IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno XVII, 1975, Numero 3, Pagina 178

 

 

Guido Montani, La teoria economica classica, Loescher editore, Torino, 1975, pp. 316.
 
 
Questa antologia sugli economisti classici è un tentativo di presentare in modo organico i principali scritti sulla teoria classica del valore, della distribuzione e della produzione. Come per tutti i lavori di ricostruzione storica di teorie elaborate progressivamente da vari autori, in modo per nulla unitario e coerente, si presenta anche in questo caso la necessità di ricorrere ad una «chiave di lettura» fondata sugli sviluppi più recenti della teoria economica. «È infatti inevitabile, come osserva l’autore nell’introduzione, che la teoria economica dominante costituisca anche la chiave interpretativa per i passi lacunosi, per la critica di quelli incongruenti e per la ricerca dei ‘precursori’ delle dottrine contemporanee» (p. 17).
Oggi stiamo assistendo nel campo degli studi teorici di economia al tentativo di riaffermare lo schema teorico degli economisti classici, in netta polemica con tutta la tradizione marginalistica. Il caposcuola di questa nuova tendenza è l’economista italiano P. Sraffa che prima ha curato una importante riedizione critica di tutte le opere di Ricardo e poi ha pubblicato, nel 1960, un libro dal titolo «Produzione di merci a mezzo di merci», in cui viene presentata la struttura analitica essenziale della teoria classica del valore e della distribuzione.
«Il modello di economia presentato da Sraffa si basa sulla nozione di sovrappiù. Se si considera la produzione sociale alla fine del ciclo produttivo, si deve constatare che non tutto il prodotto sociale può essere consumato (o distrutto, se cosi desidera la società), ma che una parte deve essere reimpiegata nel processo produttivo successivo, se si vuole che la produzione possa ricominciare. Quella parte del prodotto sociale che deve essere reimpiegata affinché la produzione possa continuare su scala immutata è detta consumo necessario (o anticipazioni o mezzi di produzione); la parte restante è detta sovrappiù» (p. 23).
È sulla base di questo concetto cruciale che Sraffa riesce ad elaborare una coerente teoria dei prezzi relativi e ad affrontare e risolvere molti problemi che gli economisti classici avevano lasciato aperti e che la teoria marginalistica aveva o ignorato o risolto in modo del tutto insoddisfacente inglobandoli in schemi concettuali fondati sulla teoria psicologica dell’utilità marginale. Sotto questo profilo è interessante l’interpretazione che viene fornita nell’antologia circa la collocazione nella storia del pensiero economico sia della fase marginalistica sia dell’attuale riscoperta degli schemi teorici classici. Riprendendo la nozione di «paradigma», elaborata dal filosofo della scienza T. S. Kuhn, si può affermare che l’attuale tentativo di rielaborare l’economia sulla base del concetto di sovrappiù (al posto del prodotto marginale) rappresenta una vera e propria «rivoluzione scientifica», perché siamo in presenza, come può succedere nella storia delle scienze fisiche o sociali, di un vero e proprio contrasto fra paradigmi alternativi. Si può, come esempio, ricordare un solo punto, ma significativo, di contrasto: mentre la teoria marginalistica si preoccupa di spiegare attraverso meccanismi economici la distribuzione del reddito ai «fattori della produzione», la teoria del sovrappiù accetta come un dato esogeno (cioè determinato da cause extra-economiche, come la forza contrattuale dei sindacati) tale distribuzione, aprendo pertanto la prospettiva di una maggiore interdisciplinarietà fra l’economia e le altre scienze sociali.
Ma forse l’aspetto più interessante della nuova concezione dell’economia è la sistemazione rigorosa del problema del valore, che consente una fruttuosa rilettura di tutti gli economisti classici, e in special modo di Ricardo e di Marx, che più degli altri si occuparono di questo problema centrale. È noto che l’intera struttura classica della teoria dei prezzi è fondata sulla cosiddetta teoria del valore-lavoro. Sulla base di questa teoria è possibile affermare che, soltanto in particolari circostanze (che però Ricardo e Marx pensavano rappresentassero la generalità dei casi), il prezzo delle merci è pari al rapporto fra le quantità di lavoro in esse incorporato. Questa teoria, che in Ricardo si presentava soltanto come uno strumento analitico per risolvere un problema economico specifico (la determinazione delle quote relative dei salari e dei profitti nel prodotto nazionale), in Marx viene utilizzata pure come fondamento scientifico per una teoria dello sfruttamento. È pertanto evidente l’interesse che può presentare un chiarimento intorno a questa controversa questione della validità — o meno — della teoria del valore-lavoro.
A questo proposito, sulla base della teoria del sovrappiù si sono già raggiunti alcuni importanti risultati. In primo luogo, le merci si scambiano secondo le quantità di lavoro incorporato solo nel caso ovvio in cui non vi siano profitti positivi, cioè nel caso in cui tutto il prodotto sociale netto viene distribuito ai lavoratori. Nel caso più generale ed interessante in cui esistono profitti positivi non è affatto possibile trovare una corrispondenza fra prezzi delle merci e quantità di lavoro. In secondo luogo, ma in conseguenza di quanto si è detto in precedenza, non vi è alcuna relazione fra saggio di profitto e saggio di plusvalore (o sfruttamento), come pretendeva Marx. Quando, nel terzo volume del Capitale, affrontò il problema del valore nel caso generale in cui era costretto ad ammettere che la teoria del valore-lavoro subiva eccezioni e che le merci si dovevano scambiare secondo dei «prezzi di produzione», Marx tentò di salvare la teoria dello sfruttamento cercando di dimostrare che i valori (cioè le quantità di lavoro) potevano essere trasformate nei prezzi di produzione (differenti dai valori). Questo problema della trasformazione ha sollevato interminabili polemiche fra economisti di opposte scuole, ma solo oggi sembra possibile affermare in modo conclusivo, proprio sulla base della teoria del sovrappiù, che l’operazione è impossibile e che non si può stabilire alcuna relazione sistematica fra saggio di sfruttamento e saggio di profitto, fra «valori» e prezzi.
La valutazione di questi risultati è certamente un problema complesso, ma di estremo interesse e ci si può augurare che tale dibattito serva a gettare luce su quei concetti poco chiari e definiti come sembra essere la categoria del «plusvalore». Comunque, sin da ora sembra legittimo affermare che un passo avanti è stato fatto per separare nel marxismo, che è nello stesso tempo una filosofia della storia, una sociologia ed una economia, quella parte che appartiene più propriamente alla teoria economica e pertanto per portare, anche se indirettamente, un chiarimento ed un contributo al problema del materialismo storico.
 
Alberto Majocchi

 

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