Anno III, 1961, Numero 6, Pagina 270

 

 

IL FONDAMENTO DI UNA AZIONE FEDERALISTA
 
 
Il giorno otto febbraio dell’anno prossimo si aprirà a Lione il congresso del Movimento Federalista Europeo, il secondo con il nuovo statuto supernazionale. Si tratta di un congresso importante, di un congresso che deve dirci se sta riuscendo oppure no il difficile tentativo di far funzionare politicamente una organizzazione democratica supernazionale europea. E’ il primo tentativo consapevole fatto in Europa, ed è un tentativo veramente difficile. Sinora tutti i movimenti politici democratici sono rimasti prigionieri dei confini degli Stati, della lotta per il potere nazionale. Anche quando i loro obiettivi erano idealmente di carattere supernazionale, come il mercato mondiale dei liberisti o l’emancipazione dei proletari di tutto il mondo dei socialisti, essi non hanno potuto né puntare direttamente verso tali obiettivi né esperimentare il loro vero carattere politico perché non hanno saputo superare, sul piano dell’organizzazione e della lotta politica, l’internazionalismo, cioè una struttura inadatta ad impiegare forze democratiche e a conseguire risultati democratici. Democrazia e internazionalismo sono termini antitetici. La procedura democratica comporta la votazione della linea politica e la scelta degli incaricati di eseguirla da parte di tutti gli interessati, sia che si tratti di governare un partito o uno Stato. Le internazionali escludono questa procedura. Esse non basano le loro decisioni sul voto di tutti gli interessati, ma sul compromesso fra i rappresentanti delle diverse parti nazionali, e quindi non fondano la loro azione sul consenso democratico ma sui rapporti di forza tra le varie parti. In sostanza, nella misura in cui esistono e agiscono, i movimenti internazionali sono diretti con un metodo autoritario, che riserva la conoscenza dei dati di fatto e la responsabilità delle decisioni ai soli capi, ciascuno dei quali, dovendo contare solo su se stesso perché, coinvolto in un processo di decisioni nel quale gli altri sono degli altri capi, cioè degli antagonisti e non dei compagni, diventa anche psicologicamente un autocrate.
Questa situazione diventa sempre più grave a mano a mano che la dimensione supernazionale della condotta umana guadagna terreno. Tenuto conto dello stato delle comunicazioni e del grado di interdipendenza dei rapporti umani, l’area europeo-occidentale è oggi più unitaria di quanto lo fossero nel secolo scorso le aree italiana e tedesca, ma essa è soltanto un’area internazionale, non un’area statale. La conseguenza è la seguente: nel campo nazionale, che conta sempre meno, i leaders sottomettono il loro potere nel partito ai congressi e il loro potere nel paese al parlamento e alle elezioni ,nel campo europeo, che conta sempre di più, gli stessi leaders non sottomettono il loro potere ad alcun congresso di partito, ad alcun parlamento, ad alcuna elezione. La divisione dell’Europa in Stati sovrani, vale a dire la separazione dei campi nei quali ci si batte liberamente per il potere da quello nel quale si prendono le decisioni che contano, sottopone gli europei a decisioni che non sono scelte basate sul voto di tutti gli interessati, ma veri e propri compromessi fra pochi potenti. Questo solo dato basta per spiegare il carattere sempre meno democratico delle democrazie europee, ed il motivo per il quale coloro che si battono per rianimare la democrazia nel campo nazionale battono la testa contro il muro. L’Europa è governata, per così dire, da una conferenza permanente di capoccia nazionali, fatto che impedisce assolutamente la formazione di qualunque linea politica democratica per l’esclusione dei cittadini dal campo delle decisioni importanti (basta pensare ad un’Italia che fosse divisa in regioni, avesse elezioni politiche solo a quel livello, e fosse governata da una conferenza di capi regionali, per rendersi conto dell’attuale situazione dell’Europa).
Questa decadenza autoritaria delle democrazie nazionali è il fondamento reale di una azione politica federalista. Per fondare lo Stato europeo, bisogna far entrare nella lotta politica una forza nuova, una forza europea. Questo tentativo si può fare solo se questa forza virtualmente esiste, cioè se si può organizzare qualche cosa realmente esistente. Orbene, c’è un rapporto diretto fra la causa della decadenza autoritaria delle democrazie nazionali, e il tentativo di far funzionare politicamente un’organizzazione democratica europea, perché questo tentativo non può essere che quello di organizzare nella dimensione supernazionale quanto di democratico sfugge ai partiti tradizionali nelle dimensioni nazionali. l congressi del Movimento Federalista Europeo possono dare la misura di quanto si sta facendo in questa direzione. Bisogna dire con chiarezza che sinora è stato fatto ben poco. Per anni e anni i federalisti sono rimasti fermi perché, dovendo organizzare fermenti democratici che giudicavano compressi sul piano nazionale ed esprimibili solo su quello europeo, copiarono di sana pianta la struttura organizzativa dei movimenti politici fallimentari sul piano supernazionale, l’internazionalismo, rimanendo perciò prigionieri dei dati e delle esperienze nazionali che respingevano in teoria. Ed ora, che dispongono finalmente di una organizzazione supernazionale, cioè di un quadro supernazionale di azione politica, non sanno che cosa farne. Il congresso è imminente, ma il pensiero federalista prende in esame tutti i dati della situazione meno quelli decisivi: lo stato della organizzazione, come essa si deve muovere visto come si muove il mondo, quale politica si deve fare per moltiplicare il numero delle città europee dotate di una reale forza federalista. Non basta dire che i federalisti dovrebbero dire o fare questo o quello, bisogna ogni volta capire se, e come, lo diranno e lo faranno.
Questa è la misura per valutare ogni giudizio politico, qualsiasi progetto d’azione, gli strumenti di cui i federalisti dispongono o che essi vogliono creare. Nel pensare e nell’agire essi devono sempre chiedersi: questo pensiero, questo atto, questo strumento è un contributo alla formazione, alla discussione ed all’esecuzione della linea politica europea del federalismo, oppure no (indipendentemente dalla sua utilità per sé stante)? Soltanto se la risposta è sì, potranno effettivamente dire che stanno facendo qualche cosa per organizzare nella dimensione supernazionale le energie democratiche compresse su quella nazionale, cioè che stanno battendosi per l’Europa.
Si tratta di dare la prova della possibilità di una forza politica europea. Naturalmente non si può darla con una formula. All’inizio l’alternativa non è tra l’avere il potere e non averlo, ma tra l’avere un progetto di azione buono per gli altri oppure avere un progetto di azione destinato a rimanere la mania di pochi illusi; tra il fare da soli un pezzo di strada con un buon progetto senza l’aiuto dei potenti sino ad avere una rete europea piccola ma capace di lotta, oppure il pretendere che altri, saliti con altre politiche, facciano la politica di costruzione dell’Europa. In sostanza si tratta di vedere se la organizzazione supernazionale sa camminare, cioè se fornisce la base per la formazione e la scelta democratica di una linea politica europea. Se questo tentativo riuscirà, muteranno i dati della lotta politica. In quel quadro i partiti nazionali avrebbero davvero la responsabilità dell’ottusa conservazione del presente stato di cose e il federalismo acquisterebbe probabilmente una forza sufficiente per vincere.
 
Mario Albertini