IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno XXXV, 1993, Numero 3, Pagina 158

 

Cinquant’anni del Movimento federalista europeo*
 
JOHN PINDER
 
 
La Federazione europea sarà fatta in questi anni Novanta. E’ necessaria. E’ raggiungibile. E’ nostro compito far sì che sia raggiunta.
Grazie agli sforzi dei federalisti, l’Europa è già in una situazione precostituente. Il contributo del MFE per creare questa situazione è stato enorme. Sono profondamente riconoscente per questo a tutti voi federalisti italiani. Soprattutto, sono riconoscente per il contributo storico dato da quella ventina di pionieri federalisti che si sono riuniti cinquant’anni fa in casa Rollier, in via Poerio 37, per cominciare la nostra battaglia. Sono inoltre cosciente dell’importanza del fatto che tutti gli Europei capiscano il vero significato dell’opera che questi pionieri hanno iniziato e che è stata ispirata da un genio politico, Altiero Spinelli, e continuata da un Movimento di militanti del tutto eccezionale, il Movimento federalista europeo.
 
Un genio politico: Altiero Spinelli.
 
Non si può programmare un genio politico, ma si può tentare di comprenderlo allo scopo di meglio proseguire il suo lavoro.
Spinelli ha individuato la grande impresa politica di questo secolo: la creazione della Federazione europea. E’ una ironia della storia il fatto che per fare questa scoperta egli si sia servito dei lunghi anni di carcere e di confino inflittigli dal regime fascista, del tutto contrario a questa idea. Spinelli, nella sua autobiografia, chiamava i sedici anni della sua prigionia «una provvidenza, poiché ero stato afferrato e messo da parte nel momento in cui mi ero consacrato a un’opera priva di ogni senso di misura» (cioè il marxismo-leninismo), «ed ero restituito fra gli uomini quando ero ormai maturo per un lavoro difficile e ambizioso anch’esso, ma che era veramente ‘à l’échelle humaine’».[1]
Questo lavoro federalista era non soltanto «a misura d’uomo», ma anche all’altezza dei grandi problemi di questa epoca, nella quale l’interdipendenza sta unificando i popoli in un popolo europeo, e in prospettiva in un popolo mondiale. La sola risposta razionale a questa sfida è il governo federale, una costituzione hamiltoniana. Il merito di Spinelli fu quello di afferrare il significato di questa idea federalista, inventata dai padri fondatori americani e trasmessa dagli scritti di Einaudi e dei federalisti inglesi. Spero che mi perdonerete se leggo le parole con cui Spinelli ha descritto il suo incontro con il pensiero dei miei predecessori federalisti, pensiero, secondo lui, «pulito e preciso di questi federalisti inglesi, nei cui scritti trovai un metodo assai buono per analizzare la situazione nella quale l’Europa stava precipitando, e per elaborare prospettive alternative». La loro analisi e la presentazione ragionata dell’alternativa federale, scrisse, «mi sono rimaste fino ad oggi nella memoria come una rivelazione».[2]
«Pensiero pulito e preciso» era anche quello di Spinelli. Egli scrisse per la riunione di via Poerio le sue «Tesi politiche», contenenti una definizione precisa e concisa dell’unione federale che rimane valida fino ad oggi: un’unione con istituzioni legislative, esecutive e giudiziarie, con competenze riguardanti il commercio, la moneta, gli armamenti, e con il potere di impedire il totalitarismo negli Stati membri, cioè di assicurare i diritti umani.[3] Spinelli era, come ha scritto Mario Albertini, «un eroe della ragione»,[4] e il MFE è stato fondato sulla base di una chiarissima definizione della sua missione.
Ma una idea giusta ed un pensiero chiaro risultano vani senza la volontà di realizzarli. Spinelli una volta mi ha detto: «In Italia ci sono molti politici con buone idee europee. Ma ce n’è soltanto uno che è stato coerente fino in fondo: io». Egli era flessibile nella scelta della tattica, che adattava di volta in volta alla situazione politica,ma era sempre coerente nel tenere fermo lo scopo, la costituzione hamiltoniana, dalla fondazione del Movimento federalista europeo e dell’Unione europea dei federalisti fino alla sua ultima battaglia: il progetto di Trattato per l’Unione europea.
Idea giusta, pensiero chiaro, dedizione al suo scopo: però anche tutto questo non sarebbe bastato senza una capacità politica eccezionale, nell’identificazione della situazione favorevole per l’azione, nell’elaborazione del piano d’azione, e nella capacità di persuadere quei leaders politici che erano indispensabili per portare avanti l’impresa. Questo grande talento politico Spinelli lo ha dimostrato parecchie volte, soprattutto nelle due campagne storiche per la Comunità politica europea e per il progetto di Trattato per l’Unione europea.
Quando i governi hanno deciso, nel 1950, di integrare le forze armate, Spinelli ha subito capito che la loro ipotesi in base alla quale un esercito europeo avrebbe potuto essere governato da un sistema intergovernativo era una fantasia. Sapeva, grazie alle sue lunghe riflessioni sul federalismo, che soltanto delle istituzioni federali sarebbero state adatte allo scopo. L’integrazione delle forze armate significa l’integrazione degli Stati, ed uno Stato nuovo ha bisogno di istituzioni democratiche. Quindi persuase De Gasperi ad accettare questa logica politica, e De Gasperi persuase i leaders degli altri cinque governi che bisognava creare l’Assemblea ad hoc per fare il progetto di costituzione della Comunità politica europea. Nel frattempo Spinelli convinse anche Paul-Henri Spaak ad interessarsi del progetto e Spaak presiedette i lavori, prima quelli del Movimento europeo e poi quelli dell’Assemblea ad hoc su questo progetto. Spinelli, e nessun altro, ha spinto i politici europei a fare, per la prima volta nella storia, una costituzione quasi federale, la quale avrebbe potuto cambiare radicalmente il destino del continente. Ma questo era un passo troppo radicale per l’Assemblea nazionale francese. Alcuni mesi prima del voto fatale dell’Assemblea, Spinelli scrisse nel suo Diario, all’indomani della morte di Stalin, che «la morte di Stalin può significare anche la fine del tentativo attuale di unire l’Europa».[5] Egli aveva ancora una volta ragione: la battaglia per la Comunità politica europea è stata perduta. Ma non era perduta la guerra per la Federazione europea. Karl-Heinz Koppe, già segretario generale dell’Europa Union Deutschland, ha scritto che il progetto della Comunità politica europea «ha dato alla gente un modello di ciò che è pensabile e fattibile».[6] L’esperienza della lotta per la Comunità politica ha anche motivato, dopo il fallimento del progetto, il rilancio che ha portato all’Europa dei Trattati di Roma, sotto la guida infaticabile di Spaak, a sua volta influenzato dal lavoro sul progetto svolto con Spinelli. Benché quest’ultimo, deluso, avesse lasciato la via comunitaria per fondare il Congresso del popolo europeo, con lo scopo di eleggere dei rappresentanti ad una Assemblea costituente, questo rilancio è stato fondamentale per il lavoro successivo dei federalisti.
Trent’anni dopo Spinelli ha individuato una seconda opportunità per fare la costituzione europea, quando i governi hanno accettato le elezioni dirette del Parlamento europeo. I rappresentanti del popolo europeo c’erano: bisognava organizzarli per fare la costituzione. Ancora una volta Spinelli, e nessun altro, ha persuaso i politici adatti a fare il lavoro necessario: dapprima i membri del Parlamento, per il disegno e l’accettazione del progetto di Trattato; poi il Presidente Mitterrand, che ha dato il suo sostegno al progetto. Anche in questo caso Spinelli ha creato «un modello di ciò che è pensabile e fattibile»; e, benché sia stato di nuovo deluso dal risultato concreto, l’Atto Unico, questo non è stato il «miserabile topolino… morto» della sua celebre frase,[7] ma l’inizio del rilancio che ha portato l’Europa al presente momento precostituente.
Questi due progetti sono state imprese straordinarie, prodotti di un talento politico ed intellettuale straordinario: «un eroe della politica», ha scritto Mario Albertini, il quale «ha incarnato, in modo che si può dire perfetto, la figura dell’eroe politico così come l’ha delineata Max Weber»;[8] e, secondo Francesco Rossolillo, «l’uomo dell’opera», che fa «qualcosa che non esisteva prima».[9] Egli era, in questo senso, solo. Ma ha avuto bisogno dell’idea federalista già esistente, che ha preso ed applicato come strumento politico. Aveva bisogno anche di un Movimento, che non soltanto lavorasse sotto la sua direzione quando ne era il segretario generale, ma anche che continuasse e sviluppasse questo lavoro dopo che se ne era distaccato.
 
Un Movimento eccezionale: il Movimento federalista europeo.
 
Spinelli ha scritto, alla fine della sua autobiografia, che ritornava da Ventotene per «una battaglia che io, ma probabilmente per ora solo io, avevo deciso di considerare, benché ancora inesistente, più importante di quelle in corso in cui andavano ad impegnarsi tutti gli altri».[10] Questo non era giusto. C’erano altri, oltre il piccolo gruppo di Ventotene, i quali erano già impegnati, o pronti ad impegnarsi, nella lotta federalista: Rollier, Trentin, Silone, Foa, Venturi, Bolis, Banfi e così via. Vero era comunque che Spinelli è stato il solo genio politico fra essi. Ma questo genio ha avuto bisogno dei rappresentanti di una certa cultura politica italiana per assicurare il successo ai suoi sforzi. Questa cultura e questa gente erano la «fortuna», complemento essenziale della sua «virtù».
Questa cultura politica era già evidente nel Risorgimento. Mazzini, unico fra i leaders nazionali di quell’epoca, aveva capito che lo spirito nazionale doveva essere compreso in un contesto europeo, e Cattaneo aveva veramente capito che cosa era il federalismo. Fra le due guerre mondiali hanno sostenuto l’idea federale Einaudi, Agnelli, Cabiati, i Rosselli, Don Sturzo, Turati e molti altri. Poi ci fu la reazione contro il fascismo, che ha dimostrato definitivamente i pericoli del nazionalismo e del culto della sovranità nazionale assoluta. Nell’agosto 1943, quando è stato fondato il MFE, io stavo per entrare nell’esercito britannico per partecipare alla resistenza al nazi-fascismo, organizzata dal mio Stato nazionale. Nello stesso tempo, molti Italiani stavano per entrare nella resistenza contro il loro Stato. Questo contrasto spiega, almeno in parte, perché era più facile per gli Italiani capire la necessità di limitare la sovranità dello Stato nazionale. La cultura e la congiuntura politica italiana erano favorevoli al federalismo. Non meno importante è stata la grande virtù di tanti Italiani pronti ad impegnarsi nella lotta federalista. La loro fortuna stava nella virtù di Spinelli, che, come segretario generale del MFE durante il decennio in cui si è consolidata l’organizzazione, ha potuto trasmettere loro la sua dedizione all’idea della costituzione hamiltoniana e dare al MFE non soltanto questa vocazione, ma anche un’esperienza di azione e risultati importanti.
Ma anche Spinelli poteva sbagliare. Nel 1961 decise che i federalisti sarebbero dovuti entrare nella lotta politica interna in alcune città, come tattica per ottenere posizioni di potere. Spinelli stesso aveva insegnato che «la linea di divisione fra partiti progressisti e partiti reazionari cade… ormai… lungo la… linea che separa quelli che concepiscono come fine essenziale della lotta quello antico, cioè la conquista del potere politico nazionale… e quelli che vedranno come compito centrale la creazione di un solido Stato internazionale».[11] Ma Spinelli stesso in quella occasione si collocò dall’altro lato della linea. Albertini ha avuto il coraggio di opporsi a Spinelli e di impedire questa svolta, che presentava tante difficoltà per il MFE. Albertini era, davvero, più adatto di Spinelli a sviluppare un Movimento. Questi scrisse nel Diario che per Albertini occorre «preparare sé stessi all’evento», cioè sviluppare il Movimento per la battaglia costituente, piuttosto che «preparare l’evento», cioè perseguire una tattica politica. Scrisse inoltre che «di fronte anche ad un figlio spirituale mi sento freddo e distaccato»,[12] e che non era capace di curarsi di sentimenti umani «quando si deve invece fare politica».[13] Per un genio politico questo è ammissibile, forse necessario. Ma per mantenere un solido Movimento bisogna curarsi della gente; e la prova che Albertini si è curato dei suoi figli spirituali è che tanti di essi, dopo tre decenni, lavorano sempre insieme, e sono presenti oggi in questa sala per dimostrare il loro impegno nel Movimento.
I risultati dello sviluppo del MFE sono stati impressionanti. Quando, per esempio, le elezioni dirette del Parlamento europeo sono state all’ordine del giorno del Consiglio europeo sotto la presidenza italiana nel dicembre 1975, la manifestazione del MFE, con la presentazione dell’appello in Campidoglio ed il corteo a Palazzo Barberini, ha rafforzato la politica pro-europea del governo italiano, che ha ottenuto in questa occasione la decisione in favore delle elezioni. Per sostenere Spinelli nella battaglia per il progetto di Trattato, il MFE ha fatto molto, insieme all’Europa Union Deutschland, per assicurare la maggioranza necessaria nel Parlamento europeo. Esso ha organizzato la grande manifestazione in piazza del Duomo a Milano, per influenzare la decisione del Consiglio europeo sul progetto. Si possono criticare per vari motivi i politici italiani che avevano la responsabilità della presidenza italiana di questo Consiglio, ma una critica certamente non si può far loro, e cioè che non fossero coscienti dell’importanza che i voti dei cittadini italiani avevano per loro stessi. La presenza di tanti elettori in piazza, che chiedevano una decisione positiva, ha sicuramente rafforzato la volontà di questi politici di insistere sul voto a maggioranza, e questo per la prima volta nella storia del Consiglio europeo. Il Consiglio ha potuto decidere di tenere la conferenza intergovernativa che ha prodotto l’Atto Unico, e con ciò ottenere il rilancio che ha preceduto la presente situazione precostituente.
In seguito ci fu la campagna esemplare per il referendum del giugno 1989. Il lavoro immane del MFE si è concretizzato nel voto unanime del Parlamento italiano, con un solo voto contrario al Senato, in favore dell’approvazione della necessaria legge costituzionale. Inoltre la parte della campagna rivolta all’opinione pubblica ha prodotto un risultato straordinario, il «sì» dell’88% dei votanti in favore di una «Unione dotata di un governo responsabile di fronte al Parlamento europeo» e del mandato costituente al Parlamento europeo. Dopo questo risultato, tutti i politici dovrebbero sapere che una presa di posizione contro l’Europa federale sarebbe rifiutata dai cittadini, e non si deve sottovalutare l’importanza di questo fatto, quando nuove forze politiche stanno per dominare la scena politica italiana.
 
Spinelli, il MFE e Monnet.
 
Dopo quanto ho detto finora, potreste pensare che io creda che Spinelli ed il MFE siano stati quasi perfetti e che abbiano avuto quasi sempre ragione. Ma questo non è vero. Credo infatti che essi non abbiano saputo apprezzare il genio politico di Jean Monnet ed il suo contributo alla costruzione della Federazione europea.
All’inizio, per la verità, Spinelli ha apprezzato Monnet. Egli scrisse nel Diario del 1952 che «è sicuro che egli vuole arrivare ad una federazione», cioè che Monnet era un vero federalista.[14] Spinelli aveva da poco scritto il discorso di Monnet per la seduta inaugurale dell’Alta Autorità, nel quale sottolineava l’avvenuta messa in comune di una parte della sovranità degli Stati membri, i quali avevano così abbandonato la sovranità assoluta. Il discorso individuava anche gli elementi federali della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA): l’esecutivo indipendente dai governi degli Stati membri e responsabile invece di fronte ad un’Assemblea eletta dai parlamenti e con la prospettiva di elezioni dirette; le relazioni dirette con le imprese, anche per l’imposizione di tributi; il ricorso ad un tribunale europeo indipendente, la Corte di Giustizia. Queste istituzioni erano, scrisse Spinelli e disse Monnet, «supranationales et, disons le mot, fédérales», sovrane nei limiti della loro competenza.[15] Queste parole non sono state dette alla leggera da Monnet. Egli lavorava per ore e per giorni sui suoi discorsi, considerando e pesando con i suoi collaboratori ogni parola. E Spinelli e Monnet erano stati d’accordo che le istituzioni della CECA erano prefederali. Benché Monnet, secondo Spinelli, non avesse «la minima idea di cosa voglia dire fare una costituzione»,[16] il fine voluto da lui era la federazione, e Spinelli era pienamente cosciente di ciò.
Questi aveva anche riconosciuto la straordinaria capacità di Monnet, che non soltanto aveva identificato il fine essenziale, ma anche individuato la situazione nella quale un progresso significativo verso questo fine era realizzabile, fatto il suo piano per approfittare di questa situazione, e persuaso i politici-chiave (Schuman, Adenauer) che dovevano fare il necessario per attuare il piano. Spinelli aveva capito tutto questo, ma dopo la caduta del progetto per la Comunità politica egli perse la sua stima per il lavoro di Monnet. All’indomani della conferenza di Messina, scrisse della «liquidazione di Monnet»;[17] e nel Diario dell’indomani del 25 marzo 1957, il giorno della firma dei Trattati di Roma, scrisse: «Ho visto anche Monnet. Veramente non abbiamo ora più nulla da dirci».[18] Gli atteggiamenti divergenti nell’UEF di fronte a questi Trattati sono stati la causa della scissione fra i federalisti, soprattutto fra tedeschi e italiani, scissione seguita dalla riunificazione del ‘72. Le relazioni fra federalisti sono divenute ottime, in gran parte grazie agli sforzi di molti fra voi in questa sala. Ma la storia e le esperienze lasciano tracce — per servirsi delle parole di Spinelli — sui metodi per analizzare la situazione e per elaborare prospettive alternative; vale forse la pena, seguendo l’esempio di Spinelli stesso, di utilizzare le esperienze del passato per trarre conclusioni per il lavoro futuro. Lavoriamo meglio insieme se comprendiamo le analisi degli altri. Spero, dunque, che mi perdonerete se vi espongo le mie conclusioni su questo tema.
La parola funzionalismo viene utilizzata, mi pare, in due sensi. L’uno è il funzionalismo solamente intergovernativo, che ha perseguito per esempio il governo britannico, preferendo «organi europei in cui i rappresentanti dei singoli Stati cominceranno a sviluppare e ad amministrare alcune faccende europee», per servirsi ancora una volta delle parole di Spinelli.[19] Questo funzionalismo non ha niente a che fare con il federalismo. Ma l’altro senso è quello di un funzionalismo basato su istituzioni, strumenti e poteri prefederali: il funzionalismo di Monnet, che si potrebbe forse chiamare un federalismo funzionalista. Questa era certo l’opinione di Spinelli quando ha scritto il discorso inaugurale di Monnet. Credo che questa sia stata ancora una volta la politica del MFE quando, dopo il rifiuto del monnetismo durante il periodo del Congresso del popolo europeo ed un processo di riflessione negli anni Sessanta, il MFE decise nel 1972 di riunirsi con i Tedeschi ed altri monnetiani, accettando che la costituzione sarà possibile «solo dopo il perseguimento di obiettivi intermedi tali da creare una situazione precostituente».[20]
Fra tali obiettivi intermedi i più importanti sono, secondo me, gli elementi prefederali nelle istituzioni e nei poteri della Comunità, incluse le elezioni dirette del Parlamento europeo che Albertini ha proposto già negli anni Sessanta e la moneta europea che egli ha sostenuto già nel 1972.[21] Anche Spinelli ha accettato, nel progetto di Trattato, che le istituzioni federali avessero competenze nei campi economico e sociale, ma che nel frattempo la difesa fosse gestita da un sistema piuttosto confederale. In questa prospettiva si può definire il processo dell’aumento sia degli elementi prefederali delle istituzioni che delle competenze di carattere prefederale della Comunità «una serie di atti costituzionali», utilizzando il termine felice di Lucio Levi.[22] In questa prospettiva il federalismo costituzionalista di Spinelli ed il federalismo funzionalista di Monnet sono complementari.
I federalisti, spinelliani e monnetiani, hanno ottenuto una serie molto significativa di atti costituzionali. Benché il sostegno di interessi particolari, ora economici, ora politici, sia stato importante, l’iniziativa è stata sempre presa dai federalisti, talvolta monnetiani, talvolta spinelliani, talvolta dagli uni e dagli altri insieme. Fra gli atti costituzionali e gli elementi prefederali si devono citare: la CECA, con le sue istituzioni prefederali; i Trattati di Roma, che allargavano il raggio d’azione delle istituzioni con la competenza per il mercato comune ed altre materie; le elezioni dirette; il Sistema monetario europeo, mirante alla moneta europea; l’Atto Unico, con la creazione del mercato unico, la votazione a maggioranza nel Consiglio ed un ruolo più importante per il Parlamento (non un «topolino morto», ma l’inizio del rilancio che ha condotto al Trattato di Maastricht); e questo Trattato, con la moneta unica, la Banca centrale europea, alcuni poteri in più per il Parlamento e l’inizio della cooperazione nel campo della difesa. E’ vero che tutto questo non è la costituzione: sono però passi verso la costituzione. E non sono neanche piccoli passi, sono medi e talvolta grandi passi, i quali hanno creato la presente situazione precostituente.
Che cosa rimane da fare per fondare la federazione come era stata definita nelle «Tesi politiche» della riunione di via Poerio cinquant’anni fa? La Comunità possiede già i poteri relativi al commercio e, con il Trattato di Maastricht, quelli relativi alla moneta. Rimane, della lista delle «Tesi», soltanto la difesa, prudentemente lasciata, nel progetto di Trattato di Spinelli, a una riforma ulteriore. Per quanto riguarda le istituzioni, la Comunità ha già una Corte ed un sistema giuridico quasi federale; un esecutivo, la Commissione, per la quale la riforma più importante sarebbe di divenire responsabile davanti al Parlamento (riforma già avviata dal Trattato di Maastricht); ed un legislativo finora dominato da una Camera degli Stati, cioè dal Consiglio, nel quale, comunque, le decisioni legislative vengono prese in gran parte a maggioranza, ed il quale deve condividere il potere legislativo, anche se in limiti finora assai stretti, con il Parlamento, cioè con la Camera del popolo. Si può concludere che il difetto principale di questo sistema istituzionale rimane il quasi monopolio di potere del Consiglio e che la riforma cruciale sarebbe dunque la codecisione generale fra il Parlamento ed un Consiglio che decide a maggioranza.
Se accettiamo che l’integrazione delle forze armate possa essere rimandata, come previsto nel progetto di Trattato di Spinelli, ad una fase ulteriore, gli elementi cruciali di cui abbiamo bisogno sono la moneta unica e la codecisione fra Parlamento e Consiglio. La moneta unica, nonostante le difficoltà, è già prevista dal Trattato di Maastricht. L’elemento cruciale che manca è allora la codecisione: soltanto una parola, ma che ha suscitato resistenze ostinate in alcuni Stati membri, legati al culto della sovranità. Una riforma difficile, ma essenziale. Abbiamo bisogno della democrazia europea e la democrazia europea non c’è. Questa deve essere al centro della nostra battaglia degli anni Novanta: la battaglia per la costituzione europea.
 
La costituzione negli anni Novanta: l’ultima battaglia europea.
 
Ai cittadini non piace essere governati clandestinamente. Forse con la moneta unica e con la codecisione generalizzata, cioè con la democrazia europea, avremo de facto un’unione federale. Ma per la grande maggioranza dei cittadini tutto questo è incomprensibile. I cittadini non sapranno come sono governati al livello europeo fino a quando entrerà in vigore una costituzione che renda tutto questo più chiaro. E’ inoltre probabile che la volontà politica per fare riforme ulteriori mancherà se non sarà legata ad un progetto di costituzione.
Vada sé, dunque, che il MFE ha avuto ragione quando insisteva, al Congresso di quest’anno a Pescara, sulla «necessità di far intervenire nel processo il popolo federale europeo attraverso i suoi legittimi rappresentanti».[23] Le elezioni europee del 1994 saranno una grande opportunità per intensificare la campagna per la costituzione. Se questa sarà approvata nei due anni successivi, almeno da un nucleo importante di Stati, la situazione europea sarà trasformata. Questo è lo scopo della campagna. Faremo quanto sta in noi per raggiungerlo, ma niente nella vita politica europea è sicuro. Non dovremmo essere troppo delusi se in questo periodo ottenessimo soltanto la conferma del programma per l’introduzione della moneta unica, un rafforzamento dei poteri del Parlamento e qualche progresso verso una politica comune di difesa. Ma la piattaforma dalla quale lanceremo la costituzione potrà essere allora un po’ più alta. E’ assolutamente essenziale ottenere la costituzione prima della fine del secolo. La moneta europea sarà già stata creata; i paesi dell’Europa centrale staranno per entrare nella Comunità; ci saranno altre sfide, forse più urgenti. Le elezioni del 1999 presenteranno l’opportunità per la grande campagna definitiva per la costituzione.
I principali elementi della situazione sono attualmente i seguenti. La Francia rimane impegnata a favore della moneta unica, ma è meno entusiasta per quanto riguarda i poteri del Parlamento europeo. La Germania è impegnata a favore della codecisione, ma lo è meno per la moneta unica. Il governo britannico spera di allearsi con i Francesi sul Parlamento e con i Tedeschi sulla moneta, in questo modo impedendo sia la creazione della moneta che la codecisione. L’intento dei federalisti è opposto: un accordo fra Francesi e Tedeschi per realizzare tutte e due. Bisogna ammettere che Francesi e Tedeschi, o ambedue, potrebbero cambiare il loro orientamento in senso sfavorevole.
Ma è lecito anche sperare che la Gran Bretagna, con entrambi i partiti principali dell’opposizione favorevoli sia alla codecisione che alla moneta unica, possa cambiare e avviarsi nella buona direzione. La maggioranza degli altri paesi è per la moneta, la codecisione e l’Unione federale; inoltre sono favorevoli molte forze economiche e sociali, e gli importanti partiti transnazionali europei, senza parlare del Parlamento europeo e della Commissione, e, last but not least, i Movimenti federalisti. Tutti questi avranno la loro influenza sul risultato finale, ed uno dei fattori più importanti sarà un’Italia rinnovata.
L’Italia, dopo l’attuale rivoluzione basata sul primato del diritto (the rule of law), sarà governata da una classe politica largamente rinnovata. Cruciale sarà l’atteggiamento di questa classe verso la federazione e la costituzione europea. A questo riguardo il risultato del referendum dell’89 è molto importante: non si può ignorare l’88% dei cittadini. Forse i federalisti italiani potrebbero anche servirsi delle idee del federalismo interno, enunciate da Cattaneo ed affermate da Rollier ed altri rappresentanti delle vallate alpine nella dichiarazione di Chivasso, pubblicata poco dopo la fondazione del MFE cinquant’anni fa, chiedendo un regime «democratico-federale» a base regionale e cantonale.[24]
Se la nuova classe politica italiana raggiungerà successi politici ed economici, e se sarà federalista, il ruolo degli Italiani rispetto alla costituzione federale europea potrebbe essere decisivo. E’ certo che il futuro federale dell’Europa dipende anche dai federalisti italiani. Ed è addirittura possibile che esso dipenda soprattutto da essi. Questa, mi pare, è la sfida che dovete affrontare in questo decennio. Sono sicuro che il MFE sarà all’altezza di questa sfida.
E’ dunque non solo con ammirazione per tutto ciò che è stato compiuto nel passato che saluto oggi il MFE, ma anche con grande speranza per i vostri sforzi ed i vostri successi nel futuro. E’ stato un grande onore per me lavorare con voi e, oggi, parlare al Convegno celebrativo dei cinquant’anni del Movimento. Saluto il MFE dopo questi primi cinquant’anni, gli auguro buon lavoro per il decennio a venire per la realizzazione della Federazione europea, ma anche per i prossimi cinquant’anni nei quali i federalisti dovranno realizzare la Federazione mondiale.


* Questo saggio e quelli che seguono sono i contributi, pervenutici in forma scritta, al Convegno internazionale «L’Europa alla resa dei conti: federalismo o nazionalismo», tenutosi a Milano il 26 novembre 1993 in occasione del 50° anniversario della fondazione del Movimento federalista europeo.
[1] Altiero Spinelli, Come ho tentato di diventare saggio. Io, Ulisse, Bologna, 1984, p. 342.
[2] Ibidem, pp. 307-8.
[3] Le «Tesi politiche» sono riprodotte in Lucio Levi e Sergio Pistone (a cura di), Trent’anni di vita del Movimento federalista europeo, Milano, 1973, pp. 66-70.
[4] Mario Albertini, «Altiero Spinelli, eroe della ragione», in Il Federalista, XXVIII (1986), pp. 3-4.
[5] Altiero Spinelli, Diario europeo 1948-1969, (a cura di Edmondo Paolini), Bologna, 1989, p. 167.
[6] Karl-Heinz Koppe, Das grüne E setzt sich durch. 20 Jahre Europa Union Deutschland 1946-1966, Colonia, 1967, p. 68.
[7] Altiero Spinelli, Discorsi al Parlamento europeo 1976-1986 (a cura di Pier Virgilio Dastoli), Bologna, 1987, p. 369.
[8] Mario Albertini, op. cit.
[9] Francesco Rossolillo, «Spinelli, uomo dell’opera», in Il Federalista, XXVI (1984), pp. 138-145.
[10] Altiero Spinelli, lo, Ulisse, cit., p. 343.
[11] Altiero Spinelli e Ernesto Rossi, Il Manifesto di Ventotene, Napoli, 1982, p. 37.
[12] Altiero Spinelli, Diario europeo 1948-1969, cit., pp. 415,417.
[13] Altiero Spinelli, Diario europeo 1948-1969, cit., p. 330 (citato in Gianni Merlini, «Altiero Spinelli ovvero la concretezza dell’utopia», in Il Mulino, n. 5, 1990, p. 838).
[14] Altiero Spinelli, Diario europeo 1948-1969, cit., p. 163.
[15] Jean Monnet, Les Etats-Unis d’Europe ont commencé, Parigi, 1965, pp. 47-50; Altiero Spinelli, Diario europeo 1948-1969, cit., pp. 142-3.
[16] Altiero Spinelli, Diario europeo 1948-1969, cit., p. 163.
[17] Ibidem, p. 269.
[18] Ibidem, p. 311.
[19] Altiero Spinelli, «Discorso al III Congresso nazionale del MFE (1949)», in Sergio Pistone, L’Italia e l’unità europea dalle premesse storiche all’elezione del Parlamento europeo, Torino, 1982, p. 186.
[20] «Documento approvato dal XIII Congresso del MFE», in Lucio Levi e Sergio Pistone (a cura di), Trent’anni di vita, cit., p. 419.
[21] Ibidem, pp. 335, 352.
[22] Lucio Levi, The History of Europe’s Draft Constitutions (relazione per il seminario Federal Trust-UEF, Londra, 9-11 luglio 1993).
[23] «Le responsabilità dell’Europa nel mondo e il ruolo dei federalisti» (documento pre-congressuale della segreteria del MFE), in L’Unità europea, XX, marzo-aprile 1993, p. 6.
[24] «Dichiarazione dei rappresentanti delle popolazioni alpine (Carta di Chivasso)», in L’Unità europea, II, luglio-agosto 1944. Cfr. anche Cinzia Rognoni Vercelli, Mario Alberto Rollier, un valdese federalista, Milano, 1991, capitolo VI.

 

 

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