IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno XXXIX, 1997, Numero 1, Pagina 44

  

 

LA VIA MAESTRA DELL’EUROPA*
 
 
La costruzione dell’Europa ristagna perché i partiti e i governi hanno preso una via tortuosa invece della via diritta. Dopo la fine della seconda guerra mondiale i federalisti, che avevano compreso che il problema centrale della vita politica sarebbe stato quello dell’unità europea, hanno sostenuto che si doveva cominciare dalla costruzione di un potere federale europeo con una Assemblea costituente. I partiti e i governi, che hanno invece capito tardi e male l’importanza decisiva del problema europeo, hanno cercato prima la via dell’Europa a pezzetti — i pools specializzati — poi quella dell’Europa economica senza controllo democratico. E oggi l’Europa, priva della forza democratica costituita dal voto del popolo, è paralizzata. Non potendo far sentire il peso della sua volontà democratica nella politica mondiale, non solo non riesce a completare l’unione economica dei Sei e affronta male il problema della Gran Bretagna e degli altri paesi della zona di libero scambio, ma continua a subire la divisione tra la parte orientale e quella occidentale impostale dagli Stati Uniti e dall’Unione Sovietica, assiste impotente al ritorno del nazionalismo, non ha ancora debellato il fascismo in Spagna e in Portogallo, e lo ha visto impiantarsi perfino in Grecia con la connivenza americana, senza poter reagire efficacemente.
In questa situazione, alcune personalità lungimiranti, nell’ambito dell’Europa dei Sei, riconoscono ormai che i federalisti avevano ragione quando affermavano che il Mercato comune non avrebbe portato da solo all’Europa, e ammettono finalmente che la costruzione dell’Europa esige la volontà di compiere un salto qualitativo, che può essere preparato, ma non sostituito, da una politica evolutiva. Per diventare un criterio operativo, l’esigenza di compiere un salto qualitativo deve essere tuttavia precisata. Qual è il salto qualitativo da fare? I federalisti tornano a dire: la creazione democratica di un potere federale, ossia la convocazione di una Assemblea costituente. Non si tratta di una affermazione soltanto teorica. In primo luogo, non si può vincere la battaglia per l’Europa, e dare all’Europa una funzione progressiva, senza mobilitare la volontà democratica degli Europei, e questa mobilitazione si può fare solo con una Assemblea costituente. In secondo luogo, non si può orientare l’azione attuale senza tener presente questo obiettivo. E’ perché lo tengono presente che i federalisti propongono di isolare De Gaulle con elezioni unilaterali dirette dei delegati del Parlamento europeo negli altri paesi, per creare un moto irresistibile verso l’elezione europea di questo Parlamento e, una volta schierati i partiti a livello europeo e ottenuto il consenso popolare a questo livello, passare alla fase costituente, che diverrebbe lo sbocco logico della situazione.
Una utopia? In ogni modo, è la pietra di paragone della volontà democratica dei partiti. E’ legittimo impedire al popolo federale europeo, che sta formandosi con la società pluralistica europea, di controllare il Mercato comune con un governo democratico? D’altra parte, uno sguardo al passato, e all’occasione perduta — la storia di questo secolo in Europa è una storia di occasioni perdute — è rivelatore. E’ un fatto che un potere federale avrebbe portato avanti molto meglio l’unificazione economica dell’Europa, senza le soluzioni di mercanteggiamento tra i governi nazionali che hanno dato alla politica agricola comune un carattere conservatore; senza trovarsi di fronte gli ostacoli legali, amministrativi e politici derivanti dalle sovranità nazionali che, mentre subordinano il settore sindacale, confinato nelle nazioni, al settore padronale, impediscono poi alle aziende di raggrupparsi efficacemente a livello europeo, permettendo così l’assalto del capitale americano alle aziende di punta del Mercato comune.
E’ un fatto altresì che un potere federale avrebbe permesso di utilizzare veramente il potenziale democratico della Gran Bretagna, non appena essa avesse chiesto, come avrebbe fatto trovandosi di fronte a un primo nucleo federale invece che al solo Mercato comune, di entrare nella Federazione europea. Ed è un fatto che con questo potere non avremmo assistito al ritorno di De Gaulle, e del nazionalismo, in Francia e altrove. Ma c’è di più. C’è il ruolo che avrebbe assunto questo potere federale in Europa e nel mondo. Per quanto riguarda l’Europa, basta chiedersi che evoluzione avrebbe preso il disgelo in Europa orientale in presenza di una Federazione europea pronta ad accogliere tutti i popoli fratelli; basta considerare che la spinta verso l’Europa economica che si manifesta in Spagna e in Portogallo, confrontata a un potere federale, avrebbe già fatto cadere queste vecchie dittature fasciste; basta tener presente che la Grecia, associata al Mercato comune, sarebbe stata invece un membro della Federazione europea, il che significa che non ci sarebbe stato più un esercito greco, ossia la fonte della reazione fascista.
Per quanto riguarda il mondo, basta tener presente che nel settore economico, dove l’Europa dei Sei ha già alle sue spalle una unità, anche se imperfetta, essa è riuscita con il Kennedy Round, e soprattutto con le discussioni monetarie, a raggiungere un potere contrattuale nei confronti degli Stati Uniti, sufficiente per costringere il governo americano, nei settori monetario e doganale, all’equal partnership, auspicata da Kennedy. Nell’Europa dei Sei c’è più oro che in America del Nord e ci sono molti dollari. Una Europa costituita politicamente, minacciando il governo americano di chiedere la conversione dei dollari in oro — come gli Americani minacciarono gli Inglesi di vendere le sterline in loro mano per fermare la spedizione militare anglo-francese contro l’Egitto — potrebbe indurre gli Americani a sospendere i bombardamenti sul Vietnam, e a preparare davvero la pace. Questo esempio è sufficiente per capire che ruolo potrebbe assumere l’Europa a favore della fine dei blocchi, della distensione, dell’evoluzione del Terzo mondo. Ma non basta ancora per capire sino in fondo il significato storico dell’avvento dell’Europa federale.
Il problema della pace non si risolve, in ultima istanza, senza un governo federale mondiale. Il problema dello sviluppo economico democratico non si risolve, in ultima istanza, senza la marcia verso la pace, senza una pianificazione a livello continentale, e senza l’autonomia delle regioni, per dare al piano una base umana e comunitaria. Ciò mostra che il mondo può evolvere solo con una visione federalistica. Con una Assemblea costituente federale, raccogliendo la gloriosa eredità delle rivoluzioni liberale, democratica e proletaria, l’Europa avrebbe già dato al mondo la coscienza federalistica di cui ha bisogno.
Orbene, nessun ostacolo, se non quello interno costituito dal peso della sclerosi ideologica e dagli errori nel giudicare la fase attuale della storia mondiale, avrebbe impedito ai partiti, dopo la seconda guerra mondiale, di convocare un’Assemblea costituente europea. Una socialista inglese, Barbara Wootton, durante la guerra affermò addirittura che era impensabile che i partiti socialisti decidessero di ricominciare la storia d’Europa sulla base delle funeste divisioni nazionali del passato invece che sulla base dell’unità federale europea. Tutto ciò, purtroppo, è accaduto, con le conseguenze che abbiamo mostrato, e che avevamo previsto. Ma siamo ancora in tempo per rimediare. E la pietra di paragone resta la Costituente europea: resta la volontà di prepararla con l’elezione unilaterale diretta dei delegati al Parlamento europeo.
 
Mario Albertini


* Questo testo è stato pubblicato in francese in Le Fédéraliste, IX (1967), p. 147.

 

 

 

 

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