IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno LXII, 2020, Numero 1-2, Pagina 56

 

 

9 MAGGIO 1950.
JEAN MONNET:
LA RIVOLUZIONE DELLA SOVRANITA’ EUROPEA

 

 

La celebrazione del 9 maggio è legata alla figura del Ministro degli esteri francese Schuman, alla sua storica dichiarazione e alla nascita della CECA, prima tappa del cammino dell’integrazione europea, di cui ricorre il settantennio.

Dietro questa dichiarazione vi è però il grande impegno politico e ideale di chi scrisse il memorandum per Schuman, che poi lo fece proprio: Jean Monnet con i suoi collaboratori Etienne Hirsch, membro della resistenza e che diventerà successivamente presidente dell'Euratom e quindi dell’UEF, e Pierre Uri, economista che avrebbe collaborato alla preparazione del Trattato di Roma.

Tanti sono gli spunti di questo storico evento che richiamano le vicende attuali, pur in un contesto e con riferimenti diversi, legati alla costanza nel tempo del blocco del processo di unificazione da parte dei governi nazionali e all’urgenza di un salto qualitativo verso la creazione di una forma, anche limitata, di sovranità europea.

Certo dal 1950 a oggi l’Europa ha fatto tanti passi avanti: la Comunità si è trasformata in Unione europea; si è consolidato un mercato unico; è stata creata una moneta unica, l’euro, tra 19 paesi; è stata creata una Banca Centrale Europea; dal 1979 il parlamento europeo è stato eletto a suffragio universale e diretto; ma ancora manca quella sovranità che servirebbe in certi campi per dare all'Europa una voce unica e per farne una potenza mondiale.

Monnet nelle sue memorie racconta del grave problema della convivenza pacifica franco-tedesca, in un periodo (1949-1950) in cui i venti di una possibile nuova guerra incutevano paura nell’opinione pubblica sia per effetto della guerra fredda, sia perché era difficile trovare una soluzione alla “questione tedesca”. La sua intuizione, effetto di una lunga elaborazione personale e di gruppo, fu quella di trasformare una difficoltà in un’opportunità, cambiando completamente l’ottica con cui il problema franco-tedesco veniva affrontato. Non più in un quadro di contrapposizione nazionale ma nell’ottica europea.

Monnet partì da un problema concreto: quello della produzione carbonifera della Ruhr e della Sarre e dalla ricerca della soluzione dei problemi legati alla gestione dell’area, storicamente oggetto di scontro tra Francia e Germania, per arrivare a formare una sovranità europea, anche se in un campo limitato.

La sua lunga esperienza nella collaborazione e nelle alleanze tra Stati durante la prima e la seconda guerra mondiale lo avevano infatti convinto della fragilità della sola cooperazione come modello di governo dell’interdipendenza.

“Non si può immaginare fino a che punto la parola ‘alleanza’, che ha sui popoli un potere tanto rassicurante, sia vuota di contenuto sul terreno dell’azione, quando si affida ai meccanismi tradizionali della cooperazione (…). A livello di alleanza, la totalità pareva non avere significato, e aveva comunque pochissime probabilità di concretarsi. Ogni apparato civile e militare di un paese o dell’altro era pronto, più o meno bene, a fare la sua guerra. I Governi agivano separatamente e le mentalità, di fronte alla stessa minaccia di cui non si poteva ignorare l’immensità e l’approssimarsi, reagivano separatamente”.[1]

Tanti sono gli aspetti e gli ostacoli che Monnet dovette affrontare, ma era profondamente convinto della validità della sua azione e fu aiutato dal fatto di trovare persone e leaders politici come Schuman e Adenauer, che ne capirono l’importanza.

Adenauer, a questo proposito, ha scritto nelle sue memorie, riportate da Monnet: “Quel mattino non sapevo ancora che la giornata mi avrebbe portato la notizia di una svolta decisiva nell’evoluzione dell’Europa (…). Mi fu annunciato che un inviato del ministro francese degli Affari esteri aveva una comunicazione urgente da farmi. Egli recava due lettere di Schuman (…). La prima scritta a mano, era una comunicazione personale di Schuman, (…) mi diceva che lo scopo della sua proposta non era economico ma politico (…). Risposi a Schuman che approvavo la sua proposta di tutto cuore”.[2]

Nella mente di Monnet, nei febbrili giorni che portarono all’accordo per la stesura definitiva del trattato, era ben chiaro il punto fermo della sovranità europea, idea che tuttavia si scontrava con i tentativi svianti di accordi intergovernativi. Nella riunione del 22 giugno con i cinque capi delegazione: il tedesco Hallstein, il belga Suetens, l’olandese Spieremburg, il lussemburghese Wehrer, l’italiano Taviani, lavorò intensamente nella gestione della conferenza per istituire la CECA e per trattare i problemi istituzionali. L’atteggiamento dei capi delegazione seguiva la stessa linea: “che era quella della logica specifica di uomini esercitati a negoziare accordi da Stato a Stato o da produttore a produttore, accordi più o meno segreti che moderavano il gioco della libera concorrenza. Stavano male all’idea che questo ruolo regolatore potesse essere trasferito all’Alta Autorità che avrebbe agito alla luce del sole e sovranamente”.[3]

A chi chiedeva, per tutte le questioni tecniche importanti, di creare intese intergovernative prima dell’istituzione dell’Alta Autorità rispondeva che “era esattamente il contrario del progetto, per quanto riguardava sia il suo svolgimento che il suo spirito”.[4]

La questione della sovranità è ben evidenziata anche da una risposta data a Macmillan: “Le proposte Schuman o sono rivoluzionarie o non sono niente. Il loro principio fondamentale è la delega di sovranità in un campo limitato ma determinante. A mio parere un piano che non parta da questo principio non può apportare alcun contributo utile alla soluzione dei grandi problemi che ci assillano. La cooperazione tra le nazioni, per importante che sia, non risolve niente”.[5]

Monnet enumera vari ostacoli all’introduzione di un’Alta Autorità, al di sopra degli Stati, premessa di un potere federale, in contrapposizione a una logica intergovernativa: “Ricordai a Spieremburg, che le forme intergovernative di cooperazione non avevano mai dato frutti: ‘Capisco che si debbano nutrire gravi preoccupazioni di fronte al cambiamento radicale rappresentato dall’iniziativa francese. Ma tenete presente che siamo qui per creare una Comunità europea. L’autorità sovrannazionale non è soltanto l’organismo più adatto a regolare i problemi economici, esso è l’inizio di una federazione’.”[6]

L’idea del convertire una necessità in un’azione politica era distintiva in Monnet, che descriveva l’ambiente che lo circondava fertile alla sua accettazione, ma sterile nel promuoverla.

“Quando si considera questo periodo che divideva a metà il secolo, si resta colpiti da uno straordinario fervore intellettuale intorno all’idea europea. Quando si rileggono i manifesti dei partiti e dei movimenti dei militanti, le dichiarazioni dei leader politici e gli articoli dei giornali (…) si ha la sensazione che una corrente di pensiero così ricca avrebbe senz’altro determinato la realizzazione della più ampia unità europea. Ed è vero che già a quell’epoca si erano creati il vocabolario e la dialettica comunitari di oggi, ma tutto questo non aveva niente a che vedere con l’azione”.[7]

L’importanza del lavoro del suo piccolo gruppo in quei giorni concitati è descritta da Monnet all’atto dell’apertura della conferenza dei sei paesi fondatori: “Nel momento in cui iniziava la conferenza, avevo nella mia scrivania un progetto di trattato in quaranta articoli in cui si leggono, in abbozzo ma ben identificabili, le strutture di base dell’organizzazione europea. Questo testo che sviluppava la proposta del 9 maggio e la rendeva operante, era ancora opera di quello stesso piccolo gruppo di uomini. Il loro contributo non si sarebbe fermato lì, ma per quanto importante sia stato in seguito questo contributo, si può dire che essi vissero allora un momento creativo eccezionale. Un momento sempre breve nella storia delle idee, e spesso non ben distinto dalla fase dell’azione che segue e che mette in movimento molte più persone e cose”,[8] e ancora: “Nella mia relazione del 21 giugno sviluppai un nuovo aspetto dell’indipendenza e della forza dell’Alta Autorità; essa avrebbe avuto risorse proprie, grazie a un prelevamento sulla produzione di carbone e acciaio, e non sarebbe stata costretta a dipendere, per il suo funzionamento e i suoi interventi, dai sussidi dei Governi. Inoltre il suo credito morale e finanziario ne avrebbe fatto il miglior mutuatario d’Europa”.[9]

Anche oggi in un momento così drammatico come quello della pandemia e delle sue conseguenze in tutti i campi, nonostante enormi passi avanti per creare una solidarietà europea, e l’aiuto che verrà dal varo dei vari strumenti adottati, lo scontro tra gli interessi nazionali e l’interesse europeo emerge nei momenti in cui prevale la posizione nazionale e la difesa di un presunto interesse nazionale, sia che venga dall’Olanda che dalla Germania o da altri paesi.

Monnet aveva ben capito che quest’ottica, pur comprensibile e consolidata nel tempo, porta solo allo scontro. Oggi, come allora, la domanda è “Possono i singoli paesi europei sopravvivere da soli di fronte agli immensi problemi di questi tempi?” Se la risposta è no, dovrebbe conseguentemente crearsi una vera alternativa europea in nome di quella “totalità” richiamata da Monnet, certamente solo in alcuni campi fondamentali e in modo che l’Unione non si sfasci e che i vari paesi non diventino preda e vittima di questa o di quella potenza extraeuropea, che non chiede altro.

Già all’atto della Dichiarazione del 9 maggio, Schuman nel suo preambolo di fronte a più di duecento giornalisti nel salone dell’Orologio al Quai d’Orsay, affermava l’esigenza di un profondo cambiamento nella politica internazionale. “Non si tratta più di vane parole, ma di un atto ardito, di un atto costruttivo. La Francia ha agito, e le conseguenze della sua azione possono essere immense. Noi speriamo che lo siano. Essa ha agito essenzialmente per la pace. E perché la pace possa veramente esistere, bisogna che prima di tutto ci sia un’Europa”.[10]

Successivamente il 20 giugno, come riporta Monnet, Schuman, aprendo la conferenza dei sei Paesi che avevano aderito, disse loro: “mai prima gli Stati hanno affidato e nemmeno previsto di delegare comunitariamente parte della loro sovranità a un organismo sovrannazionale indipendente”.[11]

Un’impostazione completamente nuova che per fortuna fu condivisa dalla Germania e che Monnet aveva preparato anche con i colloqui con Adenauer, a cui Monnet , tra l’altro, diceva: “Vogliamo stabilire i rapporti tra la Francia e la Germania su una base interamente nuova, (…) e trasformare ciò che le divideva, e soprattutto le industrie di guerra, in un vantaggio comune che sarà anche il vantaggio dell’Europa. L’Europa ritroverà allora il ruolo eminente che aveva nel mondo e che ha perso a causa delle sue divisioni. La sua unità non nuocerà alla sua diversità, tutt’altro. Questa diversità, che è la sua ricchezza, sarà benefica per la civiltà e influirà sull’evoluzione di potenze come l’America stessa.

La proposta francese è dunque, nella sua ispirazione, essenzialmente politica”.[12]

E Adenauer a Monnet “Considero come lei questa impresa nel suo aspetto più alto: essa appartiene all’ordine della morale: è la responsabilità morale che abbiamo verso i nostri popoli, non la responsabilità tecnica che dobbiamo impegnare per realizzare una speranza così grande. L’accoglienza in Germania è stata entusiasta, pertanto non ci lasceremo intralciare da qualche dettaglio. Sono venticinque anni che aspetto questa iniziativa. Associandosi ad essa il mio Governo e il mio paese non hanno alcun secondo fine egemonico. Dal 1933 la storia ci ha insegnato quanto siano vane simili preoccupazioni. La Germania sa che la sua sorte è legata alla sorte dell’Europa occidentale (…).

Signor Monnet, considero la realizzazione della proposta francese come il compito più importante che mi attende. Se riesco a condurlo a termine, ebbene, penso di non aver sprecato la mia vita”.[13]

Dirà Adenauer il 13 giugno al Bundestag: “Tengo a dichiarare espressamente e in pieno accordo non soltanto con il Governo francese ma anche con il signor Jean Monnet, che questo progetto riveste in primissimo luogo un’importanza politica e non economica”.[14]

* * *

 Oggi l’Unione europea non è uscita da una guerra ma si trova di fronte a una serie di gravi problemi che se non risolti, vanificheranno anni di integrazione. Il Coronavirus, il blocco delle attività e degli scambi del mercato unico, i riflessi sull’occupazione e lo sviluppo, l’ulteriore indebitamento degli Stati sembrano far ripiombare l’Europa in un baratro da cui è molto difficile uscire con i sistemi e le istituzioni esistenti, che contrappongono gli Stati, e fomentano l’egoismo nazionale.

Scosso dalla pandemia del Covid-19, invece che indirizzarsi verso una strada unitaria per la soluzione anche sanitaria, ogni paese ha fatto la sua scelta, spesso anche in contrasto l’uno con l’altro, mettendo in evidenza che il re è nudo e che la vera unione non c’è. Non c’è la sovranità europea, quella che Monnet ha chiamato in certi momenti la “totalità”, l’essere insieme per affrontare i problemi che contano grazie ad un organismo che rappresenta questa totalità.

I governi nazionali, le loro strutture e burocrazie, il funzionariato sono restii a cedere il proprio potere e gelosamente lo difendono contro le intrusioni di un potere emergente necessario, ma nuovo, che li spaventa. Solo il presidente francese Emanuel Macron, forse memore del ruolo della Francia del 1950, ha impostato gran parte della sua azione, già prima di diventare presidente, sull’idea di una Europa politica e sovrana.

Tra le istituzioni dell’Unione, in particolare il Parlamento Europeo dovrebbe avocare a sé questo potere sovrannazionale europeo, ma molti parlamentari sono tuttora prigionieri della routine e non sono ancora entrati in una logica veramente europea. Essi si limitano a gestire l’esistente, senza rendersi conto che ciò oggi non basterà per far sopravvivere questa istituzione.

Non c’è più tempo! E’ necessario un cambio di mentalità, passare dall’ottica solo nazionale a una visione delle cose che indichi il bene comune, le soluzioni unitarie ai problemi.

Così Jean Monnet si rivolgeva ad Altiero Spinelli nel 1952: “E’ una rivoluzione quella che vogliamo, e la dobbiamo fare con mezzi legali, con uomini di Stato privi di energia, senza alcun appello sentimentale”.[15]

Anna Costa


[1] Jean Monnet, Cittadino d’Europa, 75 anni di storia mondiale, Milano, Rusconi, 1978, p. 10.

[2] Ibid., p. 228.

[3] Ibid., p. 245.

[4] Ibid., p. 245.

[5] Ibid., p. 238.

[6] Ibid., p. 248.

[7] Ibid., pp. 210-211.

[8] Ibid., p. 243.

[9] Ibid., p. 244.

[10] Ibid., p. 229.

[11] Ibid., p. 243.

[12] Ibid., p. 233.

[13] Ibid., p. 234.

[14] Ibid., p. 241.

[15] Altiero Spinelli, Diario europeo 1948-1969, Bologna, Il Mulino, 1989, p. 140.

 

 

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