IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno XXXIII, 1991, Numero 3 - Pagina 244

 

 

A PROPOSITO DI «UNA STRATEGIA PER L’ECU»: UN COMMENTO

 

 

Nel volume[1] che raccoglie i risultati di una recente indagine promossa dall’Association for the Monetary Union of Europe e condotta sia dalla Ernst & Young sia dal National Institute of Economic and Social Research di Londra, è stato formulato un programma operativo finalizzato a fare dell’Ecu la moneta unica dell’Europa unita, definitivamente e completamente unita, entro il 1997.

Si tratta di un rapporto assai articolato (assomiglia, e non per caso – in questa fase storica ancora in larga misura «costituente» per il processo di unificazione europea – proprio a una di quelle ponderose monografie di settore prodotte dalla Commissione Economica del Ministero per la Costituente, strutturato com’è anch’esso per indagini e audizioni) del quale è di conseguenza difficile non soltanto delineare, seppure in sintesi, la complessa architettura (e a maggior ragione i contenuti specifici) ma altresì puntualizzare i non pochi elementi di originalità.

Preminente, e strutturale, fra questi ultimi appare tuttavia l’avere analizzato con sistematicità e accuratezza, addirittura con puntigliosità, gli aspetti microeconomici del problema e del relativo progetto, identificando gli ostacoli che si frappongono a un più diffuso uso privato dell’Ecu, così come questi appaiono percepiti dai suoi utilizzatori (si ricorderà incidentalmente che, con riferimento all’Italia, viene addirittura registrato che «l’uso dell’Ecu è [tuttora] percepito come un onere non necessario, che obbliga chi lo adotta ed i suoi partner commerciali a trattare in una valuta di conto che dovrà in ultimo essere convertita in un’altra moneta»):[2] ostacoli la cui eliminazione è individuata quale condizione certamente necessaria ma tutt’altro che sufficiente ai fini di uno sviluppo «autosostenuto» di tale utilizzo, nella delicata fase in cui, se proprio le soddisfacenti prestazioni del Sistema monetario europeo rendono l’Ecu progressivamente meno «attraente» come riserva di valore rispetto ad un passato di assai più accentuata instabilità valutaria, le stesse ne rendono nel contempo sempre più rilevanti le funzioni di unità di conto (attualmente assai limitate), nonché quelle di vero e proprio mezzo di pagamento.

Nel richiamare la dichiarazione del Consiglio europeo in sede di istituzione dello SME nel 1978, secondo la quale «un’unità monetaria europea (Ecu) figurerà al centro del Sistema», lo stesso Rapporto Delors riconosce d’altra parte il «notevole successo»[3] dell’Ecu sui mercati privati quale unità di denominazione di operazioni finanziarie (quota di mercato nelle emissioni internazionali di obbligazioni pari al 6% alla data del Rapporto) in virtù delle sue caratteristiche vantaggiose in quanto strumento di diversificazione dei portafogli e di copertura contro i rischi di cambio, ma sottolinea nel contempo sia il progressivo assottigliarsi dell’attività bancaria internazionale in Ecu, specialmente nel settore delle transazioni dirette con controparti non bancarie, sia la quota del tutto trascurabile (1% del commercio estero dei paesi della Comunità) rappresentata dall’utilizzo dell’Ecu per la fatturazione e il pagamento delle operazioni commerciali.[4] D’altronde, anche l’esperienza dell’utilizzo «ufficiale» dell’Ecu appare orientata in senso riduttivo rispetto all’ampia casistica prevista dalla Risoluzione di Bruxelles che contemplava l’uso dell’Ecu come denominatore del meccanismo di cambio, come base per individuare le divergenze fra le valute comunitarie, come denominatore delle operazioni previste nell’ambito del meccanismo di intervento e di credito, infine come mezzo di regolamento fra le autorità monetarie della Comunità. Di fatto, l’ambito operativo dell’Ecu è risultato limitato alle pur rilevanti funzioni di attività di riserva ufficiale e di mezzo di finanziamento e di regolamento a brevissimo termine, anch’esso per altro limitato in ragione del prevalere degli interventi in dollari (2/3 del totale), e del ruolo marginale degli interventi marginali (quelli appunto che danno luogo alla costituzione di saldi debitori e creditori in Ecu) a favore di quelli inframarginali (circa il 90% del totale) preferiti (a partire dal riallineamento del marzo 1983) per evitare le tensioni conseguenti al raggiungimento dei margini bilaterali di intervento: tali interventi, effettuati in eurovalute o in attività denominate in valuta estera, sono caratterizzati dall’esistenza (si utilizza la terminologia impiegata da Rainer S. Masera nella monografia su L’unificazione monetaria e lo SME) di «effetti asimmetrici di base monetaria»:[5] le loro ripercussioni in termini di base monetaria gravano cioè soltanto sulla banca centrale che effettua l’intervento e sono pertanto preferiti dalle autorità monetarie dei paesi a valuta forte, caratterizzati da una spiccata propensione a mantenere il più ampio controllo sulla politica monetaria interna. Nonostante i ridimensionamenti in itinere sia nella sfera pubblica sia in quella privata, il Rapporto Delors sottolinea tuttavia «...il ruolo dell’Ecu in connessione con la transizione finale verso una moneta unica», quest’ultima considerata «caratteristica desiderabile» pur se non «requisito indispensabile» di un’unione monetaria: l’Ecu possiede infatti « ...i requisiti essenziali per trasformarsi in una moneta comune»;[6] non più paniere di monete, quindi, ma moneta vera e propria. Nel Rapporto viene fra l’altro considerata non raccomandabile (in quanto potenziale determinante di tensioni inflazionistiche, oltre che pregiudizievole per gli sforzi di coordinamento delle politiche monetarie nazionali) la cosiddetta «strategia della moneta parallela» per la quale la nuova moneta, che risulterebbe dalla trasformazione dell’Ecu e ne conserverebbe la denominazione, si affiancherebbe alle altre in via aggiuntiva e concorrenziale.

Se si graduassero quindi per entità di utilizzo le diverse tipologie di impiego dell’Ecu rispettivamente per gli usi pubblici e per quelli privati, ne risulterebbero in entrambi i casi due curve accentuatamente decrescenti con un massimo corrispondente, nel primo settore, alle funzioni di riserva ufficiale e di strumento di finanziamento a brevissimo termine e, nel secondo, alla funzione di denominatore di operazioni finanziarie, a favore per altro – almeno in un primo tempo – di prenditori anch’essi appartenenti al settore pubblico dei diversi sistemi economici. E’ quindi in quest’ultimo e nelle sue scelte che si concentra l’attività «motrice» dell’utilizzo dell’Ecu: non desta quindi meraviglia il fatto che sia alla sfera delle decisioni politiche che i destinatari dell’indagine, e quindi lo studio in questione, fanno riferimento alla ricerca delle condizioni di un più esteso, sistematico e «istituzionale» utilizzo dell’Ecu, tanto più che è a tale sfera decisionale che deve necessariamente far capo la soluzione di problemi quali la posizione legale dell’Ecu, nonché di quelli derivanti dall’attuale assenza di usi finali, indicati rispettivamente al secondo e al terzo posto (alle spalle dell’«inerzia») nella graduatoria degli ostacoli segnalati dagli operatori.[7] Si legge di conseguenza in Una strategia per l’Ecu che «...il settore privato sarà difficilmente l’iniziatore di un movimento volto ad aumentare o ad incoraggiare l’uso dell’Ecu»[8] e anche che «il grado di permanenza di cui l’Ecu godrà entro la Comunità europea è una questione politica e richiede una soluzione politica».[9] Se ne conclude che «è necessario uno stimolo politico» senza del quale nessuna rimozione di ostacoli amministrativi otterrebbe l’effetto desiderato: è su tali fondamenti che si basa la raccomandazione «...che venga dato un annuncio credibile che l’Ecu sarà la moneta unica d’Europa».[10]

Senza volere in alcun modo sottostimare il peso di un tale annuncio, al contempo causa ed effetto di un ulteriore contributo al processo di unificazione sotto forma di somministrazione aggiuntiva di «spinte convergenti», è opportuno sottolineare come si possano individuare, nella letteratura recente, alcune proposte operative di rilievo finalizzate al rafforzamento del molo dell’Ecu proprio attraverso la promozione dei canali di comunicazione fra mercato ufficiale e mercato privato, e quindi il superamento (o l’avvio del superamento) di quel regime di separatezza che ha fino ad oggi caratterizzato il loro funzionamento, pur in assenza di incompatibilità di principio fra i due comparti di utilizzo. Una affermazione particolarmente chiara di tale nesso sinergico si legge proprio nel saggio di Masera sopra citato, dove si afferma che «interventi di mercato in Ecu, fatturazione e determinazione dei prezzi in Ecu e detenzione di riserve in Ecu rappresentano i tre aspetti di un unico processo che condurrebbe all’affermazione dell’Ecu quale moneta a pieno titolo in entrambi i settori – privato e ufficiale – valorizzando le sue proprietà di mezzo di scambio, unità di conto e strumento di riserva».[11] Al principio di connessione fra circuito privato e circuito ufficiale è appunto ispirata la proposta (che ripercorre quella a suo tempo elaborata con riguardo ai Diritti speciali di prelievo) di collegare, mediante interposizione di una stanza di compensazione (nella fattispecie la BRI) riconosciuta quale «terzo detentore» di Ecu ufficiali, banche centrali acquirenti di valute per interventi inframarginali e cedenti Ecu ufficiali e banche commerciali cedenti valute contro acquisizione di strumenti di deposito attivati mediante cessione al «terzo detentore» degli Ecu ricevuti: questo meccanismo di mobilizzazione degli Ecu ufficiali sarebbe funzionale al rafforzamento, proprio tramite l’Ecu, di una dimensione monetaria europea, senza che tale sviluppo entri in conflitto con la già ricordata propensione dei paesi a valuta forte per gli interventi caratterizzati da effetti asimmetrici di base monetaria.

Nello stesso ordine di finalità si inserisce inoltre la proposta[12] di collegare promozione dell’Ecu e coordinamento delle politiche monetarie, precisando con maggior dettaglio i contenuti operativi della seconda delle tappe delineate dal Rapporto Delors. Si legge infatti al paragrafo 57 di quest’ultimo che «in campo monetario, l’iniziativa di maggior rilievo di tale tappa [appunto la seconda, n.d.r.] sarebbe l’istituzione del sistema europeo di banche centrali che assorbirebbe le istituzioni monetarie precedenti...»[13] e più oltre che «il compito fondamentale del sistema europeo di banche centrali in questa tappa sarebbe quello di dare avvio alla transizione dal coordinamento delle politiche monetarie nazionali indipendenti a cura del comitato dei governatori delle banche centrali – caratteristico della prima tappa – all’elaborazione e all’attuazione di una politica monetaria comune ad opera dello stesso SEBC, prevista per la tappa finale».[14] Nella fase due, quindi, il SEBC sarebbe già operante, ma i tassi di cambio intracomunitari non sarebbero ancora stati irrevocabilmente fissati: si determinerebbe quindi una inusitata distribuzione di poteri fra livelli nazionali e livello comunitario, con riferimento alla quale il Rapporto non fornisce indicazioni precise circa il quid commune della politica monetaria, o piuttosto delle politiche monetarie. E’ appunto in questa prospettiva che si inserisce la proposta di autorizzare il SEBC a stabilire a carico delle banche commerciali della Comunità un vincolo di riserva obbligatoria denominata in Ecu. Di tali disponibilità le banche obbligate verrebbero in possesso acquistando attività assimilabili a fondi federali, fornite in esclusiva dallo stesso SEBC e la cui distribuzione fra paesi e fra banche verrebbe lasciata ad un «mercato dei fondi federali» sul quale le banche commerciali scambierebbero fondi allo scopo di soddisfare l’obbligo di riserva comunitario. Quest’ultimo dovrebbe essere, inizialmente, aggiuntivo e indipendente rispetto a quelli nazionali (oltre che moderato nell’ammontare e non remunerato), nella prospettiva tuttavia di sostituirli gradualmente con il progredire dell’integrazione monetaria, che tale strumento contribuirebbe a sua volta ad accelerare e a rafforzare, come d’altra parte potenzierebbe il ruolo stesso dell’Ecu.

E’ tuttavia opportuno, a conclusione di questa nota, tornare all’auspicio di annuncio politico, formulato dal rapporto in questione, dell’intendimento di fare dell’Ecu, ad una scadenza prefissata, la moneta unica dell’Europa unita. Non solo infatti tale auspicio non appare in conflitto con i progetti di ingegneria finanziaria ai quali si è fatto riferimento, ma è del tutto consonante con i più recenti sviluppi di quel potente strumento di analisi in materia di approccio strategico alla teoria della politica economica in regime di interdipendenza internazionale che è la teoria dinamica dei giochi di cooperazione internazionale:[15] uno dei risultati acquisiti in tale ambito analitico consiste, infatti, proprio nel riconoscimento dell’incidenza cruciale dei comportamenti degli operatori privati che formino «razionalmente» le proprie aspettative con riferimento alle scelte dei policy makers, e quindi anche ad annunci credibili intorno a tali scelte. Se d’altra parte la presenza di agenti economici razionali (resi tali anche da annunci del tipo di quello auspicato) mina teoricamente la coerenza dinamica di scelte di politica economica pur caratterizzate da ottimalità ex ante, essa può contribuire, per ciò stesso, a determinare un rilevante «effetto di disciplina» sulle politiche economiche «coesistenti», a tutto vantaggio di quell’obiettivo della stabilità la cui generalizzazione, o meglio la cui generalizzata accettazione, sembra a tutt’oggi costituire una condizione politica realisticamente imprescindibile di ogni ulteriore progresso verso l’unità economica dell’Europa.

 

Silvio Beretta .

 


[1] Una strategia per l’Ecu, Angeli, 1990. L’originale inglese, pubblicato dalla Kogan Page Ltd. di Londra, è pure del 1990.

[2] Ibidem, p. 125.

[3] Comitato per lo studio dell’Unione economica e monetaria, Rapporto sull’unione economica e monetaria nella Comunità europea (citato in seguito come Rapporto Delors), p. 9.

[4] Ibidem, pp. 8-9.

[5] R.S. Masera, L’unificazione monetaria e lo SME. L’esperienza dei primi otto anni, Bologna, Il Mulino, 1987, p. 199 (cfr. comunque l’intero capitolo V, pp. 197-259, dal titolo «L’Ecu: problemi e prospettive»).

[6] Rapporto Delors, cit. p. 31.

[7] Una strategia per l’Ecu, cit., p. 47.

[8] Ibidem, p. 40.

[9] Ibidem, p. 41.

[10] Ibidem.

[11] R.S. Masera, L’unificazione monetaria e lo SME. L’esperienza dei primi otto anni, cit., p. 233.

[12] Cfr. D. Gros, «The Ecu in the Common Monetary Policy», in Ecu Newsletter, aprile 1990, pp. 14-9.

[13] Rapporto Delors, cit., p. 36.

[14] Ibidem, pp. 36-7.

[15] Per una recente rassegna in argomento cfr. C. Montagna, «Interdipendenza economica internazionale e coordinamento delle politiche economiche: una rassegna», in Rivista internazionale di Scienze sociali, gennaio-marzo 1990, pp. 57-82

 

 

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