IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Sperare in una permanenza di armonia tra molti Stati indipendenti e slegati sarebbe trascurare il corso uniforme degli avvenimenti umani e andar contro l'esperienza accumulata dal tempo.

Hamilton, The Federalist

Anno II, 1960, Numero 3, Pagina 180

 

 

LA LOTTA PER L’EUROPA E LE ISTITUZIONI FEDERALI

 

Altiero SpinelliL’Europa non cade dal cielo, Il Mulino, Bologna, 1960, pp. 357, lire 2500.

 

 

Tra il 1948 ed il 1954, dal Piano Marshall alla caduta della C.E.D. (esercito europeo), è stata combattuta la prima lotta concreta per l’unità europea. Tuttavia i più fra i contemporanei non si resero ben conto della natura di quella lotta, come mostra il fatto che istituzioni come quelle della C.E.D. e della Comunità politica, e come quelle dell’Euratom e della C.E.E. (mercato comune) vengono generalmente messe sullo stesso piano, e come risulta dalla diffusa convinzione secondo la quale ci sarebbe un filo continuo nella politica postbellica di unità europea. In realtà questo filo è stato spezzato dalla caduta della C.E.D. e dalla conseguente restituzione, dietro lo schermo dell’U.E.O., della sovranità militare alla Germania occidentale che sancì la piena restaurazione del vecchio regime degli Stati nazionali sovrani.

Ma i contemporanei, sia che avversassero sia che combattessero la C.E.D., la scambiarono in genere per un qualsiasi episodio della guerra fredda, e non capirono che la questione del riarmo tedesco aveva posto quella dell’esercito europeo, e che il tentativo di mettere in piedi tale esercito aveva posto il problema del potere politico cui sottoporlo, vale a dire degli Stati Uniti d’Europa. Non avendo ben compreso ciò, i contemporanei non si resero nemmeno conto della portata decisamente rivoluzionaria di eventi che, togliendo di mezzo la sovranità assoluta degli Stati e quindi la divisione dell’Europa, avrebbero dirottato il corso fondamentale della politica europea degli ultimi centocinquanta anni; e che avrebbero dato agli europei, con la fondazione di un potere politico federale, l’unità, e con l’unità la parità politica, economica, scientifica e militare con i russi e gli americani. Gli esponenti della classe politica e della classe culturale passarono accanto a tale occasione storica assolutamente eccezionale quasi senza averne sentore, convinti di vivere tempi normali: la vita e la morte (l’unità e la divisione) dell’Europa erano in gioco, certo per l’ultima volta rispetto ai mezzi normali dell’azione politica, ma la classe dirigente europea si occupò nella teoria solo del vecchio, e sempre più bizantino, dibattito fra le ideologie ottocentesche; e nella pratica solo dei mutamenti di governo, come se avesse veramente senso mutare il governo di Stati che stanno compiendo gli ultimi cicli della loro parabola discendente, e sono ormai vicini alla fine.

Un altro rilievo si impone. La aspirazione all’unità europea è antica, è addirittura coeva della divisione politica dell’Europa, che inizia con l’affermazione della formula politica dello Stato nazionale conseguita, ed esportata in tutta Europa, dalla rivoluzione francese. Ma tale aspirazione rimase per tutto l’Ottocento e nel primo Novecento sul piano puramente ideale, perché la soluzione federale non divenne mai, durante tale periodo, un mezzo per risolvere effettivi problemi di potere. Ciò avvenne — ed era in qualche misura prevedibile — alla fine della seconda guerra mondiale per le difficoltà obiettivamente collegate alla pura e semplice restaurazione dell’antico regime degli Stati nazionali sovrani, restaurazione che effettivamente si inceppò di fronte al caso tedesco che ha generato, quando si pose la questione del riarmo della Germania occidentale, la possibilità di dare la prima lotta per l’unità europea; e che genera probabilmente ancora, per la divisione della Germania, la possibilità di rovesciare, sia pure con una lotta più aperta e più dura, il ristabilito regime degli Stati nazionali.

Gli aspetti e le possibilità del periodo postbellico che vennero a maturazione tra il 1948 ed il 1954 furono presenti, nella loro realtà concreta e nelle responsabilità umane conseguenti, in un solo uomo, Altiero Spinelli, che aveva maturato questa chiarezza di visione e questo rigore d’azione nel carcere e nel confino fascista. Ed è per merito di Altiero Spinelli che l’occasione storica del 1948-54 si trasformò in una vera e propria lotta per l’unità europea. Egli fece, alla testa del piccolo Movimento Federalista Europeo d’Italia, tirandosi dietro la riluttante Unione Europea dei Federalisti e, in alcune occasioni, anche l’opportunistico Movimento Europeo, la fatica di Sisifo di elaborare e rimettere continuamente in piedi il meccanismo giusto d’azione che i politici nazionali non sapevano introdurre, e lasciavano quasi sempre cadere occupati com’erano nelle lotte politiche nazionali. Di fatto egli suggerì sempre, e riuscì ad imporre attraverso l’influenza che poté guadagnarsi sui «prìncipi» del momento o sui loro luogotenenti con la sua politica carbonara, le soluzioni che a volta a volta permisero di trasformare la richiesta anglo-americana dell’autunno del 1950 di riarmare la Germania occidentale nel tentativo di fondare gli Stati Uniti d’Europa: sua in realtà è l’iniziativa che condusse, attraverso De Gasperi ed I.M. Lombardo, alla presa di posizione per il potere politico europeo (art. 7 H e poi 38 del Trattato) alla Conferenza di Parigi per la C.E.D. che abbandonata a sé stessa aveva prodotto, con il Rapport intérimaire del 24 luglio 1951, il balzano progetto di fare l’esercito europeo e di lasciar intatta la sovranità militare degli Stati nazionali (conformemente alle istruzioni date alla delegazione francese da Schuman ed alla delegazione tedesca da Adenauer secondo le quali si doveva fare un esercito europeo senza fare lo Stato europeo, e lasciar intatta la sovranità assoluta degli Stati nazionali pur togliendo loro gli eserciti; ed alla mancanza di istruzioni della delegazione italiana che nel primo periodo di tale conferenza assunse atteggiamenti nazionalistici); e sua è in realtà l’iniziativa che permise di giungere, soprattutto attraverso la successiva azione di Spaak, alla procedura per elaborare e fondare la Comunità politica, cioè ai lavori dell’Assemblea ad hoc conclusi il 10 marzo del 1953.

Il voto del 30 agosto del 1954 dell’Assemblea francese — in sostanza la fortuna avversa — distrusse questa opera, la cui debolezza stava nella debolezza dei «prìncipi» che fecero distrattamente, e distrattamente persero, la lotta per l’unità europea. La storia ridarà a Spinelli ciò che ora la fama contingente attribuisce ad Adenauer e a De Gasperi, e persino a Schuman, che sarà in realtà giudicato come l’ignavo a cui va principalmente la colpa del fallimento della C.E.D. Ma ciò che conta è che questa lotta, seriamente data e seriamente perduta, ha permesso a Spinelli di iniziare la nuova fase del moto dell’unità europea: quella della opposizione democratica europea del Congresso del Popolo Europeo al vecchio regime degli Stati nazionali sovrani ed agli interessi politici che lo sostengono. Con questa lotta il moto dell’unità europea è passato dalla fase carbonara alla fase dell’azione aperta e diretta, e pone pertanto tutti gli europei di fronte alle loro responsabilità.

Nel volume che ci ha dato l’occasione di questo discorso Spinelli ha raccolto gli articoli ed i saggi che contengono le sue prese di posizione politica dal 1948 al 1959.

Mario Albertini

 

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