IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno XVIII, 1976, Numero 2-3, Pagina 193

 

 

Lelio Basso, Fascismo e Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano, 1975, p. 186.
 
 
I fatti avvenuti nel 1943 e che videro la sinistra italiana divisa sulla strategia da adottare (unità nazionale antifascista o fronte delle sinistre) sono tornati recentemente al centro di un dibattito vivace. Ciò corrisponde al fatto che l’attuale situazione politica, italiana ed europea, presenta punti di contatto con la esperienza vissuta in quei giorni dai democratici italiani; in entrambi i casi, si è di fronte ad una crisi gravissima delle istituzioni e alla possibilità di aprire una fase costituente durante la quale porre in discussione gli istituti fondamentali della vita civile e politica.
La pubblicazione di questo volume, che raccoglie scritti e discorsi, datati fra il 1943 e il 1953, di Lelio Basso, si pone nell’ambito di questa riproposta del dibattito apertosi durante la Resistenza e proseguito nel dopoguerra.
Ora, la prima osservazione da fare consiste nel sottolineare il limite di questa riproposta, che non tiene conto della profonda trasformazione avvenuta nella situazione europea e nella posizione tenuta dalle forze democratiche nel corso degli ultimi trent’anni.
Nel 1943 la maggioranza delle forze democratiche italiane aprì un dibattito sulla alternativa di regime possibile, senza porre in discussione il mantenimento o meno del quadro politico italiano come quadro esclusivo al cui interno svolgere la lotta politica. Solo l’avanguardia federalista seppe comprendere che la vera linea che divideva il progresso dalla reazione era quella che divideva coloro che volevano superare da coloro che volevano mantenere lo Stato nazionale. Questo è il limite storico della Resistenza, che sconfiggendo il fascismo ha reso possibile l’inizio del processo di integrazione europea, ma che mantenendo in vita gli Stati nazionali non ha estirpato dalla storia europea le radici del fascismo stesso.
Oggi al contrario esiste una diffusa coscienza nella maggioranza delle forze democratiche che la crisi delle istituzioni e della democrazia italiana può trovare soluzione solamente nella prospettiva europea. Questa profonda evoluzione avvenuta nelle forze democratiche corrisponde al fatto che la crisi dello Stato nazionale ha ormai raggiunto in Europa il punto finale, coincidente con la dissoluzione stessa della struttura statale; questo processo si sta manifestando nel modo più chiaro nei paesi più deboli, primo fra tutti l’Italia.
Riproporre oggi come ancora attuale il dibattito sviluppatosi all’interno delle forze democratiche italiane nel 1943 significa dimenticare le profonde trasformazioni portate dall’integrazione europea e dal progredire della crisi irreversibile degli Stati nazionali europei.
La seconda osservazione da fare, di fronte a tale riproposta, consiste nel prendere atto come nella sinistra italiana non abbiano mai cessato di vivere due anime, l’una massimalista e impulsiva, l’altra progressista e lucida. Ed è proprio per comprendere l’anima massimalista della sinistra italiana (ma non solo italiana, nella misura in cui questa spaccatura tende a riprodursi ogniqualvolta è necessario tradurre ideali storici in una strategia politica volta alla loro realizzazione), che risulta interessante questa raccolta di scritti e di discorsi di Lelio Basso.
Basso ci dà in questi scritti un panorama estremamente ricco da un lato delle tensioni morali e delle aspirazioni profonde germinate e cresciute nel movimento socialista e che hanno alimentato il rinnovamento della società; dall’altro lato egli ci dà altresì un panorama altrettanto vasto degli errori tragici commessi da alcuni leaders socialisti nei momenti cruciali della recente storia italiana.
Basso nega la differenza fra «regime democristiano» e fascismo. «La vera differenza tra la tecnica fascista e quella democristiana del colpo di Stato è che in realtà Mussolini e i fascisti amavano far mostra di forza e di violenza anche quando non la esercitavano (…) laddove i democristiani (…) preferiscono. ammantare di ipocrisia e nascondere sotto frasi melate la violenza sostanziale» (p. 168). È sulla base di una concezione analoga che i socialisti giudicarono inizialmente Mussolini come un perfetto omologo di Giolitti e Amendola, in tal modo rendendosi corresponsabili della sconfitta delle forze democratiche di fronte al fascismo.
Nel momento in cui il fascismo sta crollando, Basso afferma la necessità di un fronte rivoluzionario delle sinistre e nega la necessità di un patto costituzionale fra le forze antifasciste per sconfiggere la dittatura e per giungere ad una costituente repubblicana, dimostrando così di non comprendere che la divisione delle forze democratiche poteva unicamente favorire la vittoria della monarchia e delle forze più retrive contro la democrazia e il progresso, e dimostrando così di non comprendere che dimenticare i condizionamenti internazionali non implica il loro superamento ma solo il loro rafforzamento, in quanto impedisce la formazione di una strategia per fronteggiarli.
Nell’immediato dopoguerra, Basso guida le forze socialiste a schierarsi contro l’avvio del processo di integrazione europea, di cui non coglie il significato storico e in cui non scorge il mezzo per ridare la libertà e l’autonomia agli europei, ma in cui vede soltanto l’espressione del dominio statunitense e del capitalismo.
La posizione assunta da Basso su questi tre punti cruciali per la recente storia italiana è rappresentativa di un atteggiamento che ha costantemente caratterizzato una parte del movimento socialista e testimoniano delle profonde divisioni sulle opzioni strategiche di fondo che hanno nel passato lacerato la sinistra italiana. In questo senso il volume di Basso rappresenta un documento importante del travaglio vissuto dalle sinistre italiane nell’ultimo trentennio.
 
Dario Velo

 

 

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