IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno LVIII, 2016, Numero 2-3, Pagina 148

 

 

SOVRANITÀ FISCALE NAZIONALE
O FISCALITÀ EUROPEA?

 

 

Con due recenti proposte di direttiva,[1] la Commissione europea ha posto nuovamente al centro dell’attenzione la questione dell’armonizzazione della base imponibile delle società, con l’obiettivo, in un primo tempo, di introdurre un criterio unico di determinazione della base imponibile individuale, e in un secondo momento di passare a una base imponibile comune. Tali regimi – obbligatori per i gruppi UE con un fatturato superiore a 750 milioni di euro e per i gruppi extra-UE che realizzino sul territorio dell’Unione tale fatturato, e facoltativo per le imprese con un fatturato inferiore – non comportano l’imposizione di un’aliquota unica in tutto il territorio dell’Unione, bensì unicamente lo stabilimento dei criteri per la determinazione dei profitti tassabili. Si tratta di un regime al quale non sarà possibile derogare attraverso accordi individuali e che dovrebbe consentire di abbassare i costi amministrativi a carico delle imprese operanti in più Stati membri; non saranno poi tassabili alcuni utili, quali gli investimenti in ricerca e sviluppo.

L’idea di una base imponibile comune per le società risale in realtà al 2011, quando la Commissione aveva presentato una proposta sulla base imponibile consolidata comune per le imprese europee,[2] che prevedeva però un regime di carattere facoltativo e che, trovando l’opposizione di alcuni Stati membri, non era mai sfociata in un atto dell’Unione.

Le ragioni del nuovo tentativo della Commissione di proporre regole armonizzate in tale materia va ricondotta ai recenti scandali fiscali, e in particolare alla vicenda di Apple Irlanda, il cui trattamento fiscale da parte delle autorità irlandesi è stato dichiarato dalla Commissione contrario alle norme dell’Unione europea relative agli aiuti di Stato,[3] con conseguente obbligo del governo irlandese di recuperare una somma pari a 13 miliardi di euro più interessi. Tale ultima vicenda ha attirato più di altre l’attenzione dei media non solo per l’entità della somma che dovrebbe essere recuperata, ma anche per l’annuncio del governo irlandese di voler presentare ricorso, insieme ad Apple, contro la decisione della Commissione, e dunque di non voler recuperare la somma in questione, dovuto al timore di perdere la sua posizione di paradiso fiscale per le multinazionali. In particolare, nei confronti di Apple Sales International e Apple Operations Europe, due società di diritto irlandese, l’Irlanda aveva emanato due rulings che consentivano loro di fatto di assegnare la maggior parte degli utili a una sede fittizia, che in realtà non era ubicata in alcun paese, né aveva dipendenti o uffici propri; utili che in tal modo non erano tassati in nessuno Stato. Per citare i dati comunicati durante le audizioni pubbliche del Senato degli Stati Uniti relative al 2011, in quell’anno Apple Sales International registrava utili per circa 16 miliardi di euro, dei quali solo 50 milioni di euro erano considerati imponibili in Irlanda: l’aliquota applicata ad Apple Sales International corrispondeva dunque allo 0,05% dei suoi utili annui complessivi.

La vicenda – così come gli altri scandali fiscali emersi negli ultimi anni – solleva la questione della sovranità fiscale degli Stati membri e dell’influenza del diritto dell’Unione europea su quest’ultima. Nonostante il potere di riscuotere imposte spetti in maniera esclusiva agli Stati membri e l’Unione europea non abbia capacità fiscale, è indubbio infatti che il diritto dell’Unione interferisca in qualche misura con tale sfera di azione degli Stati.

In particolare, la vicenda Apple Irlanda sembra essere il frutto dell’interazione tra sovranità fiscale degli Stati membri e libertà di circolazione previste dai trattati. La prima implica che ogni Stato membro possa decidere autonomamente il trattamento fiscale delle imprese operanti sul proprio territorio; la seconda comporta che le imprese possano muoversi liberamente all’interno dell’Unione. Da tale interazione discende che, in un contesto fiscale non armonizzato, le multinazionali tentano di spostare i loro utili negli Stati membri nei quali l’imposizione fiscale è minima; dall’altro lato, tra gli Stati membri si crea una vera e propria concorrenza sul piano fiscale, e cioè il tentativo di ridurre le aliquote fiscali per attrarre investimenti sul proprio territorio e proteggere la propria base imponibile.

A tali comportamenti, il diritto dell’Unione europea oppone solo limiti piuttosto deboli. In particolare, per quanto riguarda la possibilità per le società di approfittare delle libertà di circolazione previste dal trattato e dunque di trasferire gli utili nello Stato nel quale la tassazione sia più favorevole, la Corte di giustizia (sentenze Halifax[4] e Cadbury Schweppes[5]) ha sottolineato che tale comportamento, perfettamente lecito se corrispondente a effettive transazioni commerciali, diviene vietato solo nell’ipotesi in cui un’impresa dia vita a costruzioni puramente fittizie (e dunque non corrispondenti a reali attività della stessa) all’unico fine di beneficiare abusivamente dei vantaggi previsti dal diritto dell’Unione. Inoltre, il diritto dell’Unione europea non vieta agli Stati membri di applicare aliquote fiscali favorevoli alle imprese operanti sul loro territorio, mentre ad essere vietata è la concessione di un trattamento di favore ad alcune imprese, dal momento che tale comportamento lederebbe la concorrenza e violerebbe il divieto di aiuti di Stato.

La coesistenza di 28 regimi fiscali differenti rende tuttavia senza dubbio complesso per le imprese di non grandi dimensioni esercitare la propria attività sul territorio di più Stati membri, contrariamente a quanto avviene per le grandi società multinazionali, per la difficoltà di avere un quadro chiaro della normativa fiscale applicabile. L’armonizzazione della base imponibile delle società avrebbe proprio lo scopo di semplificare tale quadro. Pur non imponendo infatti un’aliquota unica, essa consentirebbe di fare chiarezza su quali siano i profitti tassabili e a quale Stato membro essi siano imputabili, e comporterebbe un notevole risparmio dei costi amministrativi, soprattutto per le medie e piccole imprese. Secondo le stime della Commissione, con l’adozione del regime della base imponibile consolidata, per queste ultime i costi per l’apertura di una filiale all’estero potrebbero infatti diminuire fino al 67% e vi sarebbe una riduzione fino al 30% degli oneri fiscali.

La vicenda Apple Irlanda, tuttavia, impone di affrontare il problema della sovranità fiscale anche da un punto di vista differente, più propriamente macroeconomico. In effetti, la volontà del governo irlandese di impugnare la decisione della Commissione relativa al recupero degli aiuti e dunque di rinunciare in ultima analisi al recupero di 13 miliardi di euro, mostra l’importanza che una politica fiscale volta ad attrarre investimenti sul territorio ha assunto per alcuni Stati della zona euro, ormai privi della possibilità di utilizzare strumenti di politica monetaria per raggiungere i propri obiettivi macroeconomici. Come sottolinea Apple in una lettera inviata alla Comunità Apple in Europa in seguito alla decisione della Commissione, quest’ultima, dunque, “would strike devasting blow to the sovereignty of EU member states over their own tax matter”.

E’ tuttavia opportuno mettere in luce che l’idea che in materia fiscale gli Stati membri siano pienamente sovrani costituisce ormai un mito. Mentre negli anni Settanta il piano Werner, nel prospettare la possibilità di una moneta unica, sottolineava come la politica monetaria non potesse essere separata dalla politica economica e fiscale, la scelta operata a Maastricht ha seguito il cammino opposto: il trasferimento della politica monetaria a livello europeo e il mantenimento delle politiche economiche e fiscali a livello nazionale, accompagnato dal coordinamento di queste a livello europeo. La crisi economica e finanziaria degli ultimi anni, tuttavia, ha evidenziato l’insostenibilità di questo modello, e ha condotto alla necessità di adottare misure sempre più stringenti di coordinamento delle politiche economiche e di bilancio degli Stati legati dalla moneta comune, portando di fatto le istituzioni europee a ingerirsi in modo sempre più profondo nei settori rimasti di competenza degli Stati membri. Se la politica fiscale costituisce tuttora uno dei capisaldi della sovranità statale, non si può dunque evitare di notare come questa realtà sia più di facciata che di sostanza: molte scelte sulla tipologia di risorse fiscali e sull’utilizzo di queste sono infatti ormai dettate dal livello europeo.

Per non affrontare il passo dell’attribuzione di competenze in materia economica e fiscale al livello sovranazionale si è giunti dunque a una situazione in cui nessun livello di governo è più in possesso di strumenti efficaci ai fini della politica economica; e in cui, soprattutto, esistono gravi implicazioni dal punto di vista della legittimazione democratica. In effetti oggi assistiamo a uno svuotamento del potere degli Stati di esercitare la loro potestà fiscale in modo autonomo (e al conseguente svuotamento del potere dei cittadini di controllarne, attraverso i parlamenti nazionali, la gestione), e all’attribuzione di poteri di controllo sempre più stringenti a un livello (quello europeo) privo di un governo legittimato democraticamente. Il potere di determinare le linee direttrici delle politiche fiscali degli Stati dell’eurozona è dunque nelle mani di organi sottratti al controllo dei cittadini. Solo il riallineamento di competenza monetaria e competenza fiscale, e dunque l’attribuzione di una capacità fiscale all’eurozona sotto il controllo del Parlamento europeo, potrebbe sanare questa contraddizione.

Giulia Rossolillo



[1] Proposal for a Council directive on a Common Corporate Tax Base COM(2016) 685 final, 25.10.2016 (685 final 2016/0337 (CNS) Proposal for a COUNCIL DIRECTIVE on a ...)e Proposal for a Council directive on a Common Consolidated Corporate Tax Base (CCCTB) COM(2016) 683 final, 25.10.2016 (proposal for a Council Directive on a Common Consolidated ...).

[2] Proposta di direttiva del Consiglio relativa a una base imponibile consolidata comune per l’imposta sulle società, COM(2011) 121 definitivo, 16.3.2011 (http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/
?uri=celex:52011PC0121
).

[3] V. il Comunicato stampa della Commissione del 30 agosto 2016 (http://europa.eu/rapid/press-release_IP-16-2923_it.htm).

[4] Corte di giustizia, sentenza 21 febbraio 2006, causa C-255/02, Halifax.

[5] Corte di giustizia, sentenza 12 settembre 2006, causa C-196/04, Cadbury Schweppes.

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