IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Sperare in una permanenza di armonia tra molti Stati indipendenti e slegati sarebbe trascurare il corso uniforme degli avvenimenti umani e andar contro l'esperienza accumulata dal tempo.

Hamilton, The Federalist

Anno LVI, 2014, Numero 1-2, Pagina 9

 

 

Autonomia finanziaria

e integrazione differenziata*

 

Giulia Rossolillo

 

 

Premessa.

Il sistema di finanziamento dell’Unione europea, a più riprese oggetto di riforma – e di accesa discussione – dagli anni Cinquanta ad oggi, è tornato ad essere un tema al centro del dibattito sul futuro del processo di integrazione. La crisi economica e finanziaria degli ultimi anni ha infatti posto in evidenza da un lato le carenze dell’attuale meccanismo che, tuttora imperniato sostanzialmente su contributi degli Stati membri,[1] tende, nei periodi di recessione, a portare a una contrazione delle risorse a disposizione del livello sovranazionale; dall’altro la necessità che nuove risorse vengano reperite per far fronte alla crisi.

Rispetto al passato, la novità consiste nel fatto che oggi la questione del finanziamento dell’Unione si interseca con la crescente presenza di forme di integrazione differenziata tra Stati membri e soprattutto con la progressiva emersione della zona euro come entità sempre più caratterizzata nell’ambito dell’Unione europea. Non è un caso che recentemente il Consiglio abbia autorizzato una cooperazione rafforzata tra undici Stati membri relativa all’istituzione di un’imposta sulle transazioni finanziarie[2] che dovrebbe confluire almeno in parte nel bilancio dell’Unione; e che – da ultimo nel “Piano della Commissione per un’Unione economica e monetaria autentica e approfondita”[3] – emerga nel dibattito l’idea di una capacità fiscale e di bilancio dell’eurozona.

Un contributo che si proponga di fornire un quadro delle risorse a disposizione dell’Unione europea non può dunque prescindere dall’esame delle nuove prospettive che l’integrazione differenziata sembra aprire in questo campo.

La nozione di risorse proprie e il rapporto tra finanziamento di un’organizzazione e grado di autonomia della stessa.

Lungi dal costituire una questione di carattere meramente tecnico, il finanziamento di un’organizzazione internazionale influisce in modo determinante sui rapporti tra questa e i suoi Stati membri, e in particolare sul grado di autonomia del quale l’organizzazione gode in relazione agli stessi.[4] Quando le risorse a disposizione di un’organizzazione sono infatti costituite da contributi statali, la capacità di agire della stessa dipende in ultima analisi dalla volontà degli Stati di versare tali contributi, sicché l’esistenza medesima dell’organizzazione sarà messa in pericolo nell’ipotesi in cui tale volontà venga a mancare o gli Stati si trovino nell’impossibilità – ad esempio in periodi di forte crisi economica – di stanziare risorse sufficienti a tal fine.[5] La possibilità per un’organizzazione internazionale di procurarsi risorse in modo autonomo – e dunque di fondarsi su “risorse proprie” – ne accresce invece il grado di indipendenza dalla volontà degli Stati che all’organizzazione hanno dato vita o hanno aderito.

Definire le condizioni in presenza delle quali si possa parlare di una reale autonomia di finanziamento di un’organizzazione internazionale non è tuttavia immediato. Nel rapporto tra finanziamento di un’organizzazione e grado di indipendenza della stessa dai suoi Stati membri si intrecciano infatti profili differenti che attengono alla tipologia di risorse che concorrono al finanziamento, all’entità delle stesse e agli strumenti a disposizione dell’organizzazione per determinare tipologia ed entità delle proprie risorse e ottenerne il versamento.

In effetti, la classica contrapposizione tra contributi degli Stati membri e risorse proprie, che emergeva dallo stesso Trattato istitutivo della CEE,[6] non è atta a definire con precisione il grado di autonomia finanziaria di un’organizzazione; in primo luogo, a causa dell’incertezza sul significato stesso dell’espressione “risorse proprie”, inteso dalla dottrina in due accezioni differenti, dalle quali discendono differenti conseguenze in ordine al grado di indipendenza dell’organizzazione internazionale in questione.

Secondo una prima accezione, peraltro inizialmente accolta dalla Commissione europea, risorse proprie sarebbero unicamente le risorse fiscali decise dal livello sovranazionale e versate allo stesso da persone fisiche e giuridiche.[7] Così, nel Libro verde della Commissione del 23 novembre 1978[8] sul finanziamento del bilancio della Comunità si legge che “it is clear that an own resource has a fiscal nature, must be a direct charge of individuals or companies in the Community and be independent of decisions by the member States; there must also be an automatic link between the Community and the source of revenue, i.e. each economic operation on which the Community tax is levied”. In un’accezione più ampia, invece, per risorse proprie dovrebbero intendersi tutte quelle risorse, anche non fiscali, messe automaticamente a disposizione del livello sovranazionale attraverso una procedura comune. In altre parole, perché una forma di finanziamento possa rientrare in tale categoria sarebbe sufficiente che il livello sovranazionale abbia un diritto diretto e immediato ad ottenere tale risorsa, non condizionato da una decisione dell’autorità di bilancio dello Stato membro[9]. Sarebbero dunque risorse proprie anche le risorse non aventi carattere fiscale e che non presentino un legame diretto con competenze esercitate dall’organizzazione.

Ora, qualunque delle due definizioni si voglia seguire, emerge con chiarezza come il profilo relativo alla tipologia di risorse a disposizione di un’organizzazione internazionale non esaurisca la questione relativa all’autonomia finanziaria della stessa. Affinché un’organizzazione si possa dire realmente autonoma dai suoi Stati membri dal punto di vista del finanziamento, è necessario infatti che sia essa stessa a poter determinare la tipologia e l’entità delle proprie risorse, e che sia dotata degli strumenti che le consentano di ottenerne il pagamento. In effetti, perché un’organizzazione internazionale, anche finanziata unicamente tramite risorse fiscali, acquisisca un grado di autonomia rilevante, l’entità delle risorse disponibili deve essere sufficiente a finanziare le attività attribuite alla sua competenza ed essere decisa dall’organizzazione stessa. In caso di mancato versamento delle risorse, inoltre, essa deve disporre degli strumenti per ottenere l’adempimento coattivo dell’obbligo in questione e non dipendere, per quanto attiene a tale profilo, dalle amministrazioni degli Stati membri.

Il massimo grado di autonomia sarà pertanto raggiunto nel momento in cui non solo l’organizzazione avrà a disposizione risorse fiscali versate direttamente da persone fisiche o giuridiche e connesse alle politiche messe in atto dalla stessa, ma l’ammontare di dette risorse sarà deciso attraverso una procedura di carattere sovranazionale non condizionata dalla volontà unanime degli Stati che ne fanno parte e l’organizzazione disporrà dei poteri di coercizione necessari ad ottenere il loro effettivo pagamento.[10]

È evidente che un simile grado di autonomia dell’organizzazione comporta una proporzionale limitazione della sovranità degli Stati membri, e che la capacità dell’organizzazione di finanziarsi in modo assolutamente indipendente da questi coinciderebbe di fatto con la perdita del suo carattere di organizzazione internazionale e con la sua trasformazione in un ente sovrano.[11] Tra il modello classico di organizzazione internazionale finanziata interamente da contributi degli Stati e l’ipotesi ora delineata sono concepibili tuttavia forme intermedie, tra le quali si colloca oggi l’Unione europea.

È alla luce di tali considerazioni che nelle pagine seguenti si analizzeranno le modalità di finanziamento della CECA prima, e della Comunità/Unione europea poi, al fine di verificarne il grado di autonomia finanziaria, e di valutare se e in che misura le nuove prospettive aperte dal fenomeno dell’integrazione differenziata costituiscano un passo avanti in direzione di un rafforzamento della stessa.

Il finanziamento della CECA.

Tra le organizzazioni internazionali finanziate con risorse proprie, un posto di primo piano è occupato senza dubbio dalla Comunità europea del carbone e dell’acciaio.[12] L’articolo 49 del trattato CECA attribuiva in effetti all’Alta Autorità la facoltà di procurarsi i fondi necessari per l’adempimento dei suoi compiti stabilendo prelievi sulla produzione di carbone e di acciaio e contraendo prestiti.[13] In particolare, mentre i prelievi erano destinati a coprire sia le spese amministrative dell’organizzazione, sia gli aiuti a fondo perduto e la parte del servizio dei prestiti dell’Alta Autorità eventualmente non coperta dopo aver fatto ricorso al fondo di riserva (art. 50 del Trattato CECA), i fondi avuti in prestito non potevano essere utilizzati dall’Alta Autorità altro che per concedere prestiti (art. 51 del Trattato CECA). Ai fini del finanziamento dell’organizzazione erano dunque i prelievi ad assumere rilevanza.

I prelievi erano versati direttamente dalle imprese alla CECA su conti aperti a nome dell’Alta Autorità, sicché essi non comparivano nei bilanci degli Stati membri:[14] la tesoreria CECA era dunque centralizzata e autonoma rispetto alle tesorerie nazionali.[15]

Fondandosi su risorse di natura fiscale[16] versate direttamente dalle imprese, la CECA, dal punto di vista della tipologia delle risorse utilizzate, godeva dunque di un notevole grado di indipendenza dagli Stati membri.

Tale autonomia trovava, almeno parzialmente, conferma anche sotto il profilo degli strumenti a disposizione dell’organizzazione per determinare l’ammontare delle risorse utilizzabili ed ottenere il versamento delle stesse.

Per quanto concerne il primo profilo, secondo l’articolo 50, par. 2, del Trattato di Parigi, il tasso medio dei prelievi non poteva superare l’1% “salvo autorizzazione preventiva del Consiglio decisa a maggioranza dei due terzi”, mentre le modalità di applicazione e di riscossione dei prelievi stessi erano decise dall’Alta Autorità, previa consultazione del Consiglio. Il potere dell’Alta Autorità di determinare il tasso del prelievo, e dunque l’entità delle risorse a disposizione dell’organizzazione, era quindi delimitato dall’indicazione – contenuta nello stesso Trattato istitutivo – del tetto massimo di tale tasso. Non si trattava tuttavia di un potere irrilevante, dal momento che esso consentiva all’Alta Autorità di fissare, nell’ambito di tale tetto massimo, un tasso di prelievo superiore alle reali esigenze dell’organizzazione al fine di beneficiare di un’eccedenza utilizzabile nei periodi di crisi[17] o per finanziare spese non previste espressamente dal Trattato istitutivo.[18] Il tetto era inoltre modificabile dal Consiglio senza che a tal fine fosse richiesto il raggiungimento di un consenso unanime tra i suoi membri.

Quanto agli strumenti a disposizione della CECA per ottenere il versamento dei prelievi, a carico delle imprese, nel caso di mancato rispetto delle decisioni da essa prese, l’Alta Autorità poteva applicare maggiorazioni fino a un massimo del 5% per ogni mese di ritardo (art. 50, par. 3, Trattato CECA). Le decisioni dell’Alta Autorità che comportavano obblighi pecuniari costituivano inoltre titolo esecutivo, e l’esecuzione forzata era subordinata unicamente all’apposizione della formula esecutiva, senza alcun controllo da parte dello Stato sul territorio del quale la decisione doveva essere eseguita, se non la verifica dell’autenticità della decisione[19] (art. 92, Trattato CECA). Gli agenti dell’Alta Autorità incaricati di missioni di controllo disponevano infine sul territorio degli Stati membri dei diritti e dei poteri devoluti dalle legislazioni di detti Stati agli agenti delle amministrazioni fiscali (art. 86, par. 4, Trattato CECA).

Nonostante senza dubbio permanesse un margine di dipendenza del finanziamento della CECA dalla volontà degli Stati, tale organizzazione costituiva dunque, sotto tutti i profili sopra menzionati, un modello estremamente avanzato nel panorama delle organizzazioni internazionali.

L’evoluzione del sistema delle risorse proprie dell’Unione europea.

La soluzione adottata per il finanziamento della CECA si rivelava di difficile applicazione alle due organizzazioni create con i Trattati di Roma del 1957, la CEE e l’Euratom. In effetti, mentre la CECA riguardava due settori industriali forti e tradizionali, che offrivano una base economica ampia per un prelievo, l’Euratom non possedeva tali caratteristiche, riguardando un settore – quello dell’energia atomica – nel quale erano necessari forti investimenti e non ancora in grado di dar luogo a profitti ingenti, e la Comunità economica europea, essendo un’organizzazione internazionale di integrazione economica dalle finalità molto più estese, vedeva la presenza di disparità fiscali notevoli tra Stati membri, che impedivano l’istituzione immediata di prelievi.[20] Così, l’art. 200 TCEE, in linea di continuità con quanto disposto dagli atti istitutivi delle organizzazioni internazionali classiche, disponeva che le entrate del bilancio della Comunità economica europea fossero costituite da contributi finanziari[21] degli Stati membri.

All’articolo 201, tuttavia, lo stesso Trattato prevedeva che la Commissione studiasse a quali condizioni tali contributi potessero essere sostituiti con risorse proprie, in particolare con entrate provenienti dalla tariffa doganale comune. A tal fine essa avrebbe dovuto presentare proposte al Consiglio e quest’ultimo, deliberando all’unanimità dopo aver consultato l’Assemblea, avrebbe stabilito disposizioni in proposito e ne avrebbe raccomandata l’adozione da parte degli Stati membri in conformità delle loro rispettive norme costituzionali.[22]

Un primo passo in questa direzione si realizza nel 1962, con l’istituzione del Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia. Nel regolamento istitutivo dello stesso,[23] all’articolo 2, si prevedeva infatti che il gettito dei prelievi operati sulle importazioni in provenienza dai Paesi terzi spettasse alla Comunità e fosse devoluto a spese comunitarie, e che il Consiglio iniziasse in tempo utile la procedura prevista dall’art. 201 TCEE per l’attuazione di dette disposizioni. È dunque nel settore agricolo che nasce la prima risorsa propria della Comunità.

Un vero e proprio sistema di risorse proprie viene posto in essere qualche anno più tardi, con la decisione del Consiglio del 21 aprile 1970,[24] che fonda il finanziamento della Comunità economica europea su tre risorse differenti: i dazi doganali,[25] i prelievi agricoli e una percentuale sull’Imposta sul valore aggiunto. In particolare, la decisione prevedeva che a partire dal 1° gennaio 1971 fossero integralmente iscritte nel bilancio della Comunità le entrate provenienti dai prelievi agricoli e dai dazi doganali, mentre la percentuale dell’imposta sul valore aggiunto, nell’attesa che si applicassero in tutti gli Stati membri le norme determinanti una base imponibile uniforme, sarebbe divenuta una risorsa propria solo a partire dal 1° gennaio 1975.[26] In relazione a tale ultime risorsa, la decisione prevedeva l’ammontare massimo del tasso, fissato nella misura dell’1%, e stabiliva che, fino al 1° gennaio 1975,[27] il saldo del bilancio fosse coperto mediante contributi finanziari degli Stati membri.

Dagli elementi della decisione del 1970 ora messi in luce è fin da ora possibile trarre qualche considerazione sulla natura delle risorse proprie sopra menzionate; in particolare sulla differenza tra prelievi agricoli e dazi doganali da un lato, e imposta sul valore aggiunto dall’altro. Premesso che la decisione accoglie una nozione ampia di risorse proprie,[28] appare evidente infatti che, mentre i prelievi agricoli e la tariffa doganale comune presentano molti elementi in comune con i prelievi CECA, la percentuale sull’imposta sul valore aggiunto è una risorsa propria “debole”.[29] Le prime due risorse gravano infatti su persone fisiche e giuridiche, sono versate interamente nel bilancio dell’organizzazione, essendo strettamente connesse a competenze da essa esercitate, e il loro ammontare è indipendente dai bisogni finanziari dell’organizzazione stessa. La risorsa costituita da una percentuale dell’imposta sul valore aggiunto, al contrario, è paragonabile per molti aspetti ai contributi statali: da un lato, infatti, essa non è connessa a competenze esercitate dal livello sovranazionale,[30] sicché solo una percentuale dell’imposta costituirà una risorsa propria, mentre la restante parte confluirà nei bilanci nazionali; dall’altro, essa era concepita almeno inizialmente come una risorsa residuale con la funzione di coprire le spese non coperte dall’ammontare delle prime due risorse,[31] sicché il suo ammontare dipendeva dalle esigenze di bilancio dell’organizzazione.

Se la decisione 70/243, pur con i limiti ora messi in luce, ha rappresentato un passo avanti sulla via dell’autonomia finanziaria del livello sopranazionale rispetto agli Stati membri, dal momento che ha comportato la sostituzione dei contributi statali con risorse fiscali, con la terza decisione sulle risorse proprie, nel 1988,[32] la tendenza sembra invertirsi e il cammino verso l’autonomia finanziaria subire una battuta d’arresto.[33] Per far fronte all’impasse venutosi a creare in seguito alle tensioni tra Consiglio e Parlamento europeo in merito al bilancio, che avevano portato all’impossibilità di approvare quest’ultimo in ben tre occasioni,[34] la decisione 88/376, in effetti, accanto ai dazi doganali, ai prelievi agricoli e alla risorsa Iva, introduce la cosiddetta quarta risorsa, consistente in una percentuale del RNL degli Stati membri.[35]

Si tratta di una risorsa che assolve alla medesima funzione svolta in precedenza dai proventi Iva. A partire dalla decisione de 1988, infatti, nella decisione sulle risorse proprie viene fissato il tetto massimo delle medesime in termini di percentuale del RNL complessivo degli Stati membri, e la quarta risorsa assume la funzione di coprire la parte di bilancio non coperta dall’ammontare delle altre risorse.[36] A causa della progressiva riduzione degli introiti derivanti dalla tariffa doganale comune e dai prelievi agricoli, la quarta risorsa è giunta tuttavia oggi a coprire circa il 75% del bilancio dell’Unione, privando in parte di significato l’affermazione secondo la quale l’Unione si finanzierebbe attraverso un sistema di risorse proprie.

A ciò si aggiunga il fatto che la riassunzione di importanza dei contributi statali, rendendo palese il legame tra finanziamento del livello sopranazionale e contributo dei singoli Stati, consente a questi ultimi di valutare se il proprio contributo sia proporzionato o meno ai vantaggi che lo Stato stesso ottiene dalla sua partecipazione all’Unione europea, e di invocare il cosiddetto principio del “giusto ritorno”. Secondo tale principio, affermato peraltro dal Consiglio europeo fin dal vertice di Fontainebleau del 1984,[37] gli Stati membri “contributori netti” del bilancio dell’Unione possono beneficiare di una correzione consistente nel rimborso di una quota della differenza tra contributo dello Stato al sistema delle risorse proprie e ammontare delle spese effettuate dall’Unione sul suo territorio. Come è evidente, si tratta di un principio che si colloca in un’ottica totalmente opposta rispetto al principio di solidarietà tra Stati membri, concretandosi in un sistema di dare/avere per alcuni aspetti contrario all’idea stessa di un bilancio comune dell’Unione.[38]

I limiti dell’autonomia finanziaria della Comunità prima e dell’Unione poi, emergono inoltre da profili ulteriori.

Il primo profilo riguarda l’entità del bilancio. Nonostante infatti già nel Rapporto McDougall del 1977 si sottolineasse come, anche in una fase pre-federale, il bilancio della Comunità dovesse ammontare ad almeno il 5-7% del RNL degli Stati membri,[39] il bilancio dell’Unione europea ha oggi un ammontare irrisorio rispetto ai bilanci statali, essendo pari a poco più dell’1% del RNL complessivo degli stessi. Tale fenomeno trova la sua ragion d’essere anche nel meccanismo attraverso il quale l’entità delle risorse stesse viene decisa. Secondo quanto dispone l’articolo 311 TFUE, infatti, le risorse proprie – e dunque la loro natura e il loro ammontare – vengono decise dal Consiglio, secondo una procedura legislativa speciale, all’unanimità, previa consultazione del Parlamento europeo, e la decisione entra in vigore solo previa approvazione degli Stati membri conformemente alle rispettive norme costituzionali.[40] Si tratta dunque di una decisione che richiede il consenso unanime degli Stati, dalla cui volontà dipende l’entità delle risorse a disposizione dell’organizzazione.

Contrariamente a quanto avveniva nella CECA, inoltre, tali risorse non confluiscono direttamente nella tesoreria dell’Unione, bensì sono percepite dagli Stati membri,[41] tanto che, come sottolineato dalla Corte di giustizia nella sentenza Mertens,[42] essi “restano competenti ad esercitare l’azione giurisdizionale e a compiere ogni atto utile per la gestione dei prelievi e delle restituzioni, e continuano ad intervenire a tal fine nei confronti dei singoli”. Ne consegue che, da un lato, il livello sopranazionale è privo di strumenti coercitivi atti ad ottenere il pagamento delle risorse, dall’altro, soprattutto a partire dall’introduzione della quarta risorsa, le risorse proprie compaiono, secondo varie modalità, nei bilanci degli Stati membri, ponendosi in concorrenza con le spese da effettuare a livello nazionale.[43]

La proposta di cooperazione rafforzata in materia di imposta sulle transazioni finanziarie.

Le decisioni sulle risorse proprie successive[44] alla decisione 88/376 non introducono modifiche rilevanti al sistema di finanziamento dell’Unione europea, limitandosi ad apportare aggiustamenti alle disposizioni relative all’imponibile Iva e alla percentuale del RNL degli Stati da versare al bilancio dell’Unione, e a precisare il meccanismo di correzione degli squilibri finanziari stabilito a beneficio dei cosiddetti contributori netti.

Negli ultimi anni, tuttavia, la crisi economica e finanziaria ha riaperto la discussione sull’opportunità di introdurre nuove risorse proprie che consentano all’Unione di acquisire maggiore autonomia rispetto agli Stati membri.

In particolare, date le responsabilità del settore finanziario in relazione all’origine e allo sviluppo della crisi, la discussione si è incentrata sulla possibilità di reperire proprio in tale settore nuove risorse fiscali che confluiscano nel bilancio dell’Unione.

Nella comunicazione della Commissione sulla revisione del bilancio UE del 19 ottobre 2010,[45] all’interno dell’elenco non esaustivo dei mezzi di finanziamento che potrebbero costituire nuove risorse proprie, viene in effetti menzionata l’imposta sulle transazioni finanziarie, risorsa che, come le altre nuove risorse menzionate nella comunicazione, dovrebbe progressivamente sostituire i contributi nazionali al bilancio dell’Unione. L’imposta sulle transazioni finanziarie viene poi indicata come nuova risorsa propria nella proposta di regolamento del Consiglio sul sistema delle risorse proprie dell’Unione europea del 29 giugno 2011,[46] emendata nel novembre dello stesso anno.[47] E nella proposta modificata di regolamento del Consiglio che stabilisce misure di esecuzione del sistema delle risorse proprie dell’Unione europea, del 9 novembre 2011,[48] si precisa che la quota dell’imposta sulle transazioni finanziarie da versare al bilancio dell’Unione sarebbe pari a due terzi dell’aliquota minima fissata dalla direttiva che istituirà l’imposta stessa. Fin dalla sua comparsa nel dibattito in seno alle istituzioni europee, dunque, l’imposta sulle transazioni finanziarie viene concepita come strettamente legata al finanziamento dell’Unione.

La determinazione dei caratteri di tale imposta è tuttavia tuttora oggetto di discussione e l’iter di adozione della direttiva relativa a un sistema comune d’imposta sulle transazioni finanziarie si sta rivelando piuttosto complesso. In effetti, nelle riunioni del Consiglio del 22 giugno e del 10 luglio 2012, si constatava l’esistenza di forti divergenze tra gli Stati membri sulla proposta presentata dalla Commissione il 28 settembre 2011[49] e l’impossibilità di giungere a un accordo entro un termine ragionevole. Undici Stati membri[50] trasmettevano pertanto alla Commissione una richiesta di cooperazione rafforzata relativa all’imposta sulle transazioni finanziarie, in seguito alla quale la Commissione presentava una proposta[51] al Consiglio. Quest’ultimo autorizzava la cooperazione rafforzata con decisione del 22 gennaio 2013,[52] alla quale, faceva seguito una nuova proposta della Commissione del febbraio 2013.[53] In quest’ultima, la Commissione ribadisce che “la proposta di decisione del Consiglio relativa al sistema delle risorse proprie dell’Unione europea ... prevede che una parte delle entrate generate dall’ITF sia utilizzata come risorsa propria del bilancio dell’Unione” e che “la risorsa basata sul RNL proveniente dagli Stati membri partecipanti sarebbe ridotta di conseguenza”.

Per la prima volta nella storia del processo di integrazione, dunque, integrazione differenziata e finanziamento dell’Unione europea si intrecciano. Viene infatti proposta la creazione di una risorsa propria di carattere fiscale da riscuotersi solo in alcuni Stati membri, e che quindi solo tali Stati verserebbero, almeno parzialmente, nel bilancio dell’Unione.

Nonostante le caratteristiche di detta imposta siano tuttora oggetto di discussione[54] e sia dunque prematuro analizzare in dettaglio il contenuto degli atti sopra citati, è possibile svolgere qualche breve considerazione sull’impatto che l’istituzione di questa nuova risorsa propria potrebbe avere in termini di autonomia finanziaria dell’Unione.

Dal punto di vita della tipologia di risorse proprie a disposizione dell’Unione europea, la proposta costituisce in effetti apparentemente un passo in avanti nella direzione di una maggiore autonomia dell’organizzazione dai suoi Stati membri, in quanto è volta alla sostituzione dei contributi di questi ultimi con risorse fiscali. Come accennato, infatti, il versamento da parte degli Stati partecipanti alla cooperazione rafforzata dei 2/3 dell’aliquota minima al bilancio dell’Unione si tradurrebbe in una proporzionale riduzione della quota dei RNL che gli stessi dovrebbero destinare a detto bilancio, e dunque una quota più ingente del bilancio dell’Unione sarebbe coperta da reali risorse proprie.

Proprio dal meccanismo ora illustrato emerge tuttavia il limite di detta nuova risorsa. In effetti, l’imposta sulle transazioni finanziarie, così come concepita nelle proposte citate, non comporterebbe un aumento in termini quantitativi del bilancio dell’Unione. Tale circostanza deriva dal fatto che si tratta di un’imposta versata nel bilancio solo da alcuni Stati membri: se la quota di RNL da questi ultimi non fosse proporzionalmente ridotta, si verrebbe a creare in effetti una situazione di squilibrio a loro sfavorevole, consistente nel fatto che gli Stati partecipanti alla cooperazione rafforzata destinerebbero al bilancio dell’Unione un quantitativo maggiore di risorse, da utilizzarsi per spese a beneficio di tutti gli Stati membri.

Un risultato differente sarebbe ipotizzabile se, in deroga al principio dell’universalità del bilancio,[55] secondo il quale tutte le entrate confluiscono in una massa indistinta che contribuisce al finanziamento di tutte le spese, la risorsa propria derivante dall’imposta sulle transazioni finanziarie fosse destinata a finanziare spese relative unicamente agli Stati che fanno parte della cooperazione rafforzata in questione, costituendo una risorsa supplementare a disposizione di tali Stati, oltre a quelle versate indistintamente nel bilancio dell’Unione. Si tratterebbe di una soluzione che trova un precedente nella storia del finanziamento dell’Unione, anche se non perfettamente coincidente con l’ipotesi qui in esame. Il riferimento è all’articolo 184 TFUE, relativo al settore della ricerca e dello sviluppo tecnologico, secondo il quale “nell’attuazione del programma quadro pluriennale possono essere decisi programmi complementari cui partecipano soltanto alcuni Stati membri che ne assicurano il finanziamento, fatta salva un’eventuale partecipazione dell’Unione”. Su questa base, in effetti, si è dato vita al programma di ricerca complementare relativo al funzionamento del reattore ad alto flusso (HFR) di Petten, finanziato unicamente da Paesi Bassi e Francia.[56]

L’ipotesi prevista dall’articolo 184, tuttavia, da un lato è espressamente prevista dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, dall’altro è finalizzata a uno specifico obiettivo, la realizzazione di programmi complementari di ricerca, che coinvolgono solo un numero ristretto di Stati. L’imposta sulle transazioni finanziarie è al contrario concepita come una risorsa propria di carattere generale, nel senso che essa non è volta al finanziamento di specifiche politiche alle quali partecipano solo alcuni Stati membri. È dunque difficile immaginare che la cooperazione rafforzata ad essa relativa possa fondare una deroga al principio di universalità del bilancio dell’Unione.

Che la nuova risorsa propria,[57] così come attualmente configurata nelle proposte di cooperazione rafforzata e di decisione sulle risorse proprie citate, non comporti cambiamenti rilevanti in termini di autonomia finanziaria dell’Unione europea è d’altronde confermato anche dal fatto che essa sarebbe pienamente integrata nel sistema di risorse proprie tuttora vigente, che presenta i limiti in precedenza illustrati relativamente alla procedura di decisione e di riscossione delle risorse stesse.

Unione economica e monetaria e piano della Commissione per un’Unione economica e monetaria autentica e approfondita.

In un’ottica totalmente differente si pongono invece le prospettive di dar vita a un bilancio aggiuntivo dell’eurozona, illustrate nel rapporto dei Presidenti del Consiglio europeo, della BCE, della Commissione e dell’Eurogruppo del 25 giugno 2012,[58] e ribadite in un rapporto di qualche mese successivo[59] e nella Comunicazione della Commissione “Un piano per un’unione economica e monetaria autentica e approfondita”[60] del 28 novembre dello stesso anno.

Si tratta di documenti che si collocano in una prospettiva di riforma dell’Unione economica e monetaria e che individuano i passi avanti possibili, nel breve, medio e lungo periodo, in direzione del completamento della stessa. Per valutare in che misura essi siano volti all’acquisizione di maggiore autonomia finanziaria del livello sovranazionale, è necessario soffermarsi brevemente sui caratteri dell’Unione economica e monetaria, e in particolare sugli elementi di distinzione della stessa rispetto alle altre forme di integrazione differenziata[61] manifestatesi nel corso del processo di integrazione europea.

Nonostante la moneta unica sia stata definita una forma di cooperazione rafforzata ante litteram, l’Unione economica e monetaria rappresenta un unicum tra le forme di flessibilità previste dai Trattati.[62] Si tratta infatti dell’unica ipotesi nella quale determinate disposizioni dei Trattati si applicano unicamente a un gruppo predefinito di Stati, individuato dal fatto di condividere la moneta unica, e danno vita ad organi appositi di gestione della politica monetaria[63] ai quali non partecipano gli Stati che hanno mantenuto le loro monete nazionali. Tutte le altre forme di integrazione differenziata consentite dai Trattati[64] sono in effetti caratterizzate dal fatto di servirsi della struttura istituzionale dell’Unione, senza dar vita a nuovi organi, e in molti casi – primo fra tutti quello delle cooperazioni rafforzate – riguardano gruppi di Stati che variano a seconda del settore di cooperazione che viene considerato.[65]

A partire dalla fine degli anni Novanta, e soprattutto dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, peraltro, le peculiarità dell’Unione economica e monetaria rispetto alle altre forme di integrazione differenziata si sono accentuate, tanto che questa può essere ormai considerata una sorta di sottosistema all’interno dell’Unione europea.[66] Se infatti fin dalla creazione della moneta unica si era previsto che i diritti di voto degli Stati membri del Consiglio che rappresentano gli Stati membri con deroga fossero sospesi al momento dell’adozione da parte del Consiglio di provvedimenti relativi alla politica monetaria (art. 139 TFUE), e dunque che alla votazione partecipassero solo gli Stati dell’eurozona, con una risoluzione adottata dal Consiglio europeo nel vertice di Lussemburgo[67] si dà vita all’Eurogruppo,[68] riunione informale dei Ministri delle finanze degli Stati della zona euro, e, con il Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell’Unione economica e monetaria[69] (il c.d. Fiscal Compact), viene istituzionalizzato l’Eurosummit, una sorta di Consiglio europeo degli Stati membri della zona euro. Pur non trattandosi di nuove istituzioni dell’Unione, per la creazione delle quali sarebbe necessaria una revisione dei Trattati ex art. 48 TUE, e pur non essendo provvisti di poteri decisionali, tali organi accentuano la differenziazione tra Stati senza deroga e stati con deroga, facilitando prese di posizioni unitarie in seno ai primi.

L’introduzione, con il trattato di Lisbona, dell’articolo 136 TFUE, che consente l’adozione da parte del Consiglio in composizione ristretta di misure volte a rafforzare il coordinamento e la sorveglianza della disciplina di bilancio e ad elaborare gli orientamenti di politica economica degli Stati la cui moneta è l’euro, ha permesso poi l’adozione di misure ulteriori,[70] tra le quali un posto di primo piano è occupato dal Trattato istitutivo del Meccanismo europeo di stabilità,[71] adottato in seguito a una revisione, tramite procedura semplificata,[72] dell’art. 136 stesso.

La progressiva istituzionalizzazione dell’UEM non ha tuttavia mai comportato conseguenze in relazione al finanziamento dell’Unione europea. Anziché separare le entrate provenienti dagli Stati dell’eurozona per destinarle a spese ad essi relative,[73] fin dalla creazione della moneta unica si è deciso infatti di non derogare al sopra citato principio di universalità del bilancio.

Le prospettive di creazione di un bilancio aggiuntivo della zona euro finanziato con proprie risorse fiscali costituiscono dunque il primo tentativo di dotare l’eurozona di risorse autonome e pongono per la prima volta il problema del rapporto tra finanziamento dell’UEM e bilancio dell’Unione europea.

Nonostante il carattere molto generale delle prospettive in questione, risulta evidente che l’ottica nella quale i documenti dei quattro presidenti e della Commissione si collocano è radicalmente diversa da quella della proposta di cooperazione rafforzata in materia di imposta sulle transazioni finanziarie e della proposta di decisione sulle risorse proprie del novembre 2011. Mentre queste ultime, infatti, rimangono nel solco dell’attuale sistema di finanziamento dell’Unione, non alterando in modo sostanziale il rapporto tra questa e gli Stati membri, le prospettive di creazione di un bilancio aggiuntivo della zona euro con relativa capacità fiscale comportano, se sviluppate pienamente, un trasferimento di sovranità dagli Stati della zona euro al livello sopranazionale e dunque la creazione di un governo dell’economia.

Nella Comunicazione della Commissione si legge, in effetti, che bilancio aggiuntivo e capacità fiscale dovrebbero essere accompagnati dalla previsione di un’apposita procedura di bilancio relativa alle risorse proprie, da un potere di tassazione o di indebitarsi sui mercati e dalla creazione di un Tesoro dell’eurozona nell’ambito della Commissione. Come nota quest’ultima, inoltre, “l’ulteriore e progressiva integrazione della zona euro verso un’unione bancaria, fiscale ed economica a tutti gli effetti richiederà misure parallele finalizzate a un’unione politica con maggiore legittimità e responsabilità democratiche”.[74]

Nelle parole della Commissione trova dunque conferma lo stretto legame esistente tra autonomia finanziaria e autonomia politica di un ente, e il fatto che una reale autonomia finanziaria comporta non solo la sostituzione dei contributi degli Stati membri con risorse di carattere fiscale, ma in definitiva la sussistenza in capo all’ente in questione di poteri propri di un ente sovrano.

Le possibili vie verso il completamento dell’Unione economica e monetaria.

Tralasciando le ipotesi relative alla struttura istituzionale che caratterizzerebbe una simile trasformazione dell’Unione economica e monetaria, è possibile svolgere qualche considerazione in merito alle tappe di avvicinamento a tale obiettivo, individuate in modo piuttosto dettagliato dalla Commissione nella sua Comunicazione.

In linea generale, va messo in luce che l’approccio seguito dalla Commissione tende a sfruttare tutte le possibilità offerte dai trattati vigenti, giungendo a prospettare una modifica di questi ultimi “solo ove il quadro vigente non consenta di intraprendere un’azione indispensabile per migliorare il funzionamento dell’UEM”. In quest’ottica, secondo la Commissione, un passo nella direzione di una capacità fiscale e di bilancio dell’eurozona potrebbe essere costituito da uno strumento di convergenza e di competitività che fornisca un sostegno finanziario all’attuazione tempestiva di riforme strutturali negli Stati della zona euro, in modo da ridurre o eliminare i disincentivi politici ed economici all’attuazione tempestiva delle riforme stesse.

Per quanto riguarda la via da seguire per la creazione di tale fondo, la Commissione chiarisce innanzitutto che esso dovrebbe essere istituito mediante un atto di diritto derivato e che i contributi finanziari necessari per la sua istituzione potrebbero essere basati su un impegno degli Stati membri della zona euro o su un obbligo giuridico in tal senso sancito dalla normativa UE sulle risorse proprie, e sarebbero iscritti nel bilancio UE come entrate con destinazione specifica.[75]

Il primo elemento che merita di essere sottolineato concerne dunque il fatto che, a differenza di quanto proposto in materia di imposta sulle transazioni finanziarie, la creazione di uno strumento di convergenza e di competitività che contribuisca al completamento dell’UEM implicherebbe una deroga al principio di universalità del bilancio, dal momento che solo gli Stati dell’eurozona sarebbero coinvolti nel suo finanziamento e le risorse sarebbero iscritte nel bilancio dell’Unione con una destinazione specifica. L’eurozona sarebbe dunque dotata di risorse ulteriori utilizzabili per far fronte a esigenze proprie degli Stati che ne fanno parte.

Questo primo passo, come sottolinea la Commissione, potrebbe essere compiuto senza necessità di modifiche ai Trattati, e in particolare fondandosi su due basi giuridiche alternative: l’art. 136 TFUE o l’articolo 352 TFUE associato a una cooperazione rafforzata. Senza alcuna pretesa di approfondire in questa sede un discorso assai complesso, un cenno può essere dedicato al fatto che, tra le due vie indicate dalla Commissione, la prima (l’utilizzo dell’articolo 136 TFUE) sembra meglio adattarsi a una prospettiva di acquisizione di autonomia finanziaria dell’eurozona. Tale disposizione, infatti, si caratterizza per il fatto di predefinire il quadro – la zona euro – nell’ambito del quale determinate misure relative alla disciplina di bilancio, agli orientamenti di politica economica e, da ultimo, a un meccanismo di stabilità, possono essere adottate. Per questo motivo, essa sembra costituire una sorta di varco attraverso il quale l’eurozona può dotarsi degli strumenti necessari al completamento dell’Unione economica e monetaria, con l’unico vincolo che gli orientamenti di politica economica elaborati dal Consiglio in composizione ristretta siano compatibili con quelli adottati per l’insieme dell’Unione. La cooperazione rafforzata,[76] al contrario, è uno strumento che sembra meglio adattarsi a forme di cooperazione in settori limitati tra gruppi di Stati di volta in volta differenti e che, proprio perché pensato come strumento di integrazione à la carte, è soggetto a una serie di limiti[77] piuttosto stringenti che rischierebbero di costituire un ostacolo[78] sulla via di un consolidamento della zona euro.

 


* Articolo già pubblicato sulla rivista Il Diritto dell’Unione europea, n. 4 (2013), p. 793 ss..

[1] Il riferimento è al fatto che, come si vedrà nel prosieguo del lavoro, la risorsa consistente in una percentuale del PIL degli Stati membri copre ormai circa il 75% del bilancio dell’Unione europea.

[2] Decisione n. 2013/52/UE del Consiglio del 22 gennaio 2013 che autorizza una cooperazione rafforzata nel settore dell’imposta sulle transazioni finanziarie in GUUE L 22 del 25 gennaio 2013, p. 11.

[3] COM(2012) 777 def.

[4]Sul punto v. tra gli altriQ. Wright, The mode of financing unions of States as a measure of their degree of integration, International Organization (1957), p. 30 ss.; C.D. Ehlermann, The financing of the Community: the distinction between financial contributions and own resources, Common Market Law Rev. (1982), p. 517. Nel senso che il rapporto tra modo di finanziamento di un’organizzazione e grado di autonomia di questa dagli Stati sia generalmente oggetto di scarsa attenzione da parte della dottrina v. N. Parisi, Il finanziamento delle organizzazioni internazionali, Milano, Giuffré, 1986, p. 4 ss..

[5] Sui problemi derivanti da un finanziamento tramite contributi statali v. G. Olmi, Les ressources propres aux Communautés européennes, Cahiers droit eur. (1971), pp. 381 e 394. Ritiene invece che il pericolo che gli Stati decidano arbitrariamente di non versare i contributi non costituisca un’argomentazione rilevante G. Tesauro, Il finanziamento delle organizzazioni internazionali, Napoli, Jovene, 1969, p. 10, secondo il quale l’appoggio finanziario degli Stati potrebbe venir meno solo quando venga a mancare la volontà di essere membri dell’organizzazione.

[6] L’articolo 201 del Trattato CEE disponeva in effetti che i contributi degli Stati membri, inizialmente unica fonte di finanziamento della Comunità, fossero sostituiti da “risorse proprie”.

[7] In questo senso v. per tutti G. Olmi, Les ressources, op. cit., p. 379 ss., spec. p. 395. Per ulteriori riferimenti v. C.-D. Ehlermann, The Financing, op. cit., p. 578 ss..

[8] Financing the Community budget: the way ahead, COM(78) 531. Sul punto v. A. Potteau, Recherches sur l’autonomie financière dans l’Union européenne, Paris, Dalloz, 2004, p. 75.

[9] In questo senso v. per tutti G. Isaac, La notion de ressources propres, in G. Isaac (sous la direction de), Les ressources financières de la Communauté européenne, Paris, Economica, 1986, p. 70 ss., spec. p. 76 ss., secondo il quale la nozione di risorse proprie è “une fausse notion claire” (p. 70).

[10] Sul legame tra risorse proprie e capacità della Comunità di decidere dell’ammontare delle stesse v. la Risoluzione del Parlamento europeo sulle disposizioni prese dal Consiglio in merito: – alla sostituzione dei contributi finanziati dagli Stati membri con risorse proprie della Comunità; – alla modifica di talune disposizioni in materia di bilancio dei trattati che istituiscono le Comunità europee e del trattato che istituisce un Consiglio unico e una Commissione unica delle Comunità europee in GUCE C 65 del 5 giugno1970, p. 32.

[11] In questo senso v. G. Isaac, La notion, op. cit., p. 76 s.; V. Duissart, Le financement de l’Union européenne: nouvelles problématiques à l’orée du XXème siècle, in Mélanges en hommage à Guy Isaac, 50 ans de droit communautaire, Toulouse, Presses de l’Université de sciences sociales de Toulouse, 2004, 889, spec. p. 891. Sul punto è interessante il riferimento ai dibattiti svoltisi nei Parlamenti nazionali degli Stati membri in occasione delle ratifiche della decisione del Consiglio del 21 aprile 1970 sulla creazione delle risorse proprie della Comunità e del trattato di Lussemburgo del 22 aprile 1970 sull’ampliamento dei poteri di bilancio del Parlamento europeo (riportati in Parlamento europeo, Direzione generale della documentazione parlamentare e dell’informazione, Le risorse proprie delle Comunità europee e i poteri del Parlamento europeo in materia di bilancio, I dibattiti di ratifica, Lussemburgo, 1971, spec. pp. 69 e 136). Il legame tra sovranità e autonomia finanziaria, e dunque il parallelismo tra autonomia finanziaria e autonomia politica è messo in lue anche da G. Tesauro, Il finanziamento, op. cit., p. 220, secondo il quale dalla natura delle organizzazioni internazionali discende che esse “non possono essere finanziate che nel modo e nella misura voluta dagli Stati membri”.

[12] Per un quadro generale del funzionamento della CECA v. P. Reuter, La Communauté européenne du Charbon et de l’Acier, Paris, LGDJ, 1953; H.L. Mason, The European Coal and Steel Community: Experiment in Supranationalism, The Hague, Nijhoff, 1955; D. Vignes, La Communauté européenne du Charbon et de l’Acier, Paris, LGDJ, 1956; R. Monaco, Caratteri istituzionali della C.E.C.A., Riv. dir. int. (1958), p. 9 ss.; F. Benvenuti, La C.E.C.A. ordinamento sovrano, Diritto internazionale (1961), p. 297 ss.. Come previsto dal suo trattato istitutivo, la CECA si è estinta il 23 luglio 2002, alla scadenza dei cinquant’anni dalla sua creazione. La CECA era inizialmente provvista di uno stato di previsione delle spese amministrative e di un bilancio operativo, entrambi confluiti poi nel bilancio comune (CECA, CEE ed Euratom) in seguito al Trattato di fusione degli esecutivi, firmato a Bruxelles l’8 aprile 1965. Sul punto v. G. Tesauro, Il bilancio delle Comunità europee, Dir. com. sc. int. (1980), p. 58 ss., spec. p. 59.

[13] La natura dei prelievi, e in particolare la loro natura di imposta di carattere sovranazionale, è stata oggetto di discussione in dottrina. In particolare, nel senso che il prelievo avesse carattere tributario, ma non sovranazionale v. G. Tesauro, Il finanziamento, op. cit., p. 192 ss.. In senso contrario v. tra gli altri, A. Coppé, La Communauté européenne du charbon et de l’acier, in Aspects financiers de l’intégration économique internationale, La Haye, Van Stockum, 1953, p. 178 ss., spec. p. 179; G. Olmi, Les ressources, op. cit., p. 387.

[14] Cfr. J. Molinier, Les ressources propres dans les documents budgétaires et comptes nationaux, in G. Isaac (sous la direction de), Les ressources, op. cit., p. 79 ss., spec. p. 83.

[15] Sul punto v. A. Daussin, Le régime financier des Communautés, in W.J. Ganshof Van der Meersch (sous la direction de), Droit des Communautés européennes, Bruxelles, Maison Ferdinand Larcier, 1969, p. 461 ss., spec. p. 476.

[16] Nella prassi, soprattutto in ipotesi di forti crisi del settore carbosiderurgico e di conseguenze insufficienza dei prelievi a coprire le spese dell’organizzazione, è stato necessario in talune occasioni integrare il bilancio della CECA con contributi statali. Sul punto v. J.-P. Jacqué, La décision en matière de ressources propres, in G. Isaac (sous la direction de), Les ressources, op. cit., p. 95 ss., spec. nota 1.

[17] Sul punto v. il Rapporto Artzinger sui problemi finanziari e di bilancio della CECA, presentato in occasione dell’esame degli allegati alla Quindicesima Relazione generale sull’attività della CECA (doc. 72/67), estratti del quale sono riprodotti in Parlement européen, Les ressources propres aux Communautés européennes et les pouvoirs budgétaires du Parlement européen, Luxembourg, 1970, p. 26 ss.. Nell’Unione europea, invece, l’eventuale eccedenza delle risorse proprie rispetto alle spese non può essere imputata a riserva, bensì deve essere riportata nell’esercizio successivo.

[18] Cfr. G. Tesauro, Il finanziamento, op. cit., p. 186 ss.; A. Daussin, Le régime, op. cit., pp. 464 e 468. Secondo A. Potteau, Recherches, op. cit., p. 94, sulla base dell’art. 95, par. 3, del Trattato di Parigi, che disponeva che in circostanze eccezionali, consistenti in “impreviste difficoltà nelle modalità di applicazione del ... Trattato” o in “un cambiamento profondo delle condizioni economiche o tecniche che interessi direttamente il mercato comune del carbone e dell’acciaio”, l’Alta Autorità e il Consiglio potessero adattare le regole relative all’esercizio da parte della prima dei poteri che le erano conferiti, era pensabile che l’Alta Autorità potesse procurarsi mezzi di finanziamento supplementari rispetto a quelli previsti dal Trattato, ricorrendo ad esempio al prestito, strumento normalmente utilizzabile solo al fine di concedere prestiti alle imprese e non a fini di finanziamento dell’organizzazione.

[19] Come nota A. Daussin, Le régime, op. cit., p. 469, queste disposizioni “rappellent à beaucoup d’égards celles que l’on trouve dans les régimes fiscaux nationaux. C’est ce qui a permis de dire que le prélèvement constituerait le premier impôt européen”. Sul punto v. N. Parisi, Il finanziamento, op. cit., p. 122. Nel senso che l’intero procedimento di imposizione del prelievo fosse imputabile agli Stati membri, in quanto l’obbligazione tributaria era imposta dal Trattato istitutivo, le decisioni dell’Alta Autorità divenivano titolo esecutivo solo dopo che gli Stati avevano apposto la formula esecutiva e i poteri degli agenti dell’Alta Autorità incaricati di missioni di controllo erano equivalenti a quelli degli agenti fiscali statali solo perché gli Stati avevano loro riconosciuto detti poteri, v. G. Tesauro, Il finanziamento, op. cit., p. 184 ss.. Contra v. A. Coppé, La Communauté, op. cit., p. 179; G. Olmi, Les ressources, op. cit., p. 204.

[20] Cfr. G. Spénale, Introduction, in Parlement européen, Les ressources propres, op. cit., p. 14.

[21] Sulla differenza tra contributi degli Stati e prelievi CECA v. N. Parisi, Il finanziamento, op. cit., p. 54.

[22] La procedura doveva essere posta in essere entro il 31 dicembre 1969, data di scadenza del periodo transitorio.

[23] Regolamento n. 25 del Consiglio relativo al finanziamento della politica agricola comune in GUCE n. 30 del 20 aprile 1962, p. 91. Sul punto v. G. Olmi, Les ressources, op. cit., p. 402 ss..

[24] Decisione 70/243 del Consiglio del 21 aprile 1970 relativa alla sostituzione dei contributi finanziari degli Stati membri con risorse proprie della Comunità in GUCE L 94 del 28 aprile 1970, p. 19. Come nota J.-C. Gautron, Fédéralisme fiscal et fédéralisme budgétaire d’un mythe à l’autre, in Mélanges en hommage à Guy Isaac. 50 ans de droit communautaire, Tome 2, Toulouse, Presses de l’Université de sciences sociales, 2004, p. 877 ss., spec. p. 879, l’istituzione di risorse proprie si rivelava necessaria anche in vista della futura adesione della Gran Bretagna, che apriva scenari di difficili negoziazioni in materia di bilancio.

[25] Ai sensi dell’articolo 2, par, 1, lett. b), della decisione del Consiglio del 21 aprile 1970, per dazi doganali devono intendersi i dazi della tariffa doganale comune e gli altri diritti “fissati o da fissare dalle istituzioni della Comunità sugli scambi con i paesi non membri”.

[26] Sulla gradualità dell’applicazione del sistema delle risorse proprie v. G. Olmi, Les ressources, op. cit., p. 412.

[27] In realtà, la sesta direttiva Iva 77/388/CEE (Sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari - Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, in GUCE L 145 del 13 giugno 1977, p. 1) fu adottata solo il 17 maggio 1977. Le disposizioni della decisione sulle risorse proprie del 1970 relative alla risorsa Iva trovarono dunque applicazione solo a partire dal 1° gennaio 1979. Sul punto v. G. Olmi, Les ressources, op. cit., p. 415 ss.; C.D. Ehlermann, The financing, op. cit., p. 574; J.-L. Chabot, G. Guillermin, La rétention des ressources propres de la part des Etats membres, in G. Isaac (sous la direction de), Les ressources, op. cit., p. 87 ss., spec. p. 91.

[28] Secondo V. Duissart, Le financement, op. cit., p. 890, nessuna delle risorse previste dalla decisione del 1970 può essere propriamente definita “risorsa propria”. Una nozione rigorosa di risorse proprie implicherebbe infatti che venissero considerate tali solo l’imposta sul trattamento dei funzionari dell’Unione, gli interessi bancari, le penalità per ritardo e le ammende.

[29] L’espressione è utilizzata da C.D. Ehlermann, The financing, op. cit., p. 574.

[30] Per sottolineare l’esistenza di un legame tra imposta sul valore aggiunto e finanziamento della Comunità, la Commissione aveva inizialmente proposto che in ogni scontrino fiscale fosse indicata la quota di Iva nazionale e la quota di Iva che sarebbe stata versata al bilancio della Comunità a titolo di risorsa propria. Sul punto v. J. Haug, A. Lamassoure, G. Verhofstadt, D. Gros, P. De Grauwe, G. Ricard-Nihoul, E. Rubio, Europe for Growth. For a Radical Change in Financing the EU, Notre Europe, 2011, p. 7

[31] Sul punto v. G. Olmi, Les ressources, op. cit., p. 409 ss.. Come nota A. Brancasi, Il bilancio della Comunità europea, in M. Chiti, G. Greco (diretto da), Trattato di diritto amministrativo europeo, Milano, Giuffré, 2007, p. 611 ss., spec. pp. 616 e 620, i prelievi agricoli e i dazi doganali non perseguono propriamente finalità fiscali, essendo volti a realizzare alcune politiche comunitarie. Per questo motivo gli atti preposti a disciplinarli sono gli stessi relativi alle politiche interessate, e non il bilancio. I proventi Iva prima, e la quarta risorsa poi, al contrario, essendo risorse residuali e dovendo dunque essere commisurate all’ammontare della spesa complessiva e delle restanti entrate, trovano la loro disciplina non solo nella normativa “sostanziale”, ma anche nel bilancio dell’Unione. In questo senso v. anche C.D. Ehlermann, The financing, op. cit., p. 584, il quale distingue tra risorse expenditure-oriented e risorse revenue-oriented.

[32] Decisione 88/376 del Consiglio del 24 giugno 1988 relativa al sistema delle risorse proprie della Comunità, in GUCE L 185 del 15 luglio 1988, p. 24. Nel 1988, con il cosiddetto “pacchetto Delors I” vennero introdotte le prospettive finanziarie, strumento di programmazione di medio periodo volto a stabilire per i seguenti 5-7 anni i limiti di spesa e le linee programmatiche entro le quali i bilanci annuali si sarebbero sviluppati. Le prospettive finanziarie sono oggi state sostituite dal quadro finanziario pluriennale, previsto dall’art. 312 TFUE. Sul punto v. L.S. Rossi, La dinamica interistituzionale nella definizione del bilancio comunitario, Il Diritto dell'Unione europea (2006), p. 179 ss., spec. p. 189 ss.; G. Rivasecchi, Autonomia finanziaria e procedure di bilancio della Comunità europea, in P. Chiti, G. Greco (a cura di), Trattato, op. cit., p. 653 ss., spec. p. 675 ss..

[33] Secondo M. Dévoluy, L’architecture des politiques économiques européennes, in M. Dévoluy (sous la direction de), Les politiques économiques européennes, Paris, Seuil, 2004, p. 52 ss. e G. Rivasecchi, Autonomia finanziaria, op. cit., p. 655, il processo di integrazione europea avrebbe portato a una graduale acquisizione di autonomia finanziaria dell’Unione europea. L’affermazione però sembra riferita al graduale aumento di poteri del Parlamento europeo nell’ambito della procedura di approvazione del bilancio, più che al sistema delle risorse proprie.

[34] Sul punto v. J. Haug, A. Lamassoure, G. Verhofstadt, D. Gros, P. De Grauwe, G. Ricard-Nihoul, E. Rubio, Europe for Growth, op. cit., p. 10.

[35] Secondo quanto disposto dall’articolo 2, par. 1, lett. d), della decisione 88/375, op. cit., la quarta risorsa è costituita “dall’applicazione di un’aliquota, che sarà determinata nel quadro della procedura di bilancio, tenuto conto di tutte le altre entrate, dalla somma dei PNL di tutti gli Stati membri, stabiliti secondo norme comunitarie che saranno oggetto di una direttiva …”. La terza decisione sulle risorse proprie stabilisce anche la riduzione dell’imponibile Iva al 55% del PNL degli Stati membri.

[36] L’istituzione della quarta risorsa ha comportato che l’aliquota da applicare alla base imponibile Iva fosse stabilita direttamente dalla decisione sulle risorse proprie e non più mediante la procedura di bilancio. Sul punto v. A. Brancasi, Il bilancio, op. cit., p. 618. Sul rapporto tra quarta risorsa e risorsa Iva v. L. Kolte, The Community budget: new principles for finance, expenditure planning and budget discipline, Common Market Law Rev. (1988), p. 487 ss, spec. p. 490.

[37] S. Saurel, Le budget de l’Union européenne, Paris, La Documentation française, 2010, p. 162.

[38] Mentre inizialmente di tale correzione beneficiava unicamente il Regno Unito, a partire dalla decisione sulle risorse proprie del 2000 (Decisione 2000/597/CE del Consiglio del 29 settembre 2000, relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità europee, GUCE L 253 del 7 ottobre 2000, p. 42) ne usufruiscono Germania, Austria, Paesi Bassi e Svezia. Sul punto v. G. Isaac, Le problème de la contribution budgétaire du Royaume-Uni, Rev. trim. dr. eur.(1984), p. 107 ss.; J. Ørstrøm Møller, La notion de contribution nette et le “système des ressources propres”, in G. Isaac, Les ressources, op. cit., 275 ss.; V. Duissart, Le financement, op. cit., p. 903 ss.; S. Saurel, Le budget, op. cit., p. 173 ss.. Come nota N. Parisi, Il finanziamento, op. cit., p. 255, almeno in linea di principio nelle organizzazioni – come la CECA – finanziate mediante prelievi, il principio del giusto ritorno non dovrebbe trovare cittadinanza.

[39] P. Llau, La coordination des dépenses publiques d’allocation et de redistribution face au fédéralisme budgétaire en UEM, Revue d’économie financière, (1998), p. 213 ss, spec. p. 215; P.-A. Muet, Union monétaire et fédéralisme, Revue de l’OFCE, n. 55 (octobre 1995), p. 151 ss..

[40] Nel progetto di Trattato che istituisce l’Unione europea presentato dal Parlamento il 14 febbraio 1984 (Progetto Spinelli), in GUCE C 77 del 19 marzo 1984, p. 33, all’articolo 71 si prevedeva che l’Unione europea potesse modificare mediante legge organica la natura o la base imponibile delle entrate esistenti o crearne di nuove. La creazione di nuove risorse non era dunque subordinata all’accordo unanime tra Stati membri, dal momento che la legge organica richiedeva una delibera del Consiglio a maggioranza qualificata, e l’art. 71 non contemplava alcuna approvazione successiva degli Stati secondo le loro rispettive procedure costituzionali. Quasi coincidente con la formulazione attuale dei trattati era invece la disposizione del Trattato che adotta una costituzione per l’Europa, che all’articolo I-54, disponeva che le risorse proprie fossero deliberate dal Consiglio all’unanimità previa consultazione del Parlamento europeo e che la disposizione entrasse in vigore solo previa approvazione degli Stati membri conformemente alle rispettive norme costituzionali. Secondo J.P. Jacqué, Droit institutionnel de l’Union européenne, 7ème éd., Paris, Dalloz, 2012, p. 211 s., la decisione sulle risorse proprie, nonostante la sua particolare modalità di adozione che ne implica l’approvazione da parte degli Stati membri secondo le loro rispettive norme costituzionali, è un atto dell’Unione europea, e può pertanto essere oggetto di rinvio pregiudiziale di interpretazione. Vista la necessità dell’intervento degli Stati membri al fine della sua entrata in vigore, si tratterebbe tuttavia di una norma di diritto primario, come tale non impugnabile con ricorso di annullamento.

[41] Per coprire le spese di riscossione, inizialmente la Comunità, accertato che la riscossione fosse avvenuta correttamente, restituiva agli Stati il 10% delle risorse stesse a titolo di rimborso delle spese di riscossione. Ben presto, tuttavia, il meccanismo venne modificato nel senso che gli Stati potessero trattenere direttamente detta percentuale, che oggi ammonta al 25%. Sul punto v. C. Federkeil, G. Di Vita, Du remboursement forfaitaire à la retenue de 10% par les Etats membres pour frais de collecte et de perception des ressources propres, Rev. Marché Commun (1989), p. 408; A. Potteau, Recherches, op. cit., p. 144; S. Saurel, Le budget, op. cit., p. 163. La proposta modificata di decisione del Consiglio relativa al sistema delle risorse proprie dell’Unione europea del 9 novembre 2011, COM(2011) 739 def., riduce di nuovo la percentuale della trattenuta a titolo di spese di riscossione al 10%.

[42] Corte giust. 4 aprile 1974, cause 178, 179 e 180/73, Mertens, Racc., p. 383.

[43]Sul punto v. J. Molinier, Les ressources, op. cit., p. 79 ss.; J. Haug, A. Lamassoure, G. Verhofstadt, D. Gros, P. De Grauwe, G. Ricard-Nihoul, E. Rubio, Europe for Growth, op. cit., p. 12.

[44] Decisione 94/728/CE del Consiglio relativa a sistema delle risorse proprie delle Comunità europee (GUCE L 293 del 12 novembre 1994, p. 9); decisione 2000/597/CE del Consiglio, op. cit.; decisione 2007/436/CE del Consiglio relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità europee (GUUE L 163 del 23 giugno 2007, p. 17).

[45] COM(2010) 700 def.

[46] COM(2011) 510 def.

[47] COM(2011) 739 def., op. cit.. Il 27 giugno 2013 è stato raggiunto un accordo politico tra Parlamento europeo e Consiglio relativamente al Quadro finanziario pluriennale 2014-2020, nel quale si prevede di dar vita a un gruppo di esperti nominati da Consiglio, Parlamento europeo e Commissione, con il compito di elaborare un progetto di revisione del sistema delle risorse proprie.

[48] COM(2011) 740 def.

[49] COM(2011) 594 def.

[50] Belgio, Germania, Estonia, Grecia, Spagna, Francia, Italia, Austria, Portogallo, Slovenia e Slovacchia. Come si legge nel Rapport d’information sur le projet de taxe sur les transactions financières presentato al Senato francese il 21 dicembre 2012 dalla senatrice Fabienne Keller a nome della Commissione degli affari europei (consultabile all’indirizzo: http://www.senat.fr/rap/r12-259/r12-259.html), i Paesi Bassi sarebbero disposti a entrare a far parte della cooperazione rafforzata solo a condizione che i proventi dell’imposta sulle transazioni finanziarie non vengano utilizzati come risorsa propria dell’Unione.

[51] COM(2012) 631 def./2.

[52] Decisione 2013/52/UE del Consiglio del 22 gennaio 2013 che autorizza una cooperazione rafforzata nel settore dell’imposta sulle transazioni finanziarie, in GUUE L 22 del 25.1.2013, p. 11. Sul meccanismo della cooperazione rafforzata v. G. Gaja, How Flexible is Flexibility under the Amsterdam Treaty, Common Market Law Rev.(1998), p. 855 ss.; C.D. Ehlermann, Differentiation, Flexibility, Closer Cooperation: the New Provisions of the Treaty of Amsterdam, Europ. Law Journal (1998), p. 246 ss.; U. Kortenberg, Closer Cooperation in the Treaty of Amsterdam, Common Market Law Rev. (1998), p. 833 ss.; H. Bribosia, Les coopérations renforcées au lendemain du Traité de Nice, Riv. dir. Un. eur. (2001), p. 111 ss.; A. Cannone, Le cooperazioni rafforzate. Contributo allo studio dell’integrazione differenziata, Bari, Cacucci, 2005; L.S. Rossi, L’intégration différenciée au sein et à l’extérieur de l’Union: de nouvelles frontières pour l’Union?, in G. Amato, H. Bribosia, B. De Witte, Genèse et destinée de la Constitution européenne, Bruxelles, Bruylant, 2007, p. 1219 ss.; V. Constantinesco, Les coopérations renforcées, dix ans après: une fausse bonne idée, in Mélanges en hommage à Georges Vandersanden, Bruxelles, Bruylant, 2008, p. 241 ss..

[53] Proposta di direttiva del Consiglio che attua una cooperazione rafforzata nel settore dell’imposta sulle transazioni finanziarie, COM(2013) 71 final.

[54] Contro la decisione del Consiglio che autorizza la cooperazione rafforzata (decisione 2013/52/EU, op. cit.) il Regno Unito ha presentato un ricorso di annullamento il 18 aprile 2013 (causa C-209/13), respinto dalla Corte con sentenza del 30 aprile 2014. La nuova proposta di direttiva (COM(2013) 71 final, op. cit.) è inoltre stata oggetto di un parere del servizio giuridico del Consiglio (13412/13 del 6 settembre 2013), secondo il quale la proposta presenterebbe profili di incompatibilità con il diritto dell’Unione europea, e in particolare con l’articolo 327 TFUE.

[55] Il principio compare per la prima volta nella decisione sulle risorse proprie 88/376, op. cit., all’articolo 6. Le deroghe a tale principio riguardano generalmente la destinazione di determinate risorse provenienti da specifici settori al finanziamento degli stessi, ma si tratta di settori o politiche che riguardano tutti gli Stati membri.

[56] Un riferimento espresso a tale programma è contenuto nella decisione sulle risorse proprie 88/376 op. cit. Sul punto v. S. Marciali, La flexibilité du droit de l’Union européenne, Bruxelles, Bruylant, 2007, p. 410 ss..

[57] Trattandosi di un’imposta non strettamente collegata a competenze esercitate dall’Unione, e per questo versata solo in parte nel bilancio della stessa, essa presenta inoltre molti più elementi in comune con la risorsa Iva di quanti non ne presenti con dazi doganali e prelievi agricoli.

[58] Towards a genuine economic and monetary union, Report by President of the European Council Herman van Rompuy (in close cooperation with the Presidents of the Commission, the Eurogroup and the European Central Bank), 25.6.2012.

[59] Towards a genuine economic and monetary union, Interim Report by President of the European Council Herman van Rompuy (in close cooperation with the Presidents of the Commission, the Eurogroup and the European Central Bank), 12.10.2012.

[60] COM(2012) 777 def.

[61] Sull’integrazione differenziata, argomento in relazione al quale la bibliografia è vastissima, si vedano per tutti C. Guillard, L’intégration différenciée dans l’Union européenne, Bruxelles, Bruylant, 2006; S. Marciali, La flexibilité, op. cit..

[62] Sulle particolarità dell’UEM rispetto alle altre forme di integrazione differenziata si vedano per tutti O. Clerc, La gouvernance économique de l’Union européenne, Paris, Pedone, 2012; S. Marciali, La flexibilité, op. cit., p. 370 ss.. Come sottolineaP. Manin, Les aspects juridiques de l’intégration différenciée, in P. Manin, J.-V. Louis, Vers une Europe différenciée ? Possibilité et limite, Paris, Pedone, 1996, p. 13 ss., spec. p. 15, nel caso dell’UEM la differenziazione dipende da elementi estranei alla volontà dello Stato, dal momento che, quando le istituzioni competenti accertano che lo Stato risponde alle condizioni richieste, l’ingresso nella terza fase dell’UEM è automatico.

[63] V. J.-V. Louis, Differentiation and the EMU, in B. De Witte, D. Hanf, E. Vos (eds.), The many faces of differentiation in EU law, Antwerpen, Intersentia, 2001, p. 43 ss., spec. p. 47.

[64] Tra queste non sono incluse le forme di flessibilità esterne ai Trattati, quale l’Accordo di Schengen, che in effetti dava vita ad organi appositi.

[65] Le due cooperazioni rafforzate finora messe in atto riguardano in effetti Stati differenti. La cooperazione rafforzata in materia di legge applicabile alla separazione personale e al divorzio (regolamento UE 1259/2010 del 20 dicembre 2010 relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile al divorzio e alla separazione personale, in GUCE L 343 del 29 dicembre 2010, p. 10) coinvolge infatti Austria, Belgio, Bulgaria, Francia, Germania, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Portogallo, Romania, Spagna, Slovenia e Ungheria. Alla cooperazione rafforzata relativa al brevetto unico europeo (regolamento UE 1257/2012 del 17 dicembre 2012 relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata nel settore dell’istituzione di una tutela brevettuale unitaria, in GUUE L 361 del 31 dicembre 2012, p. 1 e regolamento UE 1260/2012 del 17 dicembre 2012 relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata nel settore dell’istituzione di una tutela unitaria con riferimento al regime di traduzione applicabile, in GUUE L 361 del 31 dicembre 2012, p. 89) prendono parte invece tutti gli Stati membri ad esclusione di Spagna e Italia.

[66] V. S. Marciali, La flexibilité, op. cit., spec. p. 396, secondo il quale l’UEM, prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, poteva essere definita una sorta di quarto pilastro dell’Unione.

[67] GUCE C 35 del 2 febbraio 1998, p 1. Nella risoluzione non si utilizza tuttavia ancora la denominazione di Eurogruppo. L’Eurogruppo è oggi oggetto anche del Protocollo n. 14, nel quale si precisa la sua composizione e si definiscono le modalità di elezione del suo Presidente.

[68] Sulla possibile evoluzione dell’Eurogruppo in un Consiglio ECOFIN dell’area euro v. J.-V. Louis, The Economic and Monetary Union: Law and Institutions, Common Market Law Rev.(2004), p. 575 ss., spec. p. 585.

[69] Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell’Unione economica e monetaria tra il Regno del Belgio, la Repubblica di Bulgaria, il Regno di Danimarca, la Repubblica federale di Germania, la Repubblica di Estonia, l’Irlanda, la Repubblica ellenica, il Regno di Spagna, la Repubblica francese, la Repubblica italiana, la Repubblica di Cipro, la Repubblica di Lettonia, la Repubblica di Lituania, il Granducato di Lussemburgo, l’Ungheria, Malta, il Regno dei Paesi Bassi, la Repubblica d’Austria, la Repubblica di Polonia, la Repubblica portoghese, la Romania, la Repubblica di Slovenia, la Repubblica slovacca, la Repubblica di Finlandia e il Regno di Svezia, firmato a Bruxelles il 2 marzo 2012.

[70] Regolamento UE 1173/2011 relativo all’effettiva esecuzione della sorveglianza di bilancio nella zona euro (GUUE L 306 del 23 novembre 2011, p. 1) e regolamento UE 1174/2011 sulle misure esecutive per la correzione degli squilibri macroeconomici eccessivi nell’area euro (GUUE L 306 del 23 novembre 2011, p. 8). L’articolo 136 TFUE ha costituito la base giuridica anche per l’adozione di decisioni indirizzate alla Grecia, la c.d. Greek Loan Facility. Sul punto v. A. Viterbo, 136, in C. Curti Gialdino (diretto da), Codice dell’Unione europea operativo, Napoli, Simone, 2012.

[71] Trattato che istituisce il Meccanismo europeo di stabilità tra il Regno del Belgio, la Repubblica federale di Germania, la Repubblica di Estonia, l’Irlanda, la Repubblica ellenica, il Regno di Spagna, la Repubblica francese, la Repubblica italiana, la Repubblica di Cipro, il Granducato di Lussemburgo, Malta, il Regno dei Paesi Bassi, la Repubblica d’Austria, la Repubblica portoghese, la Repubblica di Slovenia, la Repubblica slovacca e la Repubblica di Finlandia, firmato a Bruxelles il 2 febbraio 2012.

[72] Decisione 2011/199/UE del Consiglio europeo del 25 marzo 2011 che modifica l’articolo 136 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea relativamente a un meccanismo di stabilità per gli Stati membri la cui moneta è l’euro, in GUUE L 91 del 6 aprile 2011, p. 1.

[73] Sul punto v. S. Marciali, La flexibilité, op. cit., p. 410.

[74] COM(2012) 777 def., p. 14.

[75] V. anche la Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio “Verso un’unione economica e monetaria autentica e approfondita. Creazione di uno strumento di convergenza e competitività”, COM(2013) 165 final.

[76] L’iniziativa volta all’instaurazione di una cooperazione rafforzata non può peraltro provenire che dagli Stati membri interessati a tale cooperazione. La prospettiva delineata dalla Commissione nella Comunicazione citata (utilizzo dell’art. 352 TFUE associato a una cooperazione rafforzata) non potrebbe dunque essere oggetto di una proposta della Commissione.

[77] Secondo quanto disposto dagli articoli 20 TUE e 326 ss. TFUE, le cooperazioni rafforzate non possono riguardare settori di competenza esclusiva dell’UE; devono promuovere la realizzazione degli obiettivi dell’Unione, proteggere i suoi interessi e rafforzare il suo processo di integrazione; devono vedere la partecipazione di almeno nove Stati membri ed essere instaurate solo se gli obiettivi da esse previsti non potrebbero essere conseguiti entro un tempo ragionevole dall’Unione nel suo insieme; devono rispettare i trattati e il diritto dell’Unione; non possono recare pregiudizio al mercato interno o alla coesione economica, sociale e territoriale, né costituire una discriminazione per gli scambi tra Stati membri o provocare distorsioni di concorrenza tra questi; devono rispettare le competenze, i diritti e gli obblighi degli Stati che non vi partecipano; devono essere aperte a tutti gli Stati membri che vogliano partecipare.

[78] In questo senso v. J.-V. Louis, Differentiation and the EMU, in B. De Witte, D. Hanf, E. Vos (eds.), The many faces, op. cit., p. 43 ss., spec. p. 62; O. Clerc, La gouvernance, op. cit., p. 484 ss., i quali sottolineano in particolare la difficoltà di concepire, attraverso lo strumento della cooperazione rafforzata, un rafforzamento del ruolo dell’Eurogruppo.

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