IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno XXXIII, 1991, Numero 2 - Pagina 146

 

 

L’Europa e la politica di unificazione mondiale

 

SERGIO PISTONE

 

 

A partire dall’editoriale «L’Europa e le prime forme statuali della democrazia internazionale» (Il Federalista, 1990, n. 2) i federalisti sono stati sollecitati a discutere, nel quadro di un dibattito per ora puramente teorico, la tesi secondo cui una Comunità europea trasformata in senso federale dovrebbe svolgere una politica estera fondata esclusivamente sugli strumenti dell’adesione e della associazione e, quindi, essere priva di competenze militari. Si ipotizza cioè non semplicemente il mettere tra parentesi la questione delle competenze militari e il concentrarsi sulla richiesta di una federazione economico-monetaria per ragioni di realismo politico (non volere tutto subito), bensì un rifiuto in termini di principio di una federazione dotata anche di competenze militari. Alla base di questa tesi c’è fondamentalmente la preoccupazione che una Federazione europea con competenze militari, invece di rappresentare un fattore decisivo a favore della politica di unificazione mondiale, finirebbe per produrre un’Europa chiusa e nazionalista, tendente ad accelerare la corsa del mondo verso la sua catastrofe finale.

Anch’io ritengo che l’unificazione europea debba essere perseguita non in funzione degli interessi egoistici dell’Europa, bensì dell’esigenza estremamente attuale dell’avvio di una politica di unificazione mondiale. Ritengo d’altra parte che la CE non possa fare a meno di dotarsi anche di competenze militari se vorrà diventare una federazione efficiente al suo interno e svolgere un ruolo efficace a favore dell’unificazione mondiale. Pertanto il problema vero non è se la Federazione europea che noi vogliamo debba o non debba avere competenze militari, bensì l’uso che di queste competenze dovrà e potrà fare. A questo riguardo mi sembrano fondamentali due ordini di considerazioni, l’uno relativo alle prospettive della politica di unificazione mondiale, l’altro relativo al pericolo del nazionalismo europeo.

Circa il primo punto noi dobbiamo concentrare sempre di più le nostre energie intellettuali nel chiarire a noi stessi e agli altri che una politica di unificazione mondiale è non solo drammaticamente e urgentemente necessaria, ma anche concretamente possibile. E’ necessaria perché, come andiamo dicendo da alcuni anni, l’umanità nel suo insieme è ormai di fronte all’alternativa «unirsi o perire». Ed è concretamente possibile perché la fine del conflitto Est-Ovest, oltre ad aver fatto diventare possibile l’allargamento della CE a tutta l’Europa centrale e orientale, ha aperto la grandiosa prospettiva della istituzionalizzazione e del rafforzamento del processo di Helsinki. In sostanza è diventato politicamente possibile realizzare una cooperazione sempre più approfondita e istituzionalizzata fra Nordamerica, Europa e URSS, con possibili ed auspicabili allargamenti ad altre democrazie industriali, in primo luogo al Giappone.

Questo sistema di cooperazione dovrebbe, al proprio interno, rendere possibili progressi sempre più consistenti verso la riduzione degli armamenti e la sicurezza comune, il risanamento economico e, quindi, il consolidamento delle nuove esperienze democratiche nell’Europa centro-orientale e nell’URSS, una crescente cooperazione e integrazione sul piano economico e della politica ecologica fra le grandi comunità del Nord del mondo. Nei rapporti esterni questo sistema di cooperazione dovrebbe costituire la piattaforma fondamentale attraverso cui il Nord del mondo potrebbe affrontare in modo concorde ed efficace le grandi sfide mondiali del divario fra Nord e Sud del pianeta e del rafforzamento dell’ONU. Potrebbe, in altre parole, svolgere rispetto al processo di unificazione mondiale un ruolo trainante analogo a quello svolto dall’asse franco-tedesco e dalla «piccola Europa» rispetto all’integrazione europea.

Nel chiarire questa prospettiva dobbiamo d’altro canto, se vogliamo essere convincenti e non apparire degli astratti visionari, mettere in luce con la massima franchezza le sue difficoltà e complessità. In particolare dobbiamo sottolineare che l’avanzamento del processo di Helsinki è subordinato alla realizzazione di progressi decisivi nel processo di rinnovamento in senso democratico e federale e di risanamento economico dell’URSS. Il che significa che l’esigenza più immediata è quella di aiutare con ogni mezzo l’URSS nel suo sforzo di rinnovamento.[1] Soprattutto dobbiamo riconoscere realisticamente che non è all’ordine del giorno della politica di unificazione mondiale la creazione di istituzioni di carattere federale. Non lo è a livello mondiale globale, dove è evidente che gli enormi divari sul piano del progresso economico-sociale e democratico rendono possibili solo sviluppi della cooperazione intergovernativa. Ma anche nel quadro del processo di Helsinki ci saranno per moltissimo tempo solo possibilità di sviluppi confederali-funzionali senza consistenti embrioni federali, perché negli USA non c’è alcuna disponibilità alla cessione di sovranità ad organi sovrastatali, nell’URSS non c’è la disponibilità né la possibilità, data la sua drammatica instabilità, e nell’Europa, in cui potrebbe esserci la disponibilità, non c’è ancora un governo sovrannazionale in grado di promuovere una efficace politica di unificazione mondiale.

Se queste sono le prospettive realistiche della politica di unificazione mondiale, mi sembra molto difficile che la CE possa diventare una federazione efficiente sul piano interno e capace di svolgere un ruolo internazionale efficace a favore dell’unificazione mondiale se non si doterà anche di competenze militari.

Per quanto riguarda i problemi di consolidamento interno dell’integrazione europea, poiché nella fase in cui si dovrà creare una Federazione europea efficiente, estesa a tutta l’Europa meno l’URSS, la situazione non sarà ancora matura per il trasferimento della sovranità militare a istituzioni federali mondiali, il compito di disarmare le nazioni europee spetterà alle istituzioni sovrannazionali europee. Finché questo compito non verrà condotto a termine, non potremo avere una federazione efficiente perché persisterà un forte squilibrio fra le istituzioni sovrannazionali disarmate e le nazioni armate. Di conseguenza l’ordinamento giuridico comunitario resterà strutturalmente debole, e, nel caso di gravi crisi, non sarà possibile realizzare interventi efficaci dell’autorità sovrannazionale per restaurare l’ordine democratico violato in uno Stato membro o prevenire efficacemente conflitti violenti fra Stati-membri. Crisi di questo genere appaiono certo assai poco probabili nell’attuale Comunità a dodici, ma la situazione sarà ben diversa in una Comunità di cui faranno parte i paesi dell’Est europeo con democrazie assai fragili e gravi contenziosi di carattere etnico.[2]

Per quanto riguarda la politica di unificazione mondiale, lo strumento fondamentale con cui l’Europa potrà contribuirvi sarà la enorme forza economica derivante dalla realizzazione dell’Unione economica e monetaria. In tal modo essa potrà (in collaborazione con USA, Giappone e le altre democrazie industriali, ma con un ruolo guida, essendo essa avviata a diventare la più forte delle democrazie industriali) mobilitare le risorse economiche indispensabili per il risanamento economico dell’Est (allargamento all’Europa centro-orientale, associazione con l’URSS) e per il riscatto del Sud (integrazioni regionali e agenzie ONU per lo sviluppo del Sud). Per questo la CE deve anzitutto dotarsi delle competenze federali indispensabili alla realizzazione dell’UEM e all’attuazione delle politiche economiche esterne necessarie per affrontare efficacemente i problemi economici mondiali. Ma, poiché la politica di unificazione mondiale ha anche un aspetto di cooperazione militare che però non si può ancora tradurre in trasferimenti di sovranità militare a istituzioni mondiali, la CE deve anche dotarsi di competenze militari per poter gestire in modo efficace questo aspetto.

Concretamente, nell’ambito della CSCE si dovranno realizzare progressi sempre più consistenti verso la riduzione degli armamenti e la sicurezza comune. E a questo processo la CE potrà contribuire in modo veramente efficace se parlerà con una voce unica e cioè se avrà competenze federali nei settori della politica estera e di sicurezza che dovranno servire non per potenziare la sua forza militare, bensì essenzialmente per impedire che gli Stati nazionali europei boicottino o ritardino la creazione di strutture di sicurezza comuni a livello della CSCE.[3] A questo riguardo ha importanza decisiva la considerazione che, se le responsabilità militari restano in mano agli Stati nazionali, essi sono portati, a causa della loro strutturale debolezza, a dare importanza decisiva agli aspetti esclusivamente militari della sicurezza e quindi a resistere contro le prospettive di riduzione degli armamenti. Se per contro le responsabilità militari vengono trasferite a una CE in via di completa integrazione sul piano economico-monetario, la sua enorme forza su questo terreno la renderebbe assai più favorevole alla riduzione degli armamenti.[4]

Circa la cooperazione militare a livello mondiale globale, il compito fondamentale in questa fase è quello della creazione di una consistente e permanente forza militare dell’ONU, la quale dovrebbe avere compiti di polizia (repressione dei crimini transnazionali), di controllo sulla riduzione degli armamenti, di eliminazione del traffico internazionale delle armi, di intervento nelle crisi locali nei casi estremi (ovviamente una seria politica di riscatto economico-sociale del Sud, combinata con la funzione deterrente di una consistente forza militare permanente dell’ONU, dovrebbe disincentivare gli avventurismi alla Saddam). L’Europa dovrà fornire propri contingenti alla forza militare permanente dell’ONU e potrà farlo efficacemente solo se essi saranno sotto la diretta responsabilità del governo europeo, se saranno cioè federali. In caso contrario (come dimostra l’esperienza della partecipazione europea alla guerra del Golfo) ci saranno continui contenziosi fra gli Stati nazionali europei, perché qualche Stato si sottrarrà al suo dovere, mentre quelli che faranno il loro dovere pretenderanno compensi sul terreno economico. E questi contenziosi, e le connesse questioni di prestigio nazionale, avranno effetti disgregativi all’interno della CE.

Se è chiaro, alla luce di queste considerazioni, che la CE non può fare a meno di dotarsi anche di competenze federali nel settore militare,[5] e che il problema vero è dunque quello dell’uso di tali competenze in funzione della politica di unificazione mondiale, occorre a questo punto prendere in considerazione la preoccupazione circa la possibilità che una federazione con competenze militari produca un’Europa chiusa e nazionalista.

A me sembra che questa preoccupazione sia contraddittoria rispetto alla nostra visione della attuale evoluzione mondiale. Noi mettiamo giustamente in luce una crescente convergenza delle ragioni di Stato delle massime potenze mondiali dovuta alla mondializzazione dell’alternativa «unirsi o perire» e alla fine del conflitto Est-Ovest che ha fatto cadere l’ostacolo fondamentale che impediva di prendere coscienza che l’umanità è ormai una comunità di destino. E osserviamo che questa convergenza delle ragioni di Stato ha messo in moto un processo di progressiva attenuazione della politica di potenza e di avvio della politica di unificazione mondiale. Se questa visione è fondata, è ragionevole aspettarsi che un’Europa capace di agire come soggetto unitario sul piano mondiale si inserisca attivamente in questo trend e sia quindi spinta ad usare le proprie competenze economico-monetarie, di politica estera e militari a favore della politica di unificazione mondiale e non di un nazionalismo egoista e disgregatore. Questa aspettativa appare tanto più fondata se si tengono presenti le caratteristiche specifiche della ragion di Stato europea. A questo riguardo mi sembrano decisive due considerazioni.

In primo luogo la CE non solo è fortemente dipendente dal commercio mondiale ed è quindi spinta ad aiutare l’Est europeo e il Sud del mondo (trasferendo crescenti risorse dalle spese per gli armamenti alla cooperazione per lo sviluppo) per consolidare le sue stesse prospettive economiche, ma ha addirittura un interesse vitale a favorire lo sviluppo dell’Est europeo e del Sud del mondo per tenere sotto controllo i fenomeni migratori che rischiano altrimenti di compromettere le stesse strutture democratiche dell’Europa occidentale. In secondo luogo una struttura federale vera, quale sarà quella che la CE si darà se completerà il processo di integrazione, rappresenterà per un certo periodo un ostacolo costituzionale fortissimo all’affermarsi del nazionalismo europeo e, quindi, dell’opzione a favore di una Europa-fortezza, che richiederebbe invece strutture accentrate e autoritarie. I progressi decisivi nella politica di unificazione mondiale, che la Federazione europea sarebbe spinta a favorire, dovrebbero pertanto creare nel frattempo una situazione in cui l’emergere di un’Europa chiusa e nazionalista diventerebbe a poco a poco strutturalmente impossibile.

La convinzione che la convergenza delle ragioni di Stato delle massime potenze mondiali e le caratteristiche specifiche della ragion di Stato europea costituiscano un potente fattore oggettivo favorevole all’affermarsi di una forte politica di unificazione mondiale da parte della Federazione europea non significa ovviamente che questa politica si imporrà in modo automatico. In realtà le opportunità di realizzare grandi progressi offerte dalla situazione storica potranno essere colte in modo più o meno completo in relazione al livello di consapevolezza, di capacità e di volontà della classe politica. E qui i federalisti sono chiamati a svolgere un ruolo di grande importanza nella lotta contro le resistenze che certamente ci saranno nei confronti di una coerente politica europea di unificazione mondiale. Essi devono esercitare tutta la loro influenza per ottenere che questa politica abbia un ancoraggio nella stessa costituzione europea e diventi quindi il contenuto fondamentale della politica internazionale del governo europeo.

Circa il primo aspetto si dovrebbero tenere presenti le seguenti indicazioni:

1) nella costituzione europea deve essere indicato esplicitamente l’impegno alla creazione del governo mondiale e ai connessi trasferimenti di sovranità;

2) deve inoltre essere recepito il divieto di commercio internazionale delle armi (come nella costituzione giapponese) e l’impegno a mettere truppe europee a disposizione permanente dell’ONU per costituire una efficace forza di polizia internazionale;

3) le competenze di difesa e di politica estera devono essere concorrenti e devono essere distribuite fra il livello europeo, quello nazionale e quello locale sulla base del principio di sussidiarietà, in modo da realizzare una federazione efficiente, ma da istituire allo stesso tempo un importante ostacolo costituzionale all’affermarsi di un’Europa chiusa e nazionalista.

Circa la politica internazionale della Federazione europea, l’obiettivo fondamentale che si deve perseguire è il coordinamento e il parallelismo fra la federalizzazione della politica estera e di difesa europea e il rafforzamento della CSCE e dell’ONU. In questo quadro generale due obiettivi di particolare importanza sono la sostituzione della CE a Francia e Gran Bretagna nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU e il trasferimento delle forze nucleari francese e britannica non al governo europeo, bensì all’ONU.

Il fatto che la politica europea di unificazione mondiale dipenda anche dalla volontà politica (e, quindi, anche dall’influenza che i federalisti possono esercitare sulla sua formazione) non significa però che questa possa andare contro le tendenze di fondo del processo storico. Se perciò la nostra visione di questo processo è sbagliata e il futuro ci riserva l’esasperazione invece che l’attenuazione della politica di potenza, la CE non potrà svolgere alcuna politica di unificazione mondiale, indipendentemente dal fatto che acquisisca o no competenze federali in materia militare, e non sarà in grado di impedire un’involuzione verso un nuovo medioevo o addirittura verso l’olocausto dell’umanità. Se invece la nostra visione del corso storico è viziata non da eccessivo ottimismo ma da eccessivo pessimismo, ed emergeranno pertanto possibilità di decisivi sviluppi federali a livello mondiale, globale o parziale, assai prima di quanto oggi possiamo realisticamente ipotizzare, non sarà certo l’esistenza di una CE dotata, nei limiti che abbiamo visto, di competenze federali in materia militare a impedire l’affermarsi di una volontà politica determinata a cogliere in modo pieno e immediato queste possibilità. Ciò anche perché la federalizzazione a livello europeo delle forze armate non potrà che essere graduale e non ci saranno quindi particolari difficoltà a farla confluire in una federalizzazione a livello mondiale.

A conclusione di queste considerazioni mi preme ancora sottolineare che, nella mia ottica, il ritenere necessario attribuire competenze militari alla CE non equivale a ritenere che la creazione di un esercito europeo sia diventata oggi, come sembrano credere alcuni commentatori ed esponenti politici, un obiettivo trainante del processo di unificazione europea. In realtà l’obiettivo trainante resta sempre l’unificazione economico-monetaria. Nello stesso tempo però sta acquistando una crescente importanza il problema delle nuove responsabilità mondiali dell’Europa e cioè del suo impegno di solidarietà con l’Est europeo e con il Sud del mondo e del suo contributo alla riforma e al rafforzamento dell’ONU.[6] Di fronte al drammatico aggravarsi della crisi dell’Est europeo e di quella del Medio Oriente, di fronte al continuo peggioramento delle condizioni del Sud del mondo e dello stato di salute ecologica del pianeta, diventa in effetti sempre più difficile coinvolgere nuove forze nella lotta per l’unificazione europea se non si mette, in termini sempre più chiari e approfonditi, l’accento sul legame fra questa lotta e quella per affrontare efficacemente i fondamentali problemi del mondo.

Se questo è vero, l’avere concentrato l’attenzione sull’alternativa «Federazione europea con o senza competenze militari» ha, a mio avviso, introdotto elementi più di confusione che di chiarificazione rispetto al problema del ruolo europeo a favore dell’unificazione mondiale. Ha cioè fatto nascere il sospetto in molti sinceri europeisti che i federalisti stessero sbandando da un pacifismo realistico verso un pacifismo astratto e velleitario. Ciò ha in certi casi indebolito la nostra lotta a favore della Federazione europea e di una politica europea di unificazione mondiale.

 


[1] Oggi non ha senso proporsi l’allargamento della CE all’URSS, mentre è più realistico pensare a una stretta associazione tra la CE e un’URSS rinnovata e capace di essere uno dei pilastri fondamentali di una CSCE rinnovata. Nella prospettiva a lungo termine della Federazione mondiale è invece del tutto legittimo proporsi l’obiettivo di una Federazione europea comprendente non l’URSS bensì le sue repubbliche (probabilmente con una Russia articolata in due o tre Stati, date le sue dimensioni eccessive). Ciò perché fra i componenti di una Federazione mondiale ci saranno Stati delle dimensioni della Cina e dell’India, a cui dovrebbero pertanto affiancarsi grandi federazioni regionali come l’Europa dall’Atlantico al Pacifico, l’Unione panamericana, l’Unione panafricana, e così via. La prospettiva storica di una Federazione europea comprendente le repubbliche dell’URSS potrebbe ovviamente subire una brusca accelerazione nel caso di una prossima rottura dell’unità dell’URSS e sempre che un tale processo non produca una guerra civile con conseguenze catastrofiche per il mondo intero.

[2] Per disarmo degli Stati membri di una Federazione europea si intende una situazione in cui essi abbiano a disposizione forze armate sufficienti al mantenimento dell’ordine pubblico interno (che, salvo casi di crisi eccezionali, deve restare di competenza nazionale), ma non in grado di costituire un pericolo per gli Stati vicini e un ostacolo all’affermazione dell’autorità federale. Che l’esigenza di disarmare, in questo senso, gli Stati membri di una Federazione europea, onde rendere più efficace l’ordinamento giuridico federale, sia una questione non irrilevante lo dimostra il fatto che negli ambienti federalisti nessuno pensa, a quanto mi risulta, a una Federazione mondiale in cui il governo mondiale sia disarmato e gli Stati membri armati.

[3] A questo riguardo si dovrebbe esaminare l’idea di una nuova NATO fondata su tre pilastri: Nordamerica, Europa, URSS. Alcune interessanti proposte in tal senso sono sviluppate da W. Loth, «Das Ende der Nachkriegsordnung», in B. Schoch (a cura di), Friedensanalysen, Francoforte, Suhrkamp-Verlag, 1991.

[4] In proposito rimando al mio articolo: «Implicazioni istituzionali della difesa europea», in Uni-Europa, XVIII, 1988, n. 11-12.

[5] Queste competenze dovrebbero in sostanza riguardare i contingenti per l’ONU, il disarmo, il commercio delle armi, l’industria degli armamenti.

[6] La tesi, sostenuta nell’editoriale del Federalista ricordato all’inizio, secondo cui una Federazione europea senza competenze militari avrebbe un grande valore come modello per il resto del mondo perché anticiperebbe un aspetto fondamentale della Federazione mondiale, vale a dire la scomparsa degli eserciti, non è convincente, oltre che per le considerazioni fatte in precedenza (una Federazione europea incapace di disarmare le proprie nazioni sarebbe un cattivo modello per il mondo), anche perché non prende chiaramente atto della drammatica attualità della politica di unificazione mondiale e delle enormi responsabilità che l’Europa è chiamata ad assumersi al riguardo. Finché la politica di unificazione mondiale non era ancora all’ordine del giorno era giusto insistere essenzialmente sul ruolo della Federazione europea come modello per le altre integrazioni regionali e per l’unificazione mondiale. Oggi quello che ci si aspetta dall’Europa non è un gesto simbolico e per di più truccato come la rinuncia a competenze federali di natura militare, lasciando però le nazioni armate, ma uno straordinario impegno attivo e solidale nella soluzione dei problemi economici, ecologici e di sicurezza del mondo.

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