Anno LIX, 2017, Numero 2, Pagina 176

 

 

L’ITALIA E L’UNIFICAZIONE EUROPEA*

 

 

Nel processo di unificazione europea è all’ordine del giorno l’unione politica federale. L’Unione europea (UE) si trova in effetti di fronte a un insieme di sfide esistenziali — gli squilibri economici insostenibili fra gli Stati membri, le gravissime minacce sul piano della sicurezza, l’emergenza migratoria, l’avanzata dei populismi nazionalistici — che pongono una drastica alternativa. O un rapido e sostanziale avanzamento in direzione di un’unione federale e democratica piena, che significa essenzialmente un governo efficace e solidale dell’unione economica e monetaria e una politica estera, di sicurezza e di difesa veramente unitaria; o ci si avvia verso la disgregazione.

Se questa situazione apre in termini generali un reale spazio politico alla scelta dell’avanzamento, la prospettiva di questa scelta appare rafforzata in modo specifico dal cambiamento sostanziale verificatosi in Francia con la vittoria di Macron. Il Presidente francese, dichiarando che è necessaria un’Europa sovrana, unita e democratica e che a tal fine è necessario un rilancio europeo che comprenda anche il cambiamento dei Trattati, ha un compiuto una netta rottura rispetto al sovranismo di radice gollista. Alla presa di posizione francese ha fatto eco la Cancelliera federale Merkel, dichiarando che è giunto il momento in cui gli europei devono prendere nelle proprie mani il loro destino e riconoscendo la necessità della riforma dei Trattati. Ciò indica che l’asse franco-tedesco si sta preparando a lanciare una forte iniziativa di rilancio della costruzione europea. E va sottolineato che nelle posizioni espresse da Francia e Germania è affiorata (anche se questo discorso attende di essere meglio specificato) l’idea di andare avanti con chi ci sta — un’idea che, se si concretizza in termini coerenti, non può che significare la federazione nella confederazione.

In questo scenario l’Italia si trova in una situazione critica e contraddittoria. Da una parte è chiamata a svolgere un ruolo di centrale importanza rispetto all’affermarsi della scelta di avanzamento federale, e ciò in continuità con quanto è di norma avvenuto nei momenti di avanzamenti sostanziali dell’integrazione europea. Essi hanno visto un ruolo determinante di iniziativa da parte dell’asse franco-tedesco, ma allo stesso tempo un contributo di grande importanza dell’Italia in direzione del rafforzamento in senso sopranazionale delle iniziative franco-tedesche. Ciò detto, si deve d’altra parte riconoscere che l’Italia è oggi l’anello debole della catena europea e ciò si manifesta in particolare in due dati fondamentali. C’è l’esorbitante debito pubblico e, quindi, l’oggettiva possibilità del default che avrebbe conseguenze catastrofiche non solo per l’Italia ma anche per l’unione economica e monetaria nel suo complesso. A questo problema si somma il fattore di debolezza rappresentato dall’instabilità politica, caratterizzata dal primato italiano per quanto riguarda la presenza di forze nazionalpopulistiche e da una frammentazione partitica che contiene la possibilità che non si riesca a formare una maggioranza governativa dopo le prossime elezioni politiche.

In questa situazione la questione cruciale è chiarire qual è la linea che le forze politiche democratiche ed europeistiche italiane devono perseguire per far sì che l’Italia possa affrontare efficacemente la sua situazione critica e fornire il suo indispensabile contributo al decisivo avanzamento dell’unificazione europea che è all’ordine del giorno.

Le cause della situazione critica dell’Italia.

Il punto di partenza di questo discorso è cercare di chiarire le cause della situazione critica dell’Italia. A questo riguardo vanno certamente denunciate le responsabilità e inadeguatezze dei governi italiani che, dopo che il paese è entrato nell’unione monetaria, non hanno saputo attuare un forte impegno a favore delle riforme strutturali (lotta contro gli sprechi, le inefficienze, i parassitismi, l’evasione fiscale, l’economia illegale) necessarie per progredire verso il superamento dell’arretratezza del sistema Italia nei confronti dei partner europei più avanzati. L’analisi non può però fermarsi a questo punto. Le responsabilità delle forze politiche devono essere inquadrate in un contesto più ampio nel quale il fattore determinante è rappresentato dall’incompiutezza del processo di integrazione europea.

Per cogliere adeguatamente la situazione, occorre essere anzitutto consapevoli che l’unificazione europea rappresenta per il nostro paese allo stesso tempo la via del superamento della crisi storica dello Stato nazionale e la via del completamento della costruzione dello Stato nazionale democratico. L’Italia cioè condivide con gli altri paesi europei (anche quelli più avanzati) l’interesse vitale al superamento della crisi storica degli Stati nazionali tramite la creazione di una sovranità sopranazionale europea (nella prospettiva storica dell’unificazione mondiale). Ma questo interesse comune è integrato dal cruciale interesse specifico sopraindicato.

Quando è giunto all’ordine del giorno della politica l’avvio dell’unificazione europea, l’arretratezza complessiva dell’Italia, caratterizzata da una unificazione recente e da enormi divari economico-sociali e territoriali, non aveva reso possibile, a differenza dei paesi europei più avanzati, l’affermarsi di uno Stato efficiente, di un diffuso lealismo verso lo Stato, di un regime democratico con cui l’insieme degli italiani potesse identificarsi, e, pertanto, di una solida coscienza nazionale. In queste condizioni di ritardo nella costruzione dello Stato nazionale, l’unificazione europea è apparsa alle forze democratiche ed europeiste, oltre che come il processo di superamento della sovranità assoluta, anche come la via del completamento del Risorgimento, il quale, non va dimenticato, aveva nelle sue più autorevoli guide visto l’edificazione degli Stati nazionali come una tappa in direzione dell’unità europea.[1] In effetti, l’inserimento in una economia di dimensioni europee avrebbe permesso il raggiungimento della maturità industriale del paese e, quindi, avviato il superamento dei divari economico-sociali e territoriali che estraniavano vaste masse popolari dallo Stato e dai valori democratici. E i progressi verso una condivisa coscienza civica sarebbero inoltre stati alimentati dal legame organico con più avanzate esperienze statali, nel quadro della formazione di una statualità sopranazionale.

Questa valenza specifica della partecipazione italiana alla costruzione europea (individuata chiaramente dai padri dell’europeismo italiano: Spinelli, Einaudi, De Gasperi e Albertini) è alla base dell’europeismo particolarmente avanzato e radicato che ha caratterizzato la politica italiana dopo la seconda guerra mondiale e che ha potuto contare fino a tempi recenti su un vasto consenso popolare. Va sottolineato in particolare che l’accentuato orientamento federalistico dell’europeismo italiano si è sempre fondato sulla convinzione che una struttura federale (istituzioni sopranazionali fornite di effettivi poteri e fondate sul consenso dei cittadini europei) è indispensabile per ottenere una organica solidarietà fra paesi forti e paesi deboli dell’Europa. E’ un fatto che la partecipazione italiana all’unificazione europea, oltre ad aver contribuito in modo decisivo all’avanzamento di questo processo, ha costituito la forza trainante dei fondamentali progressi verso la modernizzazione economico-sociale e politica (la progressiva integrazione della grande maggioranza delle forze politiche nel sistema democratico) dello Stato italiano. E’ però un altro dato di fatto che l’influenza positiva dell’integrazione europea sull’evoluzione italiana si è a un certo punto decisamente indebolita.

Qui entra in gioco il fattore cruciale costituito dal carattere incompiuto dell’unificazione europea. Da una parte, nei quasi settant’anni di processo integrativo, il lento e graduale avanzamento, che è partito dalla Dichiarazione Schuman del 9 maggio 1950, ha permesso di ottenere grandiosi risultati riassumibili:

— nella pacificazione dell’Europa dopo secoli di guerre interstatali, le due ultime delle quali (la prima e la seconda guerra mondiale) ci hanno portato sull’orlo della fine della civiltà europea;

— in un progresso economico-sociale che ha fatto dell’Europa la regione più avanzata del mondo;

— in un progresso politico caratterizzato dalla generale diffusione del sistema democratico integrato in modo organico dai diritti di libertà e dai diritti alla solidarietà sociale.

Dall’altra parte, l’unificazione europea è un’opera incompiuta perché non è giunta a realizzare la federazione europea che nella Dichiarazione Schuman viene indicata come il suo indispensabile traguardo. Ai progressi sul piano dell’integrazione sopranazionale (nel campo monetario di natura pienamente federale) si accompagna in effetti la persistenza dei meccanismi confederali (in ultima analisi il mantenimento da parte dei governi nazionali del monopolio del potere politico, che implica il diritto di veto sulle decisioni comunitarie) in settori decisivi quali il bilancio comune (le risorse dell’UE, che sono essenzialmente contributi nazionali, equivalgono a meno dell’1% del PIL europeo, mentre a titolo di esempio quelle degli USA superano il 20%), la politica economica, la politica estera, la sicurezza e la difesa, la revisione del sistema istituzionale. Il fatto che non si sia ancora raggiunto un sistema pienamente federale ha finito per produrre gravi conseguenze negative per l’UE nel suo complesso e per l’Italia in particolare.

Per quanto riguarda l’UE, il fatto di trovarsi in mezzo al guado impedisce di rispondere efficacemente alle sfide esistenziali ricordate all’inizio e che qui precisiamo meglio.

Gli squilibri economico-sociali (disuguaglianza e disoccupazione) e soprattutto gli squilibri territoriali (divari di sviluppo fra gli Stati membri dell’UE) sono cresciuti a un tale grado, anche in connessione con la crisi globale di questi anni, da produrre sempre più gravi tensioni sociali e politiche e contrasti nazionalistici, i quali mettono in gravissimo pericolo la sopravvivenza dell’unione economica e monetaria. E’ diventato sempre più urgente il passaggio da un’integrazione essenzialmente negativa (eliminazione degli ostacoli al libero movimento delle merci, delle persone, dei capitali e dei servizi) ad un’integrazione anche positiva, cioè accompagnata da forti politiche sopranazionali capaci di affrontare efficacemente gli squilibri economici, sociali e territoriali inevitabilmente prodotti da un mercato non adeguatamente governato e, quindi, di sottrarre, con un vero governo economico europeo, l’economia e la società europea al dominio dei mercati. Il che richiede istituzioni sopranazionali fornite delle necessarie competenze e risorse e sottoposte al controllo dei cittadini europei.[2]

Per quanto riguarda la sicurezza, l’Europa si confronta oggi con gravissime minacce di natura globale derivanti dalle contraddizioni di una globalizzazione non governata (povertà e divari di sviluppo, sempre più gravi crisi economiche e finanziarie, le nuove sfide poste dal terrorismo internazionale e dalle migrazioni bibliche), dal degrado ecologico, dal crescente disordine internazionale in un contesto caratterizzato dall’irreversibile declino dell’egemonia americana (la presidenza Trump è una chiara espressione di questo declino) e della sua funzione relativamente stabilizzatrice anche in termini di sicurezza europea. Le minacce globali, sommandosi alle minacce ai confini meridionali e orientali dell’UE, rendono improcrastinabile l’esigenza di federalizzare la politica europea estera, di sicurezza e di difesa. Va qui sottolineato che, diventando una potenza capace di agire efficacemente sul piano internazionale, l’Europa potrebbe fornire un contributo determinante alla formazione di un sistema pluripolare strutturalmente cooperativo, che aprirebbe la strada verso un mondo più giusto, più pacifico ed ecologicamente sostenibile.[3]

L’emergenza migratoria sta mettendo in crisi la libera circolazione delle persone, cioè un caposaldo del mercato unico, oltre a produrre sempre più allarmanti tensioni politiche e sociali. Per rispondere a questa sfida è indispensabile una efficiente politica comune, cioè federale, dell’emigrazione, diretta sia all’integrazione dei migranti (che sono necessari al progresso economico e sociale europeo), sia alla realizzazione di un grandioso (ed enormemente impegnativo) disegno di stabilizzazione delle regioni (in particolare l’Africa e il Medio Oriente) da cui proviene un’emigrazione eccessiva e sempre meno gestibile.

A queste sfide dobbiamo aggiungere quella proveniente dalla crescente disaffezione dei cittadini europei nei confronti dell’UE, che si manifesta in particolare nella crescita dei partiti e dei movimenti nazionalpopulistici (che, tra l’altro, hanno contribuito in modo decisivo alla Brexit), e che deriva fondamentalmente da due fattori. Il primo è costituito dall’incapacità dell’UE — che ha le sue radici nel sistema intergovernativo paralizzato dai veti nazionali — di affrontare in modo efficace i problemi più acutamente sentiti dai cittadini europei, che si riferiscono ai differenti aspetti della sicurezza (economica, sociale, ecologica, internazionale, governo dell’emigrazione, terrorismo). Il secondo fattore consiste nella mancanza di una reale legittimazione democratica delle istituzioni europee, dato che le fondamentali decisioni sopranazionali non sono né efficienti né soggette ad un controllo democratico corrispondente a quello richiesto dai canoni della civiltà politica occidentale. Questi fattori rinviano all’esigenza cruciale di un vero governo europeo che sia espressione della partecipazione dei cittadini europei al processo democratico.

Veniamo ora alle implicazioni negative per l’Italia dell’incompiutezza dell’unificazione europea. Vanno sottolineati in particolare i seguenti punti:

— con la partecipazione all’integrazione economica europea l’Italia nel suo complesso ha certamente ottenuto grandi progressi, ma la mancanza di un governo economico europeo ha avuto effetti negativi sotto più punti di vista: i) innanzitutto il meccanismo del vincolo ai parametri finanziari stabiliti nel Trattato di Maastricht, che doveva accompagnarsi ad un ruolo sentinella dei mercati, si è rivelato del tutto inadeguato a favorire la convergenza all’interno dell’area dell’unione monetaria. Per l’Italia, paradossalmente, il risultato è stato che l’euro ha protetto il paese, garantendone la stabilità finanziaria anche in assenza di riforme strutturali e politiche serie di rientro dal debito, coprendo quindi in qualche modo i difetti di governo negli anni cruciali a partire dall’avvio della moneta unica; ii) l’arretratezza del sistema paese senza il sostegno di una sostanziosa integrazione economica positiva a livello europeo (irrealizzabile in assenza di un governo federale europeo fondato sul consenso dei cittadini europei da nord a sud e da ovest a est dell’Europa) è rimasta invariata, anzi, si è acuita a fronte delle sfide poste dalla nuova rivoluzione tecnologica e dei contraccolpi della globalizzazione; questo ha rallentato anche il progresso verso il superamento degli squilibri economico-sociali e territoriali italiani (tenendo conto che l’integrazione economica ha oggettivamente diminuito in modo decisivo l’efficacia degli strumenti nazionali di politica economica) e infine, in connessione con la crisi economico-finanziaria mondiale, ne ha favorito una accentuazione, producendo tensioni sociali e spinte populistiche.

— La mancanza di una politica estera, di sicurezza e di difesa unitaria europea e di una vera politica sopranazionale dell’emigrazione fa sì che l’Italia si trovi particolarmente esposta di fronte alle sfide della sicurezza e dell’emergenza migratoria, il che porta al crescere di recriminazioni contro l’inadeguata solidarietà europea.

— I deficit di democrazia e di efficienza che caratterizzano i meccanismi istituzionali europei a causa della loro natura intergovernativa fanno sì che la democrazia sia sostanzialmente confinata a livello nazionale dove non si possono più prendere decisioni strategiche, mentre dove queste devono essere prese (a livello sopranazionale) non esiste ancora un meccanismo politico-democratico adeguatamente sviluppato. Si è quindi prodotto un vuoto di politica e di democrazia, cioè di capacità di elaborare grandi disegni orientati all’interesse generale, intorno ai quali si possa suscitare lo spirito civico e quindi la grande risorsa della solidarietà. In questa situazione (che si innesta nel quadro di relativa arretratezza storicamente radicata) non ci sono più freni al dilagare della corruzione, degli egoismi individuali, corporativi e locali e alle fughe nell’irrazionalità. L’indebitamento patologico italiano deve essere collocato, per essere adeguatamente compreso, in questo contesto, che rafforza le implicazioni negative della mancanza di una adeguata integrazione economica positiva e, quindi, solidale.[4]

— Se la situazione dell’incompleta unificazione europea ha rafforzato in generale in tutta Europa le tendenze nazionalpopulistiche, non c’è da stupirsi che in Italia, che ha un sistema politico storicamente più arretrato e che è più fragile dal punto di vista democratico, l’effetto sia stato quello di portare un paese che aveva il primato del sostegno popolare all’idea dell’unità europea ad avere ora il primato fra i paesi fondatori per quanto riguarda il rifiuto dell’UE e in modo specifico dell’unione monetaria.

Il vitale interesse dell’Italia per il completamento dell’unificazione europea.

Chiarite le conseguenze negative a cui il fatto che non si sia ancora raggiunta la federazione europea ha condotto l’UE nel suo complesso e l’Italia in modo specifico, è evidente che le forze politiche democratiche ed europeistiche di un paese che come l’Italia ha un interesse particolarmente vitale all’unificazione europea sono chiamate a contribuire in modo determinante alla risposta positiva da dare all’alternativa drammatica che si sta avvicinando al punto di rottura fra un avanzamento decisivo in senso federale della costruzione europea e la disgregazione.

Ciò significa che l’Italia deve collegare le richieste di politiche europee che affrontino seriamente le sfide esistenziali con cui si confronta l’UE alla chiara proposta dell’apertura di un processo costituente che possa portare alla nascita della federazione europea. Il punto decisivo è il superamento del principio dell’unanimità in tutte le fasi del processo, dalla convocazione dell’organo costituente alla ratifica. La proposta costituente da parte italiana renderebbe più avanzate in direzione federale le iniziative di cui, di fronte alla drammatica alternativa in cui si trova l’UE, l’asse franco-tedesco si farà promotore dopo le tornate elettorali di questi mesi. In particolare è indispensabile il rafforzamento in direzione federale, da parte italiana, delle iniziative franco-tedesche, per quanto riguarda le riforme dell’eurozona. Questa posizione rappresenterebbe d’altronde un atto di continuità con il ruolo storicamente giocato dal nostro paese nel processo di integrazione europea.

Perché l’Italia possa portare avanti questa linea in modo credibile ed efficace, ci sono delle condizioni imprescindibili.

Una condizione fondamentale è conquistare la fiducia dei partner europei e delle istituzioni europee. Ciò significa portare avanti il programma di risanamento finanziario sia per quanto riguarda il deficit di bilancio sia per quanto riguarda il debito pubblico. E’ chiaro che un pieno e sostanziale risanamento non sarà possibile in mancanza del rilancio dell’integrazione europea che realizzi una crescita realmente solidale, fondata cioè su un sistematico aiuto dei paesi più avanzati nei confronti di quelli strutturalmente più deboli. Il che implica evidentemente un decisivo avanzamento federale dell’unificazione europea. L’Italia deve però dimostrare di sapersi impegnare seriamente a combattere con adeguate riforme gli sprechi, le inefficienze, l’enorme evasione fiscale, la corruzione, l’illegalità di massa. Fenomeni che sono fortemente radicati nella strutturale arretratezza dello Stato italiano e che, per essere affrontati adeguatamente, richiedono un legame organico fra impegno nazionale nelle riforme e aiuto da parte dell’Europa. D’altra parte, senza la constatazione di un serio sforzo italiano nel combattere i fattori nazionali che, connettendosi al fattore cruciale costituito dalla mancanza di una adeguata integrazione economica positiva, costituiscono un rilevante fattore del dissesto delle finanze italiane, non è politicamente gestibile per le classi politiche dei paesi forti far accettare dalle loro opinioni pubbliche un avanzamento federale che comporti per questi paesi (in particolare per la Germania) l’impegno a una solidarietà strutturale sopranazionale.

Nel contesto dell’impegno per il risanamento finanziario rientra una posizione seria da parte italiana riguardo al Fiscal Compact. Esso non può essere semplicisticamente rifiutato e si deve riconoscere la validità di fondo del discorso sulla condanna della crescita fondata sul debito senza freni, il quale ultimo è oltretutto in contrasto con il principio della giustizia intergenerazionale. La linea giusta è quella di richiedere la revisione del Fiscal Compact con riferimento alla golden rule(il debito pubblico deve finanziare gli investimenti e non la spesa corrente) e il suo inserimento in un trattato che fornisca alle istituzioni europee il potere (di natura federale) di attuare una efficace integrazione positiva e quindi solidale. La riforma dei Trattati che ciò comporta dovrebbe essere preceduta nell’immediato da un Social Compact (che dovrebbe contenere tra l’altro l’avvio della creazione di un sistema di assicurazione europea contro la disoccupazione), come si era detto al momento della approvazione del Fiscal Compact. Nel quadro della conquista della fiducia dei partner europei rientra anche un forte impegno italiano a favore della cooperazione strutturata sottolineato dalla immediata adesione all’Eurocorps.

L’altra fondamentale condizione perché l’Italia possa fornire una spinta decisiva all’avanzamento federale europeo è che le forze democratiche ed europeiste italiane sappiano sconfiggere le forze nazionalpopulistiche, che, se non sono bloccate, porteranno l’Italia fuori dall’unificazione europea, contribuendo così in modo determinante alla sua disgregazione. Pertanto l’aspetto qualificante del programma con cui le forze democratiche ed europeiste italiane si accingono ad affrontare le prossime elezioni politiche deve essere l’impegno per una Europa pienamente federale e, quindi, imperniato sulla proposta costituente sopraindicata, integrata dalla richiesta di immediate parziali anticipazioni (possibili a Trattati costanti) del governo economico europeo e del governo europeo della sicurezza e dall’impegno serio contro i fattori nazionali del dissesto finanziario.

Deve essere chiaro che le forze nazionalpopulistiche si possono sconfiggere solo contrapponendo alle loro farneticazioni un grande disegno di rinnovamento dell’Europa e quindi dell’Italia e non facendo delle concessioni alle loro critiche di orientamento nazionalistico all’unificazione europea. E deve essere altrettanto chiaro che deve affermarsi un impegno politico straordinario diretto a costruire uno schieramento il più possibile unitario delle forze democratiche ed europeiste contro il nazionalpopulismo nelle sue varie espressioni. Questo schieramento dovrà essere alla base del governo che nascerà dopo le elezioni. Dovrà essere un governo di unità democratica per la federazione europea, che impedisca quindi alle tendenze nazionalpopulistiche di condizionarne le decisioni che sono necessarie per la sopravvivenza dello Stato democratico italiano e, quindi, per la sua partecipazione alla risposta alla crisi esistenziale in cui si trova l’Europa.

Sergio Pistone

 


* Si tratta di un documento preparatorio al lavoro della Commissione sulla situazione italiana, istituita dal XXVIII Congresso nazionale del Movimento federalista europeo, tenutosi a Latina dal 28 al 30 aprile 2017.

[1] Cfr. M. Albertini, Il Risorgimento e l’unità europea, Napoli, Guida, 1979; S. Pistone, L’Italia e l’unità europea, Torino, Loescher, 1996; U. Morelli e D. Preda (a cura di), L’Italia e l’unità europea dal Risorgimento ad oggi. Idee e protagonisti, Padova, CEDAM, 2014.

[2] Cfr. S. Pistone, Il dibattito in Germania su democrazia e unificazione europea: il confronto fra Habermas e Streeck, Il Federalista, 55, n. 2-3 (2013); Id., Federazione europea subito come risposta alla crisi esistenziale dell’integrazione europea e per superare gli squilibri fra paesi forti e paesi deboli dell’Unione europea, Piemonteuropa, 38, n. 1-2 (2013); Id., Lo scenario dell’unione politica federale della democrazia multilivello. Perché e come?, relazione al Seminario politico di Bardonecchia (5 maggio 2017).

[3] Cfr. S. Pistone, Unione politica e sfide della sicurezza, Paradoxa, 9, n. 3 (2015); Id., Realismo politico, federalismo e crisi dell’ordine internazionale, Il Federalista, 57, n. 1 (2015); F. Spoltore, Unione federale e difesa europea, Il Federalista, 58, n. 2-3 (2016).

[4] Cfr. Un governo di emergenza costituzionale per riportare l’Italia nel solco delle democrazie europee, l’Unità europea, 43, n. 1 (2016).