IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Sperare in una permanenza di armonia tra molti Stati indipendenti e slegati sarebbe trascurare il corso uniforme degli avvenimenti umani e andar contro l'esperienza accumulata dal tempo.

Hamilton, The Federalist

Anno XXX, 1988, Numero 3, Pagina 167

 

 

Distensione tradizionale e distensione innovativa
 
 
L’assunzione della presidenza degli Stati Uniti da parte di George Bush e la prevista realizzazione del mercato unico in Europa il 1° gennaio 1993 spingono molti commentatori a prevedere un peggioramento dei rapporti tra Europa e Stati Uniti e un orientamento più marcato della politica estera americana verso l’area del Pacifico.
Da parte di alcuni si giunge a sostenere che in America si va affermando la visione di un’area privilegiata di libero scambio tra Stati Uniti e Giappone che, inglobando anche i paesi dell’America latina, consentirebbe, tra l’altro, di avviare a soluzione il problema del debito estero di questi ultimi, orientando le loro esportazioni verso il Giappone stesso e gli altri paesi dell’area del Pacifico con bilance dei pagamenti attive.
D’altra parte, l’avvicinarsi della scadenza del 31 dicembre 1992, unito all’interesse vitale che gli Europei hanno per le proposte di riduzione delle armi convenzionali e di collaborazione economica e tecnologica avanzate da Gorbaciov, tiene vivo il fantasma dell’«Europa fortezza», cioè di una Comunità chiusa e protezionista, concentrata esclusivamente sulla tutela dei propri interessi mercantili, in nome dei quali essa sarebbe disposta a giocare un ruolo ambiguo nei rapporti con gli Stati Uniti e con l’Unione Sovietica, affidandosi alla protezione ora degli uni ora dell’ altra a seconda delle circostanze. In questo contesto Kissinger è giunto a sostenere che «gli Europei sono troppo sensibili alla suggestione di un’Europa che estenda i propri confini dall’Atlantico agli Urali», avanzando il dubbio che essi non si rendano conto «che questo vorrebbe dire la finlandizzazione dell’Europa» .
In questa prospettiva — si dice — diventerebbero sempre più forti le spinte verso un crescente disimpegno militare degli Stati Uniti nei confronti dell’Europa e le pressioni per l’assunzione da parte degli Europei di una parte crescente delle spese necessarie per la loro difesa convenzionale.
 
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Queste sono le dicerie. I fatti certi, invece, sono: a) che lo spostamento dell’asse della politica degli USA dall’Atlantico al Pacifico è impossibile perché nel quadro atlantico c’è l’Europa, ed è soprattutto in Europa che si può mantenere o modificare l’attuale equilibrio di potere USA-URSS (che è ancora il fattore primario della bilancia mondiale del potere, anche se il bipolarismo sta scivolando lentamente verso il multipolarismo); b) che la politica atlantica degli USA sarà tuttavia condotta con minore coerenza rispetto al passato perché la spinta verso il Pacifico è, in ogni caso, molto pressante. A questo riguardo il dato di fondo è che gli USA (52% del prodotto mondiale nel 1950, ora 22%) «sono ancora la nazione più forte del mondo, ma non possono più assicurare da soli l’equilibrio delle forze» (Kissinger). Di qui il peso dell’Europa per ragioni strategiche, in quanto tali prevalenti. Di qui il peso del Giappone per ragioni economiche.
 
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Un punto è chiaro. Il problema maggiore che — sia pure in diversa misura — deciderà della soluzione di tutti gli altri, è quello della distensione. Ma, proprio a questo riguardo, è necessaria una distinzione di carattere concettuale tra distensione tradizionale e distensione innovativa Si può, analiticamente, considerare «tradizionale» una distensione che resti, come visione e come prassi, nel vecchio contesto della politica di potenza e del fondamento della sicurezza sulla forza, sia pure cercando di farla valere con moderazione e prudenza, e di tener conto non solo dei suoi aspetti militari, ma anche dei suoi aspetti economici, politici, culturali, morali, ecc. Il limite teorico e pratico di questo tipo di distensione è che non sa vedere, né sviluppare, con nuove concezioni politiche e nuove istituzioni, ciò che vi è di radicalmente nuovo nell’evoluzione umana circa il fattore della forza nella determinazione della condotta politica. E’ perfettamente vero infatti che l’invenzione delle armi nucleari — come, d’altra parte, il rischio di catastrofe ecologica — ha mutato in modo drastico la base sulla quale si sono retti sinora la politica e il diritto.
Si può invece considerare come «innovativa» una distensione che cerchi di superare sin d’ora, per quanto è già possibile, la politica di potenza mediante la sostituzione della difesa tradizionale (difensiva e offensiva) con una «difesa difensiva» (incapacità strutturale di offendere); e, in correlazione con ciò, di fondare la sicurezza degli Stati sul perseguimento della sicurezza altrui mentre si provvede alla propria (sicurezza reciproca). Ciò che si intravvede, con questo tipo di distensione, è l’alba, ancora vaga, eppure già delineata, della più grande rivoluzione della storia umana (in quanto tale capace di portare a compimento, e di unificare, tutte le rivoluzioni precedenti): la pace fondata sul diritto e sull’uguaglianza di tutti gli esseri umani.
 
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Pur comportando due orientamenti diversi — che possono già farsi valere — questa distinzione non comporta due realtà storiche che si escluderebbero a vicenda. Fino all’avvento di un governo mondiale non potrà non esserci, in effetti, che una sorta di mescolanza — fondata su obiettivi parzialmente comuni — fra questi due modi di concepire e di attuare la distensione. La ragione è ovvia. Fino a quando esisteranno eserciti nazionali — e quindi la sicurezza si baserà anche sull’uso nazionale della forza — la distensione innovativa potrà conseguire i primi successi se, e solo se, avrà nel contempo successo anche la distensione tradizionale (in altri termini, se il clima internazionale favorirà le colombe e non i falchi).
Questo è il primo aspetto della questione. Il secondo aspetto sta nel fatto che la distensione innovativa, con le sue regole così difficili da applicare (difesa difensiva e sicurezza reciproca) potrà manifestarsi, cioè prendere corpo e durare, come una politica attivamente perseguita dagli Stati, se, e solo se: a) la politica internazionale favorirà in misura crescente lo sviluppo economico, sociale e culturale di tulti i popoli della Terra, rendendo sempre più difficile l’avvento al potere negli Stati di classi dirigenti decise ad usare senza scrupoli la forza nella politica interna ed estera, e se b), con lo sviluppo di questa politica internazionale, la distensione innovativa acquisterà davvero, nel modo di pensare di masse crescenti di individui, il carattere di processo di superamento completo e definitivo della politica di potenza, e quindi anche quello del cammino verso il suo assetto definitivo: l’unità politico-istituzionale del genere umano. In ogni altro caso il mondo non potrebbe restare in bilico tra la sicurezza con la forza e la sicurezza con la fiducia reciproca, e avanzare verso il solo obiettivo che può eliminare per sempre la forza nei rapporti tra gli Stati: la Federazione mondiale.
 
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Se, come è necessario per realizzare davvero l’unità economica, e mantenerla nel tempo, l’Europa del 1992 diventerà una entità politica capace di agire, allora la prima fase della distensione innovativa — che ha ormai una base solida nell’Unione Sovietica — potrà effettivamente dispiegarsi pienamente. Valgono, a questo riguardo, tre argomenti. Il primo è che la tela della distensione come innovazione si può tessere, per ora, solo in Europa, dove si tratta in effetti di superare i blocchi, di trasformare gli eserciti in eserciti puramente difensivi e di stabilire le prime regole della sicurezza reciproca.
Il secondo argomento è altrettanto solido perché si basa sulla stessa ragion di Stato di un’Europa costituita, per la quale il passaggio dall’attuale situazione politico-militare a un sistema di sicurezza reciproca con eserciti puramente difensivi ridotti al minimo comporterebbe: a) la scomparsa delle armi nucleari sul suo suolo, la fine dei pericoli e dei danni provocati dalla diffidenza reciproca e la liberazione di ingenti risorse, che potrebbero essere destinate a fini civili; b) la possibilità di sviluppare una profonda intesa economica e politica con l’Unione Sovietica e l’Europa dell’ Est, favorendo cosi la loro democratizzazione; c) la possibilità di governare i rapporti di interdipendenza tra le due Europe, l’Unione Sovietica, l’Africa e i paesi arabi con un piano di collaborazione e di aiuti che darebbe vita ad un mercato provvisto di incalcolabili potenzialità di sviluppo.
Il terzo argomento riguarda il fatto che, con una federazione di libere nazioni nella stessa sede storica nella quale si è formata l’idea moderna di nazione, l’Europa trasformerebbe il pensiero politico, rendendo pensabile l’idea della democrazia internazionale e della sua estensione a tutte le famiglie del genere umano.
Ciò non significa che l’Europa eserciterà un primato, una leadership. Se la distensione innovativa si svilupperà, ad uno ad uno tutti i nodi del processo di unificazione del genere umano verranno al pettine, e a volta a volta ciascuno Stato giocherà un ruolo strategicamente decisivo, fino al momento nel quale tutti i popoli della Terra non avranno raggiunto la situazione della pace perpetua nell’ uguaglianza.
 
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