IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno LVII, 2013, Numero 2-3, Pagina 115

 

 

Riformare il processo decisionale europeo: legittimità, efficacia, chiarezza

 

 

THIERRY CHOPIN, JEAN-FRANÇOIS JAMET, FRANÇOIS XAVIER PRIOLLAUD

 

Con il manifestarsi della crisi economica si è aperto un dibattito di importanza fondamentale sul futuro del processo di integrazione europea.[1] Per riacquisire la loro sovranità nei confronti dei mercati, e dunque la capacità di decidere del loro futuro, gli Stati europei — e in particolare gli Stati membri dell’eurozona — hanno in effetti compreso la necessità di dar vita a un sistema più coerente. Da un lato, dunque, il progetto di unione bancaria ha fatto rapidi progressi, e prosegue il dibattito sui punti controversi in materia di unione economica e fiscale (in particolare sull’opportunità di mutualizzare una parte del debito); dall’altro, regole comuni più severe sono già state adottate, il Meccanismo europeo di stabilità è entrato in vigore e la Banca europea per gli investimenti ha visto i suoi mezzi e il suo ruolo accrescersi.

Visti i trasferimenti di competenza che questi strumenti comuni implicano, la questione dell’unione politica non può ormai essere elusa. Le decisioni europee devono godere di una legittimazione democratica[2] sufficiente agli occhi dei cittadini e i meccanismi di decisione devono essere semplici e chiari, in modo che siano garantite efficacia e trasparenza. In mancanza di tali elementi, la politica economica europea non godrà mai dell’appoggio dei cittadini e continuerà ad essere sollevato il problema della visione politica che giustifica le decisioni europee, con il rischio che sia il progetto europeo nel suo insieme a trovarsi indebolito o addirittura minacciato nella sua esistenza.

In tale contesto, questo articolo prende in esame i termini del dibattito e identifica proposte concrete, mettendo in evidenza gli strumenti giuridici attraverso i quali darvi attuazione: innovazioni senza necessità di modificare i trattati; modifiche limitate dei trattati sulla base della procedura di revisione semplificata di cui all’articolo 48 TUE; modifiche più ampie secondo la procedura di revisione ordinaria sempre prevista dall’art. 48 TUE.

 

1. Unione politica: di cosa stiamo parlando?

 

1.1. Un chiarimento necessario.

Sotto la pressione della crisi, la questione della legittimità e dell’efficacia del processo decisionale europeo è tornata al centro del dibattito. Nonostante la ripresa della discussione su tali temi sia da considerare un segnale positivo, alcune precisazioni e cautele sono necessarie al fine di evitare che si ricada in slogan astratti che non farebbero che portare a nuove disillusioni.[3]

In particolare, è necessario un chiarimento a proposito della questione del federalismo, elemento che non è mai scomparso dal dibattito sull’unione politica. Da un punto di vista oggettivo, il federalismo è un sistema di organizzazione dei poteri fondato su una ripartizione di competenze tra i diversi livelli di governo. La nozione di federalismo va tuttavia distinta da quella di Stato federale.[4] In effetti, la nozione di Stato federale è discussa e, nell’ambito del dibattito sul futuro dell’Unione europea, non contribuisce a chiarire il dibattito. Da un lato, infatti, l’Unione non è uno Stato e le competenze rispettive degli Stati e degli altri livelli amministrativi sono oggetto di conflitti di ripartizione; dall’altro, è facile constatare che l’Unione europea dispone già di strumenti di carattere federale, quali una moneta, una banca centrale, un bilancio, un Parlamento eletto a suffragio universale diretto, per non citarne che alcuni. La crisi ha inoltre accentuato la federalizzazione della politica economica europea: la creazione del Meccanismo europeo di stabilità (ESM) e il rafforzamento degli strumenti di governance economica (Six-pack, Fiscal Compact, Two-pack) pongono le basi per un autentico federalismo fiscale. Similmente, l’Unione bancaria porterà alla creazione di un’autorità europea di controllo nell’ambito della BCE e probabilmente di un meccanismo di risoluzione bancaria. In questa prospettiva risulta evidente il doppio svantaggio insito nell’infelice espressione “salto federale”: la sua mancata corrispondenza con la realtà dell’Unione europea, che presenta già delle caratteristiche di natura federale[5] e il suo carattere ansiogeno, che fa pensare a un salto nel buio.

Questa confusione nella terminologia politica è suscettibile di portare a fraintendimenti dannosi. In campo economico, essa influisce sulla riflessione intorno alla riforma della governance economica dell’Unione. La proposta di un governo economico[6] è stata per questo motivo male accolta al di fuori della Francia, nonostante essa ponga un problema reale: il bisogno di chiarezza, semplificazione e legittimazione della politica economica europea.

Le linee di frattura che questo dibattito fa nascere sono le stesse che attraversano le culture politiche nazionali in Europa. Governo è sinonimo di politicizzazione e di interventismo in Francia, richiama l’auspicio di regole messe in atto in modo indipendente in Germania e solleva il timore di uno Stato federale che possa incidere sulle libertà individuali, limitandole, nel Regno Unito e in Europa centrale. Non riuscendo ad accordarsi su una concezione comune del loro sistema politico ed economico, cioè del federalismo, gli Stati membri non possono raggiungere un accordo su un governo comune e in definitiva su una gestione collettiva dei beni pubblici europei (politica di stabilizzazione macroeconomica, clima ed energia, difesa europea ecc.)[7]. E tuttavia tale accordo è d’ora in poi non solo necessario, ma urgente! L’obiettivo dell’unione politica deve essere dunque quello di rafforzare nello stesso tempo la legittimità, l’efficacia e la comprensibilità del processo decisionale europeo.

 

1.2. I termini del dibattito attuale.

Il dibattito sull’unione politica è presente in numerosi Stati membri, e in particolare al più alto livello in Germania.[8] Nel settembre 2012 i ministri degli Affari Esteri di undici Stati membri dell’Unione europea[9] hanno firmato un documento che può essere considerato come il primo tentativo di formalizzare un progetto di unione politica. In occasione del Consiglio europeo del dicembre 2012, il presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, ha presentato un piano per la realizzazione di una vera unione economica e monetaria,[10] che identifica quattro sfide fondamentali, tra le quali il rafforzamento della legittimazione democratica e l’obbligo di rispondere del proprio operato.

L’attenzione si è concentrata sulle prime tre unioni proposte (unione bancaria, fiscale ed economica), mentre l’unione politica non è stata oggetto di proposte dettagliate. Un’eccezione importante, anche se senza indicazione di date precise, è tuttavia costituita dalla raccomandazione di creare una rappresentanza esterna comune della zona euro, che consenta all’Unione di esprimersi con una sola voce nei consessi internazionali come il FMI.[11]

Malgrado i numerosi appelli,[12]non vi è stata alcuna traduzione in concreto di tale discorso. Angela Merkel è sembrata esprimere l’auspicio che sia convocata una nuova Convenzione[13] e José Manuel Barroso, presidente della Commissione europea, si è pronunciato a favore di una “federazione democratica di Stati-nazione”.[14] Angela Merkel e Michel Barnier hanno proposto l’elezione del presidente della Commissione europea a suffragio universale diretto. Jean-Claude Trichet ha raccomandato la creazione di un posto di Ministro delle finanze dell’eurozona.[15] Al di là di tali discorsi, tuttavia, non succede niente. Tutti rinviano questi passi in avanti a un domani, o a un futuro lontano, senza prendere impegni precisi.[16]

Inoltre, mentre molti tabù relativi al futuro del processo di integrazione (federalismo fiscale, unione bancaria, status degli Stati non membri dell’eurozona, e in particolare del Regno Unito) sono caduti, il dibattito sulla dimensione politica e democratica è assente in molti Stati membri, e fino a poco tempo fa anche in Francia. A questo proposito, è degno di nota il fatto che il presidente della Repubblica francese, Francois Hollande, abbia annunciato, il 16 maggio 2013, la sua volontà di dare un contenuto all’unione politica.[17] Questo contenuto va peraltro ancora precisato, in continuità con le recenti proposte franco-tedesche[18] volte alla creazione di un presidente a tempo pieno dell’Eurogruppo e di una sotto-formazione del Parlamento europeo competente per la zona euro.

 

1.3. L’urgenza della riforma.

Da più di quattro anni — ed è perfettamente comprensibile — la priorità è stata data all’individuazione di soluzioni alla crisi economica. Le condizioni per la creazione di un quadro economico europeo efficace sono ormai chiare: da una parte, la supervisione macroeconomica e finanziaria deve essere esercitata a livello europeo con gli strumenti correttivi necessari affinché essa possa essere credibile ed efficace; dall’altra la zona euro deve dotarsi di propri strumenti per prevenire e risolvere le crisi alle quali i singoli Stati non riescono a far fronte.

Di fronte alla federalizzazione crescente delle decisioni di politica economica, i cittadini restano tuttavia perplessi.[19] I sondaggi mettono in evidenza in maniera inquietante una sempre maggiore mancanza di fiducia nei confronti delle principali istituzioni europee.[20] Così, nel momento in cui le istituzioni europee vedono le loro competenze accrescersi e sono chiamate a prendere decisioni in settori sensibili che toccano il cuore della sovranità democratica, sembrano essere prive di un capitale sufficiente di legittimazione democratica.

Val la pena di sottolineare che la questione della legittimità delle decisioni europee si pone in modo sempre più incisivo ormai da alcuni anni. L’UE attraversa in effetti dall’inizio degli anni Novanta una crisi di legittimità senza precedenti. Le analisi più accurate mettono in evidenza un processo di strutturazione progressiva delle opinioni (negli anni Ottanta e Novanta), poi di lenta politicizzazione (divenuta evidente in occasione dei referendum in Francia e nei Paesi Bassi nella primavera del 2005 e poi in Irlanda nel 2008). Questo lento processo di “apprendimento politico” da parte dei cittadini ha posto fine al “consenso permissivo”[21] che caratterizzava le opinioni pubbliche nei confronti dell’Europa dall’inizio del processo di integrazione europea: nessuno Stato membro conosce ormai una situazione nella quale i cittadini affidano ad occhi chiusi alle loro élite la gestione dei loro intessi in materia europea.[22] I cittadini vogliono avere diritto di parola. Si tratta di una situazione che era evidente da molti anni, ma che è divenuta ancor più palese con la crisi.

La crisi e la diffidenza crescente dei cittadini nei confronti delle istituzioni europee e delle riforme in corso mettono in realtà l’Unione europea di fronte a una grande sfida politica. O i leader europei saranno capaci di accordarsi su passi in avanti sufficientemente concreti per rispondere alle critiche nei confronti del deficit di legittimità e del deficit esecutivo dell’Unione e, attraverso tali passi in avanti, contribuiranno a far emergere un demos europeo e a dar senso alla cittadinanza europea; oppure essi si assumeranno il rischio di rafforzare l’euroscetticismo nel momento in cui i progressi nell’integrazione non si accompagneranno a un controllo democratico e a una capacità decisionale sufficienti. Molti europei rischiano di ripiegarsi sulla loro appartenenza nazionale, ritenendo che sia l’unica che possa garantire i loro diritti politici.

Dalla Svezia all’Ungheria, passando per la Francia, l’Italia, la Danimarca, il Belgio o la Grecia, le varie elezioni – legislative o presidenziali – confermano la forza dei populismi e dei partiti di estrema destra che impongono nel dibattito pubblico un discorso il cui cuore è costituito da un protezionismo nello stesso tempo economico e culturale, anzi identitario. Questi estremismi e populismi antieuropei denunciano il potere delle élite nazionali ed europee e fanno leva sulla contestazione della legittimità politica e democratica delle istituzioni europee.[23]

In questo contesto, i leader europei non possono più gestire l’urgenza rimandando le loro idee più ambiziose al futuro. Questo è particolarmente vero in Francia, paese che vive ancora nel trauma del 2005 e nel quale ogni partito teme di dividersi sulla riforma delle istituzioni europee. Ed è un controsenso: i partigiani del sì e del no condividono nella maggior parte il desiderio di rendere l’Europa più democratica. Ma rifiutando di intraprendere questo dibattito lo scenario del no rischia di riprodursi, dal momento che i cittadini potrebbero rifiutare in numero sempre maggiore i trasferimenti delle principali competenze economiche al livello europeo.

 

2. Concretizzare l’unione politica.

In questo contesto, si possono individuare differenti soluzioni per rafforzare la legittimazione democratica e l’obbligo di rispondere del proprio operato ai cittadini.

 

2.1. Rafforzare la leadership europea.

La crisi economica lancia una sfida in termini di leadership, di coerenza e di efficacia della governance europea.[24] In una situazione di crisi, che esige che l’Unione europea e i suoi Stati membri forniscano risposte in grado di superare le difficoltà che essi stessi attraversano, gli europei scoprono con frustrazione i limiti della governance europea e il suo “deficit esecutivo”:[25] debolezza del potere esecutivo europeo, carattere poliarchico delle istituzioni comunitarie e dunque assenza di una leadership politica chiara, concorrenza tra istituzioni e Stati, lentezza e non prevedibilità del processo di negoziazione tra Stati membri. In questa prospettiva, risolvere il “deficit esecutivo” europeo comporta che si passi attraverso la creazione di una leadership più chiara, più legittima e più responsabile:

— Un primo passo potrebbe essere costituito dalla fusione della presidenza della Commissione con quella del Consiglio europeo, soluzione che permetterebbe all’UE di parlare con una sola voce. Il Trattato di Lisbona consente tale innovazione: è proprio per aprire questa possibilità che il divieto di cumulo con un mandato nazionale è stato mantenuto nel Trattato di Lisbona, mentre il divieto di cumulo con un altro mandato europeo è stato eliminato. Sarebbe dunque sufficiente che il Consiglio europeo decida di nominare la stessa persona per le due cariche. L’utilizzo di questa possibilità contribuirebbe a rafforzare la legittimazione politica del titolare di tale presidenza, che cumulerebbe in questo modo la legittimazione comunitaria e quella intergovernativa e che sarebbe responsabile politicamente dinanzi al Parlamento europeo.

Una modifica simile non richiede una revisione dei trattati. Un accordo interistituzionale sarebbe sufficiente.[26]

— Il Presidente unico sopra menzionato potrebbe essere eletto a suffragio universale indiretto, sul modello di quanto previsto dagli ordinamenti della grande maggioranza degli Stati membri dell’Unione europea (designazione da parte del Parlamento), circostanza che comporterebbe che il Consiglio europeo si impegni, anche informalmente, a nominare come presidente della Commissione il candidato proposto dal partito o dalla coalizione che detiene la maggioranza al Parlamento europeo. In un secondo tempo, si potrebbe porre la questione di un’elezione a suffragio universale diretto, come proposto dalla CDU al Congresso di Leipzig del 2011. Questo passo avrebbe il vantaggio di fornire il presidente dell’UE di una legittimazione e di un mandato democratici chiari.

Nella versione attuale dei trattati, il Consiglio europeo può prendere l’impegno (i) di proporre come presidente della Commissione il candidato presentato dal partito vincitore delle elezioni europee (impegno che sarebbe coerente con l’obbligo previsto dai trattati per il Consiglio europeo di tenere in considerazione il risultato di tali elezioni, (ii) di eleggere come presidente del Consiglio il presidente della Commissione europea. Una modifica delle modalità di designazione del presidente della Commissione o del Consiglio in vista di un’elezione a suffragio universale diretto richiederebbe una revisione dei trattati secondo la procedura ordinaria (Conferenza intergovernativa preceduta da una Convenzione, salvo che il Parlamento europeo accetti di non convocare una Convenzione).

— Per quanto concerne le elezioni europee, sarebbe opportuno assicurarsi che le liste presentate dai partiti nazionali facenti parte di un partito europeo abbiano la medesima denominazione e il medesimo programma in tutti gli Stati membri. Ogni partito dovrebbe inoltre presentare un candidato alla carica di presidente della Commissione europea.

Una simile riforma non necessita modifiche dei trattati.

— Uno dei problemi da risolvere relativamente alle elezioni europee risiede nella difficoltà di definire delle maggioranze politiche più chiare di quanto non sia avvenuto fino ad oggi.[27] In questa prospettiva, la proposta di un premio di maggioranza attribuito al partito vincitore delle elezioni[28] meriterebbe di essere esplorata nel quadro di una riforma del sistema elettorale per le elezioni europee.

Ogni evoluzione delle modalità di elezione dei deputati europei necessita una revisione della decisione del Consiglio relativa all’elezione dei membri del Parlamento europeo. Secondo quanto dispone l’articolo 223 TFUE, le modalità di elezione dei deputati al Parlamento europeo sono in effetti stabilite da una decisione del Consiglio all’unanimità, previa approvazione del Parlamento europeo a maggioranza dei membri che lo compongono. Per entrare in vigore, questa decisione deve essere ratificata all’unanimità dagli Stati membri.

— Ridefinire la composizione della Commissione europea. Si tratta di una questione essenziale per la legittimità della Commissione, alla quale è stato rimproverato di essere evoluta verso un modello intergovernativo e di essersi trasformata in un Consiglio bis. Nella prospettiva di discostarsi dal principio di “rappresentanza” degli Stati membri in seno al Collegio dei commissari, si dovrebbe dare al presidente della Commissione la possibilità di scegliere i portafogli attribuiti ai commissari (senza che si debba passare da una negoziazione tra Stati) e di creare una gerarchia tra portafogli creando dei “Commissari delegati”.

Una modifica del numero dei membri della Commissione europea è possibile senza necessità di una modifica dei trattati, attraverso una semplice decisione del Consiglio europeo all’unanimità (art. 17 par. 4 TUE). Al contrario, un’evoluzione delle regole di composizione della Commissione che si distacchi dal principio di rotazione paritaria tra Stati membri e dai principi fissati dall’articolo 244 TFUE richiede una revisione dei trattati secondo la procedura ordinaria (CIG preceduta da una Convenzione).

— Migliorare la comunicazione della Commissione europea. Il Collegio dei commissari dovrebbe rendere pubblici i risultati della propria riunione settimanale molto più di quanto faccia attualmente (i suoi lavori rimangono relativamente confidenziali benché siano per molti aspetti della medesima natura di quelli di un Consiglio dei ministri). Una delle ragioni di questa differenza consiste nel fatto che il verbale della riunione del collegio è disponibile solo una settimana dopo la riunione stessa. Tuttavia, almeno un comunicato stampa che riprenda i punti principali affrontati e le principali decisioni adottate dovrebbe essere pubblicato il giorno stesso della riunione del Collegio. D’altro lato, si potrebbe anche creare un’agenzia audiovisuale europea che vada al di là delle iniziative attuali (Arte, Euronews).

Si tratta di una riforma che potrebbe essere attuata senza necessità di modificare i trattati.

 

2.2. Associare i Parlamenti nazionali alla supervisione economica e fiscale.

In materia di rafforzamento della legittimità democratica, i parlamenti nazionali e il Parlamento europeo possono giocare un ruolo decisivo.

— La messa in opera dell’articolo 13 del Fiscal Compact[29] permetterebbe di associare più strettamente i Parlamenti nazionali alla presa di decisioni e così di rafforzare la legittimità democratica delle decisioni prese in materia di controllo di bilancio.[30] Questa messa in opera si potrebbe basare in un primo tempo su una Conferenza della zona euro che riunisca i membri della Commissione agli affari economici e monetari del Parlamento europeo (ad eccezione dei parlamentari che provengono dagli Stati che non hanno ratificato il Fiscal Compact), e dai presidenti delle commissioni finanze e affari economici dei parlamenti nazionali. Questa Conferenza dell’eurozona potrebbe adottare risoluzioni di iniziativa ed emanare pareri o risoluzioni.

Le modalità di messa in opera dell’articolo 13 del Trattato di Stabilità potrebbero essere fissate nel quadro di un accordo interistituzionale.

— La Conferenza dell’eurozona si vedrebbe affidare un ruolo importante nei meccanismi di supervisione economica e di bilancio previsti per gli Stati membri dell’Unione economica e monetaria. Essa si riunirebbe in sessioni regolari, con la possibilità di convocare sessioni straordinarie. Sulla base dei rapporti presentati dagli Stati membri e dalla Commissione (che dovrebbero consentire di avere una visione consolidata dei conti pubblici nella zona euro), ma anche delle inchieste che essa potrebbe decidere di propria iniziativa, questa istituzione potrebbe vigilare sulla solidità dell’eurozona e sul rispetto degli impegni presi dagli Stati membri (si potrebbe prevedere di affidare a una minoranza qualificata di parlamentari il potere di adire la Corte di giustizia dell’UE in caso di mancato rispetto degli impegni citati). La Conferenza dovrebbe anche essere informata dello stato di avanzamento delle misure prese nel quadro della condizionalità dei programmi di aiuti e avrebbe il potere di sottoporre ad audizione i ministri degli Stati membri, il presidente della BCE e il presidente dell’Eurogruppo.

Sarebbe necessaria una revisione del Trattato secondo la procedura semplificata prevista dall’articolo 48 par. 3 TFUE. Tuttavia, nel perimetro di competenza della Conferenza dell’eurozona, non è escluso che sia richiesta una revisione dei trattati secondo la procedura ordinaria (CIG preceduta da una Convenzione ).

Una modifica istituzionale nel settore monetario (per l’audizione del presidente della BCE, se è obbligato a presentarsi dietro invito della Conferenza dell’eurozona) è possibile secondo la procedura di revisione semplificata prevista dall’art. 48 par. 6 TUE, ma essa richiede una decisione del Consiglio europeo all’unanimità, previa consultazione del Parlamento europeo, della Commissione e della Banca Centrale Europea.

 

2.3. Rafforzare la legittimità e il ruolo del Parlamento europeo.

— Una rappresentanza più proporzionale alla popolazione rafforzerebbe la legittimazione democratica del Parlamento europeo. Attualmente, la composizione del Parlamento europeo è lontana dal principio di uguaglianza democratica della rappresentanza: il numero dei deputati per abitante è, per esempio, più di due volte più elevato in Finlandia che in Francia. Ora, i cittadini devono avere tutti i medesimi diritti politici in un sistema democratico, dal momento che il loro voto deve avere lo stesso peso.[31] In altre parole, è un principio oggettivo difficilmente contestabile quello secondo cui il numero di deputati per abitante debba essere il medesimo in tutti i paesi (con una rappresentanza minima, tuttavia, per assicurarsi che anche gli Stati meno popolosi siano rappresentati).[32] Ora, tenuto conto dell’aumento sostanziale dei poteri del Parlamento europeo nei vari trattati, rafforzare la legittimazione democratica di questa istituzione — peraltro l’unica ad essere eletta a suffragio universale diretto — costituisce una sfida importante, come ricorda costantemente la giurisprudenza della Corte costituzionale tedesca.[33]

Una simile modifica richiede una revisione dell’art. 14 par. 2 TUE secondo la procedura di revisione ordinaria (CIG preceduta da una Convenzione).

— Riconoscere un diritto di iniziativa legislativa congiunto del Parlamento europeo e del Consiglio. Il monopolio dell’iniziativa spettante alla Commissione si applica solo nel “pilastro comunitario”; in effetti, nelle materie che prima di Lisbona erano riconducibili al secondo (politica estera e di sicurezza comune) e terzo pilastro (giustizia e affari interni), gli Stati membri beneficiano di un diritto di iniziativa congiunto con la Commissione europea. Potrebbe essere opportuno estendere questa regola alle politiche del “pilastro comunitario”, non con l’idea di limitare le prerogative della Commissione, ma per aggiungere un elemento di democrazia allo stadio iniziale del processo decisionale comunitario. Una condivisione dell’iniziativa tra la Commissione (che conserverebbe questa prerogativa) da un lato, e i parlamentari europei e i governi degli Stati membri dell’Unione europea dall’altro (sotto forma per esempio di un diritto di iniziativa congiunto delle due branche del potere legislativo europeo) presenterebbe un doppio valore aggiunto, se comparato al sistema attualmente in vigore: (i) permetterebbe innanzitutto di rispondere alle esigenze democratiche poste a fondamento della democrazia rappresentativa (nella quale gli organi legislativo ed esecutivo condividono il potere di proporre leggi), (ii) darebbe ai cittadini la sensazione di poter far sentire la propria voce e che i rappresentanti nazionali ed europei possano farsi portavoce delle loro richieste.[34] Questa innovazione potrebbe essere presentata come un complemento al diritto di iniziativa dei cittadini europei introdotto dal Trattato di Lisbona.

Una simile modifica richiede una revisione dei trattati (art. 225 TFUE) secondo la procedura ordinaria (CIG preceduta da una Convenzione).

— Dare la possibilità al Parlamento europeo di svolgere un ruolo più importante in materia di controllo dei deficit e degli squilibri macroeconomici eccessivi, nel quadro di una modifica dell’articolo 126 TFUE. In particolare, il Parlamento europeo dovrebbe poter decidere a maggioranza semplice di attivare la procedura per deficit eccessivi o la procedura per squilibri macroeconomici eccessivi sulla base di una raccomandazione della Commissione, nel caso in cui il Consiglio decida di non seguire il parere della Commissione.

Questa riforma richiede una modifica del Trattato secondo la procedura di revisione semplificata di cui all’articolo 48 par. 6 TUE.

— Per rafforzare la consulenza tecnica della quale possono beneficiare i parlamentari, potrebbe essere creato un consiglio di analisi economica europeo, al quale potrebbero rivolgersi il Parlamento europeo e la Conferenza della zona euro. A questi organi sarebbe consentito chiedere il parere anche del Comitato economico e sociale, in modo che essi possano beneficiare del punto di vista dell’organo rappresentativo della società civile europea.

La creazione di un consiglio di analisi economica europeo è possibile senza necessità di modificare i trattati. Al contrario, bisognerebbe prevedere espressamente nei trattati la possibilità per il Parlamento europeo di rivolgersi ad esso (e al Comitato economico e sociale). Questi passi richiedono una modifica dei trattati secondo la procedura di revisione semplificata, che richiede una decisione del Consiglio europeo all’unanimità (art. 48 par. 6 TUE).

 

2.4. Dotare le decisioni dell’Eurogruppo e dell’Eurosummit di una maggiore legittimità.

— Mettere l’Eurogruppo sotto il controllo del Parlamento europeo creando un vice-presidente della Commissione e del Consiglio incaricato delle questioni attinenti l’euro e gli affari economici, in modo da creare il Ministro delle finanze europeo auspicato da Jean-Claude Trichet e Wolfgang Schäuble. La stessa personalità svolgerebbe congiuntamente il ruolo di Commissario agli affari economici e monetari e di presidente dell’Eurogruppo, che sarebbe a partire da quel momento responsabile dinanzi al Parlamento europeo. Avrebbe lo status di vice-presidente della Commissione e del Consiglio. Si appoggerebbe sul gruppo di lavoro dell’Eurogruppo per la preparazione e il seguito delle riunioni relative unicamente agli Stati membri dell’eurozona, e sul Comitato economico e finanziario in vista delle riunioni relative alla totalità degli Stati membri dell’UE. Avrebbe sotto la sua autorità un segretariato generale del Tesoro dell’eurozona, l’ampiezza della cui missione dipenderebbe dagli obiettivi dell’unione fiscale in corso di costituzione (in particolare attraverso i meccanismi di assicurazione e gli strumenti fiscali già esistenti).[35] Il vice-presidente della Commissione e del Consiglio incaricato dell’euro e degli affari economici rappresenterebbe la voce politica dell’euro. Sarebbe incaricato della comunicazione delle decisioni dell’Eurogruppo e della rappresentanza esterna dell’eurozona in seno alle istituzioni finanziarie internazionali. Sarebbe incaricato di spiegare in che misura le politiche di bilancio o strutturali degli Stati membri della zona euro formano un policy mix coerente con la politica monetaria della BCE. Infine, dovrebbe esprimersi regolarmente davanti alla Conferenza dell’eurozona.

Le attribuzioni di questo vice-presidente della Commissione e del Consiglio incaricato dell’euro e degli affari economici potrebbero essere precisate nel quadro del Protocollo sull’Eurogruppo.

— Un comitato incaricato dell’euro dovrebbe essere creato all’interno del Parlamento europeo. Le istituzioni dell’eurozona (MES, Troika) dovrebbero rendere conto della loro azione dinanzi a questo comitato. Il presidente del comitato sarebbe inoltre invitato alle riunioni dell’Eurogruppo e ai vertici dell’Eurosummit per essere ascoltato.

Questa modifica potrebbe intervenire nel quadro di una revisione del Protocollo sull’Eurogruppo.

 

3. Quale/i metodo/i?

Per far progredire l’integrazione europea, la questione del metodo è indissociabile da quella della volontà politica. Gli strumenti giuridici sono infatti strumenti tecnici al servizio di un progetto politico la cui sopravvivenza dipende dal fatto che sia proposto dagli Stati e accettato dai popoli.

 

3.1. Il carattere centrale del dialogo franco-tedesco.

In questo senso, il periodo che si apre con la prospettiva delle elezioni europee nel maggio 2014 e la scelta che ne deriverà del prossimo presidente della Commissione europea è cruciale, perché esso obbligherà i soggetti che prendono parte al dibattito europeo — governi, cittadini, società civile — a pronunciarsi sull’orientamento che essi intendono dare alla costruzione europea. È chiaro, in effetti, che, indipendentemente dai testi, la pratica politica è decisiva. Dalla scelta delle personalità che saranno poste a capo delle istituzioni europee dipenderà molto la capacità dell’Unione di compiere o meno passi in avanti. A questo proposito, le polemiche che sono sorte ultimamente tra il presidente della Commissione europea e alcuni dirigenti nazionali sono al tempo stesso preoccupanti e rassicuranti. Preoccupanti perché rendono incontestabilmente più fragile l’Unione europea in una congiuntura politica, economica e sociale già molto instabile. Ma rassicuranti perché segnano finalmente l’inizio di una vera politicizzazione del dibattito europeo, cosa impensabile solo alcun anni fa.

L’analisi è invece differente per quanto concerne le relazioni franco-tedesche, il cui barometro è un indicatore particolarmente affidabile della volontà politica europea. Il passato ci insegna che senza convergenza franco-tedesca non vi è avanzamento dell’Unione. Le tensioni recenti tra Parigi e Berlino non devono tuttavia essere sopravalutate. Le relazioni franco-tedesche sono sempre state dipendenti dai cicli elettorali interni e gli inizi di un mandato si caratterizzano sempre come fasi di prova, nelle quali i dirigenti si giudicano e imparano a conoscersi.[36] Il primo anno del quinquennato del presidente Hollande non fa eccezione a questa regola e, dopo una fase di tensioni, sembra aprirsi un nuovo periodo nelle relazioni franco-tedesche. Ma, mentre finora la Germania ha sempre difeso una visione federale del progetto europeo — mentre la Francia rimaneva più attaccata a una concezione intergovernativa — Berlino sarebbe oggi sempre più tentata di affidare agli Stati anziché alle istituzioni europee la guida economica e politica della zona euro.[37] Questo mutamento di direzione potrebbe segnare un nuovo equilibrio nelle relazioni franco-tedesche, relazioni che evolvono in un contesto nel quale la Germania è più incline che nel passato a sviluppare rapporti privilegiati con altri Stati membri, siano essi il Regno Unito o i paesi dell’Europa centrale e orientale.

L’attenuarsi dell’ambizione federalista tedesca, associata a una diluizione reale dell’influenza francese in seno all’Unione[38] non è priva di conseguenze sul metodo utilizzato per organizzare il governo economico dell’Europa e dar vita, quando sarà il momento, all’unione politica. È necessario individuare più opzioni e la loro praticabilità va presa in esame tenendo conto dei rapporti tra forze politiche in seno all’Unione e della loro capacità di raggiungere gli obiettivi configurati.

 

3.2. Evoluzione senza modifica dei trattati o revisione dei trattati?

Vi sono innanzitutto i passi avanti che potrebbero essere compiuti senza modificare il quadro giuridico attuale, attraverso il semplice impulso politico che gli Stati interessati vogliano dare all’unione economica dell’eurozona. Tra questi vi è senz’altro la nomina di un presidente a tempo pieno dell’eurozona privo di altri mandati nazionali, la messa in opera di un calendario politico di convergenza economica e fiscale degli Stati membri o ancora una rappresentanza unificata della zona euro in seno al FMI e alla Banca mondiale. Tutte queste riforme possono essere assolutamente realizzate con gli strumenti previsti dai trattati vigenti, se esiste la volontà politica di portarle a termine.

Malgrado ciò, è chiaro che al di là dei segnali politici, una piena integrazione economica e bancaria dell’eurozona, che completi l’unione monetaria, richiede un’evoluzione significativa del quadro giuridico attuale; ma come?

Una prima via possibile sarebbe il ricorso a una cooperazione rafforzata tra i 17 — presto 18 — Stati membri della zona euro. Il Trattato di Lisbona ha in effetti esteso il ricorso alle cooperazioni rafforzate, che possono ormai riguardare tutti i settori dell’azione europea, a condizione che vi partecipino almeno nove Stati membri e che esse non siano contrarie ai trattati. Così, delle cooperazioni rafforzate potrebbero essere intraprese relativamente a questioni specifiche, come quella conclusa tra undici Stati membri per introdurre un’imposta sulle transazioni finanziarie. Ma si tratta appunto di uno strumento adatto ad essere applicato in settori specifici — il brevetto europeo, la legge applicabile in materia di divorzio con elementi di transnazionalità, per esempio —, più che a un progetto globale di unione economica.

In queste condizioni, la via ordinaria di una revisione dei trattati sembra la più logica per progredire sulla via dell’integrazione europea. Questo metodo è sempre stato utilizzato in passato, che si trattasse della creazione del mercato unico (Atto unico europeo), della moneta unica (Trattato di Maastricht), della politica estera e di sicurezza comune o della politica europea di asilo e di immigrazione (Trattato di Amsterdam). Ma oggi non è certo che vi siano le condizioni politiche per una revisione dei trattati, cioè l’unanimità degli Stati membri per la firma e la ratifica delle modifiche apportate. Rivedere i trattati significa aprire ancora una volta il vaso di Pandora delle richieste di trattamento particolare di quello o quell’altro Stato membro, a cominciare dal Regno Unito che tenta più che mai di ridefinire i termini dei propri rapporti con l’Unione europea.[39]

 

3.3. Un trattato intergovernativo?

Dal momento che l’unanimità richiesta per la revisione dei trattati europei sembra difficile da ottenere, non si può escludere il ricorso al metodo consistente nella firma di un trattato internazionale tra gli Stati membri della zona euro, compatibile con i trattati istitutivi.[40] Questo metodo è già stato utilizzato in passato su questioni quali la cooperazione transfrontaliera di polizia, con la firma del trattato di Prüm nel 2005, rapidamente integrato nell’acquis communautaire. Ricorrere allo strumento del trattato internazionale presenta un vantaggio certo: la sua entrata in vigore non è condizionata alla ratifica unanime degli Stati firmatari. Le condizioni di entrata in vigore potrebbero infatti essere simili a quelle di entrata in vigore del trattato di bilancio (Fiscal Compact) del 2012.

Bisogna tuttavia riconoscere che il ricorso a un trattato internazionale invece che a una revisione dei trattati europei è il segno di una possibile rinuncia ad avanzamenti più forti sulla via del federalismo economico e fiscale, del quale la crisi ha peraltro rivelato la necessità. La scelta dello strumento giuridico è in effetti rivelatrice dell’impronta intergovernativa data all’unione economica e monetaria, elemento che pone delle questioni relativamente al versante democratico di questo progetto politico. Nel momento in cui i popoli europei esprimono un’attesa molto forte di legittimazione politica della costruzione europea, l’unione economica non può lasciare da parte il Parlamento europeo e i parlamenti nazionali. Ogni nuova tappa nell’integrazione europea deve in questo contesto accompagnarsi a un aspetto di integrazione democratica.

 

3.4. Il ricorso al metodo della Convenzione?

Il ricorso al metodo convenzionale non solo per rivedere i trattati ma anche per legittimare il progetto europeo è una via originale che meriterebbe di essere approfondita. Esso ha dato prova di funzionare, riunendo in un solo consesso delle legittimità complementari: parlamentari nazionali, deputati europei, rappresentanti dei governi e membri della Commissione europea.

Delle convenzioni specializzate — la cui composizione sarebbe a geometria variabile a seconda dei temi presi in considerazione — potrebbero così essere convocate dal Consiglio europeo, che attribuirebbe loro il mandato non di legiferare, ma di elaborare proposte sui grandi orientamenti della costruzione europea. Queste proposte sarebbero poi sottoposte all’esame del legislatore europeo, nella misura in cui rientrino nel quadro dei trattati esistenti.

Dal modello sociale europeo al bilancio comunitario, passando per il dibattito sulle frontiere dell’Unione o sul futuro della politica agricola comune, il ricorso più frequente al metodo convenzionale sarebbe un modo intelligente di associare i parlamenti nazionali, troppo spesso confinati al ruolo di censori della costruzione europea. Questi ultimi si imporrebbero così come una vera forza propulsiva non disconnessa dalle opinioni pubbliche nazionali.

 

3.5. Quale compromesso possibile?

Gli sviluppi che precedono mostrano che non esiste una soluzione ideale (dal momento che sia la revisione dei trattati sia la stipulazione di un trattato internazionale sono soluzioni che presentano dei limiti). Bisognerebbe allora terminare questa analisi suggerendo le linee possibili di un compromesso accettabile, ad esempio una modifica dei trattati che:

— consolidi i trattati internazionali attuali (MES, Fiscal Compact) in un Protocollo sull’Unione economica e monetaria annesso al TFUE;

— crei una procedura specifica di revisione di questo protocollo che autorizzi gli Stati membri dell’UEM a modificare il TFUE nelle disposizioni dedicate specificamente all’UEM senza bisogno di una ratifica da parte degli Stati membri che non partecipano all’Unione economica e monetaria. Ogni nuova disposizione dovrebbe naturalmente essere compatibile con le altre disposizioni dei trattati;

— precisi, nel quadro del protocollo sul Regno Unito, i settori (oltre al mercato interno) ai quali il Regno Unito continua a partecipare. In questo quadro sarebbe chiaro che il Regno Unito non potrebbe continuare a partecipare (nel Parlamento e nel Consiglio) alle decisioni nei settori ai quali ha rinunciato a partecipare. Per quanto riguarda il bilancio, esso non potrebbe pronunciarsi che sulle voci relative ai settori ai quali partecipa, mentre non potrebbe pronunciarsi sul bilancio nella sua totalità. Infine, il Regno Unito conserverebbe la possibilità di opting-in per quanto concerne politiche diverse da quelle alle quali si è impegnato a partecipare nel quadro del protocollo.

— inserisca delle modifiche che rafforzino la legittimazione democratica delle istituzioni europee (v. le proposte formulate in questo testo).

La crisi, la diffidenza crescente dei cittadini nei confronti delle istituzioni europee e le riforme in corso pongono l’Europa dinanzi a una sfida politica cruciale.

Con l’avvicinarsi delle elezioni europee, è giunto il momento di aprire il dibattito. Se è positivo che Francia e Germania abbiano recentemente presentato un contributo comune in vista del Consiglio europeo del 27 e 28 giugno 2013, vanno tuttavia ancora precisate le forme istituzionali e politiche future dell’Unione europea.

Le iniziative franco-tedesche recentemente messe sul tavolo sono in effetti caratterizzate da una certa ambiguità e pongono tutta una serie di interrogativi che dovranno avere una risposta. Per quanto concerne il presidente a tempo pieno dell’Eurogruppo, si pone la questione della sua responsabilità dinanzi al Parlamento europeo. Inoltre, il rafforzamento del coordinamento intergovernativo pone la questione del rischio di concorrenza tra le due branche dell’esecutivo in materia economica (Commissione e Consiglio) e tra due tipologie di fonti (trattati intergovernativi dell’eurozona e trattati UE). Come conciliare questi elementi? Peraltro, anche i poteri della sotto-formazione del Parlamento europeo competente per l’eurozona andrebbero precisati. Come eserciterà questa formazione il suo controllo democratico? Potrà codecidere con il Consiglio in materia economica? Eserciterà un controllo nei confronti della troika? Avrà il potere di sottoporre ad audizione e approvare la nomina del presidente dell’Eurogruppo? Infine, rimane molta vaghezza sulla questione del metodo che verrà utilizzato e in particolare sulla possibile revisione dei trattati — anche limitata, come auspica la Germania —. In quest’ultima ipotesi, i progressi dell’integrazione nell’eurozona pongono la questione della difficile articolazione tra l’UE e la zona euro, in altre parole del rafforzamento della differenziazione dell’UE e dello status degli Stati esterni all’eurozona, in particolare il Regno Unito, che coglierebbe l’occasione di una revisione dei trattati per rinegoziare delle deroghe.

Sotto l’effetto della crisi, molti tabù stanno cadendo: unione politica, federalismo fiscale, unione bancaria. Il dibattito deve pertanto essere approfondito per accelerare la messa in opera delle riforme necessarie affinché i cittadini riacquistino fiducia nelle istituzioni europee.

 

Allegato

Tavola riassuntiva delle proposte presentate

Proposte

Senza revisione dei trattati

Procedu-ra di revisione ordinaria

Procedu-ra di revisione semplifi-cata

Revisione del Protocollo sull’Euro-gruppo

Presidenza unica dell’Unione (fusione delle Presidenze del Consiglio europeo e della Commissione)

X

     

Elezione del presidente dell’Unione da parte del Parlamento europeo

 

X

   

Modifica del sistema di votazione alle elezioni europee

X

     

Modifica del numero dei membri della Commissione

X

     

Composizione del Parlamento europeo – soppressione della regola della proporzionalità degressiva

 

X

   

Rimessa in campo della regola della rotazione egualitaria tra Stati membri prevista dal TUE per la composizione della Commissione a partire dal 1° novembre 2014.

 

X

   

Migliorare la comunicazione della Commissione europea

X

     

Riconoscimento di un diritto di iniziativa al Parlamento europeo

 

X

   

Messa in opera dell’articolo 13 del Fiscal Compact

X

(accordo interisti-tuzio-nale)

     

Creazione di un Comitato incaricato dell’euro nell’ambito del Parlamento europeo

X

     

Creazione di un Consiglio di analisi economica europeo

X

     

Rafforzamento del ruolo del Parlamento europeo in materia di controllo dei deficit eccessivi

   

X

 

Creazione di un vice-presidente della Commissione e del Consiglio incaricato degli affari economici e dell’euro

 

X

 

X

 

 


[1] Questo testo è una versione rivista e aggiornata dell’articolo: T. Chopin, J.-F. Jamet, F.-X. Priollaud, Une union politique pour l’Europe, Questions d’Europe, Policy paper de la Fondation Robert Schuman, n. 252, 24 settembre 2012.

[2] La legittimità democratica deriva innanzitutto dalla definizione democratica degli obiettivi politici delle istituzioni europee. Essa presuppone che la legislazione finalizzata alla realizzazione di tali obiettivi sia votata democraticamente; e richiede il controllo democratico della messa in opera di tale legislazione.

[3] Si veda sul punto T. Chopin, L’union politique: du slogan à la réalité, Rapport Schuman sur l’Europe. L’état de l’Union 2013, Lignes de repères, 2013.

[4] Contro questa tesi dominante, vedi O. Beaud, Théorie de la Fédération, Paris, Presses universitaires de France, 2007.

[5] Y. Bertoncini, Saut fédéral ou unions politiques?, Le Mot de Notre Europe, 22 giugno 2012.

[6] Sul punto vedi J.-F. Jamet, L’Europe peut-elle se passer d’un gouvernement économique?, Paris, La documentation française, 2e ed., 2012.

[7] Vedi i lavori di S. Collignon sulla République européenne, e in particolare The European Republic. Reflections on the Political Economy of a Future Constitution, Bertelsmann Foundation, 2003 e (con C. Paul), Pour la République européenne, Odile Jacob, 2008.

[8] Angela Merkel è stata molto esplicita in un’intervista concessa a più quotidiani europei il 19 gennaio 2012: “Nel corso di un lungo processo, trasferiremo sempre più competenze alla Commissione, che, per le competenze europee, funzionerà come un governo europeo. In questo quadro rientra un Parlamento forte. La seconda camera sarà costituita praticamente dal Consiglio che riunisce i Capi di Governo. Ed infine abbiamo la Corte di Giustizia europea quale corte suprema. Questo potrebbe essere l’assetto futuro dell’Unione politica dell’Europa (…)”. Vedi U. Guérot, The Euro Debate in Germany: Towards Political Union?, European Council on Foreign Relations, ECFR, 5 settembre 2012.

[9] Vedi il Rapporto finale sul futuro dell’Europa del Gruppo informale di riflessione dei Ministri degli Affari Esteri (Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Italia, Germania, Lussemburgo, Olanda, Polonia, Portogallo e Spagna), 17 settembre 2012.

[10] Verso un’autentica unione economica e monetaria, 5 dicembre 2012. Si vedano anche le Conclusioni del Consiglio europeo del 13 e 14 dicembre 2012.

[11] Vedi Commissione europea, Un piano per un’unione economica e monetaria autentica e approfondita. Avvio del dibattito europeo, 28 novembre 2012, COM(2012) 777 fin., e Verso un’autentica unione economica e monetaria, op. cit.

[12] Vedi in particolare S. Goulard et M. Monti, De la démocratie en Europe. Voir plus loin, Paris, Flammarion, 2012.

[13] VediThe Future of Europe: Merkel Pushes for Convention to Draft New EU Treaty, Spiegel Online International, 27 agosto 2012.

[14] Discorso sullo stato dell’Unione 2012 dinanzi al Parlamento europeo, 12 settembre 2012.

[15] Vedi il discorso di J.-C. Trichet, allora presidente della Banca Centrale Europea, in occasione della consegna del Premio Charlemagne 2011 a Aix-la-Chapelle il 2 giugno 2011.

[16] François Hollande aveva del resto dichiarato: “L’union politique c’est après, c’est l’étape qui suivra l’union budgétaire, l’union bancaire, l’union sociale”, intervista concessa a Le Monde, 18 ottobre 2012.

[17] François Hollande : “L’Allemagne, plusieurs fois, a dit qu’elle était prête à une union politique, à une nouvelle étape d’intégration. La France est également disposée à donner un contenu à cette union politique (…). Ce n’est plus une affaire de sensibilité politique, c’est une affaire d’urgence”, intervento introduttivo del presidente della Repubblica in occasione della conferenza stampa del 16 maggio 2013.

[18] La France et l’Allemagne ensemble pour renforcer l’Europe de la Stabilité et de la Croissance, 30 maggio 2013.

[19] Vedi T. Chopin e J.-F. Jamet, L’Europe sans les Européens, Libération, 14 dicembre 2012.

[20] Eurobarometro Standard 78 dell’autunno 2012.

[21] L’espressione “consenso permissivo” è stata inventata da V.O.Jr. Key, Public Opinion and American Democracy, New York, Alfred A. Knopf, 1961 ed è stata ripresa per la prima volta a proposito della costruzione europea da Lindberg e Steingold al fine di valutare il sostegno delle opinioni pubbliche all’integrazione europea, in L.N. Lindberg et S.A. Scheingold, Europe’s Would Be Polity. Patterns of Change in the European Community, New Jersey, Prentice Hall, 1991

[22] Vedi ad esempio L. Siedentop, A Crisis of Legitimacy, Prospect, 2005, o ancoraJ. Thomassen, Citizens and the Legitimacy of the European Union, The Hague, WWR Web publication, n. 19, 2007. Sul punto vedi anche T. Chopin, La crise de légitimité de l’Union européenne, Raison publique, Presses de la Sorbonne, n. 7, 2007.

[23] Per un’analisi della crescita del populismo nei vari Stati membri dell’Unione europea si può far riferimento a A. Laquièze (et. alii), Populismes: l’envers de la démocratie, Paris, Vendémiaire, 2012.

[24] Vedi T. Chopin, L’Europe face à la nécessité de décider: un leadership politique européen est-il possible?, Rapport Schuman sur l’Europe. L’état de l’Union 2011, Lignes de repères, 2011; Id., Vers un véritable pouvoir exécutif européen: de la gouvernance au gouvernement, Questions d’Europe, Policy paper della Fondation Robert Schuman, n. 274, 15 aprile 2013 e How the EU Could Overcome its Executive Deficit?, Policy Network, maggio 2013.

[25] Prendiamo in prestito questa espressione da N. Véron, The Political Redefinition of Europe, Opening Remarks at the Financial Markets Committee (FMK)’s Conference on The European Parliament and the Financial Market, Stockholm, giugno 2012. Vedi anche N. Véron, Challenges of Europe’s Fourfold Union, Hearing before the US Senate Committee on Foreign Relations: Subcommittee on European Affairs, on the Future of the Eurozone: Outlook and Lessons, agosto 2012; e P. Ludlow, Executive Power and Democratic Accountability, Quarterly Commentary, Eurocomment, settembre 2012.

[26] Un accordo interistituzionale è un atto adottato congiuntamente dalle istituzioni dell’Unione europea nel loro settore di competenza, attraverso il quale esse regolano le modalità della loro cooperazione o si impegnano a rispettare alcune regole di fondo. Gli accordi interistituzionali sono nati dall’esigenza pratica sentita dalle istituzioni di precisare alcune disposizioni dei trattati a loro relative al fine di evitare conflitti e di delimitare le loro competenze rispettive. Non previsti in origine dai trattati, essi sono stati formalmente introdotti in questi dal Trattato di Lisbona, all’articolo 295 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea.

[27] Ad eccezione dell’accordo PPE-Liberali del 1999 che ha introdotto per la prima volta una differenziazione di parte nel Parlamento europeo.

[28] Per maggiori dettagli si veda T. Chopin e L. Macek, Après Lisbonne, le défi de la politisation de l’Union européenne, Les Etudes du CERI, n. 165, Centre d’Etude et de Recherches Internationales, Sciences Po, 2010.

[29] L’articolo 13 del nuovo trattato prevede che “il Parlamento europeo e i parlamenti nazionali delle parti contraenti definiranno insieme l’organizzazione e la promozione di una conferenza dei rappresentanti delle pertinenti commissioni del Parlamento europeo e dei rappresentanti delle pertinenti commissioni dei parlamenti nazionali ai fini della discussione delle politiche di bilancio e di altre questioni rientranti nell’ambito di applicazione del presente trattato”.

[30] Y. Bertoncini, Les parlements de l’UE et la gouvernance de l’UEM. Quelle dimension parlementaire pour l’Union politique?, Tribune, Notre Europe – Institut Jacques Delors, 11 aprile 2013.

[31] Vedi T. Chopin et J.-F. Jamet, La répartition des sièges de député au Parlement européen entre les Etats membres: un enjeu démocratique autant que diplomatique, Questions d’Europe, Policy papers della Fondation Robert Schuman, n. 71, 2007.

[32] Una soluzione semplice sarebbe quella di avere un deputato ogni x (ad esempio 1) milione di abitanti con un minimo di uno o due deputati per Stato membro.

[33] La sentenza della Corte costituzionale tedesca sul Trattato di Lisbona sottolinea che il principio di democrazia, applicato a uno Stato, impone di rispettare determinate condizioni che l’Unione non soddisfa, in particolare per il fatto che le elezioni europee non si svolgono secondo il principio “one man, one vote”. Su tale questione vedi la discussione su Les conséquences du jugement de la cour constitutionnelle fédérale allemande sur le processus d’unification européenne, Fondation Robert Schuman / Konrad Adenauer Stiftung, settembre 2009.

[34] V. Y. Bertoncini, Europe: le temps des fils fondateurs, Paris, Michalon, 2005.

[35] Jean Pisani-Ferry ha sottolineato il rischio legato a tale fusione proponendo di immaginare la situazione in cui un Commissario richieda delle sanzioni contro uno Stato e poi presieda il Consiglio nel corso del quale tale proposta va accettata o rigettata. In realtà, una situazione simile esiste nel settore della concorrenza: la Commissione europea indaga e decide, sotto il controllo della Corte di giustizia UE. Tuttavia Jean Pisani-Ferry propone un’altra soluzione, ugualmente prospettabile: la creazione di un comitato di bilancio indipendente che permetterebbe di “extérioriser la surveillance des déficits excessifs en la confiant à une autorité distincte des services de la direction générale des affaires économiques et financières (ECFIN), (…), sur laquelle le commissaire n’aurait pas autorité. La mise en place d’un tel comité budgétaire indépendant libérerait le commissaire de son rôle de procureur et permettrait alors d’envisager qu’il cumule ses fonctions avec celle de président de l’Eurogroupe”, in Assurance mutuelle ou fédéralisme: l’euro entre deux modèles, Bruegel, 8 ottobre 2012.

[36] Vedi H. Utterwedde, Coopération franco-allemande: des tensions productives, Rapport Schuman sur l’Europe. L’état de l’Union 2013, Lignes de repères, 2013.

[37] Vedi P. Ricard, L’Allemagne s’est convertie à une Europe des Etats et à un pilotage économique de la zone euro, Le Monde, 24 giugno 2013.

[38] Vedi F.-X. Priollaud et D. Siritzky, Que reste-t-il de l’influence française en Europe?, Paris, La documentation française, 2011.

[39] Vedi T. Chopin et J.-F. Jamet, Grande-Bretagne: sortir du dilemme, Le Figaro, 24 gennaio 2013; J.-F. Jamet, Several Europes but Which Ones? A Proposal to Rationalise European Integration, Schuman Report on Europe. State of the Union 2013, Springer, 2013; T. Chopin Two Europes, in Europe in Search of a New Settlement. EU-UK Relations and the Politics of Integration, London, Policy Network, 2013.

[40] Vedi J.-C. Piris, The Future of Europe: Towards a Two Speed Europe?, Cambridge, Cambridge University Press, 2012.

 

 

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