IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Sperare in una permanenza di armonia tra molti Stati indipendenti e slegati sarebbe trascurare il corso uniforme degli avvenimenti umani e andar contro l'esperienza accumulata dal tempo.

Hamilton, The Federalist

Anno LI, 2009, Numero 1, Pagina 64

 

 

UN NUCLEO FEDERALE IN UN’UNIONE EUROPEA ALLARGATA
COME FONDARE IL NUCLEO?
COME STRUTTURARE LE SUE ISTITUZIONI
COME DEFINIRE IL RAPPORTO TRA NUCLEO E ISTITUZIONI DELL’UNIONE?
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La questione fondamentale che si pone ogniqualvolta si affronti il tema dell’Europa a più velocità o della flessibilità nell’ambito del processo di integrazione europea riguarda il valore dell’obiettivo politico che si vuole raggiungere e dunque della prospettiva politica nella quale il discorso viene affrontato. Tale prospettiva è assolutamente indispensabile per rispondere a tutte le domande contenute nel titolo di questa relazione: come fondare un nucleo federale, come strutturare le sue istituzioni, come definire il rapporto tra nucleo federale e istituzioni dell’Unione europea. E soprattutto è essenziale per capire perché ciò di cui oggi il processo di integrazione europea ha bisogno è uno Stato federale del quale facciano parte gli Stati membri disposti a cedere la propria sovranità, e non altre forme di integrazione differenziata. Solo fissando in modo chiaro l’obiettivo politico da raggiungere è infatti possibile individuare la soluzione istituzionale più appropriata.
E’ evidente a tutti coloro che si pongono il problema di ridare slancio al processo di integrazione europea che le sfide che oggi l’Europa deve affrontare sono la creazione di una politica estera e di sicurezza comune, che renda possibile per l’Europa parlare con una sola voce sul piano internazionale e provvedere essa stessa alla propria difesa, e di una politica economica e fiscale unica a completamento dell’unione monetaria. Si tratta di sfide che richiedono un governo europeo legittimato democraticamente. E’ infatti solo attraverso un governo democratico, e dunque responsabile di fronte ai cittadini, che decisioni essenziali per la vita di questi ultimi, come quelle sulla politica economica e fiscale (no taxation without representation) o sulla pace e sulla guerra possono essere prese.
Dar vita a un governo europeo responsabile in materia di politica estera e di difesa e di politica economica e fiscale significa creare uno Stato federale europeo. E, dal momento che alcuni Stati membri dell’Unione europea sono contrari alla prospettiva di proseguire sulla via della costruzione di un’Europa politica, il problema al quale ci troviamo oggi di fronte consiste nel chiederci come costruire uno Stato federale europeo tra gli Stati membri che vogliono compiere questo passo, ovvero come dar vita a un ente sovrano che sostituisca alcuni degli attuali Stati membri dell’Unione e a favore del quale tali Stati rinuncino alla propria sovranità.
Se questo è l’obiettivo da raggiungere, diviene chiaro perché tutte le forme di flessibilità o di Europa à la carte, previste dal testo attuale dei Trattati sono insoddisfacenti. La ragione è che nessuna di tali forme di integrazione differenziata mette in discussione la sovranità degli Stati membri o è stata concepita con l’obiettivo di creare un nuovo ente dotato di sovranità, un nuovo Stato. In effetti, ogniqualvolta la decisione di dar vita a forme di Europa a più velocità o di integrazione differenziata è stata presa attraverso negoziati tra i rappresentanti degli Stati membri, in assenza di una prospettiva politica chiara e con l’unico obiettivo di conciliare gli interessi divergenti dei vari Stati, il risultato è stato ben lungi dal rispondere alle necessità che il processo di integrazione europea deve fronteggiare. Basti pensare alla proposta di creare un nucleo federale all’interno dell’Unione europea, avanzata nel 1994 dai parlamentari tedeschi Schäuble e Lamers. Alla base di tale proposta vi era il chiaro disegno politico di permettere agli Stati membri che volessero avanzare sulla via dell’integrazione di creare un governo europeo che completasse l’unione monetaria, anche al di fuori dei Trattati esistenti e contro la volontà degli Stati più reticenti ad accettare limitazioni di sovranità. Ma quando l’idea di un’Europa a più velocità perse questa prospettiva politica e venne discussa nell’ambito delle conferenze intergovernative che diedero vita ai Trattati di Amsterdam e di Nizza, l’idea originale di dar vita a un nucleo federale si trasformò nella figura della cooperazione rafforzata, istituto regolato da disposizioni estremamente complesse e farraginose, assolutamente inadatte a rispondere alle richieste di coloro che si proponevano di mettere l’Europa in grado di far fronte alle sfide del futuro.
Quando, in altre parole, la sovranità degli Stati non viene messa in discussione, diviene possibile concepire forme di integrazione differenziata in grado di conciliare gli interessi degli Stati che partecipano e quelli degli Stati che non partecipano a tali forme di integrazione, ma disposizioni di questo genere, proprio perché sono state adottate da tutti gli Stati, inclusi quelli che non vogliono procedere oltre sulla via dell’integrazione politica, ed essendo dunque per forza di cose il risultato di un compromesso, non possono costituire il fondamento delle scelte coraggiose delle quali l’Europa avrebbe bisogno per affermare il proprio ruolo sulla scena mondiale.
 
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Questo fenomeno emerge con chiarezza dal citato meccanismo della cooperazione rafforzata, la cui messa in opera è subordinata al rispetto di una serie di condizioni volte a garantire che essa rimanga nei limiti delle competenze dell’Unione e della Comunità e sia compatibile con il quadro istituzionale dell’Unione. Ma considerazioni simili possono essere fatte anche a proposito dell’Unione monetaria. La creazione di quest’ultima, infatti, fu decisa attraverso i meccanismi previsti dai Trattati, vale a dire attraverso la convocazione di una conferenza intergovernativa e la ratifica del nuovo Trattato da parte di tutti gli Stati membri, e dato che, quando si decise di avviare il processo che avrebbe portato all’adozione della moneta unica, Stati come la Gran Bretagna e la Danimarca erano già membri della Comunità europea, l’unica soluzione possibile era un compromesso: la creazione di una moneta unica in assenza di una politica economica e fiscale unica. Il trasferimento a livello comunitario delle competenze in materia di politica economica e fiscale avrebbe infatti comportato la creazione di un governo europeo, e dunque di un nucleo federale composto dagli Stati della zona euro all’interno dell’Unione europea, decisione che Stati come la Gran Bretagna non avrebbero mai accettato.
Le lezioni che si possono trarre da queste esperienze sono essenzialmente due. La prima consiste nel fatto che, se l’obiettivo che si vuole raggiungere è quello della creazione di un’entità capace di parlare con una sola voce, di un nucleo federale all’interno dell’Unione europea, non è pensabile utilizzare i meccanismi previsti dai Trattati oggi in vigore. Pensare che una simile decisione possa essere presa con l’accordo di tutti gli Stati, anche quelli contrari a un’evoluzione in senso politico dell’Unione, è infatti un’illusione, che non tiene conto del fatto che tali Stati non avrebbero alcun interesse ad appoggiare una decisione volta a creare un’entità, nata dalla cessione di sovranità di alcuni Stati membri, in grado potenzialmente di minare la struttura comunitaria. Una simile decisione potrebbe dunque essere adottata solo al di fuori di tali meccanismi, attraverso un accordo tra Stati necessariamente estraneo alle procedure previste dai Trattati esistenti.
Non si tratterebbe della prima volta che alcuni Stati membri della Comunità decidono di dar vita a forme di integrazione più avanzate al di fuori dei meccanismi previsti dai Trattati. Basti pensare agli accordi di Schengen, firmati da Francia, Germania, Belgio, Olanda e Lussemburgo, e integrati nei Trattati solo dopo Amsterdam. La creazione di un nucleo federale attraverso una «rottura» rispetto alle regole esistenti avrebbe tuttavia senza dubbio un impatto decisamente maggiore rispetto a qualsiasi esperienza precedente. Si tratterebbe infatti di dar vita a un ente dotato di sovranità, e non semplicemente a una forma di cooperazione più stretta tra Stati sovrani in un settore definito.
La seconda lezione riguarda invece la necessità di definire con chiarezza fin dall’inizio l’obiettivo politico da raggiungere e gli elementi essenziali della struttura federale alla quale si vuole dare vita. L’avvio di un processo che porti alla creazione di un nucleo federale a favore del quale alcuni Stati membri dell’Unione europea rinunciano alla propria sovranità non può prescindere da tale elemento, in mancanza del quale l’insuccesso è inevitabile. Se infatti il compito di stabilire gli elementi fondanti della nuova forma di integrazione alla quale si vuole dar vita venisse affidato a una conferenza intergovernativa aperta a tutti gli Stati che manifestino in termini generali la volontà di proseguire speditamente sulla via dell’integrazione o a un’assemblea costituente senza una previa definizione della natura dell’obiettivo finale e degli elementi essenziali di questo — un ente sovrano che si sostituisca ai suoi Stati membri nella gestione della politica estera e di difesa e della politica economica e fiscale — il rischio di diluire l’obiettivo federale fino a giungere a una forma di flessibilità in tutto e per tutto simile a quelle previste dai Trattati esistenti sarebbe inevitabile. Per questo motivo, la creazione di un nucleo federale presuppone la stipulazione, tra gli Stati membri che abbiano deciso di compiere questo passo, di un Patto federale, cioè di un accordo nel quale tali Stati si vincolino a cedere la propria sovranità a favore del nucleo, definiscano il carattere federale e gli elementi fondanti della sua struttura e si impegnino a convocare un’assemblea costituente che rediga la Costituzione del nuovo Stato. La decisione di unirsi entrando a far parte del nucleo e quella relativa al contenuto della nuova Costituzione sono infatti due passi distinti, il primo del quale è premessa necessaria del secondo.
 
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Si tratta a questo punto di definire gli elementi essenziali sui quali il nucleo federale dovrebbe fondarsi. A questo proposito, è particolarmente utile il riferimento a un’esperienza del passato dalla quale si possono trarre insegnamenti importanti per il futuro: il Progetto di Statuto della Comunità politica europea, approvato dall’Assemblea ad hoc nel 1953 e volto a completare il trattato istitutivo della Comunità europea di difesa. Si tratta di un progetto accantonato dopo il fallimento della CED. Un richiamo ai suoi elementi essenziali è tuttavia utile per due ragioni. Da un lato, trattandosi del progetto che, nel corso del processo di integrazione, più si è avvicinato alla creazione di uno Stato federale, può costituire un utile modello per il futuro. Dall’altro, esso è la dimostrazione del fatto che l’unico ostacolo alla costruzione di uno Stato federale europeo è la mancanza di una volontà politica in tale senso, non esistendo alcun impedimento di carattere «tecnico» che possa impedire agli Stati che lo vogliano di compiere un simile salto, e costituisce dunque un’efficace risposta a coloro che sostengono che costruire una federazione che spogli della sovranità gli Stati nazionali europei sia troppo difficile o impossibile.
Il progetto prevede una struttura istituzionale articolata in tre organi principali: il Parlamento, il Consiglio esecutivo europeo e la Corte di giustizia.
Il Parlamento, al quale è attribuita la funzione legislativa, si articola, secondo il Progetto, in una Camera bassa, composta dai rappresentanti dei popoli riuniti nella Comunità, e in un Senato, nel quale sono rappresentati gli Stati. La prima è eletta dai cittadini europei, sulla base di una procedura elettorale uniforme, il secondo si compone di membri nominati dai Parlamenti nazionali secondo le procedure stabilite dai rispettivi ordinamenti.
Il potere esecutivo è invece conferito al Consiglio esecutivo europeo, il cui Presidente, eletto dal Senato, procede alla nomina degli altri membri del Consiglio. L’assunzione di funzioni da parte del Consiglio esecutivo è poi subordinata al voto di fiducia di ciascuna delle due Camere. Si tratta dunque di un governo europeo nominato da un Parlamento eletto direttamente dai cittadini, al quale il Progetto attribuisce la responsabilità della politica estera e di difesa e poteri di tassazione.
Il potere giurisdizionale è infine esercitato da una Corte di giustizia, col compito di assicurare il rispetto del diritto nell’interpretazione ed applicazione del diritto comunitario.
In realtà, la struttura istituzionale prevista dal Progetto di Statuto non è priva di elementi di ambiguità. Il primo, e forse più evidente, è rappresentato dal fatto che la procedura di revisione dello Statuto presenta un carattere sostanzialmente intergovernativo. Nel progetto si prevede infatti che le modifiche più importanti a detto Trattato siano approvate all’unanimità dal Consiglio dei Ministri nazionali, organo composto dai rappresentanti degli Stati membri, procedura che manifesta la natura pattizia e non costituzionale dell’atto in questione (negli Stati federali, le modifiche alla Costituzione devono essere approvate da una maggioranza del Parlamento e degli Stati). A tale elemento si aggiunge il limite, non meno importante, costituito dal fatto che in materia di politica estera non è previsto un trasferimento di competenza alle istituzioni sovranazionali, bensì un semplice coordinamento delle politiche estere nazionali, elemento in forte contrasto con la creazione, da parte del Trattato CED, di un esercito europeo.
E’ tuttavia evidente che la struttura istituzionale che viene configurata presenta caratteri essenzialmente federali e può costituire pertanto un utile esempio per chi si ponga oggi nell’ottica della creazione di un nucleo federale all’interno dell’Unione.
In effetti, anche la struttura del nucleo dovrebbe articolarsi in un Parlamento, composto di una Camera bassa eletta dai cittadini e di un Senato nominato dagli organi legislativi o esecutivi degli Stati membri, in un governo espressione della maggioranza parlamentare e responsabile davanti al Parlamento e in una Corte di Giustizia, alla quale sia attribuito il potere di dichiarare illegittimo qualsiasi atto in contrasto con la Costituzione federale.
Tali istituzioni sarebbero competenti in via esclusiva in materia di politica estera e di difesa (il nucleo sarebbe dunque dotato di un suo esercito sotto il comando di uno stato maggiore europeo) e in materia di politica economica, così come è opportuno che al livello federale siano attribuite competenze in materia di ricerca scientifica, sviluppo tecnologico, ambiente.
Ma il Progetto di Statuto del 1953 può fornire spunti interessanti anche da un altro punto di vista. Esso prevedeva infatti che la Comunità politica europea sostituisse progressivamente la Comunità europea del carbone e dell’acciaio e la Comunità europea di difesa ed esercitasse poteri e competenze attribuiti a tali due organizzazioni. La sostituzione sarebbe avvenuta in modo graduale, e si stabiliva pertanto, durante un periodo transitorio, la creazione di un governo provvisorio della struttura composta dalle tre Comunità. Ora, anche in seguito alla firma del Patto federale da parte degli Stati membri che vogliano compiere questo passo sarà necessaria la costituzione di un governo transitorio. Una volta presa la decisione di firmare il Patto federale, infatti, si renderà necessaria la creazione di un organo che eserciti provvisoriamente i poteri conferiti al nucleo e che convochi un’Assemblea costituente incaricata di redigere la Costituzione federale del nucleo stesso. Non esistendo ancora, a questo stadio, istituzioni e procedure federali, si tratterebbe di un governo nominato secondo meccanismi di carattere intergovernativo.
 
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L’ultima questione da affrontare riguarda i rapporti tra nucleo federale e Unione europea, e dunque la possibilità di integrare il nucleo nella struttura comunitaria esistente.
Prima di affrontare i numerosi problemi legati a tale profilo, è opportuno svolgere qualche considerazione sulla composizione del nucleo, e in particolare sulla possibilità per gli Stati che non abbiano firmato il Patto federale di entrare a far parte del nucleo in un secondo momento. Anche tale questione va affrontata in una prospettiva più politica che tecnica. Perché il nucleo sia realmente un nucleo aperto, e dunque un’iniziativa in grado di dar slancio al processo di integrazione allargandosi progressivamente ad altri Stati, e non un elemento di divisione tra gli attuali Stati membri dell’Unione, è necessario infatti che l’ingresso nel nucleo sia subordinato quasi esclusivamente alla volontà dello Stato di cedere la propria sovranità e di divenire membro di una federazione. Il nucleo federale escluderebbe, in altre parole, solo gli Stati che non vogliono, e non gli Stati che non possono — per mancanza di requisiti tecnici o economici — farne parte. Le preoccupazioni di chi vede la creazione di un nucleo federale come un’esclusione degli Stati più deboli, lasciati indietro dai paesi più virtuosi e forti, sarebbero in questo modo private di fondamento.
Il secondo punto da mettere in evidenza consiste nel fatto che esiste nel Trattato che istituisce la Comunità europea una disposizione, l’articolo 306, volta a consentire l’esistenza e lo sviluppo di unioni regionali all’interno dell’Unione. Secondo tale disposizione, il Trattato CE non osta «all’esistenza e al perfezionamento delle unioni regionali tra il Belgio e il Lussemburgo, come pure tra il Belgio, il Lussemburgo e i Paesi Bassi, nella misura in cui gli obiettivi di tali unioni regionali non sono raggiunti in applicazione del presente trattato». Si tratta di una disposizione riferita a un’esperienza ben precisa, quella degli Stati del Benelux, che presenta caratteri alquanto differenti dalla futura creazione di un nucleo federale. Soprattutto perché se quest’ultimo — come dovrebbe essere — comprenderà almeno tre Stati grandi dell’Unione, il suo peso all’interno della struttura comunitaria e nei confronti degli altri Stati membri sarà considerevole. Tuttavia, l’esistenza di una simile disposizione consente di affermare che l’ipotesi della formazione di unioni tra Stati all’interno dell’Unione non è esclusa dal diritto comunitario e che dunque la fusione di più Stati membri in un nucleo federale non sarebbe incompatibile con il persistere dell’Unione europea.
Venendo ora più specificamente ai rapporti tra l’Unione e il nucleo, la soluzione più semplice è senz’altro la successione del nucleo federale ai suoi Stati membri nelle varie istituzioni dell’Unione. Secondo la convenzione di Vienna sulla successione degli Stati nei Trattati del 1978 (peraltro ratificata solo da cinque Stati membri dell’Unione europea), infatti, uno Stato nato dalla fusione di due o più Stati subentra automaticamente a questi nelle organizzazioni internazionali delle quali i primi erano membri. Secondo tale meccanismo, dunque, il nucleo succederebbe ai suoi Stati membri nel Trattato che istituisce la Comunità europea e nel Trattato sull’Unione europea (e pertanto, ad esempio, nel Consiglio e nella Commissione il nucleo avrà un solo rappresentante che prenderà il posto di quelli degli Stati membri) e sarebbe sottoposto a tutti i vincoli derivanti da tali Trattati.
Una soluzione simile avrebbe l’indubbio vantaggio di permettere una regolamentazione unitaria dei rapporti tra nucleo e Unione. Non va tuttavia dimenticato che i fenomeni di successione tra Stati sono innanzitutto fenomeni di carattere politico, le cui conseguenze sono difficilmente determinabili sulla base di norme giuridiche astrattamente considerate e sono, al contrario, nella maggioranza dei casi, il frutto di negoziazioni tra gli Stati interessati. Basti pensare alla disgregazione dell’Unione Sovietica. Secondo il diritto internazionale, trattandosi di disgregazione di uno Stato, tutte le ex Repubbliche avrebbero dovuto presentare domanda di adesione alle Nazioni Unite e a tutte le organizzazioni internazionali delle quali l’ex-Unione Sovietica era parte. In concreto, tuttavia, i rappresentanti delle Repubbliche, riuniti ad Alma Ata, decisero che la Russia fosse considerata successore dell’Unione Sovietica, e che pertanto non solo subentrasse automaticamente all’Unione Sovietica nelle Nazioni Unite, ma avesse addirittura diritto al seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza. Di fronte a un fenomeno di portata dirompente come la disgregazione dell’URSS si è dunque per forza di cose proceduto a una rinegoziazione e ridefinizione dei rapporti tra le parti che tenesse conto del maggior peso politico della Russia rispetto alle altre Repubbliche.
Ora, una simile forma di rinegoziazione sarà probabilmente necessaria anche per definire i rapporti tra nucleo federale e Unione europea, una volta che il nucleo sia stato creato. Non solo perché sarà necessario ridefinire gli equilibri all’interno di un’Unione nella quale esisterà uno Stato — il nucleo — con un peso considerevolmente maggiore rispetto a quello degli altri Stati membri, ma anche perché difficilmente il nucleo federale potrà accettare di sottoporsi a tutti i vincoli derivanti oggi dall’appartenenza all’Unione europea. In effetti, una volta costituito, il nucleo necessiterà di una fase di consolidamento e di affermazione della propria sovranità appena acquisita difficilmente conciliabile con l’accettazione di vincoli eccessivi alla propria libertà di azione. E’ questa la ragione per la quale i nuovi Stati membri dell’Unione europea provenienti dall’ex blocco sovietico, ora che hanno riacquistato la sovranità, accettano con molta riluttanza o addirittura rifiutano forme di integrazione che non siano di carattere esclusivamente economico; ed è anche la ragione per la quale è difficile pensare che un neonato nucleo federale si sottometta a regole, quali quelle in materia di coordinamento delle politiche economiche contenute nel Patto di Stabilità, o delle politiche estere e di sicurezza degli Stati membri e di «fedeltà» della politica estera e di sicurezza europea alla NATO, che in ultima analisi ne impedirebbero una piena affermazione come nuovo soggetto in grado di rispondere alle sfide che l’Europa deve fronteggiare.
Lo scenario più probabile che si delinea è quindi quello di una sorta di rifondazione dell’Unione europea per salvaguardare l’acquis communautaire nel nuovo quadro caratterizzato dalla presenza di un forte magnete politico che ne riorienterà l’intera struttura.
 
Giulia Rossolillo


* Si tratta della relazione tenuta al IX Seminario Internazionale «Federalism and the European Unification» svoltosi a Desenzano del Garda il 25-26 aprile 2009.

 

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