IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno LIX, 2017, Numero 3, Pagina 169

 

 

VENEZUELA E MERCOSUR:
LA DIFFICILE VIA VERSO LA DEMOCRAZIA

 

 

Nel 2012 il Venezuela diventava membro effettivo del Mercosur. Per la prima volta dalla sua nascita nel 1991, il Mercosur conosceva un allargamento, portando così a cinque gli Stati membri.[1]

Il nuovo ingresso nasceva però sotto cattivi auspici. L’adesione era stata sino ad allora osteggiata dal voto contrario del Paraguay che nutriva una profonda avversione sia verso la politica anti-statunitense sia verso la politica sociale dell’allora Presidente venezuelano Chavez. L’adesione si poté concretizzare solo perché il Paraguay, nel luglio 2012, venne momentaneamente sospeso dal Mercosur in applicazione della “clausola democratica”, poiché gli altri Paesi membri contestavano le modalità con cui il Presidente paraguayano Lugo era stato destituito dal suo incarico. Durante questa sospensione, il Mercosur votò l’allargamento definitivo al Venezuela. A distanza di cinque anni è il Venezuela a conoscere una sospensione, dal momento che gli altri Paesi membri hanno condannato come anti-democratiche le votazioni per l’elezione dell’Assemblea costituente volute dal Presidente Maduro, succeduto a Chavez nel 2013 dopo la sua morte: ne contestano la deriva autoritaria, la sospensione dei diritti civili e la carcerazione dei principali oppositori. La sospensione di un Paese dal Mercosur può avvenire in base al Protocolo de Usuhuaia sobre compromiso democrático del luglio 1998: il protocollo stabilisce che qualora un Paese membro venga meno alle regole della democrazia può essere sospeso dopo un voto unanime dei Parlamenti degli altri Stati membri. Nella premessa al Protocolo si afferma che “…il pieno vigore delle istituzioni democratiche costituisce condizione indispensabile per l’esistenza e lo sviluppo del Mercosur”.[2] E’ la terza volta dalla sua introduzione che viene applicata la “clausola democratica”. La prima fu nel 2001 contro il Paraguay: nel Paese vi era stato un colpo di stato militare che ebbe breve durata proprio per l’isolamento politico cui venne sottoposta prontamente la giunta militare. In anni passati i frequenti colpi di Stato nei paesi latino-americani potevano riuscire per l’appoggio diretto o indiretto che veniva garantito dalle nazioni confinanti, a loro volta rette da dittature militari. Ma negli anni Ottanta accadono due fatti importanti che cambiano il destino politico dei governi del Sud-America: la disastrosa guerra delle isole Malvinas-Falkland voluta dal regime argentino del generale Videla contro la Gran Bretagna e il crollo dell’Unione Sovietica. Per decenni la paura del comunismo aveva indotto gli USA a sostenere senza indugio anche i più odiosi regimi militari, arrivando a favorire colpi di Stato militare pur di evitare che al governo salissero partiti di ispirazione socialista[3]. Il timore che in America latina vi potessero essere nazioni come Cuba alleate dell’URSS induceva gli USA a dimenticarsi di essere una grande democrazia. La guerra dichiarata dall’Argentina alla Gran Bretagna poneva gli USA però dinanzi al dilemma di dover scegliere quale, tra due suoi storici alleati, sostenere: la scelta fu a favore della Gran Bretagna anche per lo sdegno crescente dell’opinione pubblica mondiale per le notizie che giungevano a proposito del dramma dei desaparecidos. La sconfitta militare dell’Argentina e la caduta della giunta nel 1982 ebbe un effetto domino sui vicini paesi. Fu così che nel giro di pochi mesi anche in Uruguay e Paraguay caddero le dittature militari e vennero indette libere elezioni che videro la nascita di governi democratici. Una nuova era si apriva per le nazioni sud-americane che nel contempo si affacciavano per la prima volta sullo scenario della politica internazionale. Il mondo iniziò a conoscere meglio queste nazioni anche per cause di forza maggiore: le bolle finanziarie degli anni Ottanta e Novanta in Messico e Argentina sconvolsero le borse da Tokio a Londra a New York. L’America latina era entrata comunque nel gioco dell’economia mondiale che ne scopriva anche le enormi ricchezze naturali, suscitando gli interessi delle economie emergenti, in primis la Cina e, a seguire, l’India e più recentemente la Russia.[4] Il lento processo di democratizzazione del sub-continente fu favorito dal riavvicinamento tra Argentina e Brasile. Fu grazie a questo riavvicinamento che prese corpo l’idea di una integrazione regionale con la nascita del Mercosur. Come visto in occasione del fallito colpo di stato in Paraguay nel 2001, il Mercosur ebbe lo straordinario effetto di sostenere gli sforzi di democratizzazione non solo della regione rio platense. Il consolidarsi di governi eletti liberamente indebolì l’ultimo regime militare dell’area, il Cile, che si avviò, seppur lentamente, verso un ritorno alla democrazia. Ma se le dittature sembravano diventare un ricordo, il Mercosur stentava e stenta tuttora a trasformarsi in un reale progetto politico unitario tra gli Stati membri.[5] In tutti i documenti del Mercosur, non solo quelli preparatori, si fa riferimento al modello da seguire: quello dell’Unione europea. Ma l’avvento della democrazia, il miglioramento in generale delle condizioni di vita della popolazione e i notevoli successi in campo economico all’inizio del nuovo secolo, hanno riproposto antiche divisioni, nonché i sospetti che il Brasile intendesse assumere un ruolo di leadership, specie dopo il suo ingresso nel gruppo dei BRIC che lega il Brasile a Russia, India e Cina.[6] Così con i sospetti di leadership prendono corpo antiche rivalità e l’integrazione politica prospettata inizialmente dal Mercosur continua a tardare. Nel contempo si è favorito un primo allargamento al Venezuela e se ne prospetta un secondo entro il 2020 con l’adesione della Bolivia e, forse, del Cile che sembra guardare però con maggiore interesse ad una integrazione con le nazioni che si affacciano sul Pacifico. Il risultato è che in questo modo il Mercosur si è indebolito: un allargamento senza il consolidamento di istituzioni a livello comunitario non può che rendere più fragile ogni disegno di integrazione politica,[7] come d’altronde ci insegna la stessa esperienza dell’Unione europea. Va poi segnalato che l’avvento della democrazia non ha evitato il persistere della corruzione a tutti i livelli, arrivando a colpire anche figure carismatiche come il Presidente Lula in Brasile; ma la stessa cosa è accaduta al suo successore Dilma Rousseff (accusata anche di aver falsificato il bilancio dello Stato) che ha conosciuto l’onta di un impeachment con il voto favorevole in Senato del suo stesso partito. La maledizione dell’accusa di corruzione ha pure colpito il successore della Rousseff, il suo vice divenuto Presidente, Michel Temer, che per pochi voti ha evitato a sua volta l’impeachment. Ma accuse di corruzione sono piovute anche sugli ex-Presidenti argentini Menem e Kirchner. Pesanti accuse di corruzione sono state mosse di recente anche al Presidente venezuelano Maduro. La crisi in atto in Venezuela ha però aperto un ferita in seno al Mercosur che si era manifestata sin dalla sua adesione.

 

Il Venezuela.

La crisi venezuelana è esplosa in modo evidente agli occhi del mondo con le violente manifestazioni di protesta popolare contro l’elezione di una nuova Assemblea costituente voluta dal Presidente Maduro che, nei propositi, deve riscrivere la Costituzione attribuendo poteri illimitati al Presidente. Le proteste popolari hanno però radici ben più profonde e risiedono nella crisi economica in cui è precipitato da alcuni anni il Venezuela. Il reddito pro capite nel 2008 era di 12.000 dollari e nel 2017 è sceso a 3.000 dollari.[8] Nel Paese mancano generi di prima necessità e giornalmente migliaia di venezuelani varcano i confini di Colombia e Brasile alla disperata ricerca di cibo e medicinali. La nazionalizzazione delle imprese voluta ai tempi di Chavez, un sistema fiscale del tutto inefficiente e il crollo del prezzo del petrolio e della sua produzione su cui si basano per oltre l’80% le entrate del Paese, hanno travolto l’economia nazionale. Alle proteste popolari le risposte di Maduro sono state un rafforzamento del sistema poliziesco. La scelta inoltre di privilegiare nei rapporti commerciali alcune nazioni come Cina, India, Russia, Cuba, Iran e Nicaragua ha precluso al Venezuela la possibilità di disporre di valuta pregiata per garantire l’acquisto dei beni di cui manca. La volontà di aiutare nazioni come Cuba e Nicaragua, fornendo loro petrolio in cambio di servizi sanitari e ospedalieri ha ulteriormente indebolito l’economia e le riserve valutarie del Paese che, per le sue scelte in politica estera, era stato classificato dagli USA come una delle cosiddette “nazioni canaglia”.

La riduzione delle preziose entrate garantite dal petrolio ha portato il Venezuela sull’orlo del default evitato solo grazie al prezioso aiuto ed intervento russo per tramite del colosso energetico Rosneft che ha prestato 6 miliardi di dollari al governo di Maduro. Un prestito che comunque ha un prezzo poiché impone al Venezuela, a titolo di garanzia, la cessione del 50% del capitale della società venezuelana (Citgo) che gestisce raffinerie e stazioni di servizio all’estero.[9] Nel contempo si è arrivati al paradosso che il Venezuela, uno dei principali produttori di petrolio al mondo, deve importare greggio raffinato. Quel che è peggio è che il prezzo di acquisto del greggio raffinato risulta superiore al prezzo di cessione del petrolio grezzo, aumentando così il debito del Paese.

In questo clima di profonda crisi il Venezuela è entrato a far parte del Mercosur, trasferendo così a livello regionale la propria crisi.

 

Il Mercosur.

Vi è un dato emblematico che meglio di ogni altro evidenzia la crisi in corso in Venezuela e nei suoi rapporti con gli altri Paesi membri del Mercosur. Dall’ingresso nel 2012 del Venezuela nel Mercosur il suo commercio verso gli Stati membri è passato dai 9.742 milioni di dollari ai 3.240 di fine 2016. L’export dal Mercosur verso il Venezuela è calato del 64%: la crisi non consente alla nazione di disporre di valuta per pagare le importazioni[10] e lo scambio tra beni in natura (petrolio per disporre di prodotti alimentari o servizi) non è sempre accettato.

La crisi della nazione che si affaccia sul Mar dei Caraibi pone il Mercosur dinanzi a delle scelte politiche ed istituzionali circa la natura che vuole o intende avere, perché vi è il rischio che anziché consolidarsi, questo mercato regionale si avvii verso un suo scioglimento. Da sempre il Mercosur si muove con oscillazioni che vanno a favore di una maggiore integrazione politica a quelle di una semplice area di libero scambio, ma anche in quest’ultimo caso Brasile e Argentina recentemente chiedono di poter aver l’opportunità di effettuare accordi bilaterali nel rispetto della propria sovranità in campo economico. In Brasile da quando negli ultimi tre anni si è aperta una profonda crisi a livello presidenziale, il dibattito politico per la prima volta pone seri dubbi sull’utilità dell’adesione del Paese al Mercosur. Il 13 di agosto del 2015, il Presidente del Senato brasiliano Calheiros e il Ministro delle Finanze Levy hanno discusso in Senato il tema di come porre fine all’unione doganale del Mercosur.[11] Il dibattito non ha portato a un voto perché si è voluto evitare una spaccatura all’interno del Partito dei Lavoratori, ma è emblematico di un orientamento politico ben diverso da quello che aveva spinto il Brasile nel 1991 a fondare il Mercosur e a proporre nel contempo la creazione di una moneta comune tra i Paesi fondatori.

Più recentemente il nuovo Ministro degli Esteri Serra ha presentato il Decalogo della politica brasiliana[12] con lo slogan Primero Brazil, riprendendo lo slogan della campagna elettorale del Presidente USA Trump. Nel suo programma di neo Ministro, propone che il Brasile agisca per accordi economici bilaterali al di fuori del Mercosur (punto 5). Il punto 7 propone di rivedere le intese con l’Argentina affinché gli impegni nel Mercosur siano solo in campo economico e vengano abbandonati disegni di tipo politico. Auspica l’adesione al Mercosur del Messico e contesta la possibile adesione della Bolivia (al momento Paese osservatore).

A queste dichiarazioni hanno risposto in modo preoccupato in particolare le due nazioni più piccole del Mercosur, Uruguay e Paraguay che ribadiscono la necessità di “…negoziare in forma unitaria accordi commerciali con Paesi terzi o integrati a livello regionale come previsto dalla Decisione n. 32/2000 del Consejo Mercado Comun (CMC)”.[13] Questo punto è considerato dal Ministro Serra una “camicia di forza” per il Brasile.

Se il Brasile sembra mostrare segni di rottura verso il Mercosur è altrettanto preoccupante la recente dichiarazione dell’ex Presidente dell’Uruguay Luis Alberto Lacalle che, dinanzi alle prese di posizione del Brasile e alle difficoltà del suo Paese a schierarsi prontamente contro il Venezuela con una dichiarazione congiunta del Mercosur, ha testualmente affermato che il Mercosur è in agonia e che “non serve più a nulla”.[14] Che vi possano essere momentanee dichiarazioni di sconforto dinanzi a profonde crisi politiche è comprensibile, quello che è allarmante è che Lacalle è stato uno dei quattro Presidenti firmatari della dichiarazione di fondazione del Mercosur nel 1991.[15] Se chi ha sostenuto il progetto iniziale nutre ora dubbi sulle prospettive future del Mercosur cosa potremmo osservare dalla lontana Europa? Quello che più sorprende è il silenzio dell’Argentina e del suo Presidente Macri. Nel corso di questi circa 25 anni di vita del Mercosur è stato il binomio argentino-brasiliano a favorirne la pur lenta e contrastata integrazione: il venir meno di una di queste nazioni non può che provocare l’implosione del Mercosur. Il rischio sarebbe il ritorno a vecchie politiche di stampo prettamente nazionalistico che metterebbero in gioco la stessa democrazia.

In questi mesi sono in corso incontri tra rappresentanti del Mercosur e dell’Unione europea alla ricerca di intese in campo economico. L’Unione europea ha saputo sostenere sino ad oggi le proprie scelte unitarie in campo economico. Sarebbe tempo che avviasse un definitivo processo di integrazione in campo politico e istituzionale, dotandosi di un bilancio dell’Unione e di un governo. Sarebbe questo l’esempio migliore verso quelle nazioni e regioni del mondo che hanno guardato e guardano all’Unione europea come ad un modello di democrazia da seguire. Sarebbe l’esempio migliore per consolidare le giovani democrazie del Mercosur e dell’intera America Latina.

Stefano Spoltore

 


[1] Il Tratado de Asunciòn, 1991, stabiliva la nascita del Mercosur entro il 31 dicembre 1994 tra i Paesi fondatori: Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay.

[2] Il Protocolo de Usuhuaia sobre compromiso democrático en el Mercosur del 24 luglio 1998 fu integrato il 20 dicembre 2011 con il Trattato di Usuhuaia II. Vi è stata incertezza circa l’applicazione di questa clausola contro il Venezuela, perché il governo dell’Uruguay esitava nel dare una risposta. E’ stata necessaria una pressione dei presidenti argentino e brasiliano affinché alla fine il governo di Montevideo confermasse l’applicazione della clausola contro un Paese membro. Questa decisione ha aperto però una crisi in seno al governo dell’Uruguay, che ha sempre sostenuto prima il Presidente Chavez e poi il successore designato Maduro.

[3] E’ quanto accaduto per esempio in Cile l’11 settembre 1973 quando gli USA appoggiarono il colpo di Stato di Pinochet per evitare che al governo andasse il socialista Allende che aveva vinto le elezioni. La data dell’11 settembre diverrà poi tristemente famosa negli USA e nel mondo intero per il drammatico attacco alle Torri Gemelle (2001).

[4] Il Sole 24 Ore, Milano, 9 agosto 2017.

[5] Si veda l’articolo: Brasile e Argentina al bivio nel Mercosur, Il Federalista, 54, n. 3 (2012).

[6] Aspenia, Roma, n. 64, 2014. pp. 155-162.

[7] Il Sole 24 Ore, Milano, 8 agosto 2017.

[8] Il Foglio, Milano, 30 luglio 2017 e Il Sole 24 Ore, Milano, 2 agosto 2017.

[9] Il Sole 24 Ore, Milano, 11 agosto 2017.

[10] Boletin Parlamento Mercosur, El Espectator, Montevideo, 5 settembre 2017.

[11] Ansalatina, Brasilia, 13 agosto 2015.

[12] La Nacion, Buenos Aires, 26 maggio 2016.

[13] Boletin Parlamento Mercosur, ABC, Asunciòn, 26 maggio 2016.

[14] La Nacion, Buenos Aires, 8 agosto 2017.

[15] I quattro Presidenti firmatari furono: de Mello (Brasile), Lacalle (Uruguay), Menem (Argentina) e André Rodriguez (Paraguay).

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