IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Sperare in una permanenza di armonia tra molti Stati indipendenti e slegati sarebbe trascurare il corso uniforme degli avvenimenti umani e andar contro l'esperienza accumulata dal tempo.

Hamilton, The Federalist

Anno XXXIV, 1992, Numero 2 - Pagina 93

 

 

Federalismo e regionalismo

 

 

Il regionalismo aggressivo che sta acquistando una forza crescente in alcuni Stati dell’Europa occidentale presenta in genere due volti: uno chiaramente separatista, che ha spesso tratti inequivocabilmente razzisti e che si accompagna alla violenza nei metodi d’azione e alla rozzezza degli slogans; e uno rispettabile, che emerge quando si tratta di allargare la base del consenso. Questi due volti vengono assunti in alcuni casi da formazioni politiche diverse, mentre in altri casi sono gli stessi gruppi che li mostrano alternativamente, a seconda delle esigenze del momento.

Per darsi una rispettabilità, molti movimenti regionalisti si servono di una parte della dottrina e della terminologia federalista, dichiarando di perseguire l’obiettivo strategico della trasformazione degli attuali Stati nazionali in federazioni di regioni. In conseguenza di ciò, la parola «federalismo» sta acquistando un posto sempre più rilevante nel dibattito politico – anche se in misura diversa nei diversi paesi – e insieme si sta caricando di ambiguità. E ciò mentre, ad un altro livello, lo stesso termine, paradossalmente, viene impiegato per indicare lo spauracchio, in parte reale e in parte immaginario, dell’accentramento e del burocratismo della Comunità.

Di fronte a questa ambiguità è essenziale collocare il «federalismo» dei regionalisti rispetto al federalismo nel quale noi ci riconosciamo, cioè chiarire la differenza che esiste tra i due progetti politici e tra i valori che li orientano. Si tratta di un’esigenza tanto più vitale in quanto la differenza potrebbe parere sfumata agli occhi di un osservatore superficiale, se è vero che, da una parte, noi ci riconosciamo nel federalismo a più livelli, e quindi affermiamo che nel quadro della Federazione europea – e domani mondiale – gli Stati nazionali dovranno essere trasformati in federazioni di regioni (e queste a loro volta in federazioni di unità più piccole, fino a giungere al livello minimo del quartiere); e che, dall’altra, la maggior parte dei movimenti regionalisti dichiara di accettare la prospettiva dell’unità europea.

 

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La differenza va individuata prima di tutto sul terreno delle scelte politiche concrete, nel contesto della particolare situazione storica dell’Europa di oggi. Si tratta di una situazione caratterizzata dal fatto che la caduta dei regimi comunisti all’Est ha tolto agli Stati dell’Europa orientale il fondamento stesso della loro legittimità, e ha privato quelli dell’Europa occidentale dell’immagine del nemico, che costituiva il cemento principale della loro unità interna. La crisi storica dello Stato nazionale è così diventata una crisi politica acuta che a termine ha soltanto due esiti possibili: l’unione federale tra gli Stati europei o il loro sgretolamento(o almeno quello dei più fragili tra di essi) nell’anarchia e nel caos, sulla scia del tragico esempio jugoslavo (con la sola prospettiva del raggiungimento di precari equilibri grazie all’instaurazione di mutevoli egemonie da parte di quelli tra gli Stati della regione che avranno saputo conservare lo status di medie potenze).

In questo contesto di grande instabilità, l’azione delle forze sul campo va giudicata a seconda che essa favorisca nei fatti – al di là delle mascherature ideologiche e delle stesse intenzioni degli attori l’uno o l’altro esito. E in questa ottica non vi è dubbio che i federalisti, in quanto vogliono prima di tutto l’unificazione federale degli Stati europei, rafforzano oggettivamente la spinta all’unità, mentre i regionalisti, in quanto vogliono prima di tutto accrescere l’autonomia delle regioni dagli Stati nazionali, rafforzano oggettivamente la spinta alla disgregazione.

 

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Questa contrapposizione sul terreno della strategia ne riflette un’altra sul piano più generale dei valori. Il valore specifico del federalismo è la pace, da realizzare attraverso la sostituzione del diritto alla forza nei rapporti tra gli Stati. La priorità di qualunque autentico progetto federalista è quindi la realizzazione della democrazia internazionale, e quindi l’estensione progressiva della sfera della solidarietà politica tra gli uomini, che si realizza attraverso la loro appartenenza alla stessa comunità statale. L’obiettivo del «federalismo» regionalista è invece quello di rendere più tenue questo stesso vincolo di solidarietà tra cittadini di regioni dello stesso Stato (spesso nell’intento di sottrarre le regioni ricche all’onere di contribuire allo sviluppo delle regioni povere). E’ indubbio che le motivazioni alla base di questa rivendicazioni sono radicate in situazioni di reale disagio create da governi inefficienti e in forte perdita di consenso. Ma ciò non basta a dare loro una legittimità di cui sono prive. Il processo di emancipazione umana è avanzato nel corso dei secoli attraverso il progressivo allargamento dell’orbita della costituzione civile kantiana, dalla città-Stato greca allo Stato nazionale fino allo stadio delle grandi federazioni continentali come gli Stati Uniti – e come l’Europa che noi vogliamo. Per questo i federalisti si battono innanzitutto per l’unità. E per questo essi non hanno nulla in comune con coloro che si battono innanzitutto per la divisione.

 

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Soltanto il federalismo che vuole prima di tutto unire si pone in antitesi con il nazionalismo. Il superamento della dimensione nazionale attraverso la creazione di ambiti di solidarietà più estesi non può legittimarsi con il riferimento ad un’altra entità «nazionale» più vasta. Il federalismo si legittima proprio in quanto superamento della stessa idea di nazione come comunità esclusiva, e il suo naturale punto d’arrivo non può quindi essere che quello dell’unità del genere umano. La pace perpetua si realizza soltanto con la Federazione mondiale e qualsiasi progetto di unificazione federale regionale trae la propria legittimità esclusivamente dal fatto di costituire un avanzamento verso questo obiettivo.

Al contrario il «federalismo» regionalista non può riferirsi al cosmopolitismo come principio di legittimazione del proprio progetto, e quindi rimane chiuso nell’orizzonte culturale del nazionalismo. Esso rivendica l’autonomia di una comunità regionale presentata come naturale in antitesi alla nazione tradizionale, denunciata come puramente ideologica ed artificiale. Ma questa comunità «naturale» non è che un’altra incarnazione dell’idea di nazione, esclusiva e livellatrice, la sola comunità pensata come capace di fondare l’identità di coloro che ne fanno parte e di tracciare la linea di separazione tra amici e nemici. E’ per questo che qualunque forma di «federalismo interno», mancando di un solido ancoraggio ideale, è destinata a degenerare in un vero e proprio micronazionalismo, aggressivo nell’affermazione di un’identità provinciale ed incerta e chiuso in un atteggiamento reazionario di rifiuto della grande eredità culturale che le nazioni storiche dell’Europa centro-occidentale ci hanno consegnato. Il punto d’arrivo della traiettoria del «federalismo» regionalista è quindi inevitabilmente il separatismo. Del resto la spia della sua natura intimamente nazionalistica sta nell’intolleranza che i movimenti che ad esso si ispirano dimostrano nei confronti di qualunque aspirazione all’autonomia delle comunità infraregionali – come la città e il quartiere – che sono le più vicine alla vita quotidiana dei cittadini e che dovrebbero costituire il fondamento stesso di un sistema federale a più livelli: il solo che potrebbe dare una soluzione efficace ai problemi della società complessa del nostro tempo ed una risposta corretta alla domanda di partecipazione democratica che le attuali strutture istituzionali degli Stati industrializzati dell’Occidente lasciano insoddisfatta.

 

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L’Europa federale di domani non potrà limitare i livelli di governo a quello europeo e a quello degli Stati membri. A partire dalla rottura del monopolio del potere attualmente detenuto dagli Stati nazionali, il principio dell’autogoverno si estenderà a tutti gli ambiti di interdipendenza nei quali naturalmente tende ad articolarsi la vita degli uomini. In Europa prenderà forma in questo modo un modello fortemente innovativo di democrazia. Questa consapevolezza deve costituire una parte importante del nostro bagaglio politico-culturale. Ma essa non deve offuscarne un’altra: quella della priorità assoluta del valore della pace tra i popoli e quindi della lotta per l’unità federale dell’Europa come primo passo verso quella dell’intero genere umano.

 

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