni non si informano sulla politica e il 30 per cento non ne parla mai.”[39]

E’ dunque una società senza valori e senza rispetto della vita e della dignità umana quella che si prospetta con l’affermarsi della società cibernetica? Una società incapace di pensare alle conseguenze di ciò che fa, una società che, in preda ad emozioni negative e distruttive, perde i riferimenti individuali per diventare parte di un ingranaggio, un robot, una società che dimentica la storia, oppure una società indifferente nel senso indicato da Gramsci?

C’è ancora tempo per attuare una resistenza europea in nome dell’umanità?
 

Che fare? L’illusione della continuità.

Il mondo globale è veramente un mondo diverso in cui politicamente servono atteggiamenti diversi, non attendisti, soprattutto da parte dell’Europa.

Gli enormi divari di potenza esistenti nel mondo non possono essere risolti a livello nazionale europeo.

In questo quadro schizofrenico l’Europa può avvitarsi su sé stessa nell’immobilismo e collassare, ma, per ora, rimane l’unico baluardo di democrazia e civiltà. Ma quale Europa? Troppi anni di autoreferenzialità, troppo tiepidi i suoi sostenitori a partire dai partiti che si professano progressisti, non sempre convintamente a favore dell’unità europea.

I nemici dell’unità europea sono tanti e forti ad iniziare da Trump, Putin e in parte dalla Cina, che fomentano il malcontento, finanziano i partiti contrari, gestiscono le guerre cibernetiche e operano con il divide et impera, o aspettano di accaparrarsi i pezzi della dissoluzione dell’Unione.

Di fronte alla forza dei nemici non si può continuare con la politica dei piccoli passi con l’illusione che la continuità sia vincente.

Uno degli errori, come descrive molto bene Snyder, è che “gli americani e gli europei sono entrati nel nuovo secolo guidati da un racconto sulla ‘fine della storia’, da quella che chiamerò la politica dell’inevitabilità, ossia la convinzione che il futuro sia soltanto una continuazione del presente, che le leggi del progresso siano note, che non vi siano alternative e, dunque, nemmeno rimedi. Nella versione capitalista americana di questo racconto, la natura ha prodotto il mercato, che ha prodotto la democrazia, che ha prodotto la felicità. Nella versione europea, la storia ha prodotto la nazione, che ha imparato dalla guerra l'utilità della pace, e pertanto ha scelto l'integrazione e la prosperità.”[40]

La cosa più importante e urgente è quella di costruire un nuovo quadro istituzionale europeo che, all’interno dell’Unione, porti avanti con i paesi più favorevoli un progetto di federazione.

Occorre ripensare il modello di sviluppo sociale in termini di minori divari economici, occorre ridare peso e serietà alle istituzioni e là dove non sono sufficienti, come in Europa, occorrono risposte politiche efficaci ai gravi problemi mondiali, cui la “nuova politica” non dà risposte.

Recentemente è apparsa la notizia, su tutti i principali quotidiani del mondo, che la Federal Trade Commission, l’autorità statunitense indipendente che protegge i consumatori, ha comminato a Facebook una multa di 5 miliardi di dollari per aver fornito alla Cambridge Analytica per scopi politici i dati di circa 87 milioni di utenti.

Serve una federazione europea in grado di controllare con leggi adeguate lo strapotere delle BIG TECH, ora alle prese con Stati nazionali inadeguati per dimensione e risorse.

La destra e i populisti hanno capito meglio dei partiti progressisti i disagi delle fasce più in difficoltà della società e le hanno manipolate. Il disorientamento di gran parte dell’elettorato è il tessuto e la base dell’azione dei nazionalisti e dei populisti. Se cade l’Europa, con la vittoria dei nazionalisti e con il caos che ne conseguirà, si arriverà alla guerra che, forse, le superpotenze auspicano.

Ma chi fa che cosa in un Unione europea in cui tutti i 28 paesi vogliono il mercato unico, ma in cui molti di essi contrastano l’idea di una più profonda integrazione e quella di un’Europa politica? Da dove si può cominciare?

Come ha scritto Calenda “…un tentativo di passi avanti nella costruzione europea potrà essere fatto (solo e tra) i paesi fondatori allargati (Germania, Francia, Italia e Spagna). (…) La frattura con i paesi Visegrad è insanabile…”. E’ necessario costituire un ‘Gruppo di Roma’, per rivendicare il luogo di nascita dell’Europa, opposto al gruppo di Visegrad che inneschi il nocciolo duro della futura Europa federale.”[41] “Può essere che questo percorso sia difficile, o persino impossibile, ma non ci sono alternative. Se il clima di sfiducia non verrà debellato almeno tra un nucleo più piccolo e omogeneo di paesi, le istituzioni dell’Unione poco potranno fare per fare avanzare l’Europa (…). E dobbiamo muoverci presto, perché la prossima crisi finanziaria o geo-politica (migratoria o bellica) rischierà di essere l’ultima per l’Europa.”[42]

La struttura federale con livelli di potere autonomi dal quartiere all’Europa e, in prospettiva al mondo, è la struttura ideale per rispondere alle sfide della globalizzazione per combattere le nuove frontiere delle divisioni e degli odi e ridare fiducia nel futuro.

“Ritrasformare la folla in un popolo e guardare al futuro con la fiducia di una società aperta.”[43] E più di tutto con Snyder “...Arrestiamo il nostro cammino irriflessivo dall’inevitabilità all’eternità e usciamo dal sentiero che conduce alla perdita della libertà. E iniziamo a coltivare una politica della responsabilità.”[44]

E’ proprio questo il punto, al di là delle ingerenze esterne, che pure incidono: è l’Europa che deve acquisire fiducia in sé stessa, iniziando da un nucleo di Paesi a rompere l’immobilismo, a dar vita a un potere politico decisionale vero ed europeo, nei nuovi modi che la politica richiede, con una responsabilità che i partititi progressisti e liberali devono assumersi in fretta.

Anna Costa


[1] Rana Foroohar, Big Tech is America’s new railroad problem, Financial Times, 16 giugno 2019.

[2] William Davies, Stati nervosi, Torino, Einaudi, 2019, pp. 299-300.

[3] Ibidem, p. 285.

[4] Ibidem, p. 288.

[5] Ibidem, p. 293.

[6] Ibidem, p. 289.

[7] William Davies, op. cit.

[8] Remo Bodei, Vivere on line, Il Mulino, 2/2017, p. 207-208.

[9] William Davies, op. cit., p. 339.

[10] Giovanni Ziccardi, Tecnologia per il potere, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2019, p. 116.

[11] Remo Bodei, op. cit., p. 207.

[12] William Davies, op. cit., p. 296.

[13] Timothy Snyder, op. cit., p. 178.

[14] Wlliam Davies, op. cit., p. 42.

[15] Karin Pettersson, The trilemma of Big Tech, on 7th May 2019@AB_Karin e-mail.

[16] Giovanni Ziccardi, op. cit., p. 11.

[17] Ibidem, p. 51.

[18] Ibidem, p. 111.

[19] Ibidem, pp. 9-10.

[20] Ibidem, p. 18.

[21] Timothy Snyder, op. cit., p. 18.

[22] Ibidem, p. 240.

[23] Charles Maynes, PRI’s The World, https://it.businessinsider.com/una-inflitrata-in-una-fabbrica-di-troll-russa-centinaia-di-persone-lavoravano-a-ciclo-continuo-come-troll-a-pagamento/.

[24] Carlo Calenda, Orizzonti selvaggi, Milano, Feltrinelli, 2018, p. 153.

[25] William Davies, op. cit., p. 49.

[26] Timothy Snyder, op. cit., p. 121.

[27] Ibidem p. 119.

[28] Giovanni Ziccardi, op. cit., p. 224.

[29] Emmanuel Macron, Per un rinascimento europeohttps://www.elysee.fr/emmanuel-macron/2019/03/04/per-un-rinascimento-europeo.it.

[30] Remo Bodei, op. cit., p. 208.

[31] Ibidem, p. 209.

[32] Nunziante Mastrolia, La democrazia è a rischio quando abbandona “il popolo” e coccola “la folla”, https://open.luiss.it/2018/04/20/la-democrazia-e-a-rischio-quando-abbandona-il-popolo-e-coccola-la-folla/. Si rimanda in proposito anche all’articolo di Mastrolia pubblicato in questo numero della rivista.

[33] William Davies, op. cit., p. 24.

[34] Carlo Calenda, op. cit., p. 143.

[35] Martin Wolf, Liberalism will endure but must be renewed, Financial Times, 2 luglio 2019.

[36] Thomas Piketty, Il capitale nel XXI secolo, Firenze, Bompiani, 2016.

[37] Martin Wolf, Liberalism will endure but must be renewed, op. cit..

[38] Carlo Calenda, op. cit., p. 27.

[39] Ibidem, p. 50.

[40] Timothy Snyder, op. cit., p. 13.

[41] Carlo Calenda, op. cit., p.159.

[42] Ibidem, p.160.

[43] Nunziante Mastrolia, op. cit..

[44] Timothy Snyder, op. cit., p. 311.

 

 

 

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