IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno LVI, 2014, Numero 1-2, Pagina 87

 

 

L’Ucraina tra Est e Ovest

 

STEFANO SPOLTORE

 

 

I drammatici avvenimenti che dalla fine del 2013 si stanno verificando in Ucraina, pongono seri interrogativi sui futuri scenari geopolitici in Europa e nel mondo. La crisi ucraina non è solo una crisi regionale, perché uno dei paesi maggiormente coinvolti, la Russia, sta ritornando prepotentemente sulla scena politica decisa a svolgere, come nel recente passato, un ruolo primario nello scacchiere internazionale. Per gli europei capire il processo in corso è indispensabile per la loro stessa sopravvivenza.

 

Riepilogo dei fatti.

La decisione del presidente Yanukovich di non siglare l’accordo di associazione all’Unione europea nel novembre 2013,[1] ha dato il via ad una serie di manifestazioni di protesta dapprima nella capitale Kiev e poi via via in altre città dell’Ucraina sino a degenerare in una guerra civile dai risvolti e dalle conseguenze all’inizio inimmaginabili. L’annuncio della mancata sigla dell’accordo di associazione è avvenuto in modo eclatante e del tutto imprevisto, cogliendo impreparata l’Unione europea e riconfermando ancora una volta il comportamento disinvolto e spregiudicato della classe dirigente al governo in Ucraina. Con la rinuncia alla firma, l’Ucraina ha accettato nel contempo la proposta di consistenti aiuti economici e finanziari da parte della Russia che puntava, con l’Ucraina, a rafforzare il proprio progetto di accordo doganale con molte delle repubbliche che un tempo facevano parte dell’Unione Sovietica. Alla mancata associazione all’Unione europea hanno fatto seguito proteste che, partite inizialmente in forma pacifica, sono poi divenute una aperta e violenta contestazione contro la classe governativa accusata, giustamente, di corruzione, nepotismo e incapacità di gestire il bene pubblico. La violenza ha poi preso il sopravvento, imponendo la fuga in Russia del Presidente Yanukovich. L’Ucraina è così precipitata in una crisi gravissima che il governo provvisorio è stato del tutto incapace di gestire, non riuscendo a far rientrare la protesta. Nonostante il radicale cambio dell’intero corpo ministeriale, la piazza centrale di Kiev è rimasta occupata dalle frange più estreme della destra nazionalista che ha imposto ai nuovi governanti, come primo atto, l’abolizione del russo come lingua ufficiale, mentre alla Procura generale della Repubblica veniva eletto un membro del partito Svoboda che ha tra i propri ideologi Bandera, leader del partito nazista ucraino all’epoca della occupazione tedesca durante la Seconda guerra mondiale. Nel frattempo, monumenti dedicati a Lenin e ai soldati sovietici caduti nel corso della guerra contro l’invasore nazista venivano abbattuti in molte città dell’Ucraina centrale e occidentale. Al contrario nelle regioni dell’est del paese si formavano comitati a difesa dei monumenti ex-sovietici e a sostegno di una maggior vicinanza alla politica della Russia.

In questo contesto il governo russo ha mosso critiche sempre più dure al neo governo in Ucraina accusandolo di essere illegittimo, fascista e di non tutelare la minoranza russofona presente nel paese – che è pari al 20%, ma che nelle regioni dell’est raggiunge oltre l’80% della popolazione. Le proteste nell’est del paese hanno raggiunto lo scopo di far rientrare la legge contro l‘uso del russo come lingua ufficiale a fianco di quella ucraina, ma i sospetti reciproci si sono ulteriormente accresciuti: una parte della popolazione accusa l’altra di nutrire un viscerale odio anti russo, l’altra risponde denunciando l’odio anti occidentale, e in questo quadro cresce uno spiccato nazionalismo ucraino che rifiuta sia la Russia sia l’Unione Europea come modelli.

La domanda da porsi, pertanto, è se alla base della crisi in Ucraina vi siano solo i limiti della classe dirigente che ha guidato, e che tuttora guida la nazione, oppure se le ragioni non siano più profonde e strutturali, e se l’Unione europea non ha avuto a sua volta una parte di responsabilità nell’innescare la tensione.

 

Alle origini della crisi.

L’Ucraina in quanto Stato indipendente è sorto solo nel 1991, all’indomani del crollo dell’Unione Sovietica. In precedenza questa vasta regione era stata oggetto di aspre contese territoriali sin dai tempi più antichi, ma non aveva mai conosciuto una propria unità statuale. Le zone dell’Ucraina occidentale e centrale, sono state per secoli sotto il controllo politico militare del regno di Svezia e Polonia, dell’Impero Austroungarico, dell’Impero Ottomano. Le aree più a est e la penisola della Crimea (spesso contesa), sono state invece storicamente sotto controllo russo. E’ questa la ragione per la quale l’Ucraina moderna ha una doppia anima: le province centrali e occidentali si sentono storicamente e culturalmente più vicine all’Europa occidentale mentre le province orientali si sentono più vicine alla Russia.

Questa doppia anima del paese fu fortemente contrastata sin dai tempi dell’Impero zarista e ancor più duramente in epoca sovietica, quando furono imposte migrazioni di massa negli anni Venti e Trenta al fine di russificare l’intera regione – anche a costo, negli anni 1932 e 1933, di impedire alla popolazione di uscire dai confini ucraini per far rispettare i programmi di produzione agricola esorbitanti che il governo di Mosca aveva imposto. Morirono così per fame milioni di ucraini cui veniva sequestrato il grano. Questi fatti, nella memoria della popolazione locale, non sono stati dimenticati e vengono ancora oggi ricordati dai nazionalisti e non solo da loro, per contrastare le simpatie russofone.

E’ bene ricordare che la produzione agricola è concentrata nelle regioni centrali e occidentali del Paese. L’Ucraina è un grande produttore ed esportatore di grano e un paese ricco di miniere di carbone e ferro.[2] Ma con l’indipendenza il neo Stato è precipitato da subito in una profonda crisi che anziché favorire lo sviluppo ha portato allo sfaldamento dell’intero sistema economico. L’industria mineraria (concentrata nell’est del Paese) e quella agroalimentare (nelle regioni del centro dell’ovest) in oltre venti anni hanno conosciuto un lento degrado sino ad arrivare in alcuni casi al blocco della produzione industriale a seguito del mancato rinnovamento tecnologico oppure per la semplice mancanza di pezzi di ricambio. La dirigenza politica al potere proveniva dalle fila delle gerarchie ex-sovietiche e dirigenti di grandi aziende si sono così ritrovati all’indomani del crollo sovietico a possedere intere aziende e ad essere milionari.[3] Questi stessi oligarchi si sono contesi e si contendono tuttora il potere. La lotta tra i vari aspiranti leader ha conosciuto momenti estremamente aspri e già nel 2004[4] la piazza Indipendenza di Kiev, divenuta ancor più famosa di recente semplicemente come piazza Maydan, era stata occupata da manifestanti contrari alla elezione a presidente di Yanukovich, che, infatti, ritroviamo al centro delle polemiche nel novembre 2013.

Con una perenne lotta politica in atto, una corruzione dilagante[5] e un’economia stagnante per i mancati investimenti, nonostante le ingenti ricchezze minerarie il paese è stato costretto a forti importazioni dalla Russia, in primis di gas, per garantire non solo il riscaldamento delle città, ma anche il funzionamento delle obsolete fabbriche metalmeccaniche e il funzionamento delle miniere estrattive. Nel contempo la Banca centrale, sino alla fine del 2013, ha prosciugato le riserve per cercare di mantenere una parità surreale sia con il dollaro, sia con l’euro; il risultato è stato che, con l’esaurirsi delle riserve, lo Stato ha dovuto ritardare il pagamento delle pensioni e ha imposto a molti impiegati statali le ferie forzate non pagate.[6]

Alla base della mancata firma dell’accordo di associazione vi è stato, pertanto, il disperato bisogno di denaro che la Banca centrale ucraina stimava, a novembre 2013, in 15 miliardi di dollari, necessari per poter far fronte alle scadenze dei titoli del marzo 2014. A quel punto la crisi politica era solo questione di mesi. Prima che la situazione sfuggisse di mano, l’Unione europea venne interpellata per avere l’aiuto finanziario e ottenere così anche la firma dell’accordo di adesione. L’Europa rispose offrendo 1 miliardo di dollari ai primi di dicembre 2013 per voce dell’Alto Rappresentante per la politica estera Catherine Asthon. La cifra era assolutamente insufficiente, e il governo di Kiev la giudicò, sprezzantemente, poco più di un’elemosina. Nel frattempo, Mosca offrì 15 miliardi e un forte ulteriore sconto sul prezzo del gas rispetto a quello già in essere.[7]

Sulla rottura con l’UE a favore dell’accordo con la Russia si scatenò, dunque, la crisi travolgente che, partendo da Kiev, si allargò via via nel resto delle regioni occidentali che contestavano al governo il servilismo filo russo. Al contrario nelle regioni dell’est, denominate del Donbass, e in Crimea, si svolgevano manifestazioni a favore dell’accordo con la Russia. In questa area del paese, inoltre, si sono tenuti scioperi da parte dei minatori che, oltre a rivendicare migliori condizioni di lavoro e salariali, protestavano contro la richiesta del governo transitorio di imporre ai lavoratori una tassa del 10% sullo stipendio per finanziare la ricostruzione degli edifici governativi e non di Kiev, distrutti durante le manifestazioni di protesta.[8]

Il paese è così precipitato in una guerra civile che ha colto del tutto impreparata in primis l’Unione europea, che, ancora all’inizio del 2014, non sapeva quale posizione tenere. Si è trattato dell’ennesima conferma dell’impotenza dell’Europa divisa, che non riesce ad articolare una linea politica coerente e neppure a prevedere – figuriamoci a prevenire – lo scoppio delle tensioni ai propri confini.

 

L’Ucraina o Piccola Russia e la Grande Russia.

La crisi in Ucraina ha riacceso in Russia forti sentimenti di rivalsa verso il mondo intero, con il Presidente Putin che si è speso da subito in prima persona per gestire la crisi. Ma per comprendere l’importanza che ha l’Ucraina nella politica di potenza russa occorrono alcune precisazioni per evitare di cadere nella semplificazione che vede la Russia desiderosa solo di ripristinare i vecchi confini dell’URSS.

L’Ucraina è la regione dalla quale è nata la Russia stessa. Per questo viene denominata la Piccola Russia, mentre la Grande Russia tout court è quella che fa capo a Mosca. Fu da Kiev che si espanse il Principato di Rus intorno al IX sec. per spingersi sino a conquistare le regioni del Mar Baltico.[9] E’ dal Principato di Rus che deriva il nome stesso della Russia. Il seme originario della Russia è in Ucraina. I mitici cosacchi dello zar, ancora oggi un corpo speciale dell’esercito russo, nacquero in Ucraina nella regione dell’est di Zaporizhya. Ed è sempre a Chersonero, in Ucraina, che gli antichi russi accolsero la religione cristiana di rito orientale-bizantino.[10]

Ma se la storia della Russia ha le proprie radici in Ucraina, ragioni più prettamente politiche e di ragion di Stato l’hanno spinta a svolgere un ruolo di primo attore nella regione. Che il Presidente Putin ambisca a restituire alla Russia un ruolo primario nel mondo è fuor di dubbio, così come lo è il fatto che abbia più volte dichiarato che il crollo dell’Unione Sovietica è stata una tragedia.[11] In più occasioni, sin dall’inizio della crisi ucraina, il governo russo ha aspramente criticato le manifestazioni di massa e le violenze seguite alla fuga del Presidente Yanukovich e l’insediamento provvisorio del nuovo Presidente Yatsenyuk in attesa delle elezioni anticipate. L’accusa principale era che un Presidente democraticamente eletto era stato, di fatto, deposto e che le violenze in atto nel Paese erano animate da uno spirito anti-russo che non tutelava più la minoranza russa nel paese. Inoltre il paese veniva costretto a subire i ricatti di una piazza di fatto in mano a movimenti di ispirazione neo fascista (Svoboda e Right Sector).[12]

In questo contesto il governo russo ha da subito sostenuto l’ipotesi di un referendum in quelle regioni della Ucraina che chiedevano di fare ritorno alla Federazione Russa, come la Crimea che, di fatto, è oggi parte integrante della Russia nonostante il rifiuto dell’intero Occidente di accettare l’esito referendario. Ma a queste vicende interne alla Ucraina vanno aggiunte alcune questioni di politica generale che hanno indotto la Russia ad agire con fermezza. Una fermezza che ha portato il governo ucraino e l’Occidente intero ad accusare la Russia di aggressione e di sobillare la divisione del paese. Ha così avuto inizio una lunga polemica di reciproche accuse di ingerenza. Le dichiarazioni del Ministro degli affari esteri russo Sergej Lavrov (“un attacco a cittadini russi è un attacco alla Federazione Russa”) hanno scatenato ulteriori polemiche e rischiato di allargare il conflitto, perché la dichiarazione, se presa alla lettera, consentirebbe alla Russia di intervenire militarmente ovunque lungo gli attuali confini[13] come è già accaduto in passato in Cecenia.

Il punto è che il governo russo ha visto nella prospettiva di adesione dell’Ucraina alla Unione europea una grave minaccia, mentre l’Unione europea, incoraggiata e sostenuta in questo senso dagli USA, non ha fatto nulla per tranquillizzare Mosca, nonostante sia il suo (pur ingombrante) vicino, nonché partner commerciale, in particolare in campo energetico. L’accordo di partenariato proposto alla Ucraina comprendeva una serie di articoli in campo economico che avrebbero sottratto il paese ad una possibile adesione al progetto doganale della Russia. A rafforzare questo aspetto anti-russo, l’accordo prevedeva anche interi articoli dedicati alla “cooperazione nel campo della politica estera e di sicurezza … per promuovere una graduale convergenza in materia di politica estera e di sicurezza, con lo scopo di un coinvolgimento sempre più profondo dell’Ucraina nell’area di sicurezza europea … per approfondire la cooperazione tra le parti nei campi della sicurezza e della difesa”.[14] L’art. 10 dell’Accordo prevedeva la partecipazione della Ucraina nello sviluppo di programmi tecnologici nei settori della difesa militare e non. Prudentemente questa parte dell’Accordo di Adesione, in occasione della firma lo scorso mese di aprile, non è stato siglato, ma l’ambiguità dell’atteggiamento europeo rispetto all’evoluzione dei rapporti tra Ucraina e Russia è stato sicuramente uno dei fattori scatenanti della crisi.

 

Gli Stati Uniti.

L’atteggiamento dell’Unione europea è in larga parte da attribuire alla sua mancanza di autonomia rispetto alla politica estera americana. Sin dal crollo dell’Unione Sovietica, la politica USA verso le nazioni che avevano fatto parte del blocco sovietico è stata quella di favorire qualsiasi politica e leader locale che potesse contrastare un riavvicinamento alla nuova Russia.[15] Ma la politica USA si è spinta ben oltre, appoggiando la candidatura di molti di questi paesi come membri effettivi della NATO con l’obiettivo di restringere ulteriormente il campo di influenza dell’antico rivale e di consolidare un asse di difesa a garanzia delle nuove repubbliche democratiche che, nel contempo, erano entrate a far parte della Unione europea.[16] Questa politica è stata vissuta in Russia come un accerchiamento non solo politico, ma anche e soprattutto militare. E gli Stati Uniti non hanno fatto nulla per smentire questo timore. In Ucraina, mentre nel mese di dicembre iniziavano le prime manifestazioni anche violente contro il governo in carica, deputati repubblicani statunitensi guidati dal sen. McCain erano a Kiev, per garantire il proprio sostegno a favore dell’associazione all’Unione europea.[17] Nel contempo il Segretario di Stato Kerry sosteneva la necessità che Moldavia, Georgia e la stessa Ucraina entrassero a far parte della NATO.[18] Iniziative, queste, che dal punto di vista di Mosca rappresentavano una sorta di provocazione nonché ingerenza diretta degli USA nella crisi ucraina. Si aggiunga che ad aprile il direttore della Cia, John Brennan era a Kiev e la situazione, sempre dal punto di vista di Mosca, era chiara: dietro i manifestanti e gli atteggiamenti anti russi vi erano le manovre degli occidentali sostenuti dagli USA.[19] Così mentre la Russia accusava gli occidentali di ingerenza, a loro volta i governi occidentali accusavano con prove inconfutabili la presenza di miliziani russi dietro le manifestazioni pro-Russia nel Donbass e in Crimea che nel mese di marzo con un referendum approvava il distacco dalla Ucraina per entrare a far parte della Federazione Russa.

In questo contesto di accuse reciproche, qualsiasi proposta di mediazione venisse formulata da una delle parti coinvolte nella crisi, veniva respinta con la motivazione che si trattava di ingerenza.

 

L’Unione europea.

Se è vero che la crisi ucraina è scoppiata per la mancata firma dell’accordo di adesione, è anche vero, al tempo stesso, che in Ucraina una crisi si sarebbe manifestata in ogni caso a causa della grave situazione finanziaria in cui versava la nazione: era solo questione di mesi. Ed è anche vero che, se i governanti ucraini si sono dimostrati incapaci e corrotti, l’Unione europea, da parte sua, ha dato prova di non aver compreso per nulla la situazione interna del paese che stava invitando ad associarsi. In più, nel corso di questi mesi, l’Unione ha svolto un ruolo del tutto marginale, vittima delle proprie divisioni interne, con i sostenitori di una linea di ferma condanna e di rottura di ogni relazione con la Russia (in particolare da parte di Polonia, Repubbliche Baltiche e Svezia – in un tempo lontano conquistatrici di intere regioni ucraine) da una parte, e la posizione dei paesi che cercavano una mediazione dall’altra.

In questo modo l’UE (che pure, con la sua politica di adesione poco lungimirante, ha contribuito a far degenerare la situazione) ha giocato un ruolo del tutto irrilevante nella gestione della crisi, tant’è che in più occasioni è stata tenuta fuori dalle trattative dirette tra USA e Russia (come per esempio in occasione del vertice di Parigi, conclusosi comunque con un nulla di fatto, tra il Segretario di Stato Usa Kerry e il Ministro degli affari esteri russo Lavrov[20]).

L’Unione europea nel corso di questa crisi ha dunque riconfermato tutta la sua inconsistenza politica. In più occasioni, nel corso delle varie trattative per individuare una via di uscita, il Presidente Putin ha chiamato e parlato direttamente con la Cancelliera Merkel, ben sapendo come la posizione tedesca rappresentasse l’unica linea credibile di questa Unione. Un’Unione, va sottolineato, che nei confronti della Russia ha appoggiato le posizioni statunitensi favorevoli a sanzioni economiche, ma sino entro certi limiti. L’Unione europea, infatti, tra le sue tante inefficienze, non ha una propria politica energetica e importa gas mediamente per il 30% dalla Russia tramite gasdotti che transitano proprio dalla Ucraina. Il 30% è però una media che sale al 100% nel caso della Bulgaria, all’80% in quello della Romania e scende appena al 70% per i Paesi Baltici. Non a caso sia il governo bulgaro che quello rumeno sono stati fermamente contrari a sanzioni economiche contro la Russia. L’esportazione del gas rappresenta per la Russia uno straordinario strumento politico. L’Unione Europea potrà diventare autonoma dalla importazioni del gas russo solo dal 2020 (ammesso di adattare da subito le proprie basi di stoccaggio alla diversa qualità del gas statunitense), ma a quel punto la sua dipendenza sarà nei confronti degli USA. Il prezzo del gas è stato un altro strumento di pressione che la Russia ha utilizzato nei confronti del governo di Kiev, innalzando il prezzo di vendita dai $ 265 a $ 385,5 per mille mc subito dopo la caduta del Presidente Yanukovich. Inoltre il Ministero russo per l’energia ha chiesto alla Ucraina il pagamento degli arretrati, rinviati a causa della crisi finanziaria, pari a oltre 1,7 miliardi di dollari, minacciando di sospendere l’erogazione del gas in caso di mancato pagamento. Per evitare il default energetico il nuovo governo ucraino ha chiesto soccorso all’UE e al FMI, che sono intervenuti, anche nel proprio interesse perché in caso di blocco delle esportazioni del gas verso l’Ucraina parte dell’Unione europea rimarrebbe priva di gas.[21] Il governo ucraino teme anche l’innalzamento del 10% sul costo del transito del gas russo verso l’Unione.

E’ da osservare come questa politica dei prezzi applicati dalla Russia verso l’Ucraina, e indirettamente verso l’Unione europea, (in coincidenza con l’acuirsi della crisi in Crimea a ridosso del referendum secessionista) è stata sostenuta dai paesi del BRICS.[22] Un ulteriore segno che qualcosa a livello di politica internazionale sta mutando e i rapporti di forza non sono più solo nelle mani degli USA. L’Europa, purtroppo, non esiste e non è un partner politico credibile.

 

La Cina.

Un paese dei BRICS, la Cina, ha svolto un ruolo silenzioso nel corso della crisi ucraina. Ha sostenuto le posizioni russe astenendosi in sede ONU e ha in più occasioni ribadito di voler mantenere una posizione di neutralità nella crisi in Ucraina. Con l’Ucraina la Cina ha un interscambio di 10 miliardi di dollari ma nei rapporti tra i due paesi vi è un nodo cruciale: il rispetto da parte ucraina di accordi agro alimentari per 3 miliardi di dollari e l’affitto di circa 10 mila ettari di terreno da coltivare a grano. E qui sorge il problema, perché l’Ucraina non ha rispettato la fornitura prevista, programmata e finanziata dalla Cina per ottenere la propria quota di grano. Per questo mancato rispetto degli accordi, il governo cinese ha fatto ricorso contro l’Ucraina presso il tribunale arbitrale internazionale di Londra. E mentre l’Unione europea e gli USA decidono le sanzioni contro la Russia, la Cina ha siglato con la Russia un programma trentennale di importazione del gas per un valore di 400 miliardi di dollari. Un modo per rispondere alle minacce commerciali occidentali non solo da parte russa, ma anche da parte cinese che stipula un accordo economico che avrà inevitabili influssi nel prossimo futuro in campo politico e militare.

 

Il tunnel ucraino.

La complessa situazione che si è creata in Ucraina, la contrapposizione politica che si è radicalizzata in tutta la nazione con scontri militari nelle regioni dell’est (fomentati anche da miliziani russi), la separazione della Crimea e il suo ritorno nella Federazione Russa, rendono le prospettive di pacificazione estremamente difficili. Le recenti elezioni presidenziali di maggio 2014 che hanno visto la vittoria dell’oligarca Poroshenko[23] non sono bastate a rasserenare il clima politico e, anzi, gli scontri armati nel Donbass si sono intensificati. D’altronde l’elezione del nuovo Presidente multimiliardario e conosciuto come il “re del cioccolato”, ripropone di nuovo tutte le recenti contraddizioni dell’Ucraina. Il neo Presidente infatti è stato il primo oligarca a sostenere il movimento Euromaidan fin dall’inizio, ma in passato aveva finanziato il Partito delle regioni del presidente Yanukovic (fuggito in Russia) e, ancora prima, era stato uno dei principali esponenti della rivoluzione arancione del 2005 promossa da Julia Tymoshenko, sua avversaria alle ultime presidenziali.

La frattura geopolitica interna al paese potrebbe trovare una soluzione con l’adozione di un modello istituzionale di tipo federale, che garantisca ampie autonomie regionali. Ma questa proposta, avanzata per altro dal governo di Mosca, ha trovato sia una risposta negativa da parte dei nuovi governanti ucraini, sia un forte scetticismo da parte degli USA e dell’Unione europea. La ragione di fondo di questa contrarietà alla proposta, risiede nel fatto che i protagonisti delle vicende ucraine non si fidano l’uno dell’altro. L’unica via percorribile sarebbe una conferenza di pace, in un paese neutrale, che sia garante nel corso dei colloqui e che ponga intorno al tavolo i quattro attori della crisi: Ucraina, Unione europea, Russia e Stati Uniti. Vista la difficile situazione interna dell’Ucraina o questa nazione fa la scelta di essere neutrale rispetto alla Russia e all’Unione europea stringendo accordi commerciali e politici non esclusivi, oppure è destinata ad una ulteriore frammentazione del proprio territorio rievocando le tristi vicende della ex-Jugoslavia.

 

Il tramonto dell’Occidente.

Nel 1918 venne pubblicato da Oswald Spengler un libro divenuto subito famoso e tradotto in tutto il mondo: Il tramonto dell’Occidente. In Russia, mentre era in piena fase di consolidamento la Rivoluzione, il libro venne tradotto Il Tramonto dell’Europa.[24] Fu l’unica edizione, quella in lingua russa, a tradurre il titolo del libro in modo difforme, ponendo l’accento non tanto sulla crisi dell’Occidente, quanto proprio e solo dell’Europa, come se la Russia non ne fosse una parte integrante. E infatti il ruolo e la politica della Russia non possono guardare solo verso l’Occidente quando la sua posizione geografica e i suoi confini spaziano dall’oceano Pacifico, al mar Baltico, al mar Nero e da qui al Mediterraneo. Vista da Mosca, con le spalle volte al Cremlino, l’Europa occidentale appare come una penisola debole, divisa e impotente.

L’Ucraina e il suo dramma, la sua divisione destinata ulteriormente ad approfondirsi con la guerra civile in atto, sono certamente in primis una sconfitta della classe politica della giovane nazione, ma sono l’ennesima sconfitta anche di un’Europa che, senza un governo e senza una politica estera e di difesa unica, resterà in balia degli eventi, li subirà senza capirli e senza poterli affrontare per dare un proprio contributo. L’Europa diventerà un museo a cielo aperto, esattamente come è accaduto per la Repubblica di Venezia all’indomani della scoperta delle Americhe: dapprima emarginata, indebolita economicamente e finanziariamente, infine un museo di bellezze e di decadenza.

Forse in Russia, nel 1918, avevano già compreso il destino di questa parte del mondo. Allora il punto è: dobbiamo rassegnarci oppure avere un moto di orgoglio e pretendere che almeno i paesi che hanno dato vita ad un’unione monetaria facciano un salto di qualità politica e si battano per un potere politico almeno all’interno dell’euro zona?

 


[1] Il 28 e 29 novembre 2013 si è svolto il Vertice UE di Vilnius con i sei Paesi del Partenariato orientale. Tra le condizioni per la firma, l’Ucraina avrebbe dovuto provvedere alla riforma della giustizia e alla scarcerazione dell’ex-premier Tymoshenko.

[2] Ancora oggi è il nono produttore mondiale di grano.

[3] E’ il caso dell’ex-premier Yulia Tymoshenko che era una funzionaria dell’azienda energetica statale del gas.

[4] Le manifestazioni del 2004 sono passate alla storia come la Rivoluzione Arancione, dal colore delle bandiere sventolate dai manifestanti.

[5] L’Ucraina è al 134° posto su 178 nazioni per livello di corruzione. Fonte Trasparency International 2013.

[6] Il sistema previdenziale ucraino prevede che durante le ferie sono sospesi gli stipendi.

[7] Il prezzo scese a $ 265 per 1.000 mc. Le nazioni europee importatrici lo pagano $ 380.

[8] Il salario medio di un impiegato e di un minatore in Ucraina è di circa € 300, un terzo del pari lavoratore della vicina Russia. Gli scioperi di protesta dei minatori si sono svolti dal 22 al 24 aprile.

[9] R. Bartlett, Storia della Russia, Milano, Mondadori, 2007 pp. 17-35.

[10] V. Strada, Europe, Venezia, Marsilio, 2014, p. 33.

[11] Discorso alla Duma in seduta plenaria in occasione del voto a favore del riconoscimento del referendum della Crimea.

[12] Tra le molte manifestazioni di violenza possiamo ricordare l’aggressione di alcuni deputati del partito Svoboda che hanno fatto irruzione nella sede della televisione di Stato a Kiev, picchiando in diretta tv il Direttore e chiedendo le sue dimissioni per aver trasmesso integralmente un discorso di Putin. Oppure l’aggressione a due candidati alle presidenziali la cui colpa era di essere originari del Donbass e di essere di madrelingua russa.

[13] Dichiarazione avvenuta nel corso di una intervista nel programma SophieCo. a RT.TV del 24 aprile.

[14] Da Tuttocronaca.wordpress.com, La Stampa, 21 marzo 2014.

[15] Una lucida analisi sul possibile ritorno della Russia come grande potenza è comparsa nell’articolo di F. Rossolillo L’Ucraina e l’equilibrio mondiale, Il Federalista, n. 1, 2005.

[16] Nel 1999 entrano ufficialmente a far parte della NATO la Repubblica Ceca, Polonia e Ungheria. Nel 2004 l’intero ex-blocco dei Paesi già membri del Patto di Varsavia aderisce ufficialmente alla NATO: Lettonia, Estonia, Lituania, Romania, Bulgaria, Slovacchia e Slovenia. Nel 2009 sarà il turno della Croazia e dell’Albania.

[17] Corriere della Sera, 15 dicembre 2013.

[18] Corriere della Sera, 27 febbraio 2014.

[19] Ansa, 14 aprile 2014.

[20] Il Sole 24Ore, 31 marzo 2014.

[21] Il Sole 24Ore, 2 aprile 2014.

[22] Washington Post, 1 aprile 2014.

[23] Internazionale, 26 maggio 2014.

[24] Si veda V. Strada, op. cit., p. 13.

il federalista logo trasparente

The Federalist / Le Fédéraliste / Il Federalista
Via Villa Glori, 8
I-27100 Pavia